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Autore: Silvar tales    20/05/2012    8 recensioni
CAPITOLO 10 pronto al 25 %
[Thor/Loki] [Contesto: post Avengers]
Era sempre andata così, fin dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già da tempo.
Invece continuava a tramare, ad inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo non vedeva margini di vittoria.
La sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa alta.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Violenza
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Nodi Sciolti


Schegge di vetro e un baratro ricolmo di stelle, ecco quello che rimaneva dell'arcobaleno bifrost.
Se Loki avrebbe voluto fare di quel ponte il suo trofeo di vittoria sugli Jotunheim, Thor ne aveva fatto il santuario della propria eroicità, e del proprio spirito di sacrificio. Due qualità convenienti a un Re.
«Thor, Loki come sta?» A fianco del proprio vero figlio Frigga fissava il cielo nero, fingendo di essere interessata alle nebulose che vi vorticavano placide. Ma Thor la vedeva chiaramente preoccupata per il figlio adottivo, che aveva sì scampato la morte, ma era stato condannato a un destino ben peggiore; lei, come madre, poteva bene intuirlo. Il dio del tuono, in risposta, scosse le spalle, simulando un'espressione dispiaciuta.
«Non vuole parlarmi, mi maledice per la morte di suo figlio ma non sembra intenzionato a lasciarsi morire. Secondo me sta progettando la fuga, e la vendetta su Asgard». Cercò di formulare una scusa che risultasse il più convincente possibile, cercando di immedesimarsi nel fratellastro. Se suo padre avesse scoperto che Loki non era rinchiuso nella sua cella, ma bensì nelle più sontuose stanza reali, e che il piccolo Jotun era ancora vivo, stavolta Thor avrebbe davvero rischiato la condanna a morte. Pregò dentro di sé che Loki fosse abbastanza acuto e riconoscente da non uscire dalla sua camera e da non farsi scoprire fuori dalla cella dove avrebbe dovuto essere. Frigga in compenso credette ciecamente alla bugia, e si asciugò gli occhi diventati improvvisamente umidi.
«Madre...»
«Come siete arrivati a questo, Thor?» La sua voce stanca era tremolante di pianto. Il principe scosse la testa in segno di dissenso.
«Non devi incolparti. Loki... è fatto così. Voi gli avete donato tutto l'affetto che potevate dargli».
«Ti sbagli Thor», Frigga serrò ulteriormente le labbra fino a farle diventare bianche, e così continuò la sua confessione, incatenando gli occhi a quelli del figlio. «Abbiamo cercato, ma non siamo mai riusciti ad amarlo come amiamo te». A quelle parole, Thor sentì un intruglio di emozioni invaderlo. Non sapeva se essere felice e orgoglioso per quella speciale dose d'affetto, oppure irato per l'incapacità dei genitori di amare Loki come un figlio. D'un tratto si rese conto di molte cose, molti frammenti di passato gli ritornarono alla mente, pezzi di una collana che gradualmente ricompose: i suoi genitori non avevano mai avuto particolare attenzione nei sentimenti di Loki. Lo amavano, lo accettavano, lo accoglievano come un figlio, ma dietro le loro moine e i loro sguardi gentili nascondevano inconsciamente l'antico rancore verso gli Jotunheim, verso un popolo straniero, verso una razza mostruosa.
«Vorrei vederlo». Le parole ferme della madre distrassero Thor dai suoi pensieri, e dalla sua momentanea contemplazione dello spazio aperto.
«Cosa?»
«Vorrei vedere Loki. Dove si trova?» Ripeté la regina, con più decisione.
Il ragazzo sentì la paura invaderlo, e un attimo di panico improvviso gli offuscò la mente.
«Ne-nelle prigioni ovest, ai limiti della distesa boschiva di Azüle» pensò in fretta al primo luogo che gli veniva in mente, che fosse il più distante possibile dalle Cascate Spioventi e dalla reggia. Doveva guadagnare tempo.
