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Autore: RoseScorpius    28/06/2012    26 recensioni
Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (bhe, anche con lui… insomma, credo che a tutti i figli farebbe piacere credere alla storia della cicogna), avrei dovuto immaginare che dopo il divorzio non avrebbe preso un voto di castità. A volte capitava addirittura che mi parlasse dei tizi con cui usciva, e generalmente sopportavo l’idea di lei e un altro piuttosto bene, a patto che non portasse nessuno dei suoi ammiratori a casa. Dio, magari li portava comunque, ma come si dice, occhio non vede, cuore non duole. E figlia non s’incazza.
Di una cosa, comunque, ero sempre stata sicura: mia madre non si sarebbe mai risposata.
… E quando mai io avevo avuto ragione su qualcosa?

STORIA IN REVISIONE
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita è un biscotto ma se piove si scioglie'
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Capitolo 28

Un tassello alla volta

 

Quando ero piccola detestavo fare i puzzle: erano il tipico passatempo da pomeriggio di noia totale alla Tana, quando nonna Molly si stufava di avere una tribù di nipotini tra i piedi e ci parcheggiava tutti sul tappeto del soggiorno, davanti ad un puzzle da duemila pezzi. All'inizio accapigliarsi con James e Roxanne per un pezzo dalla forma particolare che ognuno sosteneva di aver visto per primo era divertente, ma, dopo dieci minuti passati a cavarci gli occhi e litigare senza riuscire ad attaccare assieme più di tre o quattro pezzi, la faccenda cominciava a diventare snervante.

Nel giro di quindici minuti tutti i cugini più turbolenti si erano stufati di far chiasso attorno al puzzle e allora Molly assumeva il controllo della situazione e si rivolgeva ai pochi cugini ancora interessati all'attività, spiegando che bisognava iniziare separando i pezzi. Da una parte i bordi, che andavano uniti tutti per formare la cornice, poi bisognava dividere i pezzi a seconda del colore: tutti i tasselli azzurri del cielo da una parte, quelli verdi del prato da un'altra, quelli colorati della figura centrale da un'altra ancora. Io m'intestardivo a fare di testa mia e continuavo a cercare di comporre l'immagine centrale senza separare i pezzi, perché fare le cose per bene era noioso ed io avevo troppa fretta di veder formarsi la parte interessante del puzzle: del cielo e dei bordi non me ne importava un fico secco. Ecco perché – secondo Molly – da sola non ero mai stata capace di finire nemmeno un puzzle da trecento pezzi.

In realtà, Molly aveva molta più ragione di quanto avrei potuto immaginare a sette anni, quando mi offendevo per i suoi consigli ed abbandonavo il puzzle per andare a fare a botte con Jamie: per tutta la vita, non avevo fatto altro che trascurare le questioni marginali e cercare di risolvere i miei problemi partendo dal nocciolo della questione. Ed avevo sempre, inevitabilmente, finito per fallire miseramente.

 

***

 

Passai quell'intera notte ad esercitarmi sugli incantesimi di Trasfigurazione. All'inizio continuavo a pensare a quanto si sarebbe arrabbiata mia madre, a quanto si era già arrabbiato Scorpius e a quello che avrebbe detto Hugo quando avrebbe scoperto che avevo mandato all'aria tutti i nostri piani. Mi sembrava di aver tradito la mia famiglia, spifferando tutto a Draco, come se fossi diventata più Malfoy che Weasley in quei pochi mesi di convivenza. Quei pensieri erano così invadenti e chiassosi che nemmeno dopo due ore di allenamento con il sacco da boxe ero riuscita a disfarmene. Quando ero salita in camera mia e mi ero imposta di sedermi alla scrivania, davanti al libro di Trasfigurazione aperto, lo avevo fatto solo perché Scorpius e Draco avevano deciso di cucinare la cena assieme ed io mi ero sentita così estranea in quella scena che avevo fatto del mio meglio per eclissarmi. Per dire la verità Draco aveva provato – seppure con assai scarsa convinzione – a chiedermi di unirmi a loro, ma era chiaro che né lui né tantomeno Scorpius avevano bisogno della mia presenza quella sera. Così mi ero rintanata nella mia mansarda e, dopo aver disperatamente cercato qualcosa da fare per tenermi occupata, mi ero ritrovata a fissare i paragrafi fitti di lettere del libro di Trasfigurazione. Ero certa che non sarei riuscita a capire una parola delle istruzioni che leggevo, figurarsi a metterle in pratica, ma poi, un po' alla volta, ero riuscita a trovare la concentrazione necessaria per trasformare il mio portapenne in un gattino e poi di nuovo in un portapenne senza incidenti di percorso. Le formule degli incantesimi e le immagini nitide dei risultati che volevo ottenere con le Trasfigurazioni, tentativo dopo tentativo, si erano sostituite ai miei sensi di colpa, permettendomi di trovare un po' di pace. Non avevo mai pensato che immergersi totalmente nello studio potesse dare un sollievo così grande, prima di quel momento.

