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Autore: Claire30    23/06/2012    0 recensioni
Passò qualche minuto, poi disse: «Se Dio vorrà, un giorno incontrerò una ragazza, una in grado di apprezzarmi per quello che sono in realtà, non per quello che rappresento o per quello che guadagno…E allora, chissà, forse potrò essere di nuovo felice…».
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Emanuele parve ritrovare un minimo di razionalità e mormorò, dopo un attimo di esitazione: «No…non ci sarà bisogno di chiamare la polizia…vado via da solo…».
Si guardò intorno, come a cercare qualcosa.

Sabrina gli chiese: «Deve prendere qualcosa di suo?».
«No…qui non c’è niente di mio…».
Emanuele quasi singhiozzò, bisbigliando questa frase, ma Sabrina non provò rimorso per questo.

Lui si avviò, poi esitò: «Vorrei fare una telefonata, se permette…».
«Certo, poi l’accompagnerò dove vuole».
«No, mi farò venire a prendere, se non le dispiace…».
Sabrina si strinse nelle spalle, indifferente.
Si guardò attorno, aspettando che lui telefonasse.
Sentì che diceva: «Pronto, Mauro…sì, sono io…sì sto bene, stai tranquillo…calmati, per favore…ti spiegherò…sì... senti, ti vien bene venirmi a prendere? Sì…mi trovo a questo indirizzo… via Marchi…ti aspetto davanti al portone…sì, va bene…».

Sabrina si voltò quando sentì che riagganciava, vide che lui guardava la camera di Celeste e che stava fissando il letto.
La donna non poteva certo sapere che poche ore prima, su quel letto, lui stava per vivere la gioia più grande della sua vita…

Lentamente distolse gli occhi dalla camera, quasi con fatica si avviò.
Esitò sulla porta, poi si buttò fuori.

Attraversarono il piccolo cortile e si fermarono sulla strada, aspettando.
Emanuele si guardò intorno, non riconoscendo il luogo perché quando vi era arrivato, dieci giorni prima, era senza conoscenza.
Notò che la macchina di Celeste non c’era e sentì un nodo allo stomaco.

Dopo qualche minuto di silenzio, Sabrinaa aprì la borsetta e disse, prendendo un pacchetto di sigarette: «Fuma?».
Emanuele ricordò all’improvviso che fumava ed accettò la sigaretta che lei gli offriva.
Da quando aveva conosciuto Celeste, sembrava che la sua vita precedente non esistesse più.

Aspirò il fumo e lo esalò con un sospiro.
Sabrina conosceva benissimo i pensieri che gli passavano per la testa, ma non disse nulla.
Non voleva ricominciare a litigare.

Rimasero in silenzio per una decina di minuti, poi furono illuminati dai fari di una grossa auto sportiva.
Emanuele gettò la sigaretta sull’asfalto e si avvicinò alla macchina.
Lo sportello del guidatore si aprì e Sabrina vide scendere un uomo sui quarant’anni, alto, con i capelli neri, vestito di scuro.

Vide i due uomini abbracciarsi e notò l’espressione di gioia e sollievo sul viso dell’uomo appena arrivato. Emanuele si voltò verso di lei e le fece un cenno con la mano.
Poi salì in macchina dalla parte del passeggero.
Anche l’altro uomo salì, avviò il motore e si allontanarono.

Sabrina rimase a guardare i fari rimpicciolirsi nel buio della notte, poi scuotendo il capo salì a sua volta sulla sua auto e se ne andò.
Durante il percorso verso casa, ripensò allo scontro che aveva avuto con Emanuele.
Sapeva che il torto era tutto dalla sua parte, ma non poteva evitare di provare pena per quell’uomo che, aveva compreso, amava la sorella alla follia.
Non aveva mai visto una reazione simile in una persona.

Ricordava il suo viso livido, devastato, i suoi occhi sbarrati nei quali si intravedeva una luce di pazzia.
Triste, la donna si chiese che avrebbe fatto Celeste, una volta saputo che lei aveva eseguito le sue indicazioni, e cioè che aveva provveduto a “liquidare” Emanuele…

Sabrina rammentava il viso di lei, la disperazione nei suoi occhi, lo sforzo che aveva fatto per non mettersi ad urlare, quando aveva detto alla sorella che non voleva più vederlo in vita sua.
Sapeva che Celeste stava mentendo a lei e a sé stessa, ma sapeva anche che il suo orgoglio e la sua testardaggine avrebbero avuto la meglio sulla passione, almeno per il momento…

Sabrina ebbe un breve sorriso, a questo pensiero, e sperò ardentemente che le cose si sistemassero per il meglio, prima o poi.
Guidava veloce nella notte, immersa in questi pensieri, e non si accorse di una grossa macchina sportiva che seguiva la sua a distanza ravvicinata.
Arrivò a destinazione, scese dall’auto ed entrò nel portone di un alto ed elegante palazzo.
La macchina che viaggiava sulla sua scia parcheggiò poco distante, lontano dal lampione stradale, al buio.
Il guidatore spense il motore ma nessuno scese da quell’auto.
I due uomini a bordo rimasero fermi sui sedili.

