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Autore: Angy_Valentine    27/06/2012    11 recensioni
Ma Hisana è il bene più prezioso che ho, la piccola oasi di onesta serenità in questa casa, contro il mondo intero. In questa stanza non esistono ranghi, non esistono nobiltà e doveri, i pareri degli altri potrebbero contare quanto una goccia in un oceano, siamo solo io e lei, Byakuya e Hisana.
[Byakuya x Hisana]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Hisana Kuchiki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'When the Snow falls'
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Per la serie, a volte ritornano :’D un mesetto fa mi era venuta in mente la malsana idea di scrivere una ByaSana, e la prima parte con Hisana è stata anche abbastanza semplice – ma anche no – da scrivere. Poi però cascò il pero, perché Byakuya è tutto tranne che un personaggio facile da trattare, e questa parte è interamente dedicata a lui. Razza di antipatico. Che dire, questa è la seconda e ultima parte di “When the Snow falls”, è stato un progettino senza grandi pretese, giusto per sperimentare un approccio con questa coppia che, come ho già detto, amo veramente tanto. Giusto per farmi male, una sana dose di ByaSana è presente anche nella long AU che sto scrivendo, “Fire and Ice”, una crossover tra Bleach e D.Gray-Man – sarei ben felice se voleste darci un’occhiata ;) E giusto perché mi piace farmi male doppiamente, annuncio che c'è anche un sequel, "After the Snow, just the Silence". Proprio perché amo farmi male, LOL. BEh, vi lascio dunque al capitolo, badi giovani, sperando che vi piaccia come il precedente… ovviamente, commenti e critiche sono sempre ben accette, lo sapete *-*

 

 

 

When the Snow falls

雪が下がると

 

 

 

 

Part 2 – My heart with you




«Come primavera sei per me
dolce il mio regalo inaspettato
se prima di te la parola amore
non aveva più significato

Come un’alba schiudi gli occhi miei
e con i tuoi mi fai vedere il mondo
quando non ci sei vivi nei pensieri
io aspetto unicamente il nostro incontro.»

 

Lancio l’ennesima occhiata distratta al tempo che imperversa fuori, il cielo è ancora grigio e i rami secchi degli alberi vengono scossi dalla fredda brezza invernale. Nella caserma non si ode rumore di sorta, fatta eccezione per il lieve cicaleccio di alcuni seggi che passano sull’engawa della struttura.

Firmo quello che forse è il cinquantesimo rapporto della giornata, stamane sembravano essersi accatastati tutti in una volta, come se non avessi lavorato nelle passate tre settimane. Il paradosso è che è anche un periodo festivo, quindi la maggior parte degli Shinigami ne ha approfittato per prendersi una pausa, io stesso non dovrei nemmeno essere qui. Del resto, però, non posso nemmeno permettere che tutta questa burocrazia stagni sulla mia scrivania per altri due giorni.

L’ufficio è fortunatamente deserto, motivo per cui nessuno può vedere quanto effettivamente nervoso io sia. Lungi da me l’ignorare o svolgere male il mio lavoro per pensieri personali, ma non posso ignorare completamente chi ora è fuori al freddo, in chissà quale sperduto quartiere del Rukongai, in cerca di una bambina dispersa tra quei vicoli sudici. Fisso per diversi istanti la composizione di fiori che Hisana ha creato per me, piccola e semplice – modesta come lei, che non vuole mai spiccare troppo in mezzo agli altri. È stato uno dei primi doni che mi ha fatto dopo aver visitato per la prima volta il mio ufficio, allora spoglio di qualsiasi decorazione, pieno solo di registri e documenti. Mi aveva chiesto se mi sarebbe piaciuto avere qualcosa di colorato sulla scrivania, se non mi avrebbe dato fastidio – e quella sera, al mio ritorno a casa, avevo trovato quel piccolo vaso legato con un nastro azzurro chiaro sul tavolino dello studio. Fiori che, mischiati insieme, erano la sua dichiarazione d’amore più puro e genuino. Sembravano sapientemente scelti e abbinati per formare quel chiaro messaggio, non messi insieme solo per semplice bellezza cromatica – ed infatti, aveva distrattamente dimenticato il libro sui fiori aperto in camera.