Dormii solo un paio d'ore, un sonno senza sogni, dall'alba fino a poco dopo le nove di mattina. Quando aprii gli occhi, nel bagliore grigiastro di una tipica mattinata inglese, sentivo la testa pesante sulle spalle ed avevo una gran voglia di abbassare le tapparelle con un incantesimo, girarmi sull'altro fianco e rimettermi a dormire, ma sapevo che, se non mi fossi sbrigata a trovare qualcosa da fare, i pensieri che tanto temevo si sarebbero di nuovo impossessati della mia mente. Perciò mi alzai e andai in bagno a farmi una lunga doccia fresca, ripassando mentalmente i paragrafi di teoria che avevo letto quella notte. Una volta che mi fui lavata, asciugata e pettinata con cura tornai in camera mia e indossai una canottiera aderente con le spalline larghe – di quelle che si usano per fare sport – ed un paio di pantaloncini elasticizzati. Sciolsi il nodo che avevo fatto ai laccetti la prima volta che li avevo messi addosso e che non avevo mai più disfatto, anche se non ne avevo il minimo bisogno per infilarmeli, e poi lo rifeci un po' più stretto. Mi sentivo vagamente come uno zombie, mentre mi muovevo per la casa e compievo tutti quei gesti in modo automatico, badando bene a far sì che la mia mente fosse occupata soltanto dalle azioni che svolgeva il mio corpo ed allo stesso tempo avendone a stento una vaga ed annebbiata consapevolezza, ottenebrata dall'abitudine e dai processi ripetitivi che compivano le mie mani, le mie gambe, i miei piedi. L'istinto di riemergere da quello stato d'intorpidimento e schiarirmi le idee mi tentò, un paio di volte volte, ma badai bene a ricacciarlo indietro prima che potesse portare a galla con sé anche tutte le cose alle quali non dovevo assolutamente pensare.

Mi accostai al comodino e presi in mano il cellulare: l'orologio sul dorso dello sportellino superiore segnava le dieci e qualche minuto. C'erano una quindicina di messaggi non letti. Ne fui un po' stupita: non li controllavo da meno di due giorni.

Il primo messaggio era di Dominique e risaliva al pomeriggio precedente.

Domi – Ho le allucinazioni o quelli che ho visto camminare per mano in mezzo a Diagon Alley erano tua madre e tuo padre? …È successo qualcosa che dovrei sapere?

I messaggi successivi erano quasi tutti di mio fratello, fatta eccezione per un paio di minacce di morte provenienti dal numero di Al.

Hugo – Mamma e papà sono appena tornati a casa, qui a Godric's Hollow. Non ti dico cosa stavano facendo perché se no ti si blocca la crescita :D Comunque sono qua che faccio la guardia per tenere lontana Romilda, in caso decida di venire a trovarci. Hai ancora tu il filtro, vero? Quando hai un attimo libero ce la fai a portarmelo? Non so quanto dureranno gli effetti :) Ah, magari vieni a dormire da noi, no?

Hugo – Ehi, Rose, come va? Mi sei sembrata molto giù al San Mungo, prima. Forse abbiamo un po' esagerato con Scorpius, in effetti... Quando torna a casa chiedigli scusa anche da parte mia, ok? E se si arrabbia con te digli che è stata tutta un'idea mia :) Tra parentesi, come siamo messi con questo filtro? Ti serve una Passaporta per venire? Forse riesco a procurartene una.

Sev – Voi NON LO AVETE FATTO.

Hugo – Rose? Sei viva?

Hugo – Vodafone, informazione gratuita. Hai una chiamata persa da questo numero alle ore 19.34.

Hugo – Rose, il filtro, cazzo!

Hugo – Vodafone, informazione gratuita. Hai una chiamata persa da questo numero alle ore 21.12.

Hugo – Vodafone, informazione gratuita. Hai una chiamata persa da questo numero alle ore 21.47.

Sev – Non ho parole. Siete veramente delle teste di cazzo.

Hugo – Rose, quando leggi i messaggi vieni IMMEDIATAMENTE.

Hugo – Gli effetti del filtro stanno cominciando a svanire. Dove cazzo sei?

Hugo – Vodafone, informazione gratuita. Hai una chiamata persa da questo numero alle ore 08.53.

Hugo – Vodafone, informazione gratuita. Hai una chiamata persa da questo numero alle ore 09.14.

Mi rigirai il cellulare tra le mani per un paio di secondi, soppesando la possibilità di chiamare Hugo e spiegargli cos'era successo, ma poi le parole taglienti di Scorpius cominciarono a riaffiorarmi nella memoria e mi affrettai a rimettere il cellulare sul comodino, lasciandolo andare dalla mia presa come se scottasse. Non volevo che anche Hugo...

Hugo niente, non ci pensare.

Decisi che sarei andata ad allenarmi un po' con il sacco da boxe. E intanto avrei ripassato tutti gli incantesimi di Trasfigurazione che avevo imparato dal primo anno a quella parte. E anche quelli delle altre materie, se mi fosse avanzato del tempo.

 

***

 

Scorpius era in soggiorno che leggeva un libro, stravaccato sul divano con un piede sul bracciolo e l'altro posato a terra. In un altro momento, davanti ad un atteggiamento così poco Malfoy, avrei speso come minimo un paio di secondi per mettere in dubbio la sua sanità mentale, ma quel giorno mi limitai a passargli davanti senza degnarlo di più dell'attenzione necessaria a non andargli a sbattere contro. Fu lui, però, ad interrompere quel silenzio – cosa che non lasciava più dubbi sull'attuale stato di devastazione delle sue facoltà mentali.

« Buongiorno, Rose. » mi salutò con voce affabile.

Quando mi voltai nella sua direzione, chiedendomi se per caso non ci fosse un'altra Rose nella stanza, mi trovai a fronteggiare il suo sorriso gentile. Calvin si bloccò con una mano posata sull'orlo dei boxer, guardandomi con l'espressione spaesata di chi ha appena visto un pinguino prendere il volo. Dal canto mio, non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia.

« Mi prendi per il culo? » volli sapere.