«Purtroppo non posso accompagnarti madre, devo raccogliere il rapporto delle guardie sensitive per una questione importante. Pare che sia stato individuato un collegamento spazio-temporale simile al bifrost, in uno dei Nove Mondi. Questo potrebbe eventualmente costituire una minaccia per Asgard».
Frigga alzò una mano in un gesto sbrigativo, e si lasciò andare in un dolce sorriso fiero e materno.
«Va' figlio, non mancare ai tuoi doveri».
Detto questo chiamò le sue serve che la scortassero sino al promontorio di Azüle, dov'era situato il vecchio carcere.
Nel frattempo, immerso nell'eleganza degli ambienti reali, il dio degli inganni cercava di alleviare un poco i suoi tormenti.

Loki inspirò i soavi vapori che aleggiavano nella stanza da bagno, rievocando involontariamente nel profumo dei balsami e degli oli alcuni sprazzi di passato, nemmeno troppo distante. Lui e Thor avevano giocato innumerevoli volte immersi in quella vasca, che all'epoca pareva gigantesca. Thor, irruente e vivace come al solito, si divertiva a spruzzare l'acqua fuori dai bordi o addosso a Loki, mentre quest'ultimo preferiva inventare storie, collage delle innumerevoli leggende che divorava ogni sera, sempre ambientate sulle rive di quell'ampio lago col fondo di piastrelle.
Il ragazzo immerse i capelli mossi nell'acqua calda, passò le dita in mezzo alle ciocche per districare i nodi. Con la bocca immersa appena sotto il livello dell'acqua, soffiò, facendo gorgogliare la superficie di bolle.
Ma, nonostante cercasse in tutti i modi di distrarsi e di rilassarsi un momento, non riusciva a non pensare ai mille dubbi che l'attanagliavano. Primo fra tutti, doveva scoprire cos'era successo a Liar. Thor non gli aveva detto tutto quello che avrebbe dovuto dirgli, ora a mente fredda se ne rendeva conto. Come mai i carcerieri avevano affermato senza nessuna esitazione che l'esecuzione era avvenuta? Il fratellastro gli stava quindi mentendo sulla sorte del bimbo, allo scopo di tenerlo sotto ricatto e approfittare della sua sottomissione?
Al solo pensiero, Loki serrò rabbioso i pugni sul bordo della vasca, digrignando i denti come una belva spaventata. Ma poi rifletté più lentamente, e con più lucidità. Thor non avrebbe avuto motivo di portarlo con sé negli appartamenti reali, se gli avesse raccontato una tale bugia. Anzi, si sarebbe approfittato di lui all'interno delle sbarre e poi l'avrebbe lasciato al suo destino. No, Thor non era così falso. Non sarebbe mai stato capace di una menzogna di una simile gravità, era troppo ottuso e smaliziato.
Ma allora, qual era l'esecuzione effettivamente avvenuta?
Senza che ebbe occasione di pensarci oltre, sentì la serratura della camera scattare, e la porta del bagno aprirsi precipitosamente. Un Thor affannato e ansante si stagliò sulla porta, liberando all'esterno la densa nuvola di vapore che aleggiava nella stanza.
«Devi immediatamente tornare nella tua cella».
«Cosa? E perché?», fece il dio degli inganni con grande rammarico; aveva appena iniziato a rilassarsi, e inoltre aveva tantissime domande da porre al fratellastro.
«Non c'è tempo fratello. Se ti scoprono qua io sono morto».
Onde evitare ulteriori repliche, Thor sollevò il ragazzo di peso, sottraendolo a quelle acque calde e profumate. Lo avvolse in fretta e furia in un telo sontuoso, il primo che aveva trovato sottomano, e gli frizionò al volo i capelli scuri. Odoravano ancora della pungente fragranza dei balsami.
«Come osi trattarmi come un infante!» Protestò Loki cercando di scostarlo, ma l'altro lo ignorò spudoratamente. Gli aggiustò meglio il telo sulle spalle bagnate e lo portò con sé fuori dalla camera.