«E quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto.»

Hisana non è il tipo che parla facilmente dei propri sentimenti, ha un’umiltà tale che, nei primi tempi, la famiglia la scambiava per mera e subdola accondiscendenza nei miei confronti, solo per mirare al patrimonio di famiglia. Peccato per loro che Hisana non sia affatto l’ipocrita arrivista che credono, e me ne dà riprova ogni giorno – nei più piccoli gesti, da come arrossisce e abbassa lo sguardo quando la guardo, con un leggero sorriso a piegarle le labbra pallide e fini, al fatto che io debba insistere più volte perché decida di concedersi un kimono nuovo. Ho come la vaga impressione che ritenga immeritato tutto ciò che possiede, come se quello che ha per lei sia già troppo. Mi ha parlato di una sorellina che ha abbandonato tempo fa nel Rukongai, quand’era solo una neonata – un errore che tutt’ora lei non riesce a perdonarsi. Diceva che sperava venisse accolta da qualcuno con più possibilità di lei, già indebolita dalla fragilità del suo corpo, da quella salute fin troppo cagionevole. Mi ha implorato di permetterle di cercarla, di poterla vedere ancora una volta, se è ancora viva o meno. Le ho chiesto se desiderasse venisse adottata nella famiglia, quando me ne ha parlato – era sua sorella biologica, in fondo. Sul momento non ha risposto, anzi, ha rifuggito il mio sguardo, puntandolo sulle mani che stringeva in grembo.

«Non oserei mai chiedervi una simile grazia, Byakuya-sama. Sarebbe il mio più grande desiderio sapere che potrà avere un futuro al sicuro dalla cattiveria che infesta quei quartieri, protetta dal vostro potere e dal vostro nome, ma so che siete in una posizione difficile. Non voglio mettervi contro la vostra famiglia più di quanto non sia già successo quando mi avete scelto come vostra sposa. Vi chiederei di concedermi la possibilità di… aiutarla in altri modi, fosse anche portandole abbastanza cibo ogni giorno, o donandole vestiti per proteggersi dal freddo, se non trovate sconveniente la mia richiesta.».

Come considerare arrivista una persona che rinunciava a richiedere la propria sorella in famiglia, solo per timore di ripercussioni su di me, pur desiderandolo con tutto il cuore? Quanto stava morendo dentro, mentre pronunciava quelle parole? Si era detta disposta anche ad andarsene, a tornare nel Rukongai con lei, una volta trovata – ma no, a quel punto io non gliel’avrei permesso, avrei obbligato gli anziani ad accettare quella sorellina esattamente come avevano accettato Hisana. Aveva rifiutato l’aiuto che le avevo offerto per cercarla, voleva potercela fare da sola, voleva pagare il suo debito nei confronti della sorella ad ogni costo, scontare la pena di quel rimorso anche a costo di peggiorare la propria salute. Con che coraggio gli anziani della famiglia potevano insultare alle spalle una persona che la nobiltà non l’aveva nel nome, ma direttamente nell’animo?

Anche oggi, quando le ho proposto di andare con lei, non ha avuto il coraggio di accettare la mia offerta – condannandomi così a passare più tempo a pensare a dove si trovi in quel momento, piuttosto che lavorare senza pensieri. Il Comandante desiderava ricevere adeguati ragguagli circa alcune delle ultime registrazioni fatte dal Clan Kuchiki – c’entrerà qualcosa il mondo terreno? – e, per il resto,  la brigata è stata ben felice di vedere che potevo tirare avanti le scartoffie burocratiche anche in questo periodo di festa, così da alleggerire il lavoro al nostro rientro. Firmo e metto da parte un altro foglio, ho letto giusto un paio di righe di quello che c’è scritto, più o meno come ho fatto per i precedenti sei o sette rapporti. Ma no, mi dico, se lei lo sapesse si arrabbierebbe, si sentirebbe in colpa – lavora bene anche per lei, Byakuya. Li riprendo e li leggo con attenzione, rimettendoli poi nella pila dove li avevo precedentemente depositati. Ne ho ancora parecchi che attendono di essere letti, devo restare concentrato, prima finisco e prima potrò tornare a casa. Diamine, non sono da me certi ragionamenti, lo so, se fosse un altro giorno non mi passerebbero nemmeno per l’anticamera del cervello – se poi lo venisse a scoprire il mio nobile nonno, che figura ci farei? Penserebbe di aver lasciato il casato in mano ad uno sprovveduto che si fa distrarre sul lavoro da un nonnulla – ma Hisana non è un nonnulla, non lo è mai stata, non lo è nemmeno oggi e non lo sarà mai, al contrario di quanto possano rinfacciarmi gli anziani. Sì, sottilmente continuano a sbattermi in faccia i loro pensieri, i loro rimproveri, il loro disgusto – per loro Hisana non è altro che una cosa sudicia, nemmeno si degnano di darne definizione, che infanga e porta disonore al nobile clan Kuchiki. Da un certo punto di vista hanno pure ragione, questo devo dirlo.

