CAPITOLO
2
Ace
stava dormendo nel suo letto, quando la porta
si aprì cigolando e nella stanza entrò Umi, i
biondi capelli sciolti sulle
spalle e i luminosi occhi azzurri che fissavano la sua faccia assonnata.
-Sono venuta a
controllare le tue ferite- disse per spiegare la sua presenza
lì.
Il
ragazzo si sollevò sui gomiti, ancora mezzo addormentato, e
la
osservò disfare la
fasciatura che gli stringeva il torace e studiare i profondi graffi che
aveva
sulla pelle.
Lei sfiorò le ferite con l’indice ed
Ace lanciò un gridolino di
dolore.
–Ahi!- protestò -Mi
hai
fatto male!-
Lei non si scompose e sorrise divertita.
–Scusami, hai
ragione-
disse mentre ricomponeva la fasciatura. -Comunque,
considerando che
sei un Rogia dovresti guarire presto. Prova ad alzarti-
Ace obbedì senza
fiatare e si alzò dal letto senza che i tagli gli facessero
troppo male.
–Bene, e ora prova a fare qualche passo-
Il ragazzo eseguì
l’ordine, ma al terzo passo
le ferite iniziarono a mandare fitte al cervello e lui fu costretto ad
accasciarsi a terra ansimante.
–Ok, questo era troppo-
disse Umi aiutandolo
ad alzarsi e facendolo sedere sul bordo del letto.
–Aspettami
qui-
E poco dopo
sparì dalla stanza.
Tornò
dopo qualche minuto con un paio di stampelle che diede ad Ace, poi lo
invitò a
camminare aiutandosi con quelle. Dopo qualche tentativo il moro
riuscì a
raggiungere la porta e uscì all’aperto. Fu
subito intercettato da Marco che si avvicinò ad Ace e gli
diede una pagnotta
per colazione.
Ormai Ace aveva smesso di ribellarsi alle cure che Marco
gli
riservava: era come un fratello maggiore per lui, ed era suo dovere
prendersi
cura del fratellino Ace.
Umi era uscita dalla camera del moro e si era
diretta
verso la sua stanza.
Il ragazzo continuò a seguirla con lo
sguardo fino a che
gli fu possibile.
–La
bionda ha fatto colpo, eh?- fece Marco
ammiccando verso
di lui con aria maliziosa.
–Fatti
gli affari tuoi!!!- gli
urlò Ace, proprio il modo migliore per confermare la teoria
di Marco…
-Fai
come vuoi, ma sappi che quella ragazza può essere molto
pericolosa…-
Allo
sguardo confuso di Ace Marco
rispose con una scrollata di spalle, segno che per lui la discussione
era
terminata, poi si dileguò.
Nel
giro di una settimana le ferite si erano
completamente rimarginate ed Ace poteva muoversi di nuovo
liberamente.
Dopo
essersi liberato della fasciatura ormai inutile, Ace uscì
sul ponte e si guardò
un po’ intorno.
Tutti stavano svolgendo le loro
attività.
Notò Marco che come
al solito discuteva con Satch per via delle solite birbonate che il
quarto
comandante escogitava giornalmente.
Alle loro spalle il vecchio rideva
di
gusto.
Alzando lo sguardo Ace notò che, appollaiata sul
pennone dell’albero
maestro, Umi stava lucidando il suo bellissimo arco, la faretra
appoggiata sul
fianco per non perdere l’equilibrio. Il moro ebbe voglia di
raggiungerla, ma
poi si trattenne ripensando a quello che aveva detto Marco: sappi che quella ragazza può essere
molto
pericolosa…
Passarono
le settimane, ogni tanto la ragazza si
avvicinava e parlava con Ace.
Più di una voltalo lo
tirò fuori dall’acqua, in
seguito a uno dei vari agguati con obbiettivo il vecchio.
La
verità era che Ace
ormai lo attaccava solo per farsi salvare da lei, per ricevere le sue
cure, ma
era anche profondamente logorato dal dubbio: andarsene o restare?
-Perché
tutti lo chiamate babbo?- chiese Ace a
Marco una sera.
-Perché lui ci
chiama figli- sorrise Marco.
Ace
abbassò la testa.
-Ci
rende felici. Il mondo ci odia perché siamo pirati. Anche se
è solo una parola,
ci rende felici-
Il
moro
aveva le lacrime agli occhi e si guardava le scarpe.
–E
tu che vuoi fare?- gli chiese Marco. -Vuoi continuare a provarci? Ormai
lo sai,
non hai le capacità per uccidere il babbo.-
Si inginocchiò per guardarlo negli
occhi.
-Quindi, o
lasci
definitivamente la Moby Dick, oppure resti, e porti il marchio di
Barbabianca
dietro la schiena!-
Dopo
un attimo di silenzio, Marco si alzò e si diresse verso gli
altri pirati.
Ad un certo punto però si blocco e si voltò a
guardarlo.
–Sai,-
disse
sorridendo -la prima domanda che
mi hai fatto… me l’aveva chiesto anche Umi, quando
scelse di unirsi a noi-.
Ace
rimase solo, a contemplare la ciotola fumante
che gli aveva portato Marco.
Sentì un fruscio alle sue
spalle: era Umi che gli
si avvicinava.
–Che
c’è?- le chiese lui.
–Volevo sapere cosa avresti
scelto- fece lei sforzandosi di sembrare indifferente.
-Tu
cosa vorresti che facessi?- chiese curiosamente il moro.
-Vorrei
che tu restassi su questa nave- Poi se ne andò.
Quella
sera, Ace prese la decisione che avrebbe
cambiato totalmente la sua vita.
Cari Itacina, Cola 23 e LaCla, grazie mille per le vostre recensioni e i vostri consigli, ma il programma mi ha fatto un casino ed è venuto fuori così. Spero vi piaccia lo stesso (come era quando ho cercato di modificarlo non si capiva nulla, credetemi). Per LaCla, non riesco a fare i cosetti che fai tu per i dialoghi, forse è perché ho il portatile ;-) grazie mille a tutti!!!!!