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Autore: minimelania    23/06/2012    2 recensioni
Quando la notte scivola sui muri e le cortine di damasco del letto, niente è più al sicuro, neppure la più ferma virtù. E se a decidere di infrangere la strana tregua esiziale è il sogno proibito dell'uomo più casto, non c'è delitto che non possa avvenire. Non c'è virtù che non si possa perdere. Non c'è ossessione che non possa avverarsi.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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< Nec diu nec noctu

licet

Iudices quiescant >
 
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8.



 
- Allora, Giudice, sei pronto a morire?
Un tonfo sordo, poi qualcosa di grosso che si spingeva nella cella. Un secondo e l'aria asfittica intorno a lui si riempì di un lezzo orrendo. Cipolla, probabilmente mal digerita.
Il Giudice aprì gli occhi, e sulle prime non vide niente. Poi qualche cosa che si muoveva. Fu un attimo, poi la massa informe, davanti a lui, gli allungò un calcio.
- Allora, impiastro, ti muovi si o no?
Claude Frollo, coperto di graffi, immerso a metà nel liquame, strattonò la catena.
Provò a muoversi, con l'unico risultato che il ferro pesante gli penetrò più nelle carni. Il collo era ormai solo una fascio pulsante e martoriato. Il tizio lo strattonò.
- Allora, andiamo? - Adesso il fiato doveva essere a un centimetro, perché nell'esplosione di lame dei suoi occhi, vedeva nero. Ombra. E sentiva l'odore quasi fino a svenire.
Il Giudice scattò, con i denti. Ma il tizio aprì semplicemente una mano. Doveva essere un gigante, perché Frollo sentì due dita - due dita - una di qua e una di là dalla testa. Puzzavano orribilmente di qualcosa cui non voleva neanche pensare. Sembrava spazzatura marcita, topo di fogna e cavolo putrido.
- Se adesso hai finito di far lo scemo, adesso vieni con me.
- Dove mi porti?
- Questi non sono affari tuoi, ficcanaso.
E due mani calarono sopra di lui, scostarono il suo povero corpo, girarono intorno alle costole. Il suoi occhi cominciavano un poco ad abituarsi alla luce.
- Chi sei? - biascicò al  carceriere, che non riusciva a mettere a fuoco - Dove sono?
Aveva la gola in fiamme. Quello intanto era riuscito a spostare le catene (dovevano pesare almeno una tonnellata), e adesso tentava il difficile compito di tirarlo in piedi. Ma il fatto era che Claude Frollo aveva perso la sensibilità a entrambe gambe. Il colosso dovette alzarlo di peso e issarselo in spalla, di traverso.
- Questo è troppo! - grido Frollo. Ma l'unica cosa che ottenne fu strappare un singhiozzo al carceriere.
- Ma lo sai che sei proprio uno spasso? Cosa mi fai se non ti lascio andare? Mi fai frustare dalle signorine che tieni come guardie del corpo?
- La mia Guardia, il Capitano Phoebus …
- E' stato molto gentile con noi. Non ci saremmo riusciti, altrimenti. Ma meno male che …
- Lasciami scendere, animale!
Il tizio, ignorandolo, prese la porta.
- Attento alla testa, Signoria.
Passarono in una sorta di stretto corridoio. Adesso c'era una parvenza di luce, e Frollo poteva vedere per bene in che razza di posto lo avevano messo: un lungo sotterraneo muffito, topi dovunque, pozze di marcio. Niente da invidiare alle sue segrete.
- Tenete altra gente rinchiusa qui? - chiese cercando di registrare le coordinate, la posizione, qualcosa.
