Bouquet de Nerfs.
Commercianti che richiedono insegne a cassonetto luminoso bombato. Commercianti che richiedono insegne a cassonetto luminoso e bombato per un’attività aperta al piano terra di un palazzo storico. Da posizionare tra i due telamoni di un palazzo storico. NO, decisamente NO.
« Katia parlaci tu. » Sbotta Federico lasciando la mediazione alla nuova assunta, non è in vena di parlare di regolamenti comunali e di belle arti con due scafati aspiranti baristi. Smorzare, adattare l’insegna all’architettura, utilizzare un carattere classico. Idealmente facile, praticamente lento e macchinoso: macchinoso mediare e convincere i clienti che le loro idee non sono affatto ottime, soprattutto se credono che il merito dei profitti sia della loro genialità e dell’insuccesso sia dei grafici e delle campagne pubblicitarie inadatte causate dalla loro superficialità nelle richieste.
Federico è tentato di disegnarsi dei puntini sul viso con la penna rossa perché i due scafati aspiranti baristi chiedono specificatamente di lui, l’hanno intravisto dai vetri nell’open space mentre entravano.
Cena da sua madre a Begato. Venticinque minuti all’andata e più di un’ora al ritorno se ritarda e perde l’ultima metropolitana.
La Noia inquadrabile in quelle quattro mura in un quartiere popolare.
La donna, vecchia e grassa, traballa sulle vene varicose delle caviglie gonfie. Cucina ancora una favola: gnocchi alla romana e vino bianco da discount.
« Perché ti sei impiastricciato il viso? Non hai più quattro anni. » Ha sempre un tono severo, supponente. Con la nipotina appena nata cambia faccia, diventa mostruosamente melensa e materna.
« Due clienti, ho cercato di glissarli. » Federico non sa se preferisce ignorarla od irritarla, però cucina bene ed ogni tanto fa un salto a casa sua per spostarle le riviste, dimenticare la grata di ferro che la divide dagli altri inquilini aperta, versare il vino sulla tovaglia.
« Non riesci a prenderti nemmeno le tue responsabilità. » Lei afferma. Ignorando volutamente il resto della vita del figlio. Il problema sarà sempre e per sempre l’aria indolente.
« Almeno non vivo alle tue spalle. » Mormora Federico rigirando il formaggio filante nella forchetta. Il televisore trasmette video di tanks abcasi, rapidi scatti sul decomporsi di un fiore, petali blu di oceani e mari e barriere coralline, incidenti e crash, tempeste di lampi su pianure sconfinate. Frame rallentati di un corto di Man Ray, si belle! Cybèle?
Federico si versa del pessimo vino, fermentato male e troppo dolce.
« Non parlare così di tua sorella. » Lo ammonisce la madre prima di scappare oltre la tenda del salotto a recuperare la nipote frignante. Beatrice è una bella bimbetta che dorme e piange, ogni giorno sempre più pasciuta, ha due mesi e mezzo e due mesi e mezzo fa Federico si trovava al Galliera con Ermanno, dopo una corsa nei corridoi e per gli ascensori per trovare il nido, ad osservare quella neonata dalla pelle trasparente sulle vene. Conserva nel portafoglio l’unica foto che possiede della bimba.
« Beabella, vieni in braccio allo zio! » Esclama tendendo le mani verso la bimba, pronto a sorreggerle la testa, perché, nonostante sua madre continui a ripetergli che Beatrice non è un bambolotto, lui è capace a tenerla e non farla piangere. Almeno non è ipocrita.
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