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Autore: LaCla    06/06/2012    24 recensioni
Cosa accadrebbe se una manciata di schizzi e disegni di Oda, venisse investita da una serie di particolari radiazioni? Come reagirebbe il mondo reale, venendo a conoscienza del fatto, che i personaggi di uno dei manga più famosi del mondo, sono diventati reali, ed ora camminano tranquillamente tra di noi? Ma so prattutto, se Ace fosse stato catapultato nel nostro mondo, prima di Marineford? Se una ragazza potesse cambiarne il destino? e se invece non potesse realmente farlo?
Questa è la storia di una ragazza qualsiasi, che vivrà il suo sogno più bello, ma anche più doloroso!
FF che contine possibili spoiler, tanta fantasia (la richiede anche al lettore xD) e Ace! :) Buona lettura!!
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Of Love'
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Scostarmi da Ace ed alzarmi, furono le due azioni più faticose della mia vita; dovetti aggrapparmi con forza alla mia razionalità per non tornare, come una molla troppo tesa, tra le sue braccia calde. Ora però il poco raziocinio che mi rimaneva era messo a dura prova dal fisico del moro, che perfetto e scolpito sembrava fatto di cera alla luce soffusa delle lucciole, che ancora si libravano nell’aria. Non avevo pensato, quando mi aveva appoggiato dolcemente la camicia sulle spalle, al fatto che se la camicia la indossavo io, lui sarebbe restato a petto nudo. Con la gola secca e le guance rosse feci per togliermi la morbida flanella bianca dalle spalle, ma la mano di Ace fermò la mia.
«Tienila, io sto meglio senza; non sono abituato a mettermi camicie e magliette.» Mi disse il moro, forse inconsapevole dell’effetto che quelle parole avevano su di me. Aveva detto che stava meglio senza camicia, ebbene, non potevo che essere d’accordo. Ace era meraviglioso, ma con il ventre scolpito e le spalle muscolose scoperte, senza stupidi ed inutili strati di vestiti a celarne la bellezza, stava sicuramente meglio. Che poi lui quella frase la intendesse a livello di temperatura, erano dettagli.
«Grazie, vieni dentro o resti qui ancora un po’?» Gli chiesi, vedendo che non accennava a muoversi e sperando in altri preziosi secondi in sua compagnia.
«Resto ancora qualche istante, tu vai pure…» Rispose tornando a sedersi sulla panchina, che scricchiolò sotto la sua spinta. Ingoiai il boccone amaro ed annuii, andandomene a testa bassa dopo aver mormorato un saluto, che sapeva di addio.
Forse era meglio così, non sarei riuscita a dirgli veramente addio, era più semplice andarsene come se non fosse l’ultima volta, come se la possibilità di rivedersi non fosse un’utopia irrealizzabile.
Il vento soffiava debole tra gli alberi, e mentre me ne andavo un fiore era nato in quel giardino, nel luogo in cui avevamo guardato le lucciole. Un fiore bellissimo, unico e speciale, che però non avrei mai condiviso con Ace, proprio perché me ne stavo andando per sempre dalla sua vita. Il fiore dei miei sentimenti era sbocciato, ignorando gli avvertimenti del mio cervello, e sarebbe appassito lentamente e con sofferenza, sperando di essere colto da quel ragazzo di fuoco.
Come potevo spiegare ad Ace il mio dolore e il mio amore per lui? Come potevo spiegargli i continui rossori che mi irroravano le guance?
Al mio ritorno a casa mi sarebbero rimasti solo i ricordi e le immagini salvate sul computer, piccoli sogni in formato immagine, conservati gelosamente in una piccola cartella nei circuiti elettronici del mio portatile. Lui sarebbe sparito per sempre dalla mia vita, personaggio di un sogno ormai vissuto, dal quale stavo per svegliarmi.
Rabbrividii varcando la soglia della villa, ma non per il freddo; era il gelo del dolore che iniziava a congelarmi il petto, approfittando dell’assenza del fuoco che l’aveva sciolto, riformando lo strato di ghiaccio attorno al mio stomaco ed al mio cuore, immobilizzando le farfalle e rallentando i battiti.
