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Autore: QueenVLondon    28/06/2012    2 recensioni
Sarah Kant è una giornalista che si è da poco trasferita a Los Angeles. George Wellington è uno degli attori più pagati e richiesti di Hollywood. Ma c'è di più: lei è una sua fan praticamente da sempre e non riesce a credere alla sua fortuna quando viene incaricata di intervistarlo.
Ma George sarà davvero come appare?
Dal testo:
"In quel momento non ero la giornalista andata lì, professionalmente, per intervistarlo. In quel momento ero soltanto una ragazza che si trovava davanti all'improvviso il ragazzo che le piaceva, che l'aveva sempre affascinata e di cui seguiva la carriera praticamente dalla notte dei tempi".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Battei nervosamente un piede sul pavimento di legno e sbuffai. Forse avevo capito male l'ora, oppure il posto. Non poteva essere così in ritardo. Insomma, era una questione di rispetto e di professionalità. Avrebbero almeno potuto avvisarmi, così avrei evitato di fare le corse per essere al Ritz alle 7:00AM.

Stavo quasi per andare verso la reception in cerca di spiegazioni, quando un uomo basso, di corporatura media e dalla carnagione olivastra venne verso di me.

Lo riconobbi al primo sguardo come uno dei suoi agenti.

“Miss Kant di Inside the Movies?”, mi domandò, squadrandomi da capo a piedi.

“Sì, sono io”, gli assicurai, costringendomi a sorridere e cercando di apparire sicura di me più di quanto non mi sentissi in realtà.

“Mi spiace per questo ritardo. Mr Wellington la raggiungerà a breve”.

“D'accordo”, dissi educatamente.

“Può accomodarsi ad aspettarlo sulla terrazza”.

Annuii e mi diressi verso la direzione che mi stava indicando, felice di prendere un po' d'aria.

Lavoravo per Inside the Movies da due anni e quattro mesi ed ormai ero abituata alle interminabili ore di attese per incontrare le celebrità.

Tuttavia, quella volta era diverso...

Trascorsero altri 15 minuti e di George Wellington neppure l'ombra. Stavo veramente iniziando ad innervosirmi. Era sempre stato noto nel nostro ambiente per la sua serietà durante le interviste, ma forse era solo una facciata costruita ad arte.

Ingannai l'attesa controllando varie email del mio capo, Mr Bones, sul mio iPhone.

Finalmente, George comparve di fronte a me. Erano passati più di due anni dall'ultima volta che lo avevo incontrato, quando ero ancora solo una stagista. Cercando di essere il più professionale possibile, nonostante il mio cuor battesse a mille, lo salutai con un sorriso cordiale e gli strinsi la mano.

L'attore si sedette davanti a me.

“Mi scusi per il ritardo, Miss Kant”, iniziò.

“Si figuri. Ne ho approfittato per portarmi avanti con del lavoro arretrato”, replicai con un sorriso professionale.

Lui annuì serio.

Tirai fuori il registratore e gli posi le prime domande. Iniziai con quelle standard sul suo nuovo film, “Inside”, sul rapporto con i colleghi, sulle riprese. Lui rispose meccanicamente. Probabilmente ormai erano semplici battute che si limitava a recitare intervista dopo intervista. Avrei fatto volentieri a meno di sentirmi ripetete con voce monocorde notizie che già conoscevo a memoria, ma il giornale non mi pagava per le mie parole, ma per le sue. Così recitai quel copione insieme a lui.

Lo ascoltavo a malapena, concentrata com'ero ad osservarlo. Indossava una camicia celeste sopra un paio di pantaloni neri. Non avevo fatto in tempo a controllare le scarpe, ma ero quasi del tutto certa che si trattasse delle solite All Stars nere. Un must.

Cinque minuti dopo, George fece una smorfia e si portò una mano alla tempia, massaggiandosela. Incerta sul da farsi, e assolutamente consapevole che non avrei potuto fare cosa più stupida e meno professionale, misi il registratore in pausa.

“Tutto apposto?”, gli domandai, non riuscendo a trattenermi e sperando di non perdere la mia credibilità.

Lui annuì.

Il tuo colorito verdastro sembra dire il contrario, pensai.

“Sì, grazie. Solo un leggero mal di testa. Possiamo proseguire?”, mi chiese frettoloso.

“Certo”, risposi, presa in contropiede.

Riaccesi il registratore e continuai con la serie di domande che mi ero preparata.

Stavo per porgli l'ultima, quando il suo cellulare squillò.

Si scusò e controllò chi lo stesse cercando.

“Abbiamo finito?”, mi chiese, rimettendo in tasca il telefono e guardandomi negli occhi.

Erano dello stesso colore dell'oceano.

“In realtà credo che ci sia il tempo per l'ultima domanda”, replicai educatamente.

“Certo... Prego”.

Gli posi l'ultima domanda riguardo al suo nuovo progetto, ma lui tergiversò. Passò da un argomento all'altro, rendendomi assolutamente impossibile capire dove volesse andare a parare. Forse stava solo cercando di confondermi, oppure stava giocando. Oppure non aveva idea neppure lui di quello che stava dicendo. O, semplicemente, non voleva rispondere.

Fatto sta che alla fine mi arresi, lo ringraziai per il suo tempo ed uscii, insoddisfatta, dall'hotel.

 

Mettere insieme l'intervista non richiese molto tempo. In realtà avevo già buttato giù la bozza prima di incontrarmi con lui. Così quella sera andai con il mio ragazzo, William, e con degli amici in un locale vicino alla Soho House.

Ordinammo da bere e trascorremmo la serata chiacchierando del più e del meno, almeno fino a quando Samantha, che oltre ad essere la mia più cara amica era anche una collega, non mi chiese qualche pettegolezzo sulla mia intervista all'attore.

“Beh, potrai leggerla insieme a tutti i comuni mortali il prossimo mese”, le risposi con un sorriso.

“Simpatica. Dai!”

“In effetti sono curioso anch'io. Non hai detto nulla in proposito”, si intromise Will, poggiando una mano sulla mia coscia.

“Perché so essere professionale!”, replicai. “Non c'è molto da dire in effetti... Mi sono limitata a fare le solite noiosissime domande”. Le cui risposte sapevo a memoria, aggiunsi mentalmente.

“E come ti è sembrato lui?”, mi domandò Sam.

Rimasi in silenzio, incerta su cosa dire.

Come mi era sembrato George?

Avevo atteso pazientemente due anni per riuscire a farmi affidare un'intervista con lui e dire che ero rimasta delusa non era abbastanza. Non che mi aspettassi di riuscire a strappargli chissà quale informazione cruciale, tuttavia mi sarei aspettata almeno un sorriso sincero. O, per lo meno, uno falso più convincente. Per non parlare di un minimo di puntualità. Insomma: le mie attese si erano sciolte come neve gettata nel fuoco.

“L'ho intervistato Sam. Non l'ho incontrato per una chiacchierata amichevole”, le risposi, forse un po' troppo acidamente.

“Cavoli, è andata così male?”, mi domandò il mio ragazzo, riponendomi un ciuffo ribelle dietro all'orecchio.

Will era davvero un tesoro: sapeva quanto tenessi a quell'intervista e soprattutto a quell'uomo, nonostante non potessi dire di conoscerlo.

“E' stata solo un'intervista. Tutto qui”, mi limitai a dire.

“Beh, sono certo che fosse solo di pessimo umore”.

O forse avrebbe preferito essere intervistato da un'altra persona...

Feci il possibile per scacciare quel pensiero ridicolo, in modo da non rovinarmi quella serata coi miei amici, eppure ricordavo perfettamente che tutti i miei colleghi avevano avuto un'impressione totalmente positiva su di lui. Tutti tranne me. Per cui il problema potevo davvero essere io. Mi augurai con tutte le mie forze di sbagliarmi.

Forse Will aveva ragione: magari aveva solo mal di testa e non aveva voglia di rispondere alle solite domande che tutti gli avevano già posto mille volte. Doveva essere per forza così.

Un'ora dopo Sam, Peter e Ryan se ne andarono, lasciando me ed il mio ragazzo soli. Restammo lì per un altro po', dopodiché decidemmo di rientrare anche noi, visto che Will aveva un'importante riunione la mattina seguente.

