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Autore: LyraWinter    13/06/2012    5 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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Alle crisi adolescenziali in ritardo

come i treni italiani 

  

 

3

 

Collide

 

 

 

 

 

 

La villa dei Campbell era rimasta a lungo disabitata.

 

Un tempo la dimora dai candidi muri perfettamente intonacati era stata il fulcro della vita mondana della città: le luci che facevano risplendere il rigoglioso giardino avevano attirato lo sguardo sognante di abitanti e turisti, che si fermavano ad osservare incuriositi la sfilata degli eleganti invitati alle sontuose feste che i proprietari organizzavano nelle calde serate estive. Senza alcun preavviso però, vent’anni prima, il primo week end di giugno era arrivato, ma le ampie vetrate del salone erano rimaste oscurate e nessun giardiniere era stato avvistato mentre preparava il giardino alla venuta della bella stagione. Nelle settimane successive, nessuno era arrivato a bordo di costose automobili ed in città si era sparsa la voce che i proprietari avessero preferito trascorrere l’estate negli Hamptons, dove si vociferava che possedessero una villa ancora più magnificente di quella di Cape Cod.  Anno dopo anno, gli anziani pensionati di Province Town avevano impegnato almeno mezz’ora delle loro giornate contemplandone con occhio critico e le mani rigorosamente intrecciate dietro la schiena, il lento e graduale declino. La piscina ovale, un tempo attorniata da buganvillea dai colori sgargianti e dalla quale si poteva osservare uno scorcio della bianca spiaggia privata, era stata svuotata, ma qualcuno doveva averla dimenticata scoperta ed un letto di foglie secche e rovi si erano depositati sul fondo creando una spessa coltre marrone bruciato che si sposava perfettamente con lo stato di evidente abbandono della casa. Con il passare del tempo, le rose erano sfiorite e le aiuole perfettamente curate erano rimaste spoglie, tristemente ornate solo da cespugli dal colore grigiastro. La domanda che tutti si ponevano, scuotendo il capo, era perché tale perla di rara bellezza dovesse venire così trascurata dai suoi ricchi proprietari.

 

Era un pigro e soleggiato pomeriggio di fine aprile quando, improvvisamente, i veterani osservatori dello stato della villa, avevano trovato un nuovo modo per impiegare quei trenta minuti giornalieri consacrati all’analisi delle crepe dell’intonaco: sul prato antistante la villa un piccolo team di muratori e giardinieri seguiva attentamente gli ordini di un architetto dai capelli sale e pepe, gli occhiali sottili e squadrati sul naso dritto ed una camicia di lino all’orientale; uno di quelli il cui solo scarabocchio sulla Moleskine rilegata in pelle, doveva avere un valore che si aggirava attorno ad una cifra a quattro zeri.  L’interrogativo principale che si ponevano gli abitanti della zona dunque, da quel giorno, era divenuto uno ed uno soltanto –quando avrebbero fatto ritorno i Campbell?


Dopo qualche settimana da quell’arrivo che aveva interrotto il ciclo biologico della vita di Province Town, i giovani eredi della famiglia erano stati avvistati nel corso di  qualche veloce visita per monitorare i lavori di ristrutturazione della casa: David, il figlio maggiore, quando usciva a fare jogging allo stesso orario in cui i pescatori tiravano le reti in barca e si riavvicinavano alla costa. Landon, il minore, sembrava essere più socievole: appassionato di barca a vela sin da bambino, aveva allacciato i rapporti con Brady Sanders, il giovane proprietario della scuola più rinomata della città e con questo era stato notato in spiaggia, di giorno, o la sera, in alcuni locali. Quello che era certo era che, sporadiche o no, le loro apparizioni avevano rotto qualcosa nel regolare tran tran di Province Town e gli abitanti avevano avuto qualcosa di nuovo di cui parlare dopo che il faro aveva preso fuoco, in circostanze sospette, due anni prima.

 

-Sei pronto?

 

Landon si lanciò alle spalle il lembo della cravatta scura, osservando silenziosamente attraverso lo specchio il riflesso di sua madre che si avvicinava, scintillante nel suo splendido vestito Chanel, con un’ acconciatura elaborata che lasciava scoperti i lobi delle orecchie impreziositi dagli orecchini di diamante che il marito le aveva donato per il loro trentesimo anniversario.

 

-Potrei chiederti la gentilezza di mostrarti più sorridente quando scenderai ad accogliere gli ospiti?- gli domandò lei con una punta di risentimento nella voce.

 

 -Sinceramente non capisco il motivo di tanta fatica, mamma. Perché sprecare tante energie in una casa che fra tre mesi probabilmente non sarà più nemmeno nostra?

 

-È molto semplice, tesoro,- iniziò a spiegargli pazientemente, sistemandogli il collo della camicia sotto la giacca, –il valore della villa subirà un notevole incremento se noi la renderemo desiderabile. Piazzarla sul mercato ad un buon prezzo, dopo anni che era in disuso, sarebbe stato molto difficile. E poi sarà l’occasione per riunire la famiglia, siamo sempre tutti separati.

 

Landon sospirò profondamente: ai suoi genitori non importava in alcun modo il prezzo a cui avrebbero venduto la casa, i soldi non erano nemmeno contemplati della lunghissima lista dei problemi riguardanti la famiglia. La motivazione reale, invece, era la stessa che aveva segnato tutta la sua vita dal momento in cui era nato: apparenza, apparenza ed ancora apparenza.