Hisana non era ricca, istruita, esperta di arti tradizionali o di nobili natali, non era altro che una povera disgraziata trovata per caso nel Rukongai dopo una caccia agli Hollow. Ricordo che quel giorno, quando me la ritrovai davanti inginocchiata a terra, stringeva al petto un vaso mezzo rotto con dell’acqua, salvato forse per miracolo dalle grinfie di belve molto più assetate di lei. Nel vedere il mio volto leggermente sporco di terra e sangue di Hollow, me l’aveva teso con un sorriso timido e le mani tremanti. Quella donna, coperta da un kimono rovinato e magra da far impressione, mi stava offrendo quella poca acqua che aveva trovato, dopo chissà quanti giorni senza mangiare o bere, solo perché avevo il viso sporco. Sul momento mi dissi che lo faceva solo perché mi temeva in quanto Shinigami, come uomo decisamente più grande di lei. Ma quelle iridi bluastre non erano tinte di timore, quanto di una strana… voglia di aiutarmi, di offrirmi il suo modesto aiuto. Chissà come c’era rimasta quando mi ero rialzato e le avevo voltato le spalle, mentre ancora mi tendeva la piccola anfora sbeccata, e me n’ero andato senza dirle neanche una parola. Ammetto che non so perché lo feci – avrei rifiutato comunque, ma potevo dirle pur qualcosa. “Non serve, è una sciocchezza”? “Tieni tu quest’acqua, ne hai più bisogno di me”? Avevo semplicemente preso nota di quale fosse il distretto e me n’ero andato senza pensarci più di tanto – di anime sfortunate ne avevo viste a bizzeffe, nel Rukongai, lei non era altro che una goccia nel mare della Soul Society.

Eppure non riuscii più a levarmela dalla testa, specie se guardavo attentamente gli atteggiamenti di chi mi circondava abitualmente. Da quanta ipocrisia e falso rispetto ero circondato, quanti mi adulavano solo per il nome che portavo sulle spalle? Il nome della famiglia, l’onore, il rispetto delle leggi, tutte cose che mi erano state inculcate in testa dal mio nobile nonno, una volta preso atto del fatto che sarei stato io il successivo capofamiglia, dal momento che il mio nobile padre era venuto a mancare. Non avevo mai disobbedito alle regole, non avevo passato l’infanzia a giocare con i miei coetanei – avevo solo tanto, troppo da studiare, e non potevo permettermi di perdere tempo. Accettai senza ribattere di entrare all’Accademia per gli Shinigami, di lavorare sodo per diventare un ufficiale del Gotei 13, mirando alla carica di futuro Capitano di brigata. Tutti risultati che ho ottenuto con i migliori voti, surclassando gli altri senza voltarmi un attimo a degnarli di uno sguardo.

Ma, si sa, quando si prende la carica di Capoclan, si presume ci si debba anche sposare. E, nonostante ci provassi in tutte le maniere, non riuscivo ad accettare l’idea che qualcun altro scegliesse la donna che sarebbe poi diventata mia moglie e magari madre dei nostri bambini, una donna che io avrei dovuto amare e proteggere. Avrei potuto fingere, questo è vero. Ma d’altro canto mi avevano insegnato il rispetto per l’onore delle persone, e da parte mia fingere di amare una donna, reclamarla tra le lenzuola senza provare nulla, era forse l’offesa più grave che avrei potuto arrecarle. Sperai quasi che le pretendenti scelte dalla famiglia fossero graziose e con un carattere amabile. Dire che rimasi disgustato dai loro sguardi famelici e dai loro vezzeggiamenti sarebbe ancora poco – della mia persona vedevano solo il cognome “Kuchiki” stampato a lettere cubitali dorate. Era alta nobiltà anche quella, per carità, ma non importante quanto il Clan Kuchiki. Me lo potevo pure aspettare, quanti sono i matrimoni legati da sincero amore, nell’aristocrazia? Mio padre era stato fortunato, era legato a mia madre da un sincero sentimento, sebbene si fossero conosciuti solamente ad un Omiai.

