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Autore: LucyFire    23/05/2012    2 recensioni
Prendete Rea, una ragazza introversa, che volontariamente si esclude dal mondo circostante.
Aggiungete la sua migliore e unica amica, Laura, sempre sorridente e allegra.
Aggiungete un ragazzo appena arrivato nella loro cittadina, Eric, che vive per la popolarità.
Contate anche il capo della loro scuola, Ken, che fa una scommessa con Eric.
Cosa verrà fuori da questo gioco? Eric riuscirà a conquistare Rea?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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"Ogni mattina in America, uno sfigato si sveglia, sa che deve correre più in fretta del figo di turno o le prenderà di brutto.
Ogni mattina in America, un figo si sveglia, sa che deve correre più in fretta dello sfigato, o non sarà più figo abbastanza.
Quando il sole sorge, non importa se sei un figo o uno sfigato: è meglio che cominci a correre..."


 

 

CAPITOLO 1

 

 

Percorsi i corridoi della scuola con passo malfermo e stanco. Quella notte non avevo chiuso occhio e, contando anche il personale buongiorno di Mike e la chiamata di quella mattiniera della mia migliore amica che mi ritrovavo, non ero molto in forma. Anzi, ero totalmente in coma.

Mi trascinai faticosamente al mio armadietto. Con uno sforzo immenso cercai di non addormentarmi lì in piedi davanti a tutti gli studenti che correvano a destra e sinistra, ma ero sicura che neanche se mi fosse scoppiata la terza guerra mondiale a distanza di tre metri l'avrei sentita.

Cercai con tutta me stessa di ricordarmi la combinazione del mio vecchio armadietto, ma in quel momento il mio cervello era ridotto a una pappetta grigia in testa. Inutile.

Cos'era? 8... Poi forse c'era un 4... No, forse era un 6...

Sconfortata dai miei scarsi risultati inizia a provare a caso. Quante possibilità avevo? Feci una smorfia. Non volevo saperlo, sarei impallidita di fronte a tutti quegli zeri.

Anche se suonò la campanella, testarda com'ero, continuai a provare ad aprirlo. In fondo avevo i miei libri là dentro. Non potevo andare come niente fosse dal professore di turno e dire “Scusi prof, ma mi sento psicologicamente instabile sta mattina, non mi ricordo la combinazione”.

«Hai la mia stessa difficoltà a quanto vedo.» due occhi blu elettrico sconosciuti mi fissarono per un attimo.

«Eh?» le mie doti di comunicazione erano fuori dal comune quella mattina.

«Armadietto. Sai, quella cosa che stai cercando di aprire.» me lo indicò con un dito. Cos'è, gli sembravo così tanto idiota?

«Ehi, sono le otto di mattina per tutti. C'è chi dorme ancora.» cercai di non pensare alla figuraccia appena fatta.

Com'era...? 862... 8652... 86529...

«Evvai!» dalla occhiata che mi lanciò, capii subito che dovevo aver urlato, e parecchio anche.

Gli studenti dietro di noi erano scomparsi, tutti a rintanarsi nelle aule.

«Mi sono appena ricordata la combinazione.» spiegai a mo' di scusa. Dall'occhiata molto eloquente che mi riservò, gli dovevo sembrare una pazza come minimo.

Con la fretta di nascondermi dall'imbarazzo – ero diventata tutta rossa – aprii velocemente l'armadietto e mi caddero tutti i libri per terra.

Tutte a me capitano sta mattina?

Con un sospiro mi inginocchiai e iniziai a raccoglierli. Matematica, storia e filosofia. Insomma, le mie materie preferite iniziavano a rompere le scatole già dal primo giorno.

Me ne sfuggirono di mano alcuni. Vidi una mano passarmeli e il ragazzo sbuffò divertito davanti alla mia goffaggine.

«In che classe vai adesso?» cercai in modo molto impacciato di fare conversazione con quello sconosciuto.