Tutto nella famiglia Campbell era sottosopra da quando...beh, più o meno da quando Margaret e Charles avevano pronunciato la loro promessa nuziale trent’anni prima. Al ricevimento lui aveva rivolto le sue attenzioni ad almeno tre delle damigelle della novella sposa e lei aveva reagito ingurgitando un calice di champagne a tentativo. A dispetto di tutti quelli che malignavano sul loro divorzio entro l’arrivo dell’estate, i due erano sopravvissuti anche a tutte le trenta seguenti, senza dare segni di cedimento. Il loro rapporto non aveva nulla di ordinario, ma, d’altronde, Charles, uno degli avvocati più in vista di tutta New York, non avrebbe mai potuto –e nemmeno voluto- presentare in società una delle numerose segretarie o tirocinanti con cui trascorreva le serate fuori casa, né l’integerrima Meg avrebbe accettato di rovinare la sua reputazione di moglie modello chiedendo il divorzio da lui. Quando erano nati David e Landon, avevano lasciato che fossero le migliori tate della città a svezzarli, mentre lei faceva della bellezza dei loro lineamenti e della loro innata intelligenza  un vanto con le amiche dell’associazione di beneficienza e del circolo di tennis.

 

Non che non volesse bene ai suoi figli, anzi, provava per loro un affetto sconfinato, era solo che in lei l’istinto materno doveva essere morto prima ancora di nascere, soffocato dalle manie di perfezionismo, l’ambizione ed ogni altro atteggiamento insegnatole nella sua conservatrice e rigida famiglia repubblicana.

 

Con una madre incapace di dimostrare il proprio affetto e un padre seriamente votato alla missione di approfondire la conoscenza di tutte le giovani legali della città, le stesse malelingue che avevano scommesso sulla durata del matrimonio dei Campbell avevano, negli anni, spostato la loro attenzione sui due ragazzi, dando per certa la loro inevitabile rovina, prede di mali che spesso affliggono i giovani dell’alta società quali droga, donne e gioco d’azzardo. Invece, a dispetto di ogni malignità, i due ragazzi erano cresciuti egregiamente, collezionando successi sportivi, scolastici ed infine professionali, contribuendo, seppure in maniera involontaria, alla perpetuazione di  quell’idillio familiare che esisteva solo nella mente di Margaret, ma nel quale ormai tutti avevano finito per credere.

 

Agli occhi di tutti, dunque, i Campbell, apparivano felici.


-David non mi sembra così scontento del programma estivo,- protestò sua madre, squadrandolo con aria di rimprovero.

 

-David qui ha Nicole.

 

-Non è adorabile?- gli occhi di sua madre brillarono di eccitazione al sentire pronunciare il nome di quella che già considerava la futura nuora.– Quella ragazza è un tesoro, tuo fratello non avrebbe potuto scegliere meglio. E poi i Cooper sono una famiglia molto importante a Boston, dovresti prendere esempio da lui, tesoro.

 

-E finire per passare tutte le cene della mia vita a recensire gli ultimi eventi mondani o a disquisire sulla scelta del colore delle nuove tende del salone?

 

Margaret tacque interdetta.

 

-Non mi riferivo a te, mamma,- tentò disperatamente di difendersi Landon.

 

Invece sì.

 

-Lascia perdere, torno di sotto. Faresti meglio a muoverti, tuo padre e David sono scesi giù da venti minuti ormai. 

 

 

***

 

 -Lo sai che è in città vero?

 

Abby l’aveva abbracciata a lungo e, sebbene fossero passati solo un paio di giorni dall’ultima, interminabile videochiamata,  Annie ebbe l’impressione che non si parlassero da molto più tempo.

-Speravo di no, ad essere sincera.

 

-Sapevi che avresti dovuto affrontarla prima o poi, tornando qui.

 

-Speravo fosse molto poi.


-Non potrai evitarla per sempre. Almeno sarete in mezzo a così tante persone che non correte il rischio di sbranarvi l’un l’altra,- scherzò Abby, senza riuscire a smettere di accarezzare i capelli della sorella e sistemarle dietro l’orecchio il ciuffo che ricadeva sulla fronte.

 

-La mamma è troppo preoccupata delle apparenze per dare ai presenti motivo di pettegolezzo. È così brava che sarebbe in grado di farci passare per le Lorelai e Rory Gilmore di Province Town, se non fosse che questo riferimento pop le causerebbe un capogiro,- finse con voce impostata e posandosi dolorosamente una mano sulla fronte.

 

-Ecco perché io e lei siamo Crisotemide e Clitemnestra.

 

Sua sorella le diede un buffetto sulla guancia fingendo uno sguardo torvo –Mi stai dando dell’Elettra?

 

-E chi non farebbe follie per papà?- rispose candidamente Annie.

 

-Come sei sempre tragica

 

 

 ***

 

 

 Annie non riusciva a pensare che a quella conversazione, mentre varcava la soglia di casa Campbell illuminata a giorno per l’occasione. Dal giardino sul retro giungevano le note di una superba cover di “This guy’s in love with you”, il suo pezzo preferito fra quelli arraggiati da Burt Bucharach. A dire la verità non si sarebbe affatto stupita se, giungendo nel parco, avesse trovato il suo interprete in persona, Herb Alpert, con la sua tromba ad allietare gli eleganti ospiti della serata.