E fu allora che mi tornò in mente lei, con quei piedini sporchi di terra e il kimono rattoppato alla bell’e meglio, i capelli aggrovigliati e le braccia esili, quella donna che, senza dire nulla, mi aveva offerto un umile aiuto a proprie spese, senza chiedere nulla in cambio. Quanto tempo era passato? Un giorno, una settimana, un mese? Sarei stato ancora in grado di ritrovarla? Tornai a cercarla nel Rukongai e, una volta trovata, visto dove e come viveva, l’osservai più volte nell’arco di diverso tempo. Si prodigava per gli altri come meglio riusciva, aspettando di svoltare l’angolo e non esser vista per crollare. Non capivo, però, a cosa fosse dovuta la tristezza che vedevo chiaramente nel suo sguardo. Solo il giorno dopo le nostre nozze glielo chiesi, e lei mi raccontò tutto.



Quella fu la prima volta che andai contro le regole senza nessun rimorso. Sapevo che non era una marachella da bambini, quella che era diventata mia moglie era una donna povera e niente avrebbe cambiato questo fatto. Ma era buona dentro, e tanto mi bastava. E in questi mesi non mi sono mai pentito della mia scelta, e penso sarà sempre così. Ancor prima del nostro matrimonio Hisana si è data da fare per non deludere le mie aspettative, ha studiato per imparare le arti tradizionali come l’ikebana o la cerimonia del thè, non è mai stata invadente e non si è mai volutamente messa al centro dell’attenzione. È stata, forse, una delle scelte più giuste che abbia mai fatto.

Ah, ma sto di nuovo divagando. Concentrati, Byakuya, concentrati, o questi rapporti resteranno qui in eterno. Intingo nuovamente il pennello e firmo l’ennesimo foglio, prendendo nota su un altro di poche ma preziose informazioni. La caserma non è mai stata tanto silenziosa e, sebbene io stesso sia un cultore della calma durante il lavoro, devo ammettere che ora questo silenzio ha un ché di opprimente. Non ho neanche idea di che ore siano, da quanto sono chiuso qui in ufficio? Due, tre ore? È già pomeriggio? Non mi azzardo a controllare, in ogni caso sarebbe troppa l’angoscia che mi salirebbe a sapere con precisione da quanto tempo mi sono separato da lei. Lavora, Byakuya, lavora.

 

Quando finalmente mi riconnetto alla realtà, noto con un certo piacere che la pila di resoconti si è ridotta a due o tre fogli. Li leggo velocemente, firmando dove necessario, e finalmente poso la schiena contro la spalliera della sedia. Ora non ho veramente idea di che ore siano, ho lavorato senza sosta obbligandomi a non pensare a nulla se non ai dati che avevo davanti – ma l’orologio appeso alla parete dell’ufficio mi rende noto che è ormai pomeriggio inoltrato, la luce sta cedendo il posto ai primi stralci delle tenebre serali. È passato veramente così tanto tempo? Alla fine ho trascorso praticamente tutto il giorno qui in ufficio, le ore sono letteralmente volate. Chissà se Hisana è già rientrata a casa. Risistemo la scrivania e metto i vari fascicoli in un cassetto, lasciandomi finalmente l’ufficio alle spalle. Francamente, l’idea di tornare con calma a casa non mi garba affatto – lo Shunpo è la soluzione spontanea, non c’è nemmeno bisogno di starci a pensare.

Rallento a poca distanza dal maniero, varcando dopo pochi minuti il grande cancello. Il giardino è deserto, ancora coperto dal manto bianco della neve, intatto. Quando entro in casa i servi sono già lì ad accogliermi, inchinati per darmi il bentornato. Adocchio uno dei più anziani, Nobutsune Seike, tra i primi della fila, ed è a lui che mi rivolgo subito. Immagino sappia già cosa voglio sapere, come leggo nei suoi occhi stanchi nascosti dietro una montatura tonda degli occhiali. Però attende una mia parola, un mio accenno.

«Bentornato a casa, Byakuya-sama.» mormora con un leggero inchino «Vi attendavamo.».

«Hisana è già tornata?» non m’interessano i convenevoli, non ora. Quello che mi rivolgono è sempre lo stesso saluto ogni santo giorno da interminabili anni.

«No, signore, la nobile Hisana non è ancora rientrata.».

Ed è allora che sento un macigno crollarmi sul cuore. Di solito sta via poche ore, verso pomeriggio è già a casa che riposa – più per necessità che per sua volontà. Possibile che l’abbia veramente trovata, che si sia attardata con lei? In cuor mio spero che il motivo del suo ritardo sia questo. Eppure non ho nessuna intenzione di restare qui ad attenderla, contando i secondi che passano con l’ansia sempre più grande – al che mi volto ed esco di nuovo, mentre i servi tentano inutilmente di farmi restare con le classiche frasi di circostanza, “vedrete che tra poco sarà di nuovo qui”, “non ci metterà molto a tornare”. Parlano facile, loro. Non ho idea di come considerino Hisana, contando che poteva benissimo essere una di loro, ma ora come ora non m’interessa. Prima che riescano a dire altro sono già sparito alla loro vista – e intanto osservo attentamente ogni strada della Seireitei per vedere se sta veramente tornando a casa. Solo quando mi ritrovo ancora senza di lei davanti al cancello mi rendo conto che no, non è tornata alla Seireitei, è ancora in quel labirinto infinito del Rukongai. Tiro fuori quel piccolo dispositivo datomi dal capitano Kurotsuchi, una sorta di simil-cercapersone commisionatogli appositamente in vista di simili occasioni – c’era voluto del bello e del buono per convincerlo –, in grado di rilevare la posizione di chiunque solo mediante il battito cardiaco. Sì, lo ammetto, è stata una vigliaccata da parte mia metterle addosso quell’ambigua sottospecie di microspia, ma non voglio correre il rischio di cercarla in lungo e in largo, mentre lei magari sta male, e arrivare solo quando è troppo tardi. E se serve ad assicurarmi di poterla sempre trovare, ovunque essa sia, accetto di buon grado – o anche no – di farmi aiutare da quell’assurdo individuo che è Mayuri Kurotsuchi. Osservo i dati che quel dispositivo mostra sullo schermo e sgrano gli occhi. Hisana, quanto ti sei spinta lontana, oggi? Lo sapevo che sarei dovuto venire con te, tutti i michiyuki pesanti o gli haori caldi che puoi indossare non mi tranquillizzerebbero mai abbastanza, o le tue rassicurazioni, so che lo fai per me, Hisana, ma sono stato un vero stolto a non venire con te.


Corro, corro come se non ci fosse un domani, come se da questo dipendesse la tua vita – e forse è davvero così. Ti prego, Hisana, resisti ancora un poco. Dammi il tempo di ritrovarti e di portarti a casa, di farti stendere al caldo, di curarti, di stringerti e sentire il tuo respiro leggero, quel tuo sussurrato “va tutto bene, Byakuya-sama”, le tue mani che mi tirano la stoffa del kimono, il profumo di lavanda sui tuoi capelli – è l’odore che sento ogni volta che fai il bagno, so bene che è il tuo preferito. Voglio poter vedere ancora il tuo sorriso, quei tuoi occhi così sinceri, umili come il primo giorno in cui t’ho vista e mi offristi il tuo aiuto, voglio potermi addormentare stringendo la tua mano o, perché no, amarti come la nostra prima volta, non è stata per dovere, per concepire l’erede, per chissà che altri futili motivi – volevo solo dirti quanto ti amo in un altro modo – e poi dormire stringendoti a me, restando ad osservarti ancora addormentata il mattino dopo. Sarò anche drastico a fare subito pensieri così pessimisti, come se avessi la consapevolezza che nella nostra storia non c’è futuro, che sto per perderti, ma perdonami, Hisana, ai miei occhi sei fragile come il cristallo, d’una delicatezza tale da rischiare d’infrangerti anche solo per sbaglio, al minimo tocco un po’ più insistente.

E intanto il paesaggio desolato del Rukongai mi scorre accanto, passo sui tetti delle capanne, la neve che si è deposta non ha il tempo di scricchiolare per il mio peso, è questione di frazioni di secondo. Ormai sei vicina, Hisana, il dispositivo nella mia mano suona senza sosta, come ad incitarmi ad andare ancora più veloce. Avverto all’improvviso il nitrire di un cavallo, ti sei spinta addirittura al di fuori di questo distretto? È un campo in rovina quello che mi si presenta davanti, a parte qualche sporadico albero e un fiume lercio che scorre poco più sotto. Dove sei, Hisana? Finalmente vedo il cavallo, lo riconosco, Arashi è sempre stato il tuo preferito, vero? Ma gli manca la coperta sotto la sella, hai visto? Hai avuto bisogno anche di quella per questo freddo. L’animale scalpita nervoso, sbatte gli zoccoli sul terreno, nitrisce come per richiamarmi. Ed infatti eccoti, Hisana, rannicchiata ai piedi di uno di quei pochi alberi spogli – ma non hai addosso la coperta che manca ad Arashi, stai lì ad occhi chiusi con le braccia strette al petto. Spero solo non sia davvero troppo tardi…

Tolgo velocemente l’haori e glielo sistemo addosso con cura, cercando di coprirla il più possibile. Il suo viso è più pallido del solito, la pelle fredda come la morte. Eppure respira, respira ancora, aggrappata a quel sottile filo di vita che ancora la tiene in questo mondo. La stringo forte, più forte che posso, quasi fregandomene del fatto di poterle fare male, cercando di trasmetterle quanto più calore possibile. Mi rialzo tirandola su, lego alla meno peggio le redini del cavallo all’albero e parto di nuovo con lo Shunpo, sempre tenendo Hisana stretta tra le braccia. Per l’animale posso sempre mandare qualcun altro a riportarlo a casa, mia moglie è molto più importante, non la si può sostituire. Non mi soffermo minimamente a guardarmi intorno, oltrepasso i cancelli della Seireitei evitando il guardiano, non ho tempo da perdere per certe quisquilie. Non passo nemmeno dal portone principale della residenza, atterrando nel giardino privato su cui si affaccia la nostra camera e apro gli shoji per entrare. Non mi preoccupo di togliere i waraji, accucciandomi e scostando la coperta del futon di Hisana – e lentamente la deposito lì, lasciandole addosso anche il mio haori. Kami-sama, è così pallida, il suo respiro è quasi impercettibile. Per diversi minuti non si muove, ammetto che l'ansia mi sta divorando come un cancro. Sto per alzarmi per andare a chiamare il medico quando, grazie al cielo, la sento chiamarmi per nome.

«Byakuya-sama…».

Parla con un filo di voce, respirando a fondo e aprendo piano gli occhi – sono lucidi, quasi acquosi. Che abbia la febbre? Le sfioro la fronte con la mano, o è gelida lei o sono io che sono diventato una fornace. Solo in quel momento mi rendo conto di quanto siano sudate, le mie mani.

«Ti senti male, Hisana? Vuoi che chiami il medico?».

Lei scuote lentamente la testa, serrando le palpebre. Si sistema meglio sul futon, osservando per un attimo il bordo bianco che le sfiora la guancia.

«Il vostro haori…».

La vedo muoversi ulteriormente, quasi a volerselo sfilare. Benedetta donna, quanta pazienza ci vuole con te. Quando capirà che da lei devo essere considerato un suo pari? Probabilmente mai, ma non disperiamo. Le sfioro la guancia con la mano, stirando appena un sorriso.

«Tienilo, Hisana, ora non mi serve.».

«Ma si stropiccerà…».

«Non ha importanza. Pensa a stare al caldo, per ora. Vuoi dormire un po’?».