Ogni volta che Scorpius ed io litigavamo – o più in generale, ogni volta che Scorpius aveva un diverbio con chiunque – le probabilità di incontrarlo in giro per la casa erano praticamente nulle, visto che si rinchiudeva in camera sua e ne usciva solo per il tempo necessario ad assolvere le funzioni biologiche che richiedevano l'uso di un bagno. Ed ora invece eccolo lì, stravaccato sul divano con quell'aria da imperatore del mondo, come se non vedesse l'ora di farsi trovare.

Il sorriso sulle labbra di Scorpius si fece ancora più largo. « Nient'affatto. »

Stronzo.” pensai, mentre milioni di piccole schegge mi trafiggevano la memoria, portando con sé brandelli della nostra ultima conversazione. Serrai i pugni, mentre per una volta Calvin, nella mia testa, alzava uno striscione in mio sostegno, inneggiando alla vendetta contro Scorpius. Non sapevo cosa facesse più male, se il ricordo delle sue parole o il vederlo seduto scompostamente su quel divano, con quel sorriso così poco da Scorpius sulle labbra.

Questo non è lui...” Non poteva esserlo.

Non persi tempo a cercare una risposta sufficientemente volgare da dargli: mi limitai a girare i tacchi ed uscire di casa, diretta verso il platano a cui era appeso il sacco da boxe.

Incantesimo ingigantente di primo grado: Engorgio. Puntare la bacchetta contro l'oggetto prescelto e muovere il polso in un gesto secco e non troppo ampio, come a dover dare una piccola frustata. Mantenere saldamente la presa sulla bacchetta finché...

Era quasi ora di pranzo quando, con uno schiocco secco ed il rumore di un paio di piedi che affondavano nel fango del vialetto, mia madre tornò a casa. Ero ancora in giardino, alle prese con il sacco da boxe, perciò prima che potessi anche solo pensare di darmela a gambe lei mi aveva già vista ed aveva già cominciato a marciare verso di me con l'espressione più spaventosa che le avessi mai visto in faccia. E ne avevo viste tante di espressioni omicide, sul suo volto. Le rivolsi un sorrisetto nervoso e cominciai ad indietreggiare, nascondendomi dietro il sacco da boxe con tutta l'intenzione di usarlo come scudo o anche semplicemente di correrci attorno in cerchio finché mamma non si fosse stufata d'inseguirmi.

« Rose! » urlò.

E non fu il solito “Rose Weasley” tagliente e carico di disprezzo con cui m'interpellava quando ne combinavo una delle mie. Non fu nemmeno il “Rosie” ironico e affettato con cui mi chiamava in cucina, attendendomi dietro una porta con un'ascia in mano – pronta ad affettare me, tanto per restare in tema. Era semplicemente il mio nome, gridato con una voce stridula che oltre alla rabbia celava anche una profonda delusione.

Mi feci più piccola che potei dietro al sacco da boxe, mentre mamma era ormai arrivata abbastanza vicina da potermi raggiungere con uno sputo. Cosa che non era da escludersi a priori, vista la sua espressione assolutamente sconvolta.

« Come hai potuto fare una cosa del genere?! »

La sua voce stridette come i freni arrugginiti di una vecchia bicicletta, riuscendo quasi a ferirmi le orecchie.

« Come?! Nemmeno nel peggiore dei miei incubi avrei pensato che potessi... »

Stavo seriamente cominciando a pentirmi di non aver mai redatto un testamento, quando Draco uscì di corsa dalla porta sul retro ed agguantò mia madre per i fianchi, placcandola.

« Hermione! » esclamò. Poi la sua voce si spense sulle labbra di mia madre, in un bacio che trovai sinceramente esagerato. Neanche fossero stati lontani per mesi...

Nascosi il volto dietro il sacco da boxe, tappandomi gli occhi.

« Hermione, sei tornata! »

« Draco... io... non è come pensi, te lo giuro. È stato... »

« Lo so, lo so... » sussurrò Draco, e poi le loro voci furono nuovamente sovrastate da risucchio gutturale dei loro baci.

Aprii uno spiraglio tra le dita delle mani e sbirciai oltre il sacco da boxe: erano avvinghiati come un paio di salamandre in calore durante il periodo della riproduzione, talmente stretti uno all'altra che non seppi davvero dire dov'era che finiva uno e cominciava l'altra. Le loro loro labbra sembravano unite da un incantesimo di adesione permanente: una sopra l'altra, una dentro l'altra, come se si stessero mangiando la faccia a vicenda. E dai rumori che emettevano sembrava davvero che fossero due cannibali estremamente poco civilizzati durante un pasto a base di labbra umane.

Tornai a tapparmi gli occhi e grugnii. « Mi state bloccando la crescita... »

Per un attimo il rumore disgustoso prodotto dalle loro attività non-del-tutto-lecite si bloccò. Lo presi per un buon segno e mi tolsi le mani dal viso, trovandomi a fronteggiare lo sguardo imbronciato di mia madre: non sembrava più decisa ad uccidermi, ma pareva ancora che non avrebbe disdegnato una Cruciatus. Se non altro tutto quello schifo con le lingue aveva avuto il pregio di rabbonirla un po', mi dissi.

« Rose, io e te dobbiamo ancora fare un bel... »

Draco le tappò la bocca con una mano e con l'altra estrasse un orologio dalla tasca dei jeans. « Dopo, Hermione. » disse, lanciandomi l'orologio « Scommetto che ora Rose ha voglia di uscire un po'. Vero, Rose? »

Afferrai l'orologio al volo e lo squadrai con aria perplessa, per poi lanciare un'occhiata se possibile ancora più perplessa in direzione di Draco. Feci appena in tempo a cogliere il suo occhiolino e la sua espressione complice che l'orologio tra le mie mani si illuminò di una luce azzurrina e cominciò a vibrare: una Passaporta. Per un attimo i miei istinti Weasley, che erano stati coltivati a dovere per oltre sedici anni, mi suggerirono di mollare immediatamente la presa su quello che sicuramente era il mezzo di una delle tante perfidie dei Malfoy. Ma poi – ignorando bellamente il mio istinto di sopravvivenza, che mi stava urlando a gran voce quanto fossi idiota – decisi di fidarmi di Draco. Eravamo quasi amici, adesso, no?