 

Attraversò, guardandosi intorno con gli occhi accesi di stupore, le numerose stanze che conducevano al parco, tutte arredate secondo un impeccabile stile navy: mobili di mogano illuminati dal bagliore dei lampadari di cristallo che si riflettevano in lucenti pezzi d’argenteria ed in sontuosi soprammobili in vetro di Baccarat. Le pareti, ricoperte da metri di carta da parati sulle tinte del blu brillante a quelle del grigio perla, richiamavano quelle dell’Oceano Atlantico che lambiva il tratto di spiaggia privata ammirabile dalla parete vetrata del salone principale, completamente aperta per permettere agli ospiti di muoversi liberamente fra la casa ed il giardino illuminato da mille luci danzanti. Annie scese i gradini, sollevando i lembi del leggero abito di chiffon grigio azzurro acquistato in una delle boutique indipendenti della londinese Brick Lane che, era certa, avrebbe destato le critiche della madre: troppo scollato, alternativo, così incredibilmente europeo se confrontato ai classici gusti di Elinor Cooper. In realtà, pensò crogiolandosi fieramente della sua ribellione vagamente adolescenziale, nulla di ciò che lei rappresentava avrebbe riscontrato la sua approvazione: portava i capelli eccessivamente corti, indossava gioielli smodatamente  alternativi,  aveva frequentato un’ università tradizionalmente borghese e risiedeva in un quartiere di Londra assolutamente non adatto ad una ragazza di buona famiglia del Connecticut. Nulla sarebbe cambiato da quando era una ragazzina troppo mascolina, con amici ordinari e gusti modesti: come da copione, sua madre avrebbe criticato la sua versione adulta esattamente come aveva ripetutamente fatto con quella adolescente, accusandola, come sempre, di avere geni Morgan in sovrabbondanza che avevano sterminato sin dal concepimento quelli Cooper. Ma lei non avrebbe potuto esserne più felice.

 

 

 

 ***

 

 

  -La conosci?

 

Brady afferrò un flûte di champagne, seguendo con lo sguardo Hailey, attraverso il vetro e le bollicine, destreggiarsi egregiamente nel distribuire affabili sorrisi ai presenti; sembrava essere nata per questo sua moglie, sarebbe stata in grado di catturare l’attenzione anche del più determinato monaco tibetano in meditazione. Forse era l’innata grazia dei suoi movimenti o forse il modo in cui i capelli color miele le cadevano leggeri e morbidi sulle spalle, o ancora la perfetta armonia dei tratti del suo viso, non avrebbe saputo dirlo con certezza; ciò di cui era sicuro, invece, era il fatto che mai sarebbe riuscito a trovare almeno tre buone motivazioni che ancora spingevano Hailey a stare con lui. Non era mai venuto a capo di questo quesito nemmeno ai tempi in cui avevano cominciato a frequentarsi l’ultimo anno del liceo, quando tutto fra loro andava a gonfie vele, figuriamoci ora che il giovane matrimonio non funzionava neanche se spinto giù dalle più alte cime del Colorado. 

 

Era ancora assorto nei suoi pensieri, quando Landon Campbell, evidentemente irritato per avere ricevuto un prolungato silenzio alla sua domanda, lo riportò bruscamente alla realtà.

 

-Mi stai ascoltando?- gli chiese spazientito.

 

-Scusami, ero distratto.

 

-Lo vedo. Hailey stasera é una meraviglia, starei attento se fossi in te.

 

Brady annuì impercettibilmente, mordicchiando distrattamente il bordo del calice che reggeva in mano.

 

-Allora, la conosci?- gli domandò di nuovo Landon, fissando un punto preciso dietro alle sue spalle.

 

-Chi?

 

-Quella che sta parlando con David e Nicole.

 

Brady si voltò con sguardo di sufficienza, nella direzione che Landon gli indicava, aspettandosi di ammirare una delle tante ragazze prodotte in serie che affollavano il parco, ma le bollicine dello champagne che stava gustando finirono per salirgli su per il naso, facendolo lacrimare: in piedi davanti a lui stava un’ Annie decisamente diversa da quella che dimorava nei suoi ricordi. Si torturava il labbro superiore, mantenendo il collo rigido ed i piedi incrociati, come faceva ogni volta in cui non si trovava a suo agio, lanciando occhiate fugaci al gruppetto di persone alle spalle dell’impeccabile cugina. Strinse gli occhi per decifrarne i volti e non gli ci volle molto per capire il motivo di tanta agitazione: al centro, radiosa e splendida come sempre, Elinor Cooper deliziava i suoi interlocutori con l’affabilità ed il fascino che la contraddistinguevano.

 

Landon lo osservò inarcando le sopracciglia perplesso, senza perdere di vista la ragazza che sorrideva nervosa a suo fratello, mentre Nicole li presentava, sfoggiando tutte le buone maniere che le erano state inculcate sin dall’infanzia e dando ulteriore prova di essere il perfetto esemplare di nuora che Margaret Campbell sognava.

 

-Devo ricordarti che sei sposato con la donna più bella della festa?- gli domandò con tono ironico.

 

Il primo, irrefrenabile istinto che ebbe Brady fu quello di correre a coprire con la sua giacca lo scollo lasciato ad Annie dal morbido abito  che aveva attratto come un magnete lo sguardo di entrambi.

 

Il secondo, quello di tappare la bocca e bendare gli occhi di Landon.

 

Poi realizzò che Annie in quegli anni era profondamente cambiata, che non era più una ragazzina con le felpe di almeno tre taglie in più della sua e la treccia che le partiva da un lato del capo e le ricadeva spettinata sulla spalla e che lui aveva ormai perso ogni diritto su di lei, ammesso che mai ne avesse avuto alcuno.

 

-Quella è Annie,- proferì con un filo di voce e le pupille dilatate per lo stupore.

 

-Quindi la conosci.

