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Autore: detoxIretox    12/06/2012    4 recensioni
[COMPLETA]
Come regalo di Natale/Capodanno ecco a voi una nuova mini-longfic sui nostri adorati Kagamine. Si applicano tutti gli avvertimenti che si applicano sempre ai Kagamine: tristezza, angst, no happy ending, ugh, why, e via discorrendo.
***
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
***
[Len/tragedia, Rin/tragedia, Gumi/tragedia, insomma vedete dove sta andando a parare]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6~ Just for now… let me love my dearest!
 
“Perdonami! Len, mi dispiace così tanto!”
L’esclamazione lo fece trasalire, ma non lo sorprese più di tanto; sapeva che per prima cosa, una volta nella radura, Rin si sarebbe scusata. Lui mantenne lo sguardo fisso perso davanti a lui, indeciso se posarlo su di lei e tranquillizzarla, o lasciare che si sentisse ancora in colpa per quello che era accaduto.
Alla fine decise per la seconda opzione, e non disse nulla. Rin strinse i pugni e gli si inginocchiò di fianco a lui, scuotendogli la spalla. “Hai sentito quello che ti sto dicendo? Mi dispiace per averti fatto assistere a... a...”
“Basta, finiscila” la interruppe secco lui. Non avrebbe sopportato di sentirla pronunciare il nome del suo promesso sposo.
“Non pensavo che lui ti avrebbe parlato”. Rin ignorò completamente la sua scontrosità. “L’avevo portato lì solamente perché volevo vederti. Non avevo intenzione di metterti in difficoltà in quel modo. E non credevo che avresti visto me e Gakupo così...”
La parola “vicini”, che era sul punto di uscire dalla bocca di Rin, ebbe vita piuttosto breve. Venne interrotta e sostituita dallo sguardo amareggiato di Len che in uno scatto d’ira sbottò: “Ma che importa? Seriamente, Rin, qual è il tuo problema? In fondo, voi due state per sposarvi, no?”
“Stupido” sibilò Rin. “Lo dici come se dipendesse da me.”
“Non è ciò che intendevo, e lo sai benissimo.”
“Sei uno stupido lo stesso.”
Un silenzio teso gravò sulla radura, e durò per tutto il tempo che impiegò Rin a decidere di terminare quei discorsi deliranti e fare pace, perché non era mai stata sua intenzione litigare con lui. Ma nel momento in cui tese una mano per carezzargli la guancia, lui la trattenne, guardandola dritta negli occhi.
“Questa cosa non va bene. Non va bene per niente.” Lo disse in un modo così definitivo che Rin ebbe l’impressione che la terra le fosse mancata improvvisamente sotto i piedi.
“Come?” domandò con un filo di voce, incerta di ciò che aveva appena sentito.
Ebbe la conferma, però, che il suo udito funzionasse alla perfezione quando Len ripeté: “Non va bene.”
“Di che stai parlando?”
“Di ciò che stiamo facendo. Ci stiamo solo facendo del male. A noi e alle persone che amiamo...”
“Len, io amo solo te” fu la risposta pronta della ragazza, che fece tacere Len per un paio di minuti.
Abbassò la testa, sconfitto: anche lei sapeva benissimo che ciò che diceva aveva senso, ma preferiva cullarsi in una stupida utopia di un mondo infinito e immaginario nel quale la loro relazione era accettata dalla società. Rimase in quella posizione a lungo; solo quando ebbe il coraggio di alzare gli occhi e guardare Rin, si rese conto che era ad un passo dalle lacrime.
E l’ultima cosa che voleva, era vederla piangere: quello era certo.
Len sospirò, rendendosi improvvisamente conto di essere stato troppo duro. “Rin, te l’ho mai detto il motivo per cui ho deciso di comporre una melodia dedicata a te?” chiese a bruciapelo.
Lei negò con la testa, incapace di proferire parola.
“Perché la prima volta che ti ho vista mi hai folgorato in modo così potente da farmi perdere la testa, e ho sentito una marea di sentimenti esplodere dentro di me: così tanti che non ce l’ho fatta a mantenerli solo nella mia memoria. Così ho deciso di riversare molti di quei sentimenti in qualcosa di relativamente materiale, come la musica.”