Scuote di nuovo la testa in senso di diniego. Spero davvero le basti un semplice riposo come questo, ma probabilmente l’ha detto per non invitarmi sottilmente ad andarmene o non farmi preoccupare. La farò comunque visitare non appena si sarà addormentata, in ogni caso. Lentamente una sua mano sbuca da sotto le coperte, cercando alla cieca la stoffa dei miei hakama – la prendo nella mia, la stringo, la scaldo. Mi piace riuscire a stringerla tanto da avvolgerla completamente, scioccamente mi dà l’illusione di essere abbastanza da riuscire a proteggerla. Ma sviste come quella di oggi non devono assolutamente ripetersi, e al diavolo ciò che penseranno gli anziani. Anche se temo che Hisana non sarebbe molto d’accordo.

«Sapete, Byakuya-sama…» riprende dopo qualche minuto «In quel campo, prima che voi arrivaste, io… ho ripensato al nostro primo incontro…».

Esattamente la stessa cosa a cui ho pensato io in ufficio. Cos’è, Hisana, una strana sorta di telepatia? È sempre strano, ma bello vedere che condividiamo anche gli stessi pensieri, almeno per quanto riguarda i nostri trascorsi.

«Il giorno in cui rifiutai l’acqua che mi offrivi? Non devo averti fatto una bella impressione, perdonami.».

«No, io… pensavo l’aveste rifiutata perché… consideraste umiliante l’idea di farvi aiutare da una stracciona come me. Non che vi colpevolizzi, se davvero la pensavate così…».

«Se l’avessi pensato davvero, mesi dopo non ti avrei chiesto di diventare mia moglie.».

Stavolta non replica minimamente, anzi, arrossisce e stira le labbra in un leggero sorriso. Sorriso che scompare, però, dopo pochi istanti. Non voglio farle quella domanda a cui, già lo so, seguirà una risposta negativa.

«Non sono riuscita a trovarla…».

E infatti. Basta quel pensiero a far adombrare il tuo sguardo, Hisana, te ne sei mai accorta? Chiude nuovamente gli occhi lasciandosi scappare un sospiro, forse raccogliendo le speranze per tentare nuovamente un altro giorno. Anche se volessi non ci sarebbero parole abbastanza convincenti da permetterle di accettare il mio aiuto – è così tremendamente testarda, a volte. È in momenti come questo che mi sento totalmente impotente, perché so già in partenza che lei non mi darà assolutamente retta, continuerà per la sua strada, cercando una sorella che non si sa nemmeno se sia ancora viva. Quel che è certo è che continuerò a starle accanto più che posso, contravverrò più che volentieri alle regole, se necessario – non sarebbero parole da me, ne sono consapevole. Ma Hisana è il bene più prezioso che ho, la piccola oasi di onesta serenità in questa casa, contro il mondo intero. In questa stanza non esistono ranghi, non esistono nobiltà e doveri, i pareri degli altri potrebbero contare quanto una goccia in un oceano, siamo solo io e lei, Byakuya e Hisana.

Le sfioro la guancia e le asciugo le lacrime con un pollice, delicatamente, mentre lei si lascia scappare qualche singhiozzo. Piange, perché per lei è stato un altro fallimento, un altro giorno in cui ha condannato la sorella a restare in quelle strade sudice, e non è insieme a lei. Piange, si sfoga silenziosa, ancora timorosa di disturbare. La sua mano esile stringe la mia, ci si aggrappa, quasi, se la preme contro il viso aggiungendo anche l’altra, come a farsi forza con quel semplice tocco. Lascia scorrere le lacrime in silenzio, finché non la sento respirare molto più profondamente – e quelle righe umide sulle guance vanno via via a seccarsi. Finalmente sembra essersi calmata, tanto da riuscire ad addormentarsi – o forse è semplicemente sfinita. Accarezzo i capelli che le coprono i lati del viso, spostandoli indietro, tranne quel ciuffo nero che ha sempre in mezzo agli occhi,  e resto lì con lei, riprendendo piano quella mano abbandonata sopra la coperta.

Intanto, in giardino, la neve ha ripreso a cadere.

 


«Perché quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto

Ti prendi di me ogni cosa e non mi togli niente
vorrei sapessi quanto sei importante
ti voglio adesso e sempre
è questa la promessa che io faccio a te
che io faccio a te.»

La Promessa - Stadio

 

   
 
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