Salii le scale e mi diressi verso la mia stanza, dove la porta era spalancata ed Elena andava avanti e indietro sistemando i nostri zaini. Quando entrai non servirono parole, mi corse semplicemente incontro abbracciandomi, ed io piansi.
Piansi come una bambina, piansi singhiozzando, piansi aggrappandomi a quelle spalle esili ma forti, piansi sfogando tutto il mio dolore, piansi come solo guardando Marineford avevo fatto, piansi buttando fuori dalla gola quel male che stava per soffocarmi, piansi sentendo le forze abbandonarmi, come se versassi lacrime di sangue, non di semplice acqua salata.
Elena mi teneva stretta, sussurrandomi parole nell’orecchio, che però non sentivo, non volevo sentire, non capivo, non volevo capire. Quella giornata da sogno era destinata a farmi soffrire così tanto, eppure l’avevo amata, eletta a giornata più bella di tutta la mia vita. Dicono che se non uccide fortifica, ma l’addio che sono costretta a dare stanotte davvero non mi avrebbe assassinato l’anima? Faceva male da morire dire addio ad Ace, restare senza di lui, sapere che non l’avrei più rivisto, sapere che non sarebbe più stato con me, nemmeno un secondo.
Avrei ripreso la mia vita, banale ed abitudinaria, ripensando a lui in tutte le sere spente, in tutti gli attimi in cui la mia mente non sarebbe riuscita a tenersi impegnata a sufficienza. Avevo combattuto quegli attimi pensando a lui in passato, ma ora come avrei sopportato quel dolore? Avrei vissuto il mio tormento, senza possibilità di scampo, senza fuoco nel mio cielo nero, senza la luce nell’oscurità a guidarmi.
I singhiozzi lentamente si calmavano, e quando le lacrime finiscono arriva il dolore vero, quello che non puoi espellere dagli occhi o dalla gola, quello che devi tenerti dentro, aspettando che il tempo lo lenisca.
«Selene, ho appena chiamato gli autisti, partiamo tra dieci minuti… » Mi comunicò la mia amica, staccandosi leggermente dal mio abbraccio per guardarmi in viso. Non volevo nemmeno immaginare come ero ridotta, uno straccio usato e gettato a terra probabilmente aveva un aspetto migliore di me, una ragazzina consumata dalle lacrime con addosso una camicia di tre taglie più grande, come minimo.
Annuii lievemente, giusto per far capire ad Elena che l’avevo sentita, e mi diressi in bagno, per sciacquarmi il volto logoro. Evitai accuratamente lo specchio, continuando a stringermi alle spalle la camicia. Avrei dovuto portarla con me? O voleva che la lasciassi ai domestici? Sarebbe venuto a salutarmi, oppure no?
L’acqua fresca mi aiutò a calmare i nervi, ma non poteva fare miracoli. Dalla stanza provenivano voci diverse, probabilmente era arrivato un maggiordomo ad avvisarci che le auto erano pronte per portarci a casa, via da quella villa, lontano dai nostri sogni, lontano da lui. Una volta a casa avrei gridato il suo nome, soffocando nei cuscini la mia voce, annegandomi di lacrime e dolore, ma ora dovevo andarmene da quel posto con l’ultimo briciolo di dignità che mi restava, senza piangere. Sospirai forte ed uscii con la testa bassa, diretta allo zaino sul mio letto. Nel mio tragitto però c’era un ostacolo che prima non c’era. Potevo vedere solo le scarpe da ginnastica bianche e l’orlo dei jeans, ma bastarono a mozzarmi il fiato. Alzai lentamente il capo, sperando che i segni delle lacrime non fossero così visibili da farmi apparire come una stupida frignona. Si poteva morire d’amore? In quel momento pensai di poterlo fare.
Ace stava dritto di fronte a me, in quella posizione che tanto amavo, con la schiena spinta all’indietro e le gambe leggermente piegate, tenuto in equilibrio dagli addominali tesi. Deglutii, raggiungendo con lo sguardo il volto del ragazzo, che mi guardava stranito, confermando le mie paure riguardo ai segni del pianto.