Prima che potessi cambiare idea una seconda volta la Passaporta cominciò a ruotare ed i miei piedi furono strappati dal terreno, mentre venivo risucchiata a forza in un vortice di luci e colori. L'attimo dopo atterrai sul prato della nostra vecchia casa di Godric's Hollow, quella dove abitavano ancora Hugo e papà. Nel giardino della villetta accanto, stesa su una sdraio con un paio di occhiali da sole a cavallo del naso ed una limonata ghiacciata in mano, Lily stava prendendo il sole. Quando mi vide mi fece un cenno di saluto.

« Ehi, Rose! Tutto bene? Al vuole ucciderti, per la cronaca ».

Oh, beh, ora che me l'aveva detto senza dubbio non poteva che andare bene. Ricambiai il suo saluto con scarso entusiasmo. « Ciao, Lily. È una storia lunga... »

« Che include tua madre e tuo padre che tornano a casa dichiarando di voler scappare a Las Vegas per risposarsi? » s'informò Lily, mentre una delle sue sopracciglia ramate si sollevava oltre il bordo delle lenti.

« Davvero lo hanno fatto? » chiesi, tentando di immaginare i miei genitori in versione “ubriachi fradici conosciutisi cinque minuti prima che decidono di andare a Las Vegas e sposarsi seduta stante”. Non era decisamente un'immagine che si accordava alla definizione canonica di “Hermione Granger”.

« Davvero » confermò James, che mi planò sopra la testa in quel momento.

Dovetti abbassarmi sulle gambe per non venir colpita alla nuca dalle sue scarpe.

« A papà stava prendendo un mezzo infarto quando li ha visti. È stata una cosa abbastanza disgustosa, in effetti » aggiunse, smontando dalla scopa accanto a me. « Insomma, non quanto tua madre e Malfoy... » precisò poi. « Ma sì, disgustoso, in ogni caso. Comunque ciao, Rose ».

Indossava un paio di bermuda marroni e dei sandali con i calzini – per i quali Domi lo avrebbe senza dubbio linciato – mentre dalla vita in su aveva a coprirlo solo la pelle arrossata dall'attività fisica e – sospettavo – dalla sua abilità nello sfuggire a zia Ginny quando lo inseguiva per spalmargli la lozione protettiva. Non ci avevo fatto caso nei giorni precedenti – anche perché, obiettivamente, avevo cose ben più urgenti di cui preoccuparmi – ma di colpo realizzai che era dimagrito parecchio nelle ultime settimane. Mingherlino non lo era di sicuro, ma il sottile strato di grasso che ricopriva i suoi muscoli si era quasi del tutto volatilizzato. Mi chiesi cosa avesse provocato quel cambiamento: d'estate non c'erano allenamenti di Quidditch e che James si mettesse a dieta era semplicemente impensabile.

Gli rivolsi un cenno del capo, ignorando il commento su mia madre e Draco.

« Ciao, James. Come va? ».

« Bene » rispose, mentre in contemporanea Lily diceva: « Male ».

Feci scorrere uno sguardo perplesso tra i due fratelli.

« Basta che vi decidiate, eh ».

« Kathie continua a scrivergli » spiegò Lily, sorseggiando la limonata con un sorrisino divertito. « E Domi non gli rivolge più la parola ».

James storse la bocca in una smorfia. « Parla lei » sbuffò. « Io almeno non mi scrivo con un Serpeverde ».

In risposta al mio sguardo interrogativo, Lily si limitò a scrollare le spalle con il suo solito atteggiamento noncurante. « Marshall ».

Fu l'unico – laconico – chiarimento che mi fu dato di avere. Lily si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, scoprendo una porzione di fronte costellata dalle lentiggini, e posò il bicchiere sul bracciolo della sdraio. Pensai che assomigliava vagamente alla caricatura in versione adolescente di una di quelle avvenenti pin-up che posavano per i calendari in riva al mare, eppure riusciva a non sembrare per nulla goffa o ridicola. Aveva decisamente preso da zia Ginny, in quello: la serafica e a volte maliziosa sicurezza con cui la più piccola di casa Potter affrontava la vita non le veniva di certo dallo zio Harry. Quando ero più piccola pensavo che Lily fosse una specie di ochetta viziata – beh, probabilmente perché a dieci anni lo era pure – ma con il tempo avevo elaborato una teoria diversa: Lily era l'esatta fusione di Albus e James, in versione femminile. Abbastanza scaltra da riuscire a salvarsi la pelle in ogni situazione – diventarlo era stato un obbligo, per sopravvivere ai suoi fratelli maggiori –, accostava il sottile ingegno di Al ad una mente malandrina di chiara provenienza Weasley e a quel pizzico di sfacciataggine che distingueva i Grifondoro. Non disdegnava le coccole che venivano tributate di diritto alla più piccola della famiglia, ma se da un lato essere viziata indubbiamente le piaceva, dall'altro era altrettanto certo che la sua era una fine strategia per scaricare la colpa sui fratelli, quando le cose si mettevano male. Era lei quella che comandava tra i fratelli di casa Potter, alla fin fine: Albus e James erano l'uno contro l'altro a prescindere e solo l'intervento di Lily, che sceglieva di volta in volta con quale dei due allearsi, decideva le sorti delle loro liti. Se c'era una cosa che bisognava riconoscerle, era che Lily sapeva come farsi valere.