 

-Se per conoscere intendi sapere che ha quindici nei sulla schiena, la fobia delle porte lasciate aperte e che di notte dorme sempre con i piedi coperti perché quando era piccola il gatto le ha azzannato l’alluce lasciandole una profonda cicatrice a forma di virgola, sì, la conosco.

 

-Stavate insieme?- gli domandò Landon incuriosito, appoggiandosi al tavolo dei canapé ed accendendosi una sigaretta, incurante dei gesti stizziti delle signore in abito lungo accanto a lui.

 

-No, siamo cresciuti insieme, è come una sorella- rispose buttando giù in un solo sorso metà del contenuto del calice di champagne che stava stritolando fino a farsi diventare bianchi i polpastrelli.

 

-Perché le probabilità che questa affermazione sia vera mi sembrano più scarse di quelle di trovare una bottiglia di Dom Pérignon del ‘79 nel frigo di uno studente della NYU?

 

-È la verità,- ammise, terminando la seconda metà del flûte.

 

-Fingerò di crederti. Perché non l’ho mai vista qui in città?

 

-È arrivata ieri sera con Nicole. Vive a Londra.

 

 -A Londra dove l’attendono un affascinante marito inglese ed una nutrita prole dai capelli biondi che tutti i giorni, alle cinque in punto, sorseggia tè alla salute della Regina?- domandò incuriosito.

 

-Non credo… a dire il vero non lo so,- ammise Brady con un tono talmente asciutto da dissuadere Landon dal domandargli di presentargliela.

 

-Non era come una sorella?

 

-Non ci vediamo da sei anni,- tagliò corto, chiudendosi in un muto silenzio.

 

Landon terminò con un lungo sbuffo la sua sigaretta, continuando ad fissare quella piccola figura che aveva catturato la sua attenzione. Era molto diversa da ogni altra donna che presenziava alla festa: non indossava costosi ed appariscenti gioielli e non portava i capelli inanellati in quei lunghi e morbidi boccoli che rendevano tutte le altre una uguale all’altra se osservate da dietro. Vestiva un abito che non avrebbe stonato all’inaugurazione di una galleria d’arte a New York, che la metteva in risalto in mezzo ai classici tagli di quelli sfoggiati dalle ragazze che sua madre continuava a suggerirgli di frequentare. Ciò che però continuava ad incuriosirlo erano i suoi tratti delicati, quasi da bambina, quel sorriso spontaneo e sincero, privo di ogni malizia ed il palese imbarazzo che evidentemente provava a trovarsi nel giardino di casa sua. 

 

 

 

 ***

 

 

 Assorta com’era nella contemplazione della schiena di sua madre che, apparentemente, ancora non aveva notato il suo arrivo, Annie non si era nemmeno accorta che il chiacchiericcio di Nicole, che si stava dilungando in una lirica corale sull’eleganza della festa con tanto di strofe, antistrofe ed epodi, si era bruscamente interrotto sulla toccante lode degli uramaki vegetariani serviti al tavolo del buffet.

 

-David, vuoi monopolizzare l’intera attenzione delle invitate? Nicole, sei bellissima, come sempre.

 

Si voltò giusto in tempo per vedere la schiena coperta da una giacca scura visibilmente tagliata su misura di un uomo dai corti capelli biondo cenere piegarsi per lasciare due baci sulle guance di sua cugina, arrossita per l’imbarazzo.

 

-Landon, cominciavamo a pensare che ti fossi dato alla macchia! Posso presentarti Annie?- rispose lei con voce allegra.

 

 C’era una cosa al mondo peggiore di dover sopportare un cinico broker dell’alta società newyorkese, salutista, con seri problemi di egocentrismo e affetto da gravi crisi di megalomania: doverne sopportare due. Perché Annie non aveva dubbi: quello che le stava tendendo la mano era sicuramente il fratello di David Campbell. Stessa statura, fisico asciutto e slanciato, viso pulito su cui era dipinta l’espressione di chi si riteneva comunque molto più intelligente e brillante di chiunque altro presente nel giardino. Il che probabilmente era vero – almeno per quel che riguardava il fratello maggiore - ma non contribuiva certo a farle accogliere con benevolenza l’ennesimo Tom Buchanan del XXI secolo.

 

-Allora, mi hanno detto che vivi a Londra.

 

Annie pensò che prima o poi avrebbe seriamente strangolato sua cugina con una delle collane di Tiffany che amava esibire come un marchio di fabbrica sul sottile collo diafano. Anzi, se non avesse avuto il terrore di rovinare uno di quei pezzi il cui valore probabilmente si aggirava attorno a quello del suo stipendio mensile, lo avrebbe già fatto da un pezzo; in fondo, sebbene non rispondessero esattamente ai suoi gusti, erano pur sempre Tiffany. Si ripromise dunque meditare una vendetta adeguata per averla lasciata sola ad affrontare Landon Campbell il quale, per qualche motivo a lei oscuro, aveva deciso di snobbare le mille Nicole che illuminavano la sala con la loro eleganza e di dedicare interamente le sue attenzioni ed il suo sguardo di superiorità a lei e al suo piattino colmo di tartine alla mousse di salmone.

 

Lo squadrò da capo a piedi: vestito tagliato a mano, gemelli dorati, capelli perfettamente pettinati, bocca contorta in un sorriso tracotante. Negli occhi, tuttavia, un’espressione che non riusciva a decifrare: se non fosse stato per l’assoluta certezza di non avere sbagliato a giudicarlo avrebbe azzardato che si stesse divertendo a vederla così in difficoltà.

 

-Sì, da sei anni,- disse abbassando lentamente il piattino.

 

-Sono stato in Overseas nel Regno Unito quattro anni fa. Fammi pensare, UCL?