“Ah, è così?” La voce di Rin era spezzata; nonostante ciò, era così presa dalle parole di Len che le lacrime non scesero.
“Sì, esatto. E sai perché l’ho chiamata Sogno dei Fiori di Ciliegio?”
“No. A suo tempo mi hai detto di non chiedertelo, giusto?”
“Vero. Ma credo sia il momento di rivelartelo. Ho amato sin da subito tutto quanto di te, ma la prima cosa che mi è rimasta impressa quando ti ho conosciuta era il tuo sorriso. Un sorriso soffice come un petalo di un fiore e talmente bello da sembrare irreale, come quello di un sogno. La luce che irradiavi il primo giorno che ti ho vista sembrava persino oscurare il candore dei fiori che ti circondavano, e io...” deglutì, prendendo fiato, “io avevo già deciso che saresti stato il mio sogno, il mio mondo infinito; mio, e di nessun altro, capisci?”
Rin rimase senza parole. Non si sarebbe mai aspettata delle frasi come quelle, da Len; lui generalmente non parlava molto né volentieri, e non sembrava nemmeno bravo con le conversazioni - un po’ come aveva dimostrato con Gakupo, giusto? Credeva che fosse capace di esprimere tutti i suoi sentimenti con il violino; ma quelle parole suonavano meglio di qualsiasi melodia chiunque altro avrebbe potuto dedicarle al mondo.
“È andata così. E se...” riprendendo il discorso, Len si sporse verso di lei, “e se non vedessi più quel sorriso, sai... non credo che sarei capace di suonare Yume Sakura come si deve. Dico bene?”
“Eh... immagino di sì” balbettò Rin.
“E allora sorridi, ti prego.”
Se c’era un desiderio che Rin non si sentiva capace di soddisfare, in quel momento, era proprio quello che le aveva chiesto Len: tutto intorno a loro stava precipitando, e lei non si sentiva affatto dell’umore.
Tuttavia quando Len le solleticò con l’indice le labbra, non poté fare a meno di atteggiarle in un accenno di sorriso, a causa dei riflesso incondizionato.
E a quel punto Len la baciò con decisione.
“Facciamo così: per ogni sorriso, un piccolo premio” le mormorò all’orecchio.
Rin rise ancora esitante, e Len iniziò a premere sempre e sempre più le proprie labbra contro le sue, finché preso dall’impeto non le circondò i fianchi e le portò il petto sempre più vicino al proprio-
“Rin.”
Se una bomba fosse scoppiata all’interno della radura, probabilmente avrebbe provocato una reazione più contenuta da parte di entrambi: quando quella voce sconosciuta e stravolta li raggiunse, i due si separarono così velocemente che per un attimo non capirono nemmeno da dove fosse venuta, né se per caso se la fossero immaginata.
Quando però gli occhi di Rin si posarono su Miku, posizionata esattamente alle spalle di Len, non poté non reprimere un brivido lungo la schiena. Il suo sguardo sembrava allucinato: non l’aveva mai vista così. L’unica immagine che Rin aveva sempre avuto dell’amica, era quella della ragazza disinteressata che tingeva foglie di limone nel tè.
Nessuno dei tre disse nulla per un bel po’. Infine, Miku si guardò esitante dietro le spalle, come... in cerca di una sorta di via di fuga.
E agli occhi di Rin parve assolutamente scontato ciò che stava per accadere.
“Miku...”
“Si può sapere che stai facendo?” La domanda era nel classico tono: “ho capito benissimo ciò che succede, ma voglio metterti in difficoltà il più possibile costringendoti a negare l’evidenza.”
E fu quello che, ovviamente, Rin fece. “Non è come sembra” fu l’unica, patetica cosa che le venne in mente da dire. Len sospirò quasi rassegnato.
Miku ridusse gli occhi a due fessure: “A me sembra che tu stia baciando uno sconosciuto che non è il tuo promesso sposo in una radura. Dunque, davvero non è come sembra?”