« A proposito di Serpeverde... » commentò Lily, lanciandomi un'occhiatina molto allusiva. « Marshall mi ha detto un sacco di cose su un suo certo compagno di dormitorio... Non che alla festa a casa vostra non si sia già visto abbastanza, comunque ».

A quelle parole sentii un milione di piccoli aghi trafiggermi il petto, ognuno di essi accompagnato da un frammento delle parole di Scorpius, o anche solo dal suo sguardo gelido. Decisi che avrei adottato la strategia del “fingi di non aver sentito e cambia argomento”.

« Aspetta un secondo... e da quand'è che vi scrivete, tu e Marshall? » chiesi.

Lily scrollò le spalle mentre James, al mio fianco, grugniva tutto il suo disappunto. « Dall'inizio di quest'estate. Ci siamo fatti coinvolgere nel giro di scommesse su te e Scorpius e la cosa è un po' degenerata ».

Concluse la sua spiegazione rivolgendomi un sorrisino angelico, come a volersi scusare per aver ordito loschi complotti alle mie spalle anche se, più che palesemente, non le dispiaceva per niente di averlo fatto. Aggrottai le sopracciglia.

« Giro di scommesse? » chiesi.

Lily ridacchiò. « Sul serio, Rose, è da giugno che più o meno tutta la scuola fa scommesse su te e Scorpius e su quando, se e come vi metterete assieme. In effetti è da cinque anni che la gente si chiede quando la smetterete di mandarvi a quel paese e vi deciderete ad uscire, ma da quando siete andati a vivere nella stessa casa il “fenomeno” si è intensificato di parecchio. Non lo sapevi? »

In realtà no. E nemmeno volevo saperlo, visto che io e Scorpius non ci saremmo mai messi assieme e tutta le gente che aveva puntato su di noi ci avrebbe rimesso un bel po' di Galeoni. L'unico pensiero che mi consolava era che Al avesse gettato al vento i suoi risparmi per colpa delle sue stupide congetture hippy.... No, in realtà non era molto consolante come pensiero.

Aprii e richiusi la bocca un paio di volte, come un pesce che un bambino pestifero ha acciuffato per la coda ed estratto dalla boccia, ma non trovai nulla da dire. Faceva incredibilmente male scoprire che tutta la scuola aveva puntato su di noi e che a quanto pareva quella che ero riuscita a mandare a monte era tutt'altro che un'utopia. Rendeva quello che mi era sfumato tra le dita più concreto, più vicino, più realizzabile. E allo stesso tempo più lontano che mai, ora che mi rendevo conto di quanto mi fosse stato vicino, forse addirittura per anni interi.

James mi lanciò uno sguardo perplesso e vagamente preoccupato. « Rose, va tutto bene? ».

« Certo che no ».

Sbuffò Lily, muovendo una mano con impazienza, come se dovesse scacciare una zanzara. Poi afferrò nuovamente il suo bicchiere di limonata, si ficcò in bocca la cannuccia e mi lanciò un'occhiatina colpevole.

« Davvero non ne sapevi niente? » chiese. « Insomma, mi dispiace di essere stata così diretta. Pensavo solo che qualcuno prima o poi avrebbe dovuto dirtelo, ecco ».

La fatica di trovare la voce e spiegare che no, non c'era problema, che stavo bene – riuscendo così ad aggiudicarmi il premio di più grande ballista del mondo, tra l'altro – mi fu risparmiata dall'arrivo di Al, che mi afferrò per il braccio e mi trascinò via prima ancora che potessi salutarlo.

« Idioti. Vi avevo detto di dirmelo, se veniva » borbottò, guardando in cagnesco i suoi fratelli. « Ora se non vi dispiace vi priverò della compagnia di Rose. Abbiamo un conto in sospeso io e lei ».

Lily serrò le labbra sulla cannuccia e spalancò gli occhi chiari, con l'espressione di chi, dopo aver appena spostato un cucciolo di Beagle dal centro della strada al marciapiede, lo vede mentre viene investito da una bicicletta. « Buona fortuna... » commentò, mordicchiando la cannuccia.

« Se torni viva magari facciamo due tiri con la Pluffa, ti va? » propose James.

Nessuno dei due ebbe il coraggio di opporsi ad Al: in effetti, quando reclamava il sangue delle sue vittime, Al non era esattamente il pacifismo fatto persona. Annuii in direzione di James ed incespicai dietro ad Al senza dir niente. In fondo, non si poteva dire che non meritassi una punizione esemplare per quello che avevo combinato, anche se mi restavano dei dubbi riguardo la pena capitale.

Insomma, va bene essere drastici, ma...

Al, senza ritenere necessario darmi spiegazioni di alcun genere, estrasse una Passaporta a forma di paperella dalla tasca e me la ficcò in mano. Ebbi appena il tempo di chiedergli se fosse la paperella portafortuna di James e di cogliere il suo ghigno, prima che la Passaporta si illuminasse e ci trasportasse nella corte sul retro del Paiolo Magico. Albus schiacciò il ventre della paperella tra le dita ed al posto del consueto suono di trombini fradici nel fango l'animaletto di gomma spalancò il becco e gracchiò “Jamie puzza”. Soddisfatto, Al se la rimise in tasca e cominciò a picchiettare il muro di mattoni con la bacchetta, finché davanti a noi si aprì l'arco che dava l'accesso a Diagon Alley.

« Gelato da Florian Fortebraccio? » propose, stendendo il braccio in direzione della lunga strada affollata che scendeva per centinaia di metri fino alla Gringott.