 

-Solo il PhD. Mi sono diplomata in Giornalismo alla LCC.

 

-Tipico,- commentò con un ghigno sarcastico.

 

-Cosa vorresti dire?

 

-Non mi sembri esattamente il tipo da Oxbridge.

 

Annie non avrebbe potuto accogliere con più soddisfazione quella che, per un tipo come lui, doveva apparire come una critica decisamente poco velata: si era trovata bene al College of Communication, anche se il solo nome di quell’università così anonima faceva storcere il naso a sua madre, che avrebbe preferito saperla alla Brown, come molte ragazze dell’alta società americana, o alla Columbia, come sua cugina. Il posto alla UCL, la quarta università più prestigiosa del paese, l’aveva accettato solo ed unicamente perché il professore con cui aveva scritto la tesi di laurea le aveva procurato una borsa di studio estremamente remunerativa e lei si era stancata di dipendere economicamente da suo padre. Ovviamente, anche perché era la facoltà dove aveva studiato Chris Martin, anche se questo non lo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura, vantandosi invece di sedersi nelle stesse aule che avevano visto studenti Virginia Woolf e Walter Benjamin.

 

-Sai una cosa?- replicò. -Tu mi sembri esattamente il tipo da St. Andrews. Che college hai detto di aver frequentato?

 

-Non l’ho detto. Il St. Andrews.

 

-Appunto.


Non soddisfatto dell’acidità con cui lei rispondeva alle sue domande, Landon decise di rincarare la dose: voleva capire esattamente che tipo fosse, prima di dedicarle tutta la sua attenzione.

 

-E adesso ti sei resa conto che la vita della donna in carriera non faceva per te e sei tornata a casa in cerca dell’amore e della persona con cui passare felicemente il resto dei tuoi giorni?

 

Annie pensò che la stesse provocando, quindi, dopo aver sospirato profondamente, gli rispose alzando il mento in segno di sfida.

 

-Nient’affatto. Il matrimonio sarebbe il perfetto coronamento di un bellissimo sogno, se, troppo spesso, non ne fosse la fine. Se gli altri vogliono sposarsi, che facciano pure. Personalmente lo sconsiglio a tutti i sessi, anche se capisco che per molti, quel contratto, sia la relazione principale nella vita.

 

Scosse il capo ridendo, ma il sorriso le morì sul nascere, nel momento in cui i suoi occhi incontrarono lo sguardo di Brady, sopraggiunto alle spalle di Landon e li fermatosi, incapace di credere alle parole che aveva appena udito. Annie poté osservare quasi a rallentatore le sue labbra serrarsi e la gola contrarsi nello sforza di deglutire; aveva pronunciato quelle parole senza pensarci, ignara del fatto che lui stesse ascoltando. In realtà l’elegante cocktail offerto dai Campbell era anche l’ultimo posto dove si aspettava di incontrarlo ma, a quanto pareva, insegnare vela ai figli dei rampolli delle famiglie in vacanza a Cape Cod garantiva certi privilegi. Incapace di parlare, divenuta pallida dalla vergogna, stava lì immobile, a fissarlo con gli occhi sbarrati. Avrebbe voluto prenderlo da parte, spiegargli che non intendeva esprimere un giudizio sul suo conto, anche se credeva davvero in ciò che aveva detto; ventisei anni le apparivano come un’età assurda per sposarsi ed il periodo difficile che sapeva stesse passando il suo amico d’infanzia non era altro che la dimostrazione della sua tesi di partenza. Ma non avrebbe mai voluto farlo soffrire gridando ai quattro venti le sue teorie, anzi, avrebbe voluto risparmiargli ogni delusione, compresa quella che gli aveva appena inferto. Invece rimase lì, immobile, mentre quel tronfio di Landon Campbell le studiava attentamente il viso, probabilmente per capire quale sarebbe stata la sua prossima brillante trovata. E invece non ebbe nemmeno quella piccola soddisfazione, perché, nell’esatto istante in cui la sua bocca sembrò riacquistare capacità oratorie, Hailey Murray si materializzò al fianco di Brady, toccandogli delicatamente la spalla per presentarlo ad uno dei tanti invitati della festa. Bella, eterea, raffinata, graziosa, esattamente come la ricordava. Incantevole come lei, con il suo modo di fare scherzoso, la sua piccola figura ossuta e la sua scarsa femminilità, non si era mai sentita di essere.

 

-La prossima volta che pronunci le tue frasi da biscotto della fortuna, assicurati che non ci sia nessun fortunato ad ascoltarti,- le sussurrò all’orecchio Landon, piegandosi verso di lei e afferrando una delle tartine rimaste intatte nel suo piattino.

 

Lavanda e tabacco. Annie lo guardò smarrita; in perfetta linea con il suo aspetto curato ed elegante si era aspettata uno di quei profumi estremamente virili pubblicizzati da attori famosi che esibivano un fisico da Adone sotto camicie che non lasciavano nulla all’immaginazione e Landon, invece, aveva un odore semplice, fresco, domestico. Le ricordava il giardino di casa, quando suo padre sedeva assorto sull’amaca a leggere un libro e a gustarsi un sigaro, accanto alle piante di lavanda ed alle ortensie che amava coltivare. Questa sensazione la lasciò stordita e sorpresa; alzò gli occhi su di lui, ma il sorriso beffardo che continuava imperterrito a rivolgerle le fece venire l’irrefrenabile e puerile istinto di rovesciargli in testa il suo calice di vino. Un gesto impulsivo e stupido, del quale probabilmente si sarebbe pentita per il resto del soggiorno in città, visto che aveva come l’impressione che tutti gli occhi dei convitati si stessero lentamente volgendo verso di lei.