Will tirò fuori le chiavi dell'auto e mi precedette, tenendomi aperta la porta dal locale. Era un vero gentleman. Stavo per avvicinarmi a lui e baciarlo quando sentii una risata provenire da un paio di metri accanto. Mi voltai senza pensarci e lo vidi lì con quelli che ipotizzai essere dei suoi amici, anche se non li avevo mai visti prima in nessuna foto.

George Wellington. A pochi metri da me.

In quel momento non ero la giornalista andata lì, professionalmente, per intervistarlo. In quel momento ero soltanto una ragazza che si trovava davanti all'improvviso il ragazzo che le piaceva, che l'aveva sempre affascinata e di cui seguiva la carriera praticamente dalla notte dei tempi.

Feci un respiro profondo. Will ridacchiò, ma non disse nulla. Lo ringraziai mentalmente per il suo tatto. Era davvero il ragazzo perfetto.

“Ehm... Vuoi rimanere qui a fissarlo?”, mi chiese ad un certo punto.

Nonostante avesse la pazienza di un santo, non potevo chiedere la luna. Era umano anche lui.

“No, certo”, replicai con un sorriso nervoso.

Mi sentivo le guance in fiamme.

“Senti io intanto vado a prendere la macchina, okay?”

“Va bene. Grazie, tesoro”, dissi, baciandolo.

“Faccio in fretta”, aggiunse.

Guardai attentamente George e mi resi conto soltanto in quel momento delle condizioni in cui era. Dire che era ubriaco non era sufficiente a descriverlo. Ma non erano certo affari miei quello che faceva, specie nel suo tempo libero... Ringraziai mentalmente che Sam non fosse con me: sarebbe stato impossibile convincerla a non scattare foto. Fortunatamente per lui non c'erano neppure paparazzi in giro.

Will non era ancora tornato, così rimasi lì in piedi ad osservare ogni gesto dell'attore.

Per poco non mi venne un infarto quando lo vidi camminare verso la sua auto con le chiavi in mano, dopo aver salutato i suoi compagni.

Ma era totalmente pazzo?

Tutti i miei buoni propositi sul farmi gli affari miei e non lasciarmi coinvolgere in faccende che non mi riguardavano andarono in fumo in un istante.

Non potevo permettere che si mettesse al volante in quello stato. Non mi sarei mai più potuta guardare allo specchio nello stesso modo se fosse successo qualcosa.

Così, consapevole che mi stavo avventurando in un terreno pericoloso, feci un respiro profondo e lo raggiunsi proprio mentre stava infilando la chiave nell'auto. Beh, sarebbe più corretto dire che ci stava provando.

Mi schiarii la voce e gli toccai una spalla con un dito.

Lui si voltò verso di me e mi fissò. Parve non riconoscermi neppure, nonostante ci fossimo presentati non più di 15 ore prima.

Mi guardò come a chiedermi cosa volessi da lui.

Mi schiarii nuovamente la voce e gli ricordai chi fossi.

Il suo sguardo passò dal vuoto allo sconcertato all'irritato in un nanosecondo.

“Mi dispiace Miss Kant, ma non penso di voler continuare l'intervista di questa mattina. Ho già detto tutto ciò che dovevo”.

“Non si tratta di questo... Mi spiace, so che non sono affari miei, ma dovrebbe prendere un taxi”, gli dissi, cercando di apparire calma.

In realtà ero un fascio di nervi pronto ad esplodere. Mi sudavano le mani ed ero certa di poter collassare da un attimo all'altro.

Lui mi guardò incredulo. Poi scoppiò a ridere. Aveva le pupille dilatate e dubitavo c'entrasse solo l'alcol.

“Sta scherzando?! Non penso che quello che faccio la riguardi. Non è mia madre. Non è nessuno. Non devo certo chiederle il permesso per salire sulla mia auto”, borbottò fra una risata e l'altra, scuotendo la testa divertito.

Detto ciò, riuscì finalmente ad inserire la chiave nella serratura ed aprì lo sportello.

Le sue parole mi avevano ferita più profondamente di quanto non avrei mai creduto possibile. Ma aveva ragione: io non ero nessuno per lui.

Ma non si poteva dire il contrario. Purtroppo.

Perché diamine mi sono messa in questa situazione?

Incerta su cosa dire, mi limitai a restare in silenzio, mentre saliva in macchina.

Qualunque altra persona sana di mente lo avrebbe mandato a quel paese e se ne sarebbe andata con un'alzata di spalle. Peccato che io non mi fossi mai considerata appartenente a quella categoria. Così non mi allontanai e, quando ebbe chiuso lo sportello, bussai al finestrino.

George mi guardò furioso e, per un attimo, ebbi quasi paura di lui. In fondo non lo conoscevo, per cui non potevo immaginare quale potesse essere la sua reazione in quelle condizioni.

Fortunatamente in quel momento sentii dei passi famigliari alle mie spalle. Mi voltai e vidi Will.

“Ehi, tutto bene qui?”, mi chiese, piombandomi alla spalle.

Annuii. Ma probabilmente non fui molto convincente.

George ci fissò.

“Cosa succede?”, mi domandò il mio ragazzo sottovoce.

Gli spiegai la faccenda in due parole e mi resi conto che stavamo attirando l'attenzione.

Will prese in mano la situazione. Era uno dei lati positivi del suo mestiere di avvocato: sapeva gestire ogni imprevisto ed ogni tipo di persona. Avrei pagato oro per avere il suo sangue freddo.

“Scendi”, ordinò a George.

“Stai scherzando, spero!”, replicò questo.

“Andiamo, non puoi guidare in queste condizioni. Non me ne frega niente se vai a sbattere contro un albero, ma non sei il solo sulla strada. Scendi”.

Vidi l'espressione dell'attore passare dallo sbalordito al rassegnato.

“Sono disposto anche a tirarti fuori da lì personalmente”, aggiunse Will.

Conoscendolo, sapevo che non stava scherzando e sapevo anche che quella situazione non gli piaceva affatto. Se fosse stato per lui se ne sarebbe andato senza dire una parola, ma era consapevole che per me era importante.

Fissai preoccupata entrambi. Ci mancava solo una rissa per concludere la serata in maniera perfetta...

Fortunatamente però George parve riacquistare un minimo di lucidità, perché aprì lo sportello e scese dall'auto.

Si reggeva a malapena in piedi. Will gli diede una pacca sulla spalla, come si fa fra due vecchi amici, e diede un'occhiata in giro. C'era parecchia gente e nemmeno l'ombra di un taxi.

Mi spremetti le meningi alla ricerca di qualcosa da dire. Vuoto totale.

“Senti c'è qualcuno che può passare a prenderti?”, gli domandò il mio ragazzo. “Posso...?”

L'attore si sfregò un braccio con una mano e scosse la testa.

“No”.

“Okay...”.

“Possiamo accompagnarlo noi”, proposi a Will, non guardando l'altro.

Il primo mi fissò per un attimo prima di dire:

“Amore, non ce la faccio a passare pure dal Ritz. E' dall'altra parte della città. Devo svegliarmi fra meno di 4 ore...”.

Accidenti. Avevo totalmente rimosso la riunione di Will coi soci anziani dello studio. Doveva presentarsi riposato.

“Okay...”.

Un'idea assolutamente malsana si fece largo nella mia mente.

“Potrei accompagnarlo io”, gli sussurrai.

“Non se ne parla”.

“Tesoro...”.

“Senti, amore. Non è che non mi fidi di te, okay? Non mi fido di lui, viste le condizioni...”.

“E cosa proponi?- gli chiesi, interrompendolo- Non possiamo restare qui tutta la notte a cercare un taxi...”. E non possiamo lasciarlo da solo in mezzo alla strada, aggiunsi mentalmente.

Will sospirò, vagliando le opzioni.

“D'accordo. Ma voglio che mi chiami non appena sei a casa, va bene?”

“Certo”, dissi, accarezzandogli una guancia e baciandolo.





Ciao a tutti!!
E' la prima volta che scrivo una storia originale, per cui spero che l'esperimento sia riuscito.
La storia sarà composta in totale da 3 capitoli, che posterò circa a distanza di una settimana l'uno dall'altro.
Lasciate un commento se vi va!
Sono molto curiosa di conoscere le vostre opinioni!
Kisses
Vale

  
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