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Autore: EvilGrin    11/06/2012    0 recensioni
"Il treno prende a rallentare, le rotaie sibilano e cigolano nel fermarsi in un fischio ferroso che fa quasi male alle orecchie da sentire. Sono le 23 e 17, sì, è la mia questa. Mi alzo, non rispondo al tizio, non so nemmeno come si chiama, semplicemente recupero la borsa, riallaccio sfacciatamente la camicetta a scacchetti bianchi e rossi ed altrettanto semplicemente mi avvio verso la porta."
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Le labbra si tendono in un sorriso tirato, teso, mentre sento quell’atmosfera pesarmi addosso come non mai, è una cosa stupida forse, ma è incredibile come e quanto l’essere umano sia capace di mettersi soggezione da solo, come le idee che si materializzano nella sua testa siano capaci di mutarne il completo atteggiamento. L’uomo è un animale strano, non è capace di essere davvero freddo e razionale, arriverà comunque il giorno in cui, preso dal panico dei suoi stessi incubi, crederà a qualsiasi cosa gli venga detta. Soggezione. Timore. Ipotesi. Convinzione. Paura. Folle paura. Funziona così, ed in un secondo quello che era l’animo imperturbabile di un uomo fermo e razionale, diventa improvvisamente la preda di un predatore invisibile e temuto da tutti: l’ansia, il panico. È l’unica cosa che riesce a piegare gli animi di tutti, la paura non si nega, la paura la senti quando scivola sulla pelle sottoforma di sudore freddo; sei consapevole sin nel profondo di avere paura quando il lembo della gonna leggera e bianca ti sfiora la gamba e la mano corre su quel punto per sentire cosa ti ha toccato. Non lo guardi nemmeno quel punto, per il freddo terrore che ci sia qualcosa di orribile. Ti dai della stupida quando poi ti rendi conto che non è nulla, ti dici che è solo la trama del vestito e la stanchezza che ti gioca brutti scherzi. No, è la paura.

 

È quella paura che sento io adesso mentre tiro via la mano dalla pelle morbida e levigata della gamba. Dovrei andare a dormire prima, la stanchezza inizia a giocarmi brutti scherzi. Ironia della sorte… Scendo, quello non è il posto migliore del mondo, giurerei che mettendo un piede più giù potrei infilarlo in una melma fangosa quanto ripugnante. Questo per via del forte odore di fogna che sale da quelle scale, tanto ripugnante che mi costringe a portare una mano di fronte alla bocca ed indice e pollice a limitare l’aria che entra dalle narici.

 

-Che cazzo di schifo!- lo sbraito, lo faccio per sfogo probabilmente, perché non reggo quasi più. Quella merendina che avevo mangiato sul treno..la sento risalirmi lo stomaco con un’assurda prepotenza, arrivare alla gola e devo serrare le labbra per evitare che finisca con l’uscire da quelle. È forte, fortissimo, come se avessi appena piazzato la faccia nell’acqua di una conduttura fognaria nel preciso istante in cui tutti quanti nella città decidono di scaricare.

 

Tengo la rosa in bilico, la borsa nella piegatura del gomito, la mano che serra le narici e l’altra mano che tiene alto il telefono e la tenue luce che fa sui primi scalini e non di più. Non arriva troppo in là, riesco solo a vedere dove devo mettere i piedi. Finisco con il portarmi di lato per riuscire a tenermi sullo scorrimano visto appena ha iniziato a scendere in quel posto ripugnante. Sfilo la mano dal naso e mi impongo di non inspirare con quello, onde evitare di vomitare davvero. Poggio la mano alla ricerca di uno scorrimano che non riesco a trovare e, per riflesso, poso il palmo sul muro, ma mi ritrovo a doverla ritirare immediatamente schifata. Qualcosa di orrendo e viscido c’era su quel muro. Punto la luce su quel preciso loco, lo fisso e sgrano gli occhi, finendo con il piegarmi di colpo in avanti con il busto e finire con il sentir rimbombare nella vuota e buia galleria il suono dei gorgoglii dei miei stessi succhi gastrici che si ribellano a quella vista, finendo sì, con l’arrivare a terra in un qualcosa di ulteriormente raccapricciante. Una macchia orripilante e giallognola che si spande lentamente, scendendo lungo lo scalino successivo e scomparendo poi nell’oscurità. La cosa positiva, o forse no, è che l’odore del vomito non si sente nemmeno, sopraffatto da quello di fogna che c’è lì dentro.

 

Cos’ho visto che mi ha fatto reagire a tal modo? Il muro, evito di guardarlo ora come ora, ma su Quel muro c’è una patina viscida, di un colore verde scuro, come il muschio, ma macchiata di marrone e lucida. Si muove, ne sono certissima, l’ho vista muoversi come fosse composta da mille e più vermi che si intrecciano tra di loro, alla disperata ricerca di terra e cibo. Li potevo vedere, viscidi, che cercavano di aggrapparsi alla mia mano come se qualcuno avesse appena udito la richiesta d’aiuto mandando loro del cibo fresco. Ed il resto è venuto da sé, sono una tipa dallo stomaco tremendamente delicato e di questo mi rammarico, ma soprattutto odio gli insetti e qualsiasi altra cosa piccola e viscida che si muove oltre il consentito. E’ la mia piccola fobia, così come ne hanno tutti.