Il carceriere fece un saltello, Claude Frollo sobbalzò insieme a lui.
- Un topo morto - fece il carceriere. E disgustosamente, Claude Frollo, vide qualcosa sotto di lui. Un sacco nero, della grandezza di un piccolo cane, completamente sventrato. Certe cosette ci si muovevano sopra. Poco mancò che vomitasse.
- Andiamo, le vostre carceri non sono peggiori.
- Ah, ci sei stato? - fece Claude. Lui rise. E prese un corridoio a sinistra. C'era una fila stretta di scale che si snodava dentro a un muro fetido. Il carceriere cominciò a salire. Ad ogni passo prendeva un bel respiro.
- Ci sono stato, chiedi? No. Ci sono stati che conosco, però. Midicono che è un posto piacevole ... quando hai fretta di morire .. da cane.
Il Giudice non poté impedirsi che un sorrisetto gli alleggiasse sul volto.
- La nostra fama si spande.
- Anche la nostra - fece il carceriere. Poi si fermò - Lo vedrai tra poco quanto possiamo essere famosi. Riconoscenti.
Erano arrivati in cima a una scala.
Il carceriere prese da una tasca qualcosa che sembrava un altro topo sventrato. Ma questa volta era una bisaccia. Ci cacciò dentro le mani. Estrasse un lungo mazzo di chiavi. Le chiavi brillavano in modo inquietante nella penombra.
- E adesso stai fermo.
Prima che Claude avesse il tempo di fiatare, il carceriere lo depose a terra. Poi lo tirò su come un bambolotto. Claude Frollo era abituato a tutto, ma quando si trovò faccia a faccia con lui, non si sa come non si mise ad urlare. La faccia del gigante era una maschera, una poltiglia di carne e cicatrici che correvano dovunque, biancastre, come un groviglio di vermi impazziti.
- Questo è per Miguel, questo per Jago - fece mollandogli, in rapida successione, due cazzotti dritti alle costole - Questo per Jona e questo per il Duca. E stai contento che non te ne do altri. Ce ne sarebbero, ma ho finito le scorte. Questo è l'ultimo.
E come un fulmine fece calare sulla sua guancia almeno dieci chili di mano. 
Qualcosa esplose dentro Claude Frollo. Sentì la testa girargli, il cuore fare come una specie di rantolo. Sentì i polmoni che gli si accartocciavano. E poi più niente. Si accasciò a terra.
- Andiamo - fece il carceriere, e un lungo sorriso si dipinse sopra il suo volto - pensavo fossi di una pasta più forte, Giudice.
Frollo provò a dire qualcosa, ma aveva la bocca piena amaro. Sangue.
- Tu spera solo che esca morto di qui - sibilò piano, come se ogni sillaba gli costasse una fatica impossibile - Tu spera solo che esca morto di qui, perché se esco vivo ...
Ma il carceriere rise. Gli allungò un ultimo, ben calcolato calcio. Claude quasi neanche sentì la punta del grosso stivale contro lo stomaco. Ormai forse neanche lo aveva più, uno stomaco. Orma era solo carne e sangue che veleggiava allegramente verso l'incoscienza. L'ultima cosa che sentì fu di nuovo il fiato di cipolla sopra di lui. E adesso, oltre al fiato terribile, c'era anche qualcosa di nuovo. Sembrava la musica di un piffero, e in sottofondo un batter di tamburi. Sembrava anche l'argenteo scampanellio delle cavigliere di Esmeralda. Certo stava morendo, sognava quello che gli piaceva di più.
- Su, su, andiamo. La festa comincia. Tu sei l'ospite di eccezione.
Poi le due mani sulla testa, una benda nera. Cigolio di chiavistello. Poi la musica esplose, e insieme a quella migliaia di voci.