Mossi alcuni passi con cautela, non ancora del tutto sicura di essere stata graziata. « Non mi uccidi? » chiesi.

« Dopo » rispose Al.

Sempre meglio che niente” mi dissi, seguendolo verso la gelateria. Camminammo in silenzio per un po', facendoci largo tra la ressa di maghi e streghe che si accalcavano fuori dai negozi per procurarsi il materiale necessario ad affrontare il nuovo anno scolastico. Tra la folla scorsi un paio di volti amici, ma Al non mi lasciò il tempo di fermarmi e salutarli. Che avesse intenzione di uccidermi o meno – valutai, sgomitando per farmi largo tra una strega alquanto robusta ed un gruppetto di bambini che inseguivano una palla stregata – Al aveva indubbiamente una certa fretta. Come nel caso di tutte le sue “missioni di pace”, doveva ritenere che il suo compito fosse piuttosto urgente.

Quando arrivammo alla gelateria, Al scelse un tavolino nascosto in un angolo e si lasciò cadere su una sedia, sbuffando in modo alquanto teatrale. « Basta, io ci rinuncio con voi due » disse. « Adesso ci si è messo pure Scorpius ».

Mi sedetti di fronte a lui, senza dir niente. Quando gli fu chiaro che non avrei risposto, Al sbuffò di nuovo e chiese. « Si può sapere cos'avete combinato? ».

Scrollai le spalle. « Niente di che ».

A quelle parole Calvin sollevò un sopracciglio in modo parecchio eloquente. “Niente di che?” mi scimmiottò.

A parte litigare ferocemente e mandare all'aria definitivamente i precedenti tentativi di far funzionare le cose tra di noi, certo. Nulla che fosse il caso di far sapere ad Al, ad ogni modo: ne avevo avuto abbastanza di Scorpius che stava stravaccato sul divano con un sorrisetto stronzo stampato in faccia, di gente che scommetteva su quando ci saremmo messi assieme e di Albus che ci organizzava il matrimonio. Perché di colpo, proprio quando avevo un disperato bisogno di togliermelo dalla testa, tutti quanti sembravano fare del loro meglio per ricordarmi di Scorpius?

« Pensavo dovessi arrabbiarti con me per la storia del filtro d'amore » osservai, prima che Al potesse dar voce al suo scetticismo nei confronti della mia ultima affermazione.

Al afferrò il menù e lo aprì, lanciandomi un'occhiataccia. « Sì, certo, e poi staremo seduti qua a guardarci negli occhi e prenderci per il culo tutto il giorno » sbuffò, scorrendo l'elenco dei gelati con un dito. « Cosa vuoi che ti dica, che sei stata brava per esserti accorta da sola che era una stronzata ed aver detto la verità a Draco? Era il minimo che potessi fare ».

Mi chiesi come diavolo facesse Al a sapere sempre tutto quello che era successo quasi prima che succedesse, ma immaginai che quello non fosse esattamente il momento migliore per porgli una domanda del genere. Così mi limitai a scrollare le spalle.

« Beh, se non ritieni che meriti un applauso per averlo fatto, almeno potresti evitare di strapazzarmi, no? »

Al scosse la testa, voltandosi per attirare l'attenzione della cameriera.

« Prenderti a calci in culo, ecco cosa dovrei fare... a te e a quell'altro idiota... »

Ordinammo i nostri gelati alla cameriera, che trascrisse le nostre parole su un blocchetto rosa, masticando rumorosamente una Gommabolla Bollente. Non appena se ne fu andata Al abbandonò l'espressione affabile con la quale le si era rivolto, provandoci piuttosto spudoratamente nonostante avesse almeno cinque anni meno di lei, e tornò a stamparsi in viso una smorfia molto poco rassicurante.

« Allora, hai qualcosa da dire in tua difesa o vuoi che ti esponga la mia teoria? »

Alzai gli occhi al cielo e piantai il gomito sul tavolino, appoggiando la guancia sul palmo della mano e spostando ostentatamente lo sguardo dall'altra parte della strada. « È proprio necessario? » mi informai.

« Inevitabile » confermò Al.

Sbuffai: « Bene, divertiti, allora ».

« La mia teoria » iniziò Al, mentre simulavo un improbabile interesse nei confronti di una formica che camminava sul bordo del tavolino. « È che tu abbia combinato un'immane cazzata delle tue e che Scorpius abbia dato di matto. Potrei sbagliarmi, naturalmente, ma quando ricevi un gufo dal tuo migliore amico che dichiara di odiare tua cugina e di non vedere l'ora di tornare a scuola per levarsela dai pied... »

Decisi di lasciar perdere la formica alpinista e voltai bruscamente la testa verso Al.

« Severus, piantala » sibilai.

L'unica risposta che ottenni fu un sorrisetto che la diceva lunga.

« Quindi non solo riconosci di aver fatto una cazzata » osservò con il compiacimento uno scienziato che ha appena ricevuto la prova sperimentale di una sua ipotesi. « Ma te ne assumi anche tutte le responsabilità. Curioso... L'unica volta che Scorpius ha torto marcio... »

« Al, per favore » ritentai. « Non mi interessa quello che hai da dire. E non sai nemmeno cos'è successo, tra parentesi ».

Al sgranò gli occhioni verdi, con un'espressione tutto fuorché sorpresa. « Mi stai davvero chiedendo di tacere mentre ti dico che secondo me Scorpius ha torto? » chiese, scandendo le parole con voce forte e chiara, come a volersi assicurare che avessi capito bene ciò che aveva detto. Un folletto della Gringott non avrebbe potuto suonare più incredulo nel chiedere a Draco Malfoy se avesse davvero intenzione di donare tutti i suoi risparmi in beneficenza. Salvo che Al, come al solito, sembrava star recitando una battuta che si era preparato a tavolino, sapendo già esattamente come avrei reagito.