“Miku, possiamo parlarne tranquillamente-“
“Da quanto va avanti questa storia?” Perché guardava Len, e non lei? Sembrava che la domanda fosse rivolta a lui, come se Miku lo conoscesse. E perché Len non osava alzare lo sguardo?
Rin era troppo sconvolta per trovare anche solo una risposta a quelle domande, e aveva di meglio a cui pensare. “Poco” rispose precipitosa.
Quanto tempo?” ringhiò Miku.
No, Rin non era capace di mentire, nemmeno se le circostanze lo richiedevano in maniera disperata. Ad una domanda tanto diretta, agli occhi accusatori di un’amica puntati dritti in faccia, non fu in grado di dire una bugia tanto eclatante. “Un... un mese.”
“Un... mese.” La voce con la quale Miku pronunciò quelle due parole le facevano sembrare qualcosa di davvero, davvero grave. “Mio Dio. Ancora prima che Kamui-san...” La ragazza scosse la testa. “Rin, ma che cosa ti è saltato in mente, si può sapere? Questa è... una follia!”
“Miku...”
“Avresti dovuto porre fine ad una situazione del genere secoli fa!” la interruppe, furiosa. “O non metterti nei guai sin dall’inizio.”
“Tu non puoi capire” tagliò corto Rin, alzandosi il più lentamente possibile, evitando qualunque movimento brusco che potesse permettere a Miku di fare ciò che lei doveva impedirle...
“Capisco che non sei stata capace di fermare questa pazzia.” Miku fece un passo indietro. “E visto che tu non ce l’hai fatta, sarò costretta a fermarla io stessa.”
Non ebbe nemmeno terminato di pronunciare quelle parole minatorie che era già scattata indietro, sui suoi passi, e dopo un acuto: “NO! MIKU!” Rin l’aveva inseguita correndo a perdifiato. Non poteva permetterle che raggiungesse casa sua e denunciasse la storia sua e di Len, non poteva lasciare che i suoi genitori lo venissero a sapere... sarebbe stata davvero un disastro senza precedenti. Non la preoccupava tanto ciò che avrebbero potuto fare a lei, ma Dio solo sapeva ciò che sarebbe potuto accadere a Len, invece...
“Ti scongiuro, Miku, FERMATI!”
Miku non rispose, risparmiando evidentemente fiato per la corsa. Ma non giunse neanche a metà strada della distanza tra la radura e la casa di Rin, che inciampò in una radice e cadde rovinosamente sul terreno umido. Cercò di rialzarsi il più rapidamente possibile, ma ormai Rin l’aveva raggiunta e la stava afferrando per una manica del kimono, impedendole di alzarsi.
Non riuscì a frenare la lacrime. “Ti scongiuro, per favore, non dire niente ai miei genitori!”
Nel frattempo, Len aveva seguito le due ragazze, ed ora era arrivato a destinazione e si era fermato a debita distanza, ascoltando più sconfitto che mai la loro conversazione.
“Come posso ignorare questa cosa?” gridò Miku, spietata. “Cresci, Rin! Se non hai mai pensato alle conseguenze di questo gesto, vuol dire che sei ancora un’immatura! Hai idea, se si venisse a sapere in giro, di come il nome della tua famiglia verrebbe macchiato? Non ci hai pensato, vero, al disonore che porteresti-“
“Non me ne importa un accidenti! Del disonore!” Ora Rin aveva alzato la voce anche più di lei. “Cosa mi interessa, eh? Il nome della mia famiglia! Che assurdità! Ho passato la mia vita ad assecondare quella gente, a fare la brava figlia e fingere che tutto ciò che mi imponevano mi andasse bene, tutto per renderli dannatamente felici! Che cosa c’è di sbagliato, dimmelo tu adesso” la strattonò con insistenza, “che cosa c’è di sbagliato se ora penso alla mia, di felicità?”
“C’è che non ti è concesso, hai capito?” Al contrario di Rin, Miku sembrava perfettamente in sé, senza neanche un capello fuori posto o il viso arrossato. Sapeva ciò che diceva, e lo diceva con una sicurezza tale da far vacillare persino quella di Rin, che non si era mai sentita debole come in quel momento.