In tutta la sua lunga, e per certi versi piuttosto tormentata esistenza, Claude Frollo aveva visto molte cose. Alcune terribili, altre orripilanti, certune addirittura indegne di essere nominate da umano. Ma adesso, sbattendo le palpebre alla luce accecante di decine di torce accese, tra il pulsare del sangue alla testa e il dolore delle costole rotte, pensò che nulla di quel che aveva mai visto poteva essere confrontato con quello. La musica si era interrotta nell'esatto istante in cui il Giudice aveva fatto la sua comparsa. Non era esattamente l'ingresso cui era abituato, ma forse era meglio così. Comparsa era la parola adatta.
Davanti a lui c'era un gigantesco teatro, o meglio, un semicerchio enorme che si alzava, come una cavea da terra fino a pareti lontane, perdendosi nel buio e digradando in scaloni che parevano enormi. Doveva essere scolpito nella pietra perché qua e là si vedevano enormi squarci nel tufo, o in che diavolo era. Enormi panni, tendaggi, velami pendevano da ogni parte a mo' di tende, tendoni, strascichi. Il retro era tutto un brulichio mormorante di uomini, donne e bambini. Claude Frollo chiuse gli occhi, piano, e li riaprì. Dovunque gente, e ancora. Lo fissavano. Erano vestiti degli stracci multicolori degli zingari, ed erano migliaia. O forse solo centinaia, ma lui in quel momento non voleva sapere. Erano tutti silenziosi, come tombe, e tutti fissavano lui. C'erano un paio di disgraziati, lì vicino, con ancora i loro pifferi in mano. Una ragazza con un tamburello che aveva trecce come la sua Esmeralda ma mani tozze e uno sguardo cattivo. C'era una vecchia coperta di stracci che gli sputò, appena lo vide. Lo sputo atterrò a pochi centimetri dalla sua gamba.
Claude Frollo fece scorrere gli occhi sulla folla. Poi qualcosa attirò al sua attenzione. Un uomo enorme, ben più enorme del carceriere, lo stava fissando da molto lontano, e i suoi occhi, in mezzo a tutti quegli occhi, erano neri.
Claude Frollo di istinto abbassò la testa, e sa Dio se questo non gli costò, perché dalle spalle alle costole, dalla fronte alle scapole era tutto un unico grumo di dolore.
Non aveva più un colletto, e neanche quasi più i polsi della camicia. Quello destro sembrava essere stato rosicchiato. Lo guardò, con vago disgusto. Cercò di muovere la mano sotto. Il polso ruotava ancora, anche se indolenzito. Alzò una mano, se la portò alla guancia. La parte destra era in fiamme. La ritrasse.
- Da quanto tempo sono qui? - mormorò. Ancora si sentiva quegli occhi addosso. Occhi neri e maligni come carboni.
Poi d'improvviso la folla si zittì.
- Hai fatto un buon soggiorno, caro Giudice? - fece una voce, che sovrastava le altre come la nave da guerra si scaglia contro le onde, e le soverchia.
Claude Frollo seguì quella voce fino in alto, dove il grande anfiteatro (naturale? Scavato dalla mano dell'uomo?) si apriva in un circolo che si perdeva nel buio. Se fosse stato un teatro, lassù sarebbero stati i palchi più ambiti.
- Guardami, Giudice.
Era enorme. Lo stesso uomo dagli occhi neri di brace.
- Mi vedi, adesso?
Sembrava tutto ruotasse intorno a lui. Nella nebbia del dolore e del sangue, Claude Frollo vide migliaia di occhi puntati tutti su quel capo. Occhi cattivi, occhi che aspettavano in silenzio.
- Mi riconosci, Giudice?
Aveva indosso vesti ricchissime e un gran cappello con la piuma. Un lungo squarcio gli attraversava il petto nudo. Ma sotto portava una fascia coperta di gemme e attraversata da molti pugnali. In mano aveva una brocca d'argento.
Claude Frollo strinse gli occhi, provò a raggranellare quel minimo di voce che ancora da qualche parte gli restava. Fece appello a tutta la sua autorità.
- Sembri la parodia di un Écorcheur. Come potrei non riconoscerti, Duca d'Egitto?
Quello rise. Alzò la brocca e bevve.
- Brindo alla tua salute, Signore. E alla buona memoria che dimostri.
Posò la brocca, e una bella gitana che era al suo fianco gli sorrise.
- Sai perché sei qui?
- Me lo immagino.
- Non hai paura?
- Neanche un po'.
Non era vero. Ma avrebbe lasciato che lo squartassero, prima di mostrarne anche un'oncia.
- Bene. Sono contento che tu la prenda così. Ci rende tutto più facile. Il tuo avvocato dice che …
- Il mio avvocato?
Il Duca si fermò, la folla rise. Il Duca sollevò una mano. La folla si zittì all'istante.
- Perché tra poco qui ci sarà un processo.
Nonostante tutto, a Claude Frollo venne voglia di ridere.
- E da chi dovrei essere giudicato, e per cosa?
- Da un'Alta Corte di cui sono il Capo, il Giurato e il Giudice.
- Oh, molto bene. Peccato che mi paia di essere ancora l'unico e solo Ministro di Giustizia.
- Forse lassù - e così dicendo il Duca puntò un dito per aria - Peccato che qui siamo da tutt'altra parte. Qui ci sono delle Regole che forse tu non hai neanche mai sentito. O forse durante la notte hai studiato le Pandette Gitane?
Dagli spalti si levò, come un mare, una fragorosa risata. Erano tutti, e stavano ridendo, quella ciurmaglia di zingari. Claude Frollo sentì una fitta molto più atroce del dolore fisico, ma si costrinse a non abbassare gli occhi. Serrò le labbra, le stirò in una pallida imitazione sorriso.
Ricordati che adesso ne va della tua vita.
- Cosa c'è scritto in queste Pandette?
Il Duca, piano, alzò una mano in aria. Ora i suoi occhi erano neri come i pozzi di paura che stagnano in fondo al cuore di ogni male.
- Ora vedrai - poi fece un gesto - Entri la corte. Ho proprio voglia di vederti morire.
 
 
  
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