Lui e le sue manie di onniscenza....

Stavo per alzarmi e andarmene o, in alternativa, tirargli un pugno o forse anche estrarre la bacchetta dalla tasca, ficcargliela su per il naso e poi pronunciare uno Schiantesimo o beh... in realtà non avevo ancora esattamente deciso cosa fare, ma sarebbe sicuramente stato un gesto molto sgarbato e possibilmente anche parecchio doloroso. La fatica di decidermi tra le varie, subdole opzioni che mi erano state proposte dalla mia immaginazione mi fu risparmiata dalla cameriera, che posò due coppette di gelato sul tavolino, guardandoci con l'espressione compassionevole di chi vede una coppietta sul punto di lasciarsi. La ignorai ed attaccai il mio gelato con ferocia, sollevandone immense cucchiaiate e ficcandomele in bocca a velocità record. Speravo che la sua pallina di Menta Piperita avrebbe temporaneamente distratto Al dalla spiegazione delle sue irritanti teorie sentimentali, ma evidentemente mio cugino era perfettamente in grado di rompere le scatole, mangiare il suo gelato e scrutarmi con aria torva in contemporanea.

« È incredibile... » borbottò. « Scorpius comincia a comportarsi da bambino e tu cominci a comportarti da Scorpius... lasciatelo dire: voi due avete dei seri problemi ».

Grazie tante, come se non me ne fossi già accorta da sola. Posai il cucchiaino nella coppetta ormai mezzo vuota e mi costrinsi a sostenere il suo sguardo.

« Al, sul serio, non mi va di parlarne ».

Per un attimo Al parve soppesare la possibilità di continuare ad infierire, sordo alle mie suppliche, ma poi sembrò ricordarsi di essere un accanito predicatore della pace e dell'amore e si limitò a scrollare le spalle.

« Davvero non vuoi sentirmi dire che Scorpius ha avuto una reazione esagerata e che si sta comportando da immaturo? » chiese.

« Davvero » assentii.

Non me ne importava nulla di chi avesse ragione e chi no – o di chi avesse più torto dell'altro, a quel punto –: volevo solo che Al e la nostra chilometrica lista di parenti la smettessero di tirare in ballo Scorpius e quello che avremmo potuto essere assieme. Nemmeno Calvin ce la faceva più a sopportarli, il che era tutto dire.

Al sospirò e stese la mano sul tavolo per posarla sopra la mia, scuotendo la testa con espressione rassegnata.

« Siete due idioti ».

« Lo so ».

 

***

 

Era quasi ora di cena quando la paperella sottratta a James ci Materializzò a Godric's Hollow. Stavo cominciando a chiedermi come avrei fatto a tornare a casa, visto che la Passaporta di Draco non sembrava programmata per portarmici, ma in quel momento la mia attenzione fu attratta dalla chioma rossa di Hugo, in un angolo del giardino. Mio fratello era seduto a gambe incrociate nell'erba e stava scribacchiando su un foglio di pergamena appoggiato al dorso di un libro, con il calamaio aperto in bilico su un ginocchio. Da quando mamma era tornata a casa, non mi aveva più scritto. Era molto meno Weasley di me, in quello: quando si arrabbiava o ci restava male per qualcosa preferiva il broncio alle sfuriate. Almeno finché non esplodeva...

Mi fermai in mezzo al vialetto che separava i giardini delle due case. 

« Dici che dovrei...? »

« Sì, dovresti » rispose Al. « Io l'ho già cazziato ». 

Alzai gli occhi al cielo. « Farti gli affari tuoi ti è così estraneo come concetto? »

« Pensi che mi diverta a corrervi dietro e a tentare di rimediare ai vostri disastri? » sbuffò lui, spingendomi in direzione di Hugo. « Avanti, va' a comportarti da persona matura ».

Mi allontanai, rivolgendogli una boccaccia. Quando giunsi di fronte a mio fratello, però, la mia espressione si trasformò immancabilmente in una smorfia a metà fra quella di un condannato a morte per giusta causa e quella di un animaletto domestico che torna dal padrone con la coda tra le zampe dopo aver ridotto a brandelli le tende del soggiorno. Hugo si era accorto della mia presenza fin da quando la Passaporta aveva Materializzato me ed Al a Godric's Hollow, ne ero sicura, ma continuava a fingere di non avermi notata: muoveva frettolosamente la penna sulla pergamena, come se stesse scrivendo, nonostante l'inchiostro nella punta fosse finito un paio di righe più in alto.

Per un attimo fui colta da un'ondata di terrore, mentre la parte più codarda della mia coscienza mi suggeriva di darmela a gambe prima che anche Hugo potesse arrabbiarsi con me: non volevo un'altra sfuriata, un'altra persona che mi guardasse come se fossi una bambina viziata e mi urlasse contro che mi ero comportata da immatura e che ne avrei pagato le conseguenze. Eppure sapevo di non avere scampo: dovevo mettere a posto tutto il puzzle, tassello dopo tassello, errore dopo errore.

Pensai a Draco, a come aveva avuto il coraggio di ricominciare nel modo giusto, anche se a testa bassa, anche se era appena in grado di sollevarsi dal suolo per gattonare avanti. Mi feci coraggio – per la verità Calvin fu costretto a sopprimere violentemente la Rose codarda che continuava a piagnucolare ed incitarmi alla fuga, in un angolino del mio cervello – e mi sedetti di fronte a Hugo. 