Dopo qualche minuto di silenzio, il guidatore sospirò: «Se volessi degnarti di darmi qualche spiegazione, te ne sarei veramente grato!».
L’uomo accanto a lui si limitò a guardarlo per un attimo con un’espressione indecifrabile, voi tornò a fissare il portone del palazzo.
«Posso sapere che facciamo qui a quest’ora? Chi è quella donna? Perché mi hai detto di seguirla?».
Il compagno rimase in silenzio e l’altro, allora, sbottò, irritato: «Senti, mi dici che succede?!? Prima sparisci per settimane senza dir nulla a nessuno, facendoci prendere una paura fottuta, poi ricompari improvvisamente, non dai nessuna spiegazione su dove sei stato e cosa hai fatto in tutti questi giorni, mi costringi a pedinare una donna sconosciuta nel cuore della notte, a seguirla per chilometri e non ti degli neanche di dirmi il perché. Mi spieghi che succede? Che ti è successo in questi giorni? Hai un’espressione strana…Cosa ti è accaduto, Emanuele?».
Emanuele distolse gli occhi dal portone, guardò l’amico ed ebbe un sorriso triste.
«Vuoi sapere che è successo? E’ successo che sono stato un cretino…ecco cosa è successo…».

Mauro lo guardò perplesso ed aspettò una spiegazione.
Che venne, chiara e disperata.
L’amico gli raccontò tutto, partendo dalla sua ribellione all’assurdo comportamento del padre, alla decisione di andarsene prima di impazzire, arrivando all’idea di travestirsi da barbone per non dare troppo nell’occhio e non essere riconosciuto; raccontò dell’incidente, della ragazza che l’aveva portato a casa sua, che l’aveva curato con un affetto e una dedizione straordinari, dei giorni passati con lei, delle sue parole di conforto, di come aveva imparato a conoscerla attraverso le loro conversazioni, di quello che lei aveva scatenato nel suo animo e di cosa aveva provato quando era stato sul punto di fare l’amore con lei.

Mauro guardava il viso dell’amico che era pallido, serio, colmo di passione. 
Si chiese come Emanuele avesse fatto a farsi coinvolgere fino a questo punto.
Quando arrivò al racconto della ingerenza dell’amica e della reazione violenta di Celeste, delle parole crude che aveva usato, il viso di Emanuele divenne livido.
«Non puoi capire cosa ho provato…mi guardava con un odio feroce e le sue parole erano come lame…sembrava una belva…se avesse avuto un’arma, forse mi avrebbe ammazzato…io non capisco…poco prima era tra le mie braccia e subito dopo…no, lei mi ama! Ho sentito passione nel suo abbandono…io…non posso pensare che debba finire tutto così…».

Mauro non sapeva che dire.
Si rendeva conto che l’amico si trovava al limite, a quel filo sottilissimo che separa l’amore dalla follia. 

Provò a dire qualcosa, ma Emanuele lo interruppe sul nascere: «Quella è la sorella, sapevo che Celeste era andata da lei…Mauro, io devo parlarle, devo vederla…lei mi deve ascoltare…le devo dire che l’amo e che la voglio per me, per sempre…noi siamo nati per essere una cosa sola…lei è il mio destino…lei è mia…».
Mauro provò una stretta al cuore vedendo il viso distrutto di Emanuele.
Capì che l’amico amava veramente quella ragazza e che non sarebbe mai riuscito a dimenticarla, neanche tra mille anni, neanche se avesse incontrato altre mille donne.
Ebbe un attimo di esitazione sentendo l’amico ansimare: «Io vado da lei, adesso…» e vedendolo uscire dalla macchina.
Reagì e, sceso a sua volta dall’auto, lo bloccò in tempo prima che si catapultasse oltre il portone.
«Che diamine pensi di fare, a quest’ora?!? Sei matto?!? Vuoi che avvertano la polizia?!?».

«Io devo vederla… non posso più stare senza di lei…tu non capisci…».
«Capisco che adesso devi cercare di calmarti! Lo so, devi vederla, ma non puoi andare da lei a quest’ora! Dovrai aspettare domattina…anche se forse sarebbe meglio se aspettassi qualche giorno, prima di farti rivedere…».
Emanuele lo fissò incredulo per qualche secondo, poi scosse la testa, si divincolò dalla stretta delle mani dell’amico e ritornò verso la macchina.
Ci si appoggiò con la schiena e rimase lì, fermo, col capo chino. 

Mauro gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
Emanuele alzò lo sguardo, vide il triste viso dell’amico e si lasciò abbracciare, afferrandosi a lui, con disperazione.

Lentamente rientrarono in macchina e Mauro mise in moto.
Emanuele non disse una parola per tutto il percorso e l’amico rispettò il suo silenzio.

Arrivati a casa di Emanuele, Mauro lo guardò scendere, aprire il cancello del grande cortile e lentamente entrare in casa.
Era preoccupato.
Aveva paura che l’amico potesse uscire nuovamente per andare subito da Celeste.
Rimase fermo una buona mezz’ora, con gli occhi fissi alla porta, quasi aspettandosi che si aprisse da un momento all’altro.
Ma non successe niente.
Decise allora di tornare a casa sua.

Più tardi si coricò, desiderando con tutte le sue forze che il mattino giungesse presto per poter cercare di risolvere quella situazione.

   
 
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