“Ascolta” continuò Miku con tono leggermente più dolce, “so che ti farà male, ma devi accettare la realtà: Len non fa parte del tuo mondo. Chiaro? Né ora, né mai.”
Rin inarcò il collo verso il basso e curvò le spalle: il peso di quelle parole la stava annientando. Era così disperata che in un primo momento non si accorse di ciò che nella frase di Miku di poco prima stonava. Quando se ne rese conto, le inviò uno sguardo tra l’esitante e l’interrogativo. “Un attimo... non mi sembra di averti detto il suo nome...” mormorò, con voce innaturalmente roca.
Solo a quel punto l’espressione di Miku divenne qualcosa che si avvicinava all’imbarazzato, e lei ammutolì.
Fu Len, dietro di loro, a dare la risposta a quella domanda implicita. “La famiglia di Miku è quella che mi accudisce da quando persi i miei genitori, Rin. Io e lei conviviamo.”
Come se tutto ciò che era appena successo non fosse stato sufficiente a provocarle dolore, adesso anche quella notizia...
“E’ anche grazie a lei se ho scoperto chi eri, vedi” spiegò ancora Len. “A casa si parla spesso di te e della tua famiglia. Ed io, non è che vada così volentieri in paese, poi.”
“E’ come un fratello” dichiarò la turchina a voce bassissima.
Rin guardò di sottecchi Miku, che evitava volutamente il suo sguardo. Non c’era certo bisogno di un genio per capire ciò che lei provava per il suo cosiddetto “fratello”. Si impose di non mostrare un sorriso amareggiato - in quel momento, sarebbe stato fin troppo fuori luogo - e chiuse gli occhi: improvvisamente si sentiva stanca, come se fosse invecchiata tanto in soli pochi minuti di conversazione.
“Rin, ascolta. Se questo ti farà stare meglio, prometto che terrò la bocca cucita. A patto che tu, però, metta fine a questa storia il prima possibile. È chiaro?” propose Miku.
Rin non rispose.
“Dimmi qualcosa. Rin...”
“Ti ho sentito” singhiozzò la ragazza, strizzando gli occhi: non aveva intenzione di riaprirli per vedere ancora una volta quello sguardo imbarazzato tipico di una persona... sì, di una persona innamorata. E gelosa. Non l’avrebbe sopportato, non dopo ciò che era successo.
Il rumore di passi sul terriccio umido che si allontanavano indicò che Miku se n’era andata; passi più pesanti sostituirono i suoi, i quali però le si avvicinavano, fino a fermarsi di fianco a lei.
“Ehi, Len.” Rin non aveva più forza nelle membra per alzarsi. “Tu le piaci, non è vero?”
“Sì, tanto” fu la risposta che non si fece nemmeno attendere.
“E i suoi genitori? Che cosa ne pensano?”
“Pensano...” Len le carezzò i capelli dorati, poi le tese una mano, che lei guardò tristemente, “pensano che ci sia aria di nozze, immagino. Ma sono sempre stati dei tipi fin troppo velleitari, sai.”
“Oh, Dio. Len...”
“Dimmi.”
“Voglio che tu mi accontenti in un’ultima cosa, Len.” Lo guardò con occhi supplichevoli, e lui non poté fare a meno di giurare che l’avrebbe fatto, di qualunque cosa si fosse trattata; persino morire.
“Dimmi” ripeté.
“Chiunque, ma non lei. Per favore.”
Len si sentì sollevato. Per fortuna non avrebbe avuto alcun problema ad acconsentire a quel desiderio. Le afferrò la mano con delicatezza e la aiutò ad alzarsi. Notò che aveva smesso di piangere, ma sembrava più devastata di quanto non fosse mai stata. La abbracciò forte, temendo che l’avrebbe potuta uccidere per il troppo amore con cui voleva riempirla. “E c’è qualcos’altro in cui potrei accontentarti, Rin?”
Lei parve pensarci un attimo. Ma quando riaprì bocca era ovvio che la risposta fosse stata formulata ancora prima della domanda. “Ti va di venire a casa mia?”