 

Li poteva sentire puntati sulla nuca, sul viso, sul corpo anche se non ne riusciva a capire il motivo. Forse l’aver catturato l’attenzione del giovane padrone di casa era abbastanza perché tutti la osservassero con curiosità?

 

-Tesoro, finalmente sei arrivata!

 

No, non era l’interesse di Landon Campbell nei suoi confronti a suscitare i mormorii crescenti dei convitati, bensì lei. Anzi, sua madre, a voler essere precisi. Elinor Cooper le si stava avvicinando con passo leggiadro, tendendole le sottili dita ingioiellate e comportandosi esattamente come aveva previsto: dispensando sorrisi, bugie e falsità a chi seguiva la scena. Due baci frettolosi sulle guance ed un lieve cenno di saluto furono il tutto ciò che le seppe concedere, il primo contatto dopo sei anni di totale estraneità. Poi le pose una mano sotto al gomito e la invitò a seguirla, continuando ad esibire sorrisi smaglianti, fermamente intenzionata a presentarle i padroni di casa e tutti i loro amici. -È stato un viaggio lungo? Ti sei accorta che hai una macchia sul vestito?- le chiese giunte esattamente al centro della pista da ballo.

 

Finalmente, Annie, trovò la forza di volontà per sbloccarsi; le mancava l’aria e la testa le girava vorticosamente. Ebbe la strana sensazione di trovarsi in un soffocante incubo già vissuto: si rivide diciottenne, con indosso un abito di organza rosa pallido che la faceva sentire ridicola, gli occhi truccati ed stupido rossetto rosso prestatole da Nicole unicamente per compiacere sua madre e farle vedere che, in fondo, anche lei sapeva vestire i panni della figlia elegante, pacata e raffinata che spesso le rimproverava di non essere. Ciò che le importava davvero però era lui, Brady, perché si accorgesse finalmente che la ragazzina che gli stava a fianco ogni minuto della sua vita poteva essere altro che l’eterna compagna di giochi, l’amica d’infanzia che vedeva solamente come una sorella.

 

Doveva uscire da quel posto, il sangue faceva fatica a fluirle al cervello ed una rabbia incondizionata le stava montando dalla bocca dello stomaco. Si sentì di nuovo un’adolescente anche perché fece qualcosa di gran lunga più stupido che rovesciare il calice di champagne sulla testa del minore dei Campbell: esibito un sorriso falso e canzonatorio sollevò il braccio e, con un gesto secco, lanciò il liquido, colpendo sua madre nel punto esatto dove il prezioso abito di seta lasciava intravedere il suo decolleté.

 

-Benissimo mamma, un po’ lungo, grazie per esserti informata. A proposito, ti sei accorta che ce ne hai una anche tu? Non dovevi sporcarti per farmi sentire a mio agio, mi sento già abbastanza in imbarazzo senza che tu mi rivolga la parola, sai?

 

Nel giardino cadde un silenzio quasi surreale: se prima la sua era solo un’impressione, ora aveva l’assoluta certezza che tutti la stessero fissando. Brady a bocca aperta con gli occhi azzurri sgranati, Hailey impietrita, ancora ancorata saldamente al suo braccio, Nicole, con la schiena rigida ed un’espressione di manifesto disappunto seconda solo a quella di David che la fissava in tralice, la testa lievemente reclinata sulla spalla, sua sorella infuriata per il suo comportamento infantile. Non da ultimo, Landon, che si godeva la scena con le spalle appoggiate al muro, esibendo una risata sincera e palese. Corse verso la spiaggia, inciampando nello chiffon che le impediva i movimenti, sui tacchi su cui avanzava traballando. Se li tolse con un rapido gesto, abbandonandoli sulla sabbia e si precipitò verso la riva, singhiozzando per la rabbia talmente violenta che le soffocava persino le lacrime e per la gola infiammata dallo sforzo di trattenere il pianto in mezzo agli ospiti della serata.

 

L’acqua le lambiva le caviglie, con il suo ondeggiare continuo ed imperturbabile.  Si rese conto di non sopportare nemmeno il suo familiare e rassicurante movimento; con i piedi cominciò ad agitarne la superficie, nella speranza che qualcosa cambiasse, che il suo colore limpido si intorbidisse. Quella, però, cessato il turbinio provocato dai suoi movimenti, tornava a muoversi esattamente come prima, con il suo rumore delicato e quasi impercettibile. Non udiva altro suono se non quello del ritmo cadenzato delle piccole onde che si infrangevano a riva. Tutto sembrava immerso nella stessa, pigra quiete che era solita calare la notte in quei luoghi: persino le voci e la musica venivano dispersi nel vuoto della spiaggia muta. 

 

Poi, senza preavviso qualcosa venne a turbare quell’insopportabile e forzata solitudine: un rumore familiare di passi lenti e titubanti, che avrebbe riconosciuto ovunque.

 

-Si può sapere che ti è preso là dentro?- Brady si avvicinava sollevandosi il fondo dei pantaloni, per raggiungerla a riva.

 

-Vattene via,- gli rispose con voce astiosa.

 

-Sai benissimo che non lo farò.

 

Tremava. Accorgendosene lui si tolse la giacca, per coprirle le spalle ma, così facendo, sfiorò  con la mano la spalla lasciata scoperta dall’abito. Si ritrasse, come scottata da quel tocco inaspettato: era stanca che si comportasse come se niente fosse cambiato. La sera precedente, durante il viaggio, avevano chiacchierato come se nulla fosse del più e del meno, mentre il pomeriggio, incontrandola mentre portava i bimbi della scuola di vela alle piccole imbarcazioni, le aveva rivolto l’occhiolino, come usava fare quando erano ragazzini. Ora, le parlava pretendendo cosa esattamente? Che si aprisse, che si rifugiasse fra le sue braccia come da ragazzi, come se le fosse stato accanto ogni giorno di quei sei, lunghissimi anni? Ciò che non capiva era perché ora fosse lì con lei: se avesse voluto essere davvero fedele al copione che aveva dettato la loro adolescenza in quel momento sarebbe dovuto essere al centro della festa a ballare e flirtare con l’amore del momento, con l’unica differenza che quella che avrebbe stretto fra le braccia sarebbe stata sua moglie e non una delle reginette del liceo.

 

-E allora me ne vado io! Ne ho già abbastanza, lo sapevo che avrei fatto la più colossale idiozia del mondo a tornare in questa merda di posto!

 

-E chi ti trattiene,- rispose lui,  -abbiamo già avuto conferma di come farti di nebbia sia la cosa che ti riesce meglio.

 

Spiazzata dal tono calmo con cui lui aveva reagito alla sua provocazione, Annie tacque, incapace di negare quella che era l’evidente realtà: uscire silenziosamente di scena era la sua specialità. Decise di sviare il discorso, per non dovere affrontare una discussione che, era certa, stava solo posticipando: prima o poi avrebbe dovuto spiegargli il motivo della sua prolungata assenza e le ragioni per cui non lo aveva nemmeno messo a conoscenza del fatto che non avrebbe frequentato il College alla UCLA, come tutti credevano, ma che si sarebbe trasferita in via definitiva a Londra.

 

-L’hai sentita? Mi ha detto che ho una macchia sul vestito, Brady! Ti rendi conto che dopo tutto questo tempo, ancora prima di salutarmi era già li a criticarmi per il mio aspetto?

 

-Annie, é Eleanor, la conosci! Abbracciarti e stringerti sarebbe stata la pubblica ammissione che non sente sua figlia da sette anni!

 

-Tu non capisci forse,- replicò- Non hai idea di cosa voglia dire tornare qui e dovere fingere che tutto sia esattamente quello che era prima. Nessuno sembra accorgersi di quanto le cose siano cambiate ed ognuno continua a comportarsi come se nulla fosse…

 

-E cosa dovremmo fare scusa? Cambiare solo perché tu un giorno ti sei alzata con la balzana idea di tornare dopo anni che non davi tue notizie? Accoglierti con feste e danze come la pecorella rientrata all’ ovile?

 

Annie sentì la rabbia appena sopita irrompere nuovamente, come un fiume in piena.

 

Lo allontanò con una piccola spinta.

 

-Tu non hai idea di cosa voglia dire costruirti un’esistenza lontano da qui, giorno per giorno, lottando con i denti per dimostrare al mondo, ma soprattutto a te stessa, che puoi farcela da sola, che sai essere quello che desideri, libera finalmente di poter recitare un ruolo scelto da te, senza indossare un costume confezionato su misura da altri.  Sei inconsapevole di ciò che significa porre le basi per un futuro che tu hai pianificato, con un lavoro che ti soddisfa, una vita piena e poi tornare a Province Town ed avere la sensazione che tutto ciò che hai costruito venga trascinato giù a picco, cancellando in un secondo gli sforzi di sette anni!

 

-Non sai di cosa stai parlando,- le rispose lui con la voce talmente bassa che Annie faticò ad udirlo.

 

-No, io lo so benissimo!- gli urlò lei. -Ed è inutile che arrivi qui e punti il dito, sbattendomi in faccia la tua vita perfetta, con la tua moglie bellissima e premurosa, una casetta sulla spiaggia, un lavoro sicuro e magari il desiderio di avere dei figli, comprare un cane e diventare vecchi insieme!

 

L’aveva fatto ancora. Aveva di nuovo colpito esattamente dove sapeva gli avrebbe inferto più dolore. Ma non le importava, che lui urlasse pure, la insultasse, le togliesse il saluto. Almeno non avrebbero più dovuto fingere che fra loro fosse tutto sempre uguale. Almeno sarebbe stato un cambiamento.

 

Invece Brady, con la stessa espressione dura e risoluta che le aveva mostrato qualche minuto prima, irrigidì la schiena e le domandò con voce calma e pacata.

 

-Questa tua nuova vita prevede che tu ti comporti da stronza?

 

-Puoi ripetere scusa?

 

-Hai capito benissimo e non ho intenzione di usare francesismi, non con te. Questo spirito ribelle e anticonformista che sfoggi potrà anche fare ridere Landon e ammetto che vedere tua madre tentare di pulirsi disperatamente il vestito mentre il mascara le cola sulle guance sarebbe potuto apparire divertente, quando avevamo sedici anni! Così umili solo te stessa. E io non ho intenzione di stare qui a guardare mentre lo fai.

 

Poi, lanciandosi la giacca sulla spalla con un gesto secco, si voltò e se ne andò, lasciandola con le labbra talmente secche da non riuscire nemmeno a replicare al suo quieto scoppio di rabbia.

 

Annie rimase per un po’ ad osservarlo allontanarsi, aspettando che si voltasse, pregandolo a bassa voce di ritornare sui suoi passi. Ma, come da copione, sparì dalla sua vista, dandole ulteriore conferma del fatto che tutti, lui compreso, si stavano ancora comportando come se nulla fosse cambiato.