«Classe 6, storia.»

Finimmo di raccogliere i libri e io mi azzardai a dire un “Grazie.”

Cos'è tutta questa improvvisa gentilezza Rea?

«Di nulla.»

Silenzioso come mi era apparso davanti, mi diede le spalle e iniziò a camminare verso la sua aula.

 

 

 

 

«Rea!» un koala a forma di Laura mi si aggrappò addosso. La mia rossa preferita mi era saltata addosso, mozzandomi il respiro.

«Che ci fai ancora fuori dall'aula? Sono le 8 passate!» la sgridai, ma vista la sua espressione di risposta me ne pentii all'istante.

«Ero venuta a salutarti. Poi fuori dall'aula ci sei anche tu!» colma di disperazione mi si appiccicò in un abbraccio soffocante. Era l'unica persona al mondo a cui l'avrei mai lasciato fare.

Da quando, un anno prima, era accaduto l'incidente mi ero chiusa in me stessa, e di conseguenza anche verso gli altri. Avevo perciò perso la mia compagnia di amici e il mio posto fisso di “caposcuola”. O meglio, “non più puttanella menefreghista della scuola”. Decisamente più appropriato.

Diciamo che prima ero la ragazza, se si può definire così, più “voluta” dall'intero istituto. Tutte le altre volevano assomigliarmi, tutti i maschi volevano conoscermi e tutti i professori mi adoravano.

In più stavo con il ragazzo più bello della scuola e ero la capo Cheerleaders della scuola. La mia vita in quegli anni si poteva paragonare facilmente a quella che descrivono i soliti telefilm americani.

Peccato che quando mi riaffioravano i ricordi sentivo affiorare la nausea.

Dopo l'infausto giorno non parlai per un bel po' con tutti. I motivi erano tanti, ma fu uno in particolare a farmi cambiare radicalmente comportamento.

Divenni sempre più depressa e, come si poteva bene immaginare da quali amici falsi erano, la mia compagnia di ragazzi, con cui mi vedevo fuori dalla scuola, smise di cercarmi, di invitarmi alle feste o semplicemente a uscire. Mi resi conto della loro amicizia ingannevole e lasciato definitivamente il gruppo ben presto finii nel dimenticatoio.

La ragazza più popolare della scuola da quel giorno diventò “quella che ha perso i genitori”. Ma come si sa sempre, i telefilm finiscono così, no? La più voluta diventala più sfigata già nel primo episodio solitamente. Peccato che quella che stavo vivendo fosse la mia vita, quella vera.

Per peggiorare ulteriormente il mio livello sociale, mi mollò pure il mio ragazzo. Giusto per farmi sentire un po' di più di merda.

Lui era il Ken della scuola. Biondo e occhi marroni, era il marito perfetto per Barbie. Se ve lo state chiedendo, si, era anche senza palle. Era codardo e lasciava il lavoro sporco agli altri. Inoltre non aveva saputo starmi vicino in un momento tanto complicato come il mio.

Tanto per chiudere in bellezza non era passata neanche una settimana che si era già messo insieme a un'altra ragazza abbastanza popolare. Non che la cosa mi dispiacesse, ma la delusione di essere contata così poco per un ragazzo, sommata a tutti gli altri problemi, non che mi facesse sto' gran bene.

Comunque un'estate era passata ed io ero diventata una tipa strana tutta felponi e jeans, che ascoltava musica strana. Ormai ero additata come stramba e con i grilli della pazzia in testa.

Ma la cosa non mi dava particolarmente fastidio, anzi. Da quel giorno aprii gli occhi.

Primo, finché loro non trattavano male me, io non trattavo male loro. È la regola base della sopravvivenza: “rispetta il tuo nemico”.

Secondo, ero più che felice di aver mollato quel gruppo di liceali che si aggiravano ancora per la scuola con quegli abitini che lasciavano si e no scoperte tutte le gambe e qualche bel pezzo anche sopra. Solo il pensare che una volta il mio bel culetto era in bella mostra ogni santo giorno con il loro, mi veniva da prendere un sacchetto e vomitarci dentro tutto il pranzo dalla disperazione.

Terzo, avevo conosciuto Laura.

Lei, la mia rossa dolce e solare, in quell'anno non mi aveva mai lasciata sola, eravamo diventate inseparabili e la nostra amicizia era qualcosa di meraviglioso. Ci sostenevamo a vicenda, parlavamo a non finire e, anche se maggiormente da parte sua, spettegolavamo come due comari.

Lei, nei suoi 160 centimetri sprizzava gioia e ottimismo da tutti i pori. Era rossa di capelli e aveva gli occhi scuri, del color del cioccolato.

Invece io le ero totalmente contraria, sia per l'aspetto fisico sia per il carattere, nemmeno dirlo.

Io ero testarda, egocentrica, lunatica e orgogliosa oltre ogni misura. Ero ambiziosa, prepotente e a volte arrivavo ad essere anche arrogante.

Lei era la ragazza più solare e al tempo stesso fragile che avessi mai conosciuto. Forse era proprio la sua positività che mi aveva spinto subito a farne la conoscenza. Sinceramente, non sapevo cosa ci trovava di bello in me.

Comunque, stringendo un po', a mie spese avevo stabilito che chi voleva la mia fiducia doveva guadagnarsela, e Laura se l'era pienamente presa.

«Laura, hai l'orario?» quella si staccò con un sorriso.

«Tutto a memoria baby! Adesso abbiamo storia, poi italiano, inglese e alla fine matematica.»

Storia? Mi ricordai all'istante di due occhi blu elettrico.

Figuriamoci, ci saranno così tante aule in cui si fanno le stesse materie...

«Muoviamo allora, sono già le 8 e 20. Se non vuoi prenderti un rapporto il primo giorno di scuola, muovi quel culo che hai e andiamo in classe.»

«Sissignora!» cercò di risultare almeno un po' seria. Mozza azzardata, se non inutile. Quel sorriso che aveva stampato perennemente in faccia vanificò tutti i suoi sforzi.

«E muoviti!»

 

 

 

 

«Lote, Trenti, grazie di averci degnato della vostra presenza.»

No, per favore no. Non anche quest'anno quello stronzo di Pugliese.

Quel prof lo detestavo con tutta me stessa: non mancava volta che non se ne approfittasse per prendermi in giro.

«Scusi prof, avevamo sbagliato aula.» tentai di dare una risposta falsa, ma decente.

«Trenti, non credo che questo sia il vostro primo anno in questa scuola. Devo pensare che non sappiate leggere i numeri elementari o che mi stiate prendendo in giro?»

«Ci dispiace professore, non capiterà mai più.» con le mie parole ci si poteva fare una torta da quanto zuccherate mi uscirono. Al mio fianco Laura si era irrigidita. Si bloccava sempre in situazioni simili.

Una persona le diceva su per qualcosa e lei non riusciva più a rispondere, si bloccava. Non per niente avevo preso io la parola

«Bene, ne sono estasiato. Adesso però sedetevi, da brave»

Cosa siamo, due bambine?

«Questi posti sembrano fatti a posta per voi.» facendo una smorfia quando capii verso che banchi ci dovevamo dirigere, diedi una spintarella a Laura, che si risvegliò dal suo mondo parallelo e mi rivolse un'occhiata. Si vedeva che era traumatizzata.

Un anno intero in primo banco, nelle ore della materia che odiavamo di più, con l'insegnante che detestavamo più in tutta la scuola... Tutto quello faceva paura anche a me.

Sedendomi visibilmente controvoglia, non potei fare a meno di pensare a quegli occhi di uno stupendo blue elettrico che mi stavano fissando dall'altra parte dell'aula, dalla terza fila.

  
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