“Potrebbero vederci.”
“A nessuno importa dove sono il pomeriggio. Per favore...”
“Va bene.” Appoggiò la fronte sulla sua. “Certo che ti piace complicare sempre di più le cose, eh?”
 
***
 
Quando giunsero alla finestra della camera di Rin a piano terra, dalla quale lei ogni pomeriggio usciva, Rin entrò decisa, mentre Len esitò un attimo di fronte a lei.
“Che aspetti?” chiese lei in un soffio, facendo per afferrargli la manica, ma Len si ritrasse.
“Forse non dovremmo-”
“Ti piace essere pregato?” sbottò Rin.
Len la guardò triste. “Forse non dovremmo cacciarci nei guai” continuò. “Abbiamo già sbagliato per così tanto tempo... forse aveva ragione Miku, un taglio netto...”
“Senti, non importa se oltrepassiamo un limite. Se dobbiamo scontare una pena per questo sbaglio, almeno sbagliamo fino in fondo.”
Nonostante l’assoluta sicurezza che ci teneva ad ostentare, Len riusciva a vedere che aveva paura. Ma non poteva farci nulla, con la sua determinazione: ottenere ciò che voleva - il suo carattere leggermente dispotico, per certi versi - era anche ciò che amava di lei. Rimanere a fissare quegli occhi che, anche se preoccupati, rimanevano fermi e decisi, lo convinse. Tuttavia, rimaneva consapevole eccome del rischio che correvano.
Non appena dentro, si sedette sul davanzale, a guardare la camera di Rin. Non c’era davvero molto da vedere. Era spaziosa, grande, un po’ spoglia e molto luminosa. Un letto a due piazze posizionato esattamente al centro della stanza - e Rin seduta sul materasso, che lo carezzava nervosamente.
Nessuno dei due disse niente per un bel po’.
Poi Len, finalmente, si decise.
“Com’è?”
“Cosa?” chiese Rin fissandolo di rimando, e si preoccupò: sembrava a pezzi.
“Com’è... Gakupo?” Fece due sforzi, uno per ripetere la domanda che già di per sé l’aveva perseguitato abbastanza, e l’altro per pronunciare quel nome. “Insomma, un uomo educato... eccetera?”
Non era quello che voleva sapere, ovviamente.
Per fortuna Rin lo intese prima che si disturbasse a spiegare la domanda. Per come si sentiva, mentalmente, non pensava che l’avrebbe retto. “Oh, sì. Buono e gentile. Hai potuto vederlo. Non posso lamentarmi.”
“Bene, ottimo” fu tutto ciò che gli venne da dire, anche se sentiva che nulla intorno a loro meritasse quegli aggettivi. “E quando... a quando...?”
“La fine della primavera.”
“Bene, bene.”
“Bene? Bene, Len?”
Len alzò lo sguardo su di lei, e subito fu tentato di riabbassarlo per lo stupore: i suoi occhi sembravano sprizzare scintille da tutta la rabbia che esprimevano. Ebbero il potere di farlo rimanere interdetto, attonito, per una manciata di secondi che servirono a Rin per replicare: “Non va affatto bene. Niente va bene. Siamo stati scoperti, e presto lo sapranno tutti, e presto dovremo lasciarci, e io sposerò Gakupo, e tu probabilmente Miku, e quella è innamorata di te, e a mio padre non interessa nulla, e tutto questo dovrà finire, e-”
Sembrava in uno stato di shock. L’espressione quasi folle non fece che duplicarne la gravità. Len non ci mise molto a capire di dover intervenire, prima che perdesse del tutto il controllo: si alzò dal davanzale e la abbracciò forte, pronto per il pianto imminente - che non arrivò.
Invece, Rin trattenne il respiro e strinse la stoffa della sua giacca.
“Ci sono. Ci sono, Len.”
Lui la guardò interrogativo. Le sue iridi brillavano. “Fuggiamo. Scappiamo, è l’unico modo. Ma certo”, e cominciò a ridere di una risatina isterica, battendo piccoli pugni sul suo petto, “ma certo, come abbiamo fatto a non pensarci prima? Ce ne andiamo! Via! io e te e nessun altro, Len...”