Riabbassai gli occhi, incapace di reggere quelli d’onice del moro, troppo stanca per riuscire a mentire con gli occhi, con troppo dolore dentro per sostenere lo sguardo caldo del fuoco.
«Volevo salutarti prima che partissi, e darti questo.» Disse, allungando una mano verso di me, tendendomi il suo braccialetto rosso e bianco, che presi con dita tremanti e le lacrime pronte a ritornare. Le cacciai indietro, vietando loro di arrivare agli occhi, e rialzando lo sguardo verso il viso di Ace, che torturava nuovamente i suoi capelli dietro la nuca.
«G-grazie… Vorrei avere qualcosa per ricambiare, ma purtroppo non speravo nemmeno di riuscire a passare una serata del genere, e non ci ho pensato…» Sussurrai timidamente, indossando subito il bracciale sul polso sinistro. Era un po’ largo e se non ci fossi stata attenta si sarebbe sfilato, ma non c’era pericolo, l’avrei custodito come se fosse stato d’oro.
«Mi hai già regalato tantissimo, altri doni sarebbero solo superflui…» Disse, sfiorandomi il viso con quelle calde parole, che iniziarono a sciogliere il ghiaccio nel mio petto, come accade alla neve esposta al Sole.
Si avvicinò a me di un passo, costringendomi ad alzare ancora di più lo sguardo per poterlo guardare negli occhi. Fu un attimo lungo una vita, un secondo che durò delle ore, ma dopo quell’istante le sue braccia mi avvolsero le spalle, facendo poggiare la mia guancia sul suo petto glabro e caldo. Le mie braccia inerti ci misero più tempo del dovuto per cingere la vita del moro, mosse dall’istinto e non dal cervello, che ormai si era scollegato nuovamente, lasciando solo ai miei sensi la volontà di agire. Il profumo della sua pelle mi avvolgeva, calmandomi e scongelando nuovamente il dolore che mi attanagliava lo stomaco, liberando le farfalle al suo interno e facendole svolazzare nel mio petto. Il cuore batteva forte, sempre più veloce, mentre gli occhi si chiudevano, lasciando al tatto e all’olfatto il piacere di quel momento. Mentre socchiudevo gli occhi sentii le sue mani accarezzarmi gentili la schiena, regalandomi un’emozione che sarebbe rimasta impressa nella mia mente per sempre, un momento bellissimo da custodire gelosamente.
Inspirai forte quel profumo denso e dolce, mentre un nuovo sorriso, appena accennato, si formava sul mio viso. Sentivo le mani di Ace sulle mie scapole, la sua guancia sui miei capelli, la pelle liscia della sua schiena sotto le mie dita. Pareva di toccare una statua di cera, liscia e perfetta; solo dove c’era il vessillo di Barbabianca, un leggero dislivello annunciava alle dita che erano arrivate al tatuaggio. Percorsi per quanto mi era possibile quei contorni, bloccando le immagini dello scempio compiuto su quella pelle perfetta dal magma. Strinsi gli occhi, scacciando quei pensieri e concentrandomi nuovamente sul profumo e sul calore di Ace, stringendo il mio cuore in una morsa ferrea, in modo che non si spezzasse in quel momento.
La sua guancia sfregava sulla mia testa, come un gatto che fa le fusa, accelerando i miei battiti. Sentivo il respiro regolare gonfiargli il petto, allora tentai di usare anche l’udito, per poter cogliere i battiti del suo cuore, che scoprii sincrono con il mio. Forse era solo una sciocca speranza, ma mi pareva di sentirlo accelerare a seconda dei movimenti delle mie mani. Possibile che provasse qualcosa anche lui? No, sicuramente quel cuore che sentivo battere tanto in fretta era solo l’eco del mio.
«Non dimenticarti di me…» Sussurrò, vicino la mio orecchio facendomi rabbrividire. Non dovevo dimenticarlo? Come avrei potuto? Come potevo dimenticarmi di lui, che mi era entrato nel cuore tanto violentemente, rubandomi l’anima?
«Non potrei mai dimenticarti.» Risposi sicura, spostando il viso ed incontrando i suoi occhi, ma senza sciogliere l’abbraccio.
Lui annuì, stringendomi leggermente più forte, permettendomi di sprofondare il viso nella sua pelle e nel suo profumo.
«Cosa mi hai fatto? Sei diversa, non sei come le altre, hai qualcosa di speciale. Sembri rendere l’aria elettrica, quando sono accanto a te è come se fossi a casa, sto bene. Solo con i miei compagni e con i miei fratelli mi era capitato, e mai così forte e così all’improvviso. Mai con una ragazza. È come se tu mi fossi entrata dentro, come se mi avessi stregato. E con le parole io, non sono bravo per niente, ma… Marco mi ha intimato di dire solo quello che pensavo, che sentivo… E di sbrigarmi a farlo, altrimenti ti avrei persa. Ti ho già persa?» Sospirò in un sussurro il moro, fermando per un secondo lo scorrere del sangue nelle mie vene.
L’aveva detto davvero? Avevo sentito realmente quelle parole, non erano frutto della mia immaginazione? Stavo entrando in un sogno troppo profondo e reale, dal quale svegliarmi sarebbe stato terribilmente doloroso, devastante. In quel momento tutto il mondo non esisteva, c’eravamo solo io e lui, nel vuoto, non sentivo nemmeno il pavimento sotto i piedi, vedevo solo il nero vortice dei suoi occhi e la perfezione del suo viso, maledettamente vicino al mio. Avevo intrapreso un viaggio nel quale fantasia e realtà si fondevano, portandomi ad una splendida follia, che si sarebbe sbriciolata nel mio petto, quando saremmo stati di nuovo distanti. Avrei solo potuto raccogliere i ricordi, i frammenti di questo sogno, nient’altro. Sicuramente non sapeva cosa ero disposta a fare per vedere la sua felicità, non sapeva cosa stavo facendo a me stessa per fargli vivere la sua vita, non sapeva quanto mi avrebbe fatto male quando questo sogno di cristallo si sarebbe infranto nel mio petto, mandando le sue schegge ovunque, ferendomi irrimediabilmente. Porterò sempre con me il rimpianto di aver taciuto la sua sorte, in favore della sua felicità, chiedendomi per l’eternità cosa sarebbe accaduto se avessi trovato il coraggio, in questo istante, di dirgli tutto.
Se solo avessi saputo cosa fare, cosa dire, come dirglielo, forse l’avrei fatto. Se solo avessi avuto le parole adatte, se solo fosse facile spiegare tutti gli avvenimenti, se solo il suo sorriso fosse più facile da spegnere, in favore della sua longevità. Non sapeva che gli stavo mentendo sul suo futuro, eppure temeva di avermi persa?
«Non mi perderai mai, ma devi vivere la tua vita, ed io sarei d’intralcio…» Risposi, ancorandomi alla mia ragione, aggrappandomi con tutte le forze all’ideale di quello che reputavo essere giusto.
Sentivo gli occhi, ancora incatenati ai suoi ed incapaci di staccarsi da quell’abbraccio di sguardi, inumidirsi a quei pensieri. Il tempo pareva inutile, superfluo in quell’attimo eterno. Sentii le sue mani salire verso le mie spalle ed accogliere nei loro palmi le mie gote. I pollici del moro disegnarono mezzelune sotto i miei occhi, facendomi dischiudere le labbra, come se quelle dita avessero digitato un codice di comando. Vidi i vortici di pece avvicinarsi ai miei occhi, sentii il suo fiato rubarmi l’aria, e poi la sua fronte appoggiata alla mia. Rimanemmo così, immobili a respirare l’uno l’anima dell’altro, troppo vicini; con il mio cuore che folle e disperato, batteva forsennato contro il mio petto, tentando di lacerarmi la carne per uscire. Il suo naso sfiorò il mio, leggero come ali di farfalla, mentre i suoi occhi si chiudevano, assieme ai miei, incapaci di reggere ancora la magia di quel contatto visivo, accentuata dalla pericolosa vicinanza tra le nostre bocche.