«Aspetta Thor... non cacciarmi via così. Ci sono tante cose che dobbiamo chiarire», disse in un soffio Loki al fratellastro, mentre percorreva a passo spedito i corridoi guardandosi intorno ad ogni angolo. «Ho come l'impressione che tu stia evitando l'argomento. Ho sentito le guardie parlare dell'esecuzione di mio figlio e... insomma a chi devo credere, dato che non ho ancora visto Liar vivo?»
«Loki, ma ti pare il momento?» Thor era infatti impegnato a scovare una via alternativa che aggirasse i due blocchi di sorveglianza, ma sembrava piuttosto incline a sviare la domanda.
«Sì, mi pare il momento. Voglio sapere cos...»
«Tuo figlio sta bene, ti basti sapere questo».
Infine riuscirono ad infiltrarsi nella zona di detenzione senza essere visti, anche se evitarono per un soffio due pattuglie. Thor rinchiuse nuovamente Loki dentro la sua cella; d'altronde, la carcerazione a vita era la pena che per legge spettava ai traditori, aggiunta alla condanna a morte dei loro figli.
Loki si raccolse contro le proprie ginocchia, tremando visibilmente per il freddo di quella prigione d'acciaio. Un soffio gelido sferzava sulla sua pelle bagnata, protetta solo da un sottile strato di seta.
«Credo che la nostra nobile madre verrà a farti visita. Più tardi ti porterò dei vestiti».
Loki sbuffò e distolse lo sguardo dagli occhi fieri di Thor.
«Come faccio ad essere sicuro che Liar sia ancora vivo?» chiese in tono quasi implorante.
Il dio del tuono allora, in tutta risposta, gli diede un veloce bacio sulla fronte, non dandogli nemmeno il tempo di rendersene conto.
«Fidati di me fratello».
«Non sono tuo fratello, Thor, smettila!»
Ma lui gli aveva già voltato le spalle, e lesto s'era chiuso la porta blindata dietro i suoi passi.
Loki perse anche l'ultimo spiraglio di luce proveniente dall'esterno e rimase chiuso nell'oscurità e nel freddo della sua cella, tremante, bagnato e infreddolito.
Con orrendi fantasmi che gli infestavano la mente.



*



Frigga era troppo invaghita del suo primogenito per sospettare anche minimamente di lui. Così, quando arrivò al distretto di Azüle e i carcerieri la indirizzarono verso la zona detentiva delle Cascate Spioventi, cadde ciecamente nell'inganno e tornò sui suoi passi.
Dopotutto Thor, a causa dell'indisposizione di Odino, era parecchio impegnato in quei giorni; era possibile che gli sfuggisse qualche cosa.
Arrivata nei pressi delle prigioni, congedò le serve che la scortavano ed entrò sola nel loculo dov'era rinchiuso il proprio figlio adottivo, Loki di Jotunheim.
Lo trovò raggomitolato su se stesso nel tentativo di proteggersi dal freddo, avvolto maldestramente in quel lenzuolo troppo elegante in un contesto simile, con le spalle, i capelli, le gambe bagnati.
Patetico per essere un Gigante di ghiaccio.
Non appena il prigioniero sentì la serratura scattare, cercò di assumere una posizione più decorosa drizzando la schiena e aggiustandosi meglio il telo addosso. Strizzò gli occhi assonnati e riconobbe l'esile profilo della madre, che con la sua camminata gentile veniva verso di lui.
«Loki!» D'istinto ella aprì le braccia verso di lui, ma poi ritirò l'abbraccio, rammentando in che posizione si trovava ora il figliastro, e in che posizione si trovava lei.
Agli occhi di Loki Frigga faceva parte di coloro che avevano mandato al patibolo il suo bambino, era certa che non l'avrebbe accolta benevolmente.
Eppure, con grande sorpresa della donna, Loki accettò quel contatto intimo. Anzi, in verità era l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento, oltre a sciogliere i nodi dei fatti avvenuti recentemente. Ma la madre avrebbe potuto venire incontro anche a quest'ultimo suo bisogno.
«Madre, ti prego dà una risposta agli orrendi sospetti che mi corrodono, voglio sapere dov'è mio figlio, ora! Non posso più sopportare il dubbio!»
Frigga guardò con compassione il ragazzo riconoscendo per un attimo, in quegli occhi verdi e lucidi, il bambino che era, con il pallore della debolezza sulle guance, con gli occhi vivaci affamati di storie e leggende.
La donna scosse la testa, cacciando quei nostalgici pensieri.
«Oh Loki, perché a me affidi una tale responsabilità, perché il destino ha voluto gettare sulla mia vecchiaia un peso così gravoso? È forse questo il compito di una madre, annunciare al proprio figlio la morte del suo?»
Loki impallidì, se possibile, ancora di più.
Frigga si sentì morire. Serrò le labbra e le palpebre, cercando di cacciare indietro le lacrime. Non ricordava di aver mai provato un simile dolore, forse nemmeno quando Thor era stato bandito da Asgard, o quando Loki era svanito nello spazio profondo.
«Dunque... morto?» Il tono di voce del dio degli inganni era calmo, arrendevole. Sebbene non ne desse segno, dentro al suo petto montava una furia inaudita e una disperazione abissale.
«Thor lo ha affogato nelle acque del puro Fridsam, e ora giace in una tomba degna all'esterno delle mura. Ti prego, non nutrire ulteriore rancore per tuo fratello, egli ha a stento sopportato il dolore di dover essere l'artefice di un tale delitto».
«Eppure mi pare l'abbia sopportato. Madre, come puoi chiedermi una cosa simile!» Loki affondò le mani nei capelli, ancora grondanti d'acqua.
Dunque Liar era morto. E Thor, l'infame, gli aveva mentito, l'aveva portato nel suo letto con l'inganno! Uno sporco, meschino, crudele inganno. Non poteva che dare più credito alla versione di Frigga che a quella del fratellastro, dato che la madre gli aveva fornito dettagli più esaustivi.
«Come puoi chiedermi di non odiare Thor...» bisbigliò velenoso il ragazzo.
«Ti sto chiedendo di non attribuire la colpa alla persona sbagliata».
Loki alzò incredulo lo sguardo verso quello della madre, diventato d'un tratto freddo.
«E a chi dovrei dare forse la colpa, a te, madre, che non hai fatto nulla per impedire questo scempio? Ad Odino, mio nobile padre, che ha reso esecutivo l'ordine? Alle barbare leggi di Asgard, ai venerabili legislatori?»
Frigga allora bloccò le parole impetuose del figliastro, ponendogli una mano sulla spalla e guardandolo severamente.
«A te stesso».
Loki spalancò gli occhi per la sorpresa, e si sentì invadere di rabbia mista a delusione e tristezza.
Scosse la testa, come se non accettasse le parole che aveva appena sentito forti e chiare.
«Loki, io continuo ad amarti come un figlio...»
«Bugiarda», sibilò il dio con gli occhi ridotti a una fessura.
Frigga assunse uno sguardo ferito da quell'ingiuria, che mutò poi in apprensione e dispiacere.
«Eppure conoscevi le rigide regole di Asgard! Perché hai deciso di voltare le spalle al nostro mondo, figlio mio... Soffro a vederti così, soffro davanti al vostro odio».
«Io non ho mai voltato le spalle ad Asgard, io amo Asgard più di quanto l'amiate voi, ero pronto a prendere lo scettro per essa! Ma Thor...» caricò disprezzo su quel nome, «Thor è sempre stato il più valoroso, il più adatto, il più forte ai vostri occhi. Non avete mai nemmeno pensato a me come erede al trono, e questo solo a causa della mia natura! Solo perché appartenevo al popolo degli Jotun...» Frigga era arrivata al limite del dolore, a sentire quei rimproveri. Soprattutto perché si rendeva conto che quelle che le venivano rivolte non erano calunnie infondate.
«Loki, ti prego... Sai bene che non avrei potuto impedire il volere di tuo padre! Il tuo odio abbia almeno pietà di me».
Loki la guardò con risentimento, tuttavia non riuscendo ad odiarla veramente. Frigga era sempre stata per lui una figura protettiva, dolce, che sapeva valorizzarlo anche al confronto con Thor. Nutriva ancora un affetto infantile per lei, perché l'aveva aiutato a crescere, e tuttavia aveva provato con tutta se stessa a donargli amore al pari del suo vero figlio.
«Va', ora rivolgo a te la mia preghiera. Lasciami solo».
Frigga allora acconsentì mutamente, donando un'ultima carezza sulla guancia umida del figlio adottivo, venendo prontamente respinta.
«Come preferisci». Detto questo, la regina voltò le esili spalle al ragazzo, ed uscì dalla prigione. Loki, che aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento, nascose il viso tra le braccia e pianse, silenziosamente.
Passarono ore interminabili, in cui il prigioniero ebbe modo di sfogarsi nel sonno e nelle lacrime. Ma poi Thor mantenne la sua promessa. Sul fare del tramonto le doppie porte di sicurezza vennero nuovamente sbloccate e l'aitante erede al trono di Asgard comparve nell'esiguo loculo dov'era rinchiuso il fratellastro. Recava con sé un cambio di vestiti accuratamente ripiegati.
«Mi hai mentito». Loki lo accolse con queste parole colme di disprezzo e risentimento.
«E su cosa ti avrei mentito?»
«Raccontami con quale soddisfazione annegasti Liar nel Fridsam, e dimmi anche dove lo seppellisti, così che io possa morire ammazzandoti sulla sua tomba!» A stento pronunciò queste parole tenendo salda la voce, anche se i suoi occhi lucidi lo tradivano.
«Cosa ti ha detto nostra madre?»
«Ooh, non hai avuto il tempo di accordarti con lei per raccontarmi la stessa storiella senza contraddirvi?»
«Basta Loki, non una parola di più! Possibile che tu sia tanto cieco da non capire?»
Thor portò una mano a nascondersi il viso, e si permise pochi attimi di riflessione. Era arrivato il momento di dirgli la verità. Loki era tutto fuorché stupido, non avrebbe creduto oltre alla debole versione presentatagli per mascherare quel particolare.
«Ebbene, ti dirò la verità. O meglio, una parte di verità che non ti ho detto, fratello».
A questa premessa Loki decise di dare ascolto, seppur con poca convinzione, alle parole di Thor. In verità non aveva ancora abbandonato quel fievole barlume di speranza, non aveva ancora gettato via la possibilità che Liar fosse vivo.
Thor quindi, assicuratosi di essere ascoltato, l'aiutò ad alzarsi in piedi per poterlo guardare meglio negli occhi, e prese a vestirlo lasciando scivolare a terra il lenzuolo che lo copriva.
«È vero, un bambino è morto nelle acque del puro Fridsam, e sì, ora giace sotto una lapide che reca il nome di Liar, figlio di Loki dei Giganti di ghiaccio. Ma egli non è tuo figlio».
Per la seconda volta, Thor vide l'espressione del fratellastro colorarsi di sorpresa.
«Non avrai...»
«Ti assicuro, fratello, che sto rischiando la tua medesima sorte per quello che ho fatto».
Loki si portò una mano alla bocca, e diede le spalle all'asgardiano. I conti tornavano.
D'improvviso si voltò con impeto rabbioso verso Thor, e lo aggredì verbalmente.
«Stolto! Tu eri l'unico a sapere dell'esistenza di Liar, se non l'avessi detto a nostro padre a quest'ora non sarebbe morto nessun bambino!»
«Ma avrei perso te».
Thor allungò una mano verso il viso esausto e umido del fratello, gli toccò i capelli e la guancia, e lo guardò con profondo affetto. Il suo tono calmo e deciso riuscì a zittire la parlata affannosa del dio degli inganni. I suoi occhi azzurri erano colorati di una luce tenue, seriosa, piena di rammarico ma anche di profondo rispetto.
«E non mi stava bene».

   
 
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