 

Rimango immobile, passando malamente il dorso della mano sulle labbra appena lucide adesso, e subito dopo m’appresto a cercare un fazzolettino nella borsa. Frugo giusto un po’ e tra l’accendino, la penna e l’agenda riesco a trovare il piccolo e morbido pacchetto blu, sfilo, prendendolo con i denti, uno dei fazzoletti, ripulendo di seguito labbra e dorso della mano. Lo lascio cadere a terra, dopotutto, peggio di così non può essere ridotto quel posto. Mi rendo conto solo dopo che nello scatto di paura mi sono allontanata di almeno un metro da vicino al muro. Una curiosità e la voglia di non perdere di vista quegli animali viscidi, attorcigliati attorno ad una loro probabile piccola preda, solo quello mi fa girare di nuovo, ma mi ritrovo ad essere alquanto stupita, quando la luce del telefono non rivela altro che un muro un poco vecchio ed ammuffito, con qualche punto particolarmente rovinato e degradato, ma niente di eccessivo. Qualsiasi cosa ci fosse, adesso non c’è più, zero, come se avessi sognato. Sbatto qualche volte le palpebre e vorrei anche poter prendere una profonda boccata d’aria, ma penso rischierei di ripetere la brutta esperienza di prima, e sento ancora il sapore forte ed acido in bocca, quindi evito, e con maniacale cura anche. Porto la mano libera al petto e sento il cuore sotto di esso battere all’impazzata. Mi impongo di star tranquilla e di lì ai cinque minuti successivi sono rimasta ferma ed immobile, ad attendere che tutto si stabilizzasse. Così facendo ho anche iniziato ad abituarmi alla puzza che regna sovrana qui sotto.

 

Per un momento pondero di scendere sempre per quella via, ma poi poso lo sguardo verso quel buio che pare inglobare tutto quello che incontra e la voglia di tornare di corsa indietro mi pervade del tutto, tanto che giro veloce i tacchi e risalgo di corsa quei pochi scalini che avevo sceso. Sembravano pochi all’inizio, vero, anche perché di solito non si va oltre la ventina di scalini per scendere nei sottopassaggi, ma questi sembrano molti di più di quelli che ho percorso all’aldata. Probabilmente è una mera impressione dettata dalla paura del momento, si sa che la strada da percorrere quando si è spaventati diventa per magia sempre troppo lunga, mi sta facendo solamente la stessa impressione. Tutto qui. Tutto qui…

 

Con la foga di risalire da là sotto la rosa mi è caduta a terra, non ci penso nemmeno a raccoglierla e fermarmi, voglio solo uscire di lì. Dopo qualche altro scalino riesco finalmente ad uscire e finalmente lì riesco a prendere quell’aria che tanto agognavo. Lunghi e profondi respiri di paura, quella soggezione che mi sono messa addosso da sola e che mi fa ancora battere forte il cuore. Ma adesso no, adesso inizia ad andare meglio. Una luce sopra di me lampeggia per un attimo, un attimo soltanto in cui guardo per terra e vedo un’ombra di troppo, ma la vedo  solo nel frangente in cui quella determinata luce si riaccende la seconda volta, alla terza non c’è più, esattamente come all’inizio, solo la distesa chiara del cemento e la linea gialla, dietro la quale bisogna mantenersi quando stanno per arrivare i treni, un poco rovinata dagli anni passati. Socchiudo gli occhi, mi faccio forza e prendo a parlare ad alta voce, fosse anche solo per poter evitare di sentire quel silenzio, così forte che arriva a darmi fastidio.

 

-Ok, passo per i binari, a quest’ora oramai non passano più treni dopotutto. Di là riuscirò..a trovare almeno il numero dell’assistenza- lo ripeto ad alta voce più volte, mentre mi avvicino al bordo di quella banchina, portandomici seduta e scivolando quindi giù. Mai stata una tipa atletica, anzi, a ginnastica facevo schifo, per essere papali, quindi stare attenti a non pestare un sasso di troppo è essenziale. Riesco e quindi avanzo velocemente sino alla parte opposta, così posso risalire e trovarmi sul terzo e secondo binario. Pochi passi e sono lì. Poso prima la borsa ed il telefono, poi punto le mani su quel cemento chiaro e mi isso, premendo anche con le ginocchia e graffiando a malapena la pelle.

 

-E uno è fatto- lo dico quasi con fatica, nemmeno avessi fatto chissà quale sforzo. Mi rialzo, riprendendo in mano sia borsa che telefono. Tiro persino un sospiro di solievo, solo che mi rimane in gola quando alzo lo sguardo per avviarmi verso la stazione. Perché lì non manca un solo binario, ne mancano due. Non c’è la stazione di fronte a me, ci sono i binari tre e due, e sotto i miei piedi il numero quattro scritto in un bianco sporco e macchiato. Mi volto di scatto, alle mie spalle la scala dalla quale sono uscita poco prima, quella che porta ai sottopassaggi, più in là il verde della selva. Presa dal panico corro verso il termine di quella stupidissima banchina, scendo di nuovo, più veloce e senza cura stavolta. Corro dall’altra parte e mi isso di nuovo, e di nuovo e di nuovo ancora, e per ogni volta che isso su quel pezzo di cemento trovo sempre scritto quel numero maledetto.

 

 Mi sento come un topo in trappola…

  
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