Ma a quanto pareva non era destino che le nostre labbra si incontrassero, visto che un domestico entrò in quell’istante, schiarendosi la voce ed annunciando che le auto erano pronte e mi stavano aspettando.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, scostandomi da quell’abbraccio denso di emozioni non dette, carico di sentimenti inespressi. Ace annuì al domestico, scostandosi ancora un poco da me e con lo sguardo fisso a terra.
Non c’erano parole adatte ad un addio, il silenzio bastava a dire tutto; non serviva aggiungere nulla. Solo un passo ci separava, ma pareva già una distanza enorme. Lo superai svelta, afferrando lo zaino dal letto e girandomi a guardarlo un’ultima volta. Era un angelo, un bellissimo angelo tormentato, finito non sapevo come nell’inferno della vita mortale; caduto sulla mia strada, donandomi un ricordo incancellabile, donandomi uno squarcio di paradiso che avrei conservato nel mio cuore per sempre. Si girò leggermente, solo per guardarmi un’ultima volta, mentre indietreggiavo verso la porta, per poi correre a perdifiato lontana da quella stanza, lontana dalla tentazione di dirgli tutto, lontana da quel bacio mancato, lontana da quel sogno ormai incrinato, lontana dal dolore che svelto mi stava rincorrendo, lontana da lui, il ragazzo che amavo più della mia stessa vita.
Lo sentii correre al parapetto delle scale, ma non mi voltai a guardarlo, non avrei retto il dolore di quell’addio. Scappavo, come una codarda, come una stupida ragazzina incapace di affrontare il dolore della vita. Ma di cosa diavolo mi lamentavo? Molte avrebbero venduto l’anima per passare una serata come la mia, ed io stavo a piangermi addosso per il dolore che avrei provato una volta a casa? Ero una ragazzina viziata, ecco cos’ero. Quella serata era sicuramente il migliore dei dolori che potevano capitarmi, una serata unica ed indelebile, con Ace.
Arrivai in cortile, dove Elena mi aspettava, ed entrai nella mia macchina sul sedile del passeggero, chiudendo la portiera e pregando che l’auto partisse in fretta; non avrei trattenuto le lacrime ancora per molto.
Quando il motore si accese sospirai di sollievo, accasciandomi ancora di più sul morbido tessuto imbottito. Le ruote grattavano violente la ghiaia del selciato, portandomi via da Ace, e spezzando qualcosa dentro di me, che sapevo di non poter aggiustare. L’auto viaggiava lenta sul viale, accelerando solamente una volta varcato il cancello, mastodontico quanto quello che dava sul lago, forse più alto, che si chiuse dietro le nostre auto, inesorabile, sigillando i miei sogni al suo interno e chiudendomi fuori da quello che avrei voluto far diventare il mio mondo.
Rimanemmo in silenzio fino all’entrata in autostrada, dove l’autista accese la radio, facendo partire il CD fatto da Elena. Potevo resistere fino a casa trattenendo le lacrime, ma non con quella colonna sonora.
«Prema quel tasto verde, così mette la radio e non è costretto ad ascoltare sigle di cartoni animati!» Disse gentilmente Elena, capendo il mio stato d’animo e risparmiandomi ulteriori pianti patetici in presenza di sconosciuti. Appoggiai la testa al freddo vetro, osservando distrattamente le luci gialle ed arancioni che scorrevano veloci. Sembravano lucciole… Ed io non potevo permettermi di vedere qualcosa che mi ricordasse la serata appena trascorsa, non in quel momento. Chiusi gli occhi, ascoltando distrattamente Elena che mi parlava di una carta che aveva firmato anche per me, una dichiarazione che ci proteggeva dalla diffusione dei nostri nomi e delle immagini dei nostri volti, in cambio del silenzio assoluto sugli avvenimenti e sulle informazioni di cui eravamo venute a conoscenza in quella villa.
Era ovvio che non ci lasciassero andare via senza almeno un documento che ci obbligasse  ad evitare di andare a fare scene madri a stupidi programmi televisivi, o di rilasciare interviste e dichiarazioni, scatenando orde di fans isterici contro gli scienziati ed i politici che orchestravano quella giostra. Se si fosse saputo in giro che la trama non era cambiata, che i personaggi potevano rimanere qui senza conseguenze, che Ace non ricordava nulla… Dio solo sapeva che rivoluzione sarebbe scoppiata; già mi stupivo che nessuno avesse ancora tentato di assassinare il cubo di magma oppure quel grassone peloso di Barbanera, figuriamoci se certe notizie fossero circolate. Il fatto di non diffondere i nostri nomi e volti poi, andava tutto a loro favore, se nessuno avesse scoperto chi eravamo, non avrebbero potuto tentare di intervistarci.
Avremmo evitato di riferire i dettagli persino ai nostri genitori, tanto per quello che ne capivano loro delle nostre “insensate passioni per cartoni animati” non cambiava molto.
Elena tentava di distrarmi, parlandomi di quanto le ragazze avessero apprezzato i bracciali e di come Kidd alla fine fosse scoppiato a ridere di fronte alle scuse dello scheletro maldestro. Sorrisi distratta, solo per cortesia, sforzando i muscoli del mio viso all’inverosimile. Era il primo sorriso sforzato di quella sera, erano bastate poche ore a farmi scordare l’arte del finto sorriso, che tanto avevo faticato ad imparare nei mesi precedenti. Poche ore che mandano all’aria il lavoro di mesi, come succede con le diete: mesi di fatiche e di rinunce, per poi mettere di nuovo sui fianchi tutti i grammi persi, cedendo ad una singola stramaledetta abbuffata.
Lasciandomi andare sul sedile, sperai che allontanandomi da Ace anche il dolore sparisse con lui, allontanandosi da me, lasciando libero il mio petto da quella morsa di ghiaccio.
Speranza vana, desiderio stupido, utopia irrealizzabile.
Non avvisai mia madre della nostra partenza, non parlai con Elena, ignorai la radio che riempiva di musica l’abitacolo. Non mi importava di niente e di nessuno in quel momento.
Quando arrivammo a casa e gli autisti se ne andarono, salutai Elena con un cenno veloce, liquidai mia madre con un lugubre “ne parliamo domani” ed andai a letto, sperando in un sonno senza immagini, che durasse il più a lungo possibile.



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*offre ai lettori una cesta di pomodori maturi in omaggio e va a nascondersi in un angolino, tentando di ripararsi*
Salve... Eccomi qui... hem.. scusatemiii!!! T_T
sappiate solo che ho sofferto come non mia scrivendo questo capitolo, mi scuso, mi dispiace, imploro perdono! ma doveva andare così... per farvi sorridere dopo la rabbia di questo capitolo ho scritto una nuova sciocchezza su Marco.. mi spiace davvero che la trama abbia preso questa piega ma abbiate fiducia, la storia è ancora lunga, e prometto di fornirvi pomodori dopo ogni capitolo del genere ( si, ce ne saranno altri tristi, mi spiace).
niente, ora rispondo alla domanda sugli spoiler. sì, sono stata vittima di spoiler, un mio amico, mentre eravamo in auto in viaggio verso casa, mi ha spoilerato tutta Marineford, quando io avevo appena perso la testa per Ace ad alabasta (ho iniziato tardi a guardare OP, mea culpa). Io ho accostato e l'ho fatto scendere dall'auto. ho guidato per un po', mi sono fermata a piangere pateticamente in un parcheggio, mi sono ricomposta e dopo un oretta mi sono rimessa in strada, andando a recuperare lo spoileratore, e portandolo a casa. Non gli ho rivolto la parola per giorni, e quando l'ho superato con la trama, visto che lui seguiva l'anime ed io il manga, gli ho spoilerato tutta l'avventura sull'isola degli uomini pesce e l'organizzazione post-guerra del mondo U_U e sinceramente? non sono ancora soddisfatta quindi potrei spoilerargli anche il seguito! u.u
Comunque, torniamo a noi! xD

Qual'è il vostro preferito della flotta dei Sette? (vecchio, nuovo, ex, tutti! )

Bene, ora vi saluto e... fatemi sapere che ne pensate (chiedo ancora scusa T_T)!!!
Bacioni, alla prossima!

Immagini e personaggi non sono di mia proprietà e non sono a scopo di lucro

   
 
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