In fondo – mi dissi, fiduciosa – il peggio era già passato: dopo le parole di Scorpius, potevo sopravvivere tranquillamente ad un paio di insulti alla Weasley. Sperai solo che Hugo non avesse con sé la bacchetta: non ero altrettanto sicura di poter ricevere una Fattura Orcovolante in pieno petto e sopravvivere per raccontarlo.

Presi un profondo respiro.

« Ehi, Hugo... »

« Che vuoi? » grugnì lui, senza staccare gli occhi dalla pergamena. 

Mi mordicchiai le labbra, chiedendomi se fosse meglio optare per un approccio diretto o prendere la conversazione alla lontana, partendo da qualche argomento leggero come le nuove divise che avevo visto esposte nel negozio di Madama McClan, passando magari per alcune osservazioni del tutto inutili sulla partita amichevole tra Scozia e Polonia della settimana prima e finendo, dopo aver zigzagato abilmente tra amabili commenti sul tempo ed un paio di battute di spirito, per arrivare al nocciolo della questione. Immaginai che Hugo mi avrebbe Schiantata ancor prima di sapere la verità, se avessi impiegato così tanto tempo per dirgliela, perciò optai per la franchezza. Anche perché, per restare in tema di franchezza, le nuove divise scolastiche mi erano sembrate del tutto uguali a quelle dell'anno scorso, la partita tra Scozia e Polonia non ricordavo nemmeno come fosse andata a finire e di amabili commenti sulle nuvole inglesi non è che ce ne fossero poi tanti da fare.

Così mi limitai a richiamare all'ordine le mie corde vocali – assai poco intenzionate a collaborare, al momento – e sputai fuori la verità a bruciapelo.

« Ho detto tutto a Draco. Io... Non mi sembrava giusto, ecco. Quando mamma se n'è andata piangeva e, sai, in fondo non penso che sia proprio così stronzo. Un pochino, forse... » gli concessi. « Insomma, un po' tanto, certe volte » ritrattai subito dopo. « Ma, beh, la ama davvero. E se la ama il resto non conta, giusto? La mamma è felice, con lui: si capiscono e, al di là delle ovvie differenze, penso che abbiano anche delle cose in comune. Io... io penso che sia giusto così, ecco ». 

Hugo finalmente alzò gli occhi su di me, osservandomi con espressione assente, come se in realtà fossi trasparente e lui stesse guardando da qualche parte oltre le mie spalle. Colsi una punta di dolore nei suoi occhi azzurri: lo stesso dolore che avevo provato io, scoprendo che non avrei mai più potuto riavere la mia famiglia così com'era una volta. 

Sospirai. 

« Hugo, mi dispiace. Lo so che ho preso questa decisione senza dirti niente ed ora sono qui a sbatterti in faccia il fatto compiuto, ma non avevo calcolato di farlo. L'ho capito solo all'ultimo momento, che era la cosa giusta. E, davvero, mi dispiace di essermene accorta così tardi e di averti tirato in mezzo a tutta questa storia. Sono stata un'imbecille ». 

Posai la mano sulla sua e la strinsi forte tra le dita, cercando di trasmettergli tutto quello che con le parole non sarei riuscita a dire. Sapevo cosa stava pensando e come si sentiva, lo sapevo fin troppo bene: mi ero sentita così anche io, fin troppe volte, in quei mesi. Anzi, in tutti quegli anni, sin da quando mamma e papà avevano cominciato a litigare nel cuore della notte e a lanciarsi dietro Schiantesimi. 

« Non volevo venire qua e informarti di aver preso una decisione che ti riguarda senza che tu ne sapessi niente, come hanno fatto la mamma ed il papà per anni con noi due » sussurrai, accarezzando il dorso della sua mano con il pollice. « È orribile e mi sento uno schifo per averlo fatto con te, quando so benissimo cosa si prova e come ci si sente esclusi e traditi proprio da chi ci dovrebbe amare di più... »

Come quando la mamma aveva deciso di andare a convivere con Draco e non mi aveva detto niente. O come quando gli aveva detto il “sì” cruciale, di nuovo senza interpellarmi prima di prendere la sua decisione.

« Non voglio giustificarmi per aver mandato a monte tutti i nostri sforzi » proseguii. « Insomma, l'ho fatto, ormai. Volevo solo spiegarti il perché ».

Hugo sbuffò e scrollò le spalle, come a dire che non aveva importanza.

« Avanti » borbottò, sfilando la mano dalla mia. « Lo sappiamo perché l'hai fatto. C'è Scorpius e tutto il resto e hai paura che a scuola tornerete ad ignorarvi se i vostri genitori si separano ».

Inclinai il capo, un po' perplessa, mentre l'eco di parole crudeli e lontane mi rimbombava nella testa, infilandosi negli anfratti di silenzio tra un pensiero e l'altro. Non faceva più così male. Non tanto come quella mattina.

C'è Scorpius e tutto il resto e hai paura che a scuola tornerete ad ignorarvi.

No, non avevo paura: si ha paura delle possibilità, che appaiono sfocate all'orizzonte del non ancora realizzato, ma non delle certezze. Ed in realtà, per quanto fossi indubbiamente preoccupata dalla prospettiva del ritorno a scuola e da come avrei affrontato la regressione del nostro rapporto al suo stato primordiale, non avevo mai considerato la questione di Hermione e Draco da quel punto di vista. Mi sembrava abbastanza ovvio che io e Scorpius e l'insuccesso dei nostri tentativi di relazionarci in modo quantomeno civile non avessimo  nulla a che fare con i nostri genitori ed il loro matrimonio. Eppure le parole di Hugo – coniugate con una certa occhiatina allusiva da parte di Calvin – mi mi instillarono il dubbio che, in fondo, tutto quello l'avessi fatto anche un po' per Scorpius. