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Autore: QueenVLondon    05/07/2012    0 recensioni
Sarah Kant è una giornalista che si è da poco trasferita a Los Angeles. George Wellington è uno degli attori più pagati e richiesti di Hollywood. Ma c'è di più: lei è una sua fan praticamente da sempre e non riesce a credere alla sua fortuna quando viene incaricata di intervistarlo.
Ma George sarà davvero come appare?
Dal testo:
"In quel momento non ero la giornalista andata lì, professionalmente, per intervistarlo. In quel momento ero soltanto una ragazza che si trovava davanti all'improvviso il ragazzo che le piaceva, che l'aveva sempre affascinata e di cui seguiva la carriera praticamente dalla notte dei tempi".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Hai mai guidato una porsche?”, mi domandò George non appena fummo fuori dal parcheggio della Soho House.

“Certo. Ne ho una decina nel mio garage, di colori diversi. La scelgo quotidianamente in base al mio umore”, replicai con un sorriso.

Lui ridacchiò.

Per una decina di minuti nessuno di noi disse più una parola e, francamente, iniziavo a sentirmi molto a disagio in sua compagnia. Se guidare quella potente auto non avesse richiesto tutta la mia concentrazione, probabilmente sarei morta per l'emozione di trovarmi con lui in uno spazio così ristretto. I battiti del mio cuore erano... Beh, per fortuna c'erano ancora!

Cercai di ricordare a me stessa che ero una donna di 26 anni ormai adulta, con un lavoro che amavo- almeno la maggior parte del tempo- e con un ragazzo meraviglioso accanto.

Peccato che, in quel momento, tenere a mente tutto ciò era più facile a dirsi che a farsi. Avevo la mascella serrata, facevo fatica a deglutire e mi sudavano le mani.

George, da parte sua, sembrava rilassato. Ma probabilmente dipendeva dal fatto che aveva a malapena cognizione di dove si trovava e non poteva sapere quello che stavo pensando.

Quando finalmente vidi l'insegna del Ritz, sgranai gli occhi e mi lasciai sfuggire un “Oddio”. L'hotel era circondato dai paparazzi. Ce n'erano praticamente ovunque. Rallentai e guardai l'uomo accanto a me in attesa che mi dicesse cosa fare. Peccato che avesse gli occhi chiusi.

Incerta sul da farsi, decisi di accostare in una via poco lontana dall'hotel. Spensi l'auto e sfiorai il braccio dell'attore nella speranza che ciò bastasse a svegliarlo. Speranza che si rivelò vana. Ovviamente. Feci un respiro profondo e gli toccai con maggior vigore la spalla. Ci impiegò qualche secondo, ma alla fine aprì gli occhi e mi guardò confuso.

Chiaramente non aveva la più pallida idea di chi fossi. Fece finta di nulla e gli esposi la questione. Lui si prese la testa fra le mani e mi indicò quella che ipotizzavo fosse la strada che portava a un altro ingresso dell'hotel.

Mi ero trasferita a Los Angeles soltanto da 4 mesi, insieme a Will, ed ancora non avevo memorizzato tutte le vie.

Tuttavia, mi resi improvvisamente conto che c'eravamo allontanati molto. Stavo per dirglielo, quando lui mi sussurrò con voce roca:

“Non stiamo tornando al Ritz. Ho una casa da queste parti”.

La notizia mi spiazzò.

“Okay. Dimmi quando devo fermarmi”.

Ormai ero passata dal lei al tu quasi senza accorgermene.

Guidai per un altro centinaio di metri, dopodiché George mi indicò una villetta con un alto cancello grigio e mi fece cenno di entrare. Aprì il cancello con il telecomando che aveva in tasca e così varcai quella soglia. Un confine che non avrei mai creduto possibile oltrepassare, che non avrei mai neanche dovuto pensare di varcare.

Parcheggiare la porsche fu più semplice del previsto. Lanciai un'occhiata a George, che si stava sganciando la cintura, e spensi la macchina.

Come diamine avrei fatto a tornare a casa adesso?

L'unica opzione plausibile era cercare un taxi.

George scese dall'auto ed io lo imitai.

“Grazie del passaggio”, disse, voltandosi a guardarmi.

C'era solo quella splendida auto a dividerci.

“Figurati”, replicai, educatamente.

Feci il giro dell'auto e gli restituii le chiavi.

Lui mi trafisse con i suoi occhi chiari. Il mio cuore prese a battere più forte. Pareva che le mie gambe non rispondessero più ai miei comandi, il cervello sembrava scollegato.

Perché non stavo già camminando verso il cancello?

“Beh, io... Grazie di nuovo”, ripeté.

“Nessun problema”, gli feci eco.

George mi fece un cenno meccanico con la testa e si incamminò verso il portone con passo malfermo.

Impiegai circa due secondi per capire che non sarebbe neppure riuscito ad arrivarci da solo. Lo raggiunsi rapidamente e gli passai un braccio intorno alla vita. Lui si appoggiò a me. Considerando che era alto almeno 20 cm di più e che pesava quasi il doppio l'impresa si rivelò titanica, ma, miracolosamente, riuscii a trascinarlo in casa.

Una volta dentro trovai il suo volto a pochi centimetri dal mio. L'attore mi sfiorò il mento con le dita, mi ripose un ciuffo di capelli dietro all'orecchio, dopodiché mi poggiò le sue labbra carnose sulle mie.

Il contatto con la sua bocca fu qualcosa di indescrivibile: mi sentii ribollire il sangue nelle vene e la sola cosa che mi spinse a respingerlo fu il pensiero di Will.

Sapevo che George non poteva essere mio, sapevo bene che era soltanto ubriaco, che per lui non avrebbe significato nulla. Che io per lui non significavo niente.

Eppure se Will non avesse fatto parte della mia vita... Ero quasi certa che non lo avrei fermato.

Invece, mi scrollai di dosso George e mi sembrò che avesse capito il concetto.

Tuttavia, la mia speranza si rivelò vana...

L'attore non si perse d'animo e riprese a baciarmi, stavolta sul collo. Con una mano percorse il profilo del mio seno.

“Ti prego...”.

Il suo sussurro fu il suono più straziante ed al tempo stesso seducente che avessi mai udito. Ogni parte di me lo desiderava. Quante volte avevo immaginato uno scenario simile? Quante volte avevo sognato che mi toccasse in quel modo? Troppe. Certo nelle mie fantasia lui non era ubriaco ed a malapena consapevole di dove si trovasse, ma poco importava. Restava il fatto che fosse lì e mi volesse. Quanto avrei voluto assecondarlo... Invece non cedetti di un millimetro e lo spinsi verso la parete, il più lontano possibile da me. Cercai di riprendere fiato e distolsi lo sguardo da lui.

Quando lo fissai di nuovo, era ancora contro il muro, lo sguardo basso: sembrava quasi un bambino messo in punizione dalla maestra. Era pallidissimo.

“Stai bene?”, gli domandai un po' in ansia.

Perché mi importava così tanto dei suoi sentimenti?

Aveva cercato di baciarmi, mi aveva palpata, avrei dovuto essere furiosa e non preoccupata. Le mie sensazioni non avevano più senso.

Lui non mi rispose, ma, prima che potessi aggiungere altro, il mio cellulare squillò. Era Will. Senza neanche pensarci, presi la chiamata.

“Sarah dove sei? Ho provato a chiamarti a casa, ma c'è la segreteria”, disse il mio ragazzo con tono angosciato.

Accidenti.

“Non sono ancora tornata”, gli risposi piano, certa che questo avrebbe scatenato un'altra serie di domande.

“Non sei tornata? Stai bene? Sei ancora...?”, lasciò la domanda sospesa a metà.

“Sì... L'ho appena accompagnato a... in hotel”, mi corressi. “Stavo giusto uscendo per cercare un taxi”.

“Senti vengo a prenderti io”.

“No, non ce n'è bisogno. Devi alzarti presto domattina...”, gli ricordai.

Silenzio dall'altra parte.

“Sei sicura?”, mi chiese infine.

“Sì, tranquillo. Sarò a casa fra poco”.

“Okay. Ma chiamami appena arrivi, okay?”

“Sì”.

“Ti amo e stai attenta”.

“Certo”.

Detto questo riattaccai e mi resi conto che George non era più davanti a me. Ogni persona sana di mente sarebbe fuggita via senza pensarci due volte, invece, io non lo feci. Dovevo essere certa che stava bene prima di andarmene, probabilmente per sempre, da quella casa.

Vagai per qualche secondo per l'appartamento, che si rivelò essere enorme, e quando finalmente lo trovai lo vidi piegato sul lavandino del bagno.

Non avevo mai avuto il complesso della crocerossina, eppure mi avvicinai a lui e gli tenni la testa mentre vomitava. La cosa inquietante è che non fui neppure disgustata da quella scena.

Quando finalmente ebbe finito gli porsi un asciugamano per asciugarsi la fronte madida di sudore.

“Tutto okay?”, gli domandai, incerta su cosa dire.

Lui annuì.

“Okay... Forza ti accompagno a letto. Hai bisogno di sdraiarti e di dormire un po'”.

Detto questo accompagnai George nella prima camera da letto che trovai e lo aiutai a togliersi le scarpe e il giubbotto.

Lui chiuse gli occhi, il suo colorito non prometteva bene. Diedi un'occhiata alla sveglia che aveva sul comodino: segnava le 2:14AM. Pregai che fosse avanti.

“Beh... Io dovrei andare adesso”, esordii, torturando la maniglia della borsa.

“Resta...”.

Le sue parole mi atterrirono.

“Ti prego. Resta e basta. Ti giur... Ti prometto che non ti sfiorerò con un dito... Solo... Resta...”.

Rimasi senza fiato a contemplarlo. I miei pensieri fecero un triplo salto mortale. Sapevo bene di non poter rimanere lì con lui. A che pro? L'indomani mattina la situazione sarebbe stata imbarazzante. Inoltre, avevo promesso a Will che sarei rientrata subito a casa. Dovevo anche chiamarlo... Dovevo andarmene da quell'appartamento. E di corsa anche.

Tuttavia, commisi il terribile errore di fissare con attenzione il volto dell'uomo sdraiato a meno di un metro da me. Un dolore straziante traspariva da ogni lineamento del suo viso perfetto. Così, feci la cosa più stupida che potessi fare. Poggiai la borsa su una sedia e mi sedetti accanto a lui. George si spostò più in là per farmi spazio.

“Grazie”, gracchiò, accarezzando la mia mano, sempre ad occhi chiusi.

Cosa diamine stavo facendo?



Ciao!
Come promesso, ecco anche il secondo capitolo.
Sarah è davvero molto combattuta: ha respinto le avances di George, ma cosa farà adesso?
Per saperlo non vi resta che aspettare il prossimo capitolo!
Aspetto i vostri commenti. ;)
Kisses
Vale

  
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