 

 

 

***

 

 

 Il pendolo dell’ingresso aveva da poco segnato l’una di notte quando Kenneth Morgan udì la figlia rientrare in casa, con il fondo del vestito bagnato, le scarpe in mano ed il fiato corto, segno che aveva corso scalza fino a casa. La matita le si allungava con una lunga sbavatura nera verso la tempia, segno che Annie aveva tentato in modo grossolano di cancellare con la mano gli inevitabili segni delle lacrime che le solcavano le guance.

Sapeva che partecipare a quella festa sarebbe stato un errore, ma non poteva fare nulla per evitare che si scontrasse con la realtà: la scelta di tornare era stata sua e, prima o poi, avrebbe dovuto incontrare quei fantasmi che l’avevano spinta a fuggire tempo prima.

 

Perciò non tentò di fermarla, né di rimproverarla quando, senza nemmeno togliersi i vestiti, aprì la borsa da viaggio che teneva nell’armadio e cominciò a buttarci dentro tutti i ricordi di una vita: pupazzi, dischi, libri, magliette. Non mosse un dito nemmeno quando, staccando dalla parete il quadro di fotografie, perse la presa e quello cadde rumorosamente a terra, frantumandosi in mille pezzi: si limitò a chinarsi accanto a lei, silenziosamente, per aiutarla a raccoglierne i frammenti sparsi un po’ ovunque sul parquet. Poi, una volta terminato il lavoro, chiuse con un gesto secco il borsone, lo raccolse e lo portò in soffitta, premurandosi che Annie non lo vedesse.

 

Era fermamente convinto che, prima o poi, avrebbe ritrovato la tranquillità necessaria per riprenderli in mano e riempire nuovamente quei buchi lasciati nelle pareti ora spoglie. Per il momento, però, poteva solo limitarsi a nasconderli alla sua vista, nella speranza che quelle piccole premure bastassero a non farla risalire sul primo pullman diretto a Boston con un biglietto di sola andata verso la vita che si era faticosamente costruita lontano da casa, lontano da lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note e citazioni

 

Dunque, partiamo con le citazioni.

 

-Il riferimento al matrimonio che non funziona nemmeno se spinto giù dalle montagne é della SidRevo, che mi ha deliziato con questa perla troppo deliziosa per non sfruttarla nella sua ultima recensione.

 

-Tom Buchanan é uno dei personaggi del Grande Gatsby, su da brave, correte a leggerlo se non lo avete ancora fatto!

 

-Il Dom Perignon nel frigorifero dello studente della NYU invece é un geniale suggerimento di Erica, fonte inesauribile di imbecillità, nonché paziente beta dei miei deliri. Grazie a lei per non stufarsi mai di correggere i miei apostrofi e i miei spazi mancanti. Che ci volete fare, ho le dita pigre, mi fa fatica metterli.

 

-La frase di Annie "Nient’affatto. Il matrimonio sarebbe il perfetto coronamento di un bellissimo sogno, se, troppo spesso, non ne fosse la fine. Se gli altri vogliono sposarsi, che facciano pure. Personalmente lo sconsiglio a tutti i sessi, anche se capisco che per molti, quel contratto, sia la relazione principale nella vita" é una doppia citazione, rispettivamente dell'autore francese Alphonse Karr e di Annie Proulx, scrittrice, fra gli altri, della sceneggiatura de "I segreti di Brokeback Mountain"

 

 

Dunque, che dire.

Mi é stato detto che questo capitolo é un po' triste: é vero. Ci sono tanti nodi che vengono al pettine, i personaggi si rivelano per quello che sono e le loro storie (ed i loro mille disagi) iniziano a venire a galla. In più non c'é Scotty: chiedo venia e prometto di dargli tutte le dovute attenzioni ed anche qualcosa di più nel prossimo.

 

Veniamo a conoscenza finalmente di Landon, che soffre di crisi post adolescenziali, lo so, ma che amo tantissimo. Non é stronzo come appare, sfoggia un atteggiamento un po' strafottente per attirare l'attenzione. Mi piace perché un po' un Malfoy Savanniano, come mi ha detto Erica, per chi coglierà il parallelismo XD .

 

Comincia a sbrogliarsi la matassa dei mille casini che hanno spinto Annie ad andarsene da Cape Code anche se molto deve essere ancora rivelato circa la sua fuga improvvisa. Ciò che si può notare é che sono trascorse meno di 24 ore dal suo arrivo e lei ne ha già fin sopra i capelli di Province Town: che sia forse che comincia a rendersi conto che scappare non risolve i problemi, ma li lascia li a stagnare e ad imputridirsi?

 

Lo scoprirete nella prossima puntata, che sarà schifosamente allegra. Oggi mi sono svegliata con questo trip e volevo condividerlo. 

 

Per ora, a mo' di spoiler, vi lascio il video che ho fatto alla mia storia, perdendomi con Sony Vegas. Tutto pur di non studiare.

 

 

 

Infine, un paio di ringraziamenti:

 

A tutte quelle che hanno recensito, inserito la storia fra le seguite, preferite, e ricordate (PAZZE!) e a quelle che hanno semplicemente letto le mie parole. Grazie davvero tantissimo, vedere quei bellissimi numerini che crescono mi fa gongolare come Mammolo. 

 

A Thecarnival che mi ha fatto trovare una piccola, deliziosa, sorpresina in omaggio alla mia storia 

 

Ad Erica ed Elle, che sono rimaste intrappolate nella questa storia (e nelle mie paranoie) e non ne escono più, nemmeno se tirate su da un argano. 

 

Alle altre tre pennute mia famigliola, sempre e comunque. 

 

 

 Un abbraccio 

 

Lyra

 

 

   
 
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