“Oh sì, questa è un’ottima idea.”
Rin non fece nemmeno in tempo a elaborare quelle parole; ciò che le fece capire subito il messaggio fu il tono con cui vennero pronunciato. Tagliente sarcasmo, che sulla bocca di Len stonava parecchio.
“Come?...”
“Con quali soldi?”
“Io sono ricca” protestò animatamente Rin.
“I tuoi genitori sono ricchi, e a te non daranno mai il becco di un quattrino materialmente. Dove?”
“Lontano...”
“Lontano non è una risposta” ribatté Len. “Ti rendi conto che se fuggissi dovresti rinunciare a una vita normale? Senza i tuoi agi, a spasso per la strada, senza un tetto sulla testa? Oh, e questo è il problema minore.”
Rin stava già per rispondere a quelle domande palesemente retoriche, ma Len non gliene diede il tempo e accompagnava le sue parole stringendole le spalle sempre di più. “Una giovane ragazza, figlia del consigliere dell’imperatore, sparisce nel nulla. Promessa sposa di uno dei più accreditati guerrieri giapponesi, il soldato muove l’esercito per ritrovarla, e setaccia ogni angolo del Paese. Viene trovata in compagnia di un ragazzo e sebbene continui a ripetere che no, non è stata rapita!, è stata una fuga volontaria, nessuno le dà ascolto perché è una donna e lui viene arrestato, o giustiziato, chissà?”
Disse tutto d’un fiato, e Rin non poté nemmeno trovare un solo argomento a confutazione di ciò che aveva appena detto. Abbassò le palpebre stancamente; senza la minima intenzione di fare un gioco di parole, non vi era via di fuga.
“E allora dimmelo tu cosa dobbiamo fare.”
Stette zitto per un po’. Poi, con una voce che sembrava aver perduto ogni speranza, definitivamente, mormorò: “Niente. Ecco cosa. Dovremo lasciare che le cose vadano come devono andare, in un modo o nell’altro, e abituarci al pensiero che tutto ciò che desideriamo... non si avvererà. Dovremo arrenderci all’idea che tu passerai il resto della tua vita con un altro uomo e io con un’altra donna. E basta.”
“Sarà facile? Smetterà di fare così male?”
“Prima o poi...”
Rin lo baciò avidamente, con lo stesso impeto di chi è perfettamente consapevole di essere a un passo dal perdere ciò che più amava al mondo, e che altro non desiderava che possederlo per sempre. Era quello, dunque, il momento adatto per unirsi? Se anche non lo fosse stato, non pensava ne sarebbero arrivati altri, e non poteva permettersi il lusso di aspettare, con la solita vecchia scusa “c’è ancora tempo.”
Tempo non ce n’era. C’era solo il desiderio e una speranza già morta. E con la morte di quella - come si diceva? La speranza era l’ultima a morire? - non c’era più nulla da fare, se non approfittare di ogni singolo momento insieme, esattamente come doveva essere. Prima che venissero separati, prima che gli venisse portato via tutto, prima che loro potessero appartenere a qualcun altro... dovevano sentire di appartenere a loro stessi.
“Ma quando il sogno morirà? Quando la figura di Gakupo si sovrapporrà a Len, cosa farai tu?”
Stranamente non si rendevano conto del tempo che passava, come se tutto si fosse arrestato e il mondo avesse smesso di girare. I petali dei fiori fuori dalla finestra si erano bloccati a mezz’aria e loro due erano gli unici a muoversi in tutta quell’immobilità apparente... i pensieri però si muovevano anch’essi, guizzavano di qua e di là nella loro testa. Ma mentre Len continuava a chiedersi come avrebbe potuto resistere all’idea che qualcuno potesse portargli via ciò che di più prezioso aveva, il pensiero di Rin era uno e uno soltanto. Che martellava doloroso e non le dava tregua.
Quando il sogno morirà... morirò anch’io con esso.
Nient’altro da dire: la decisione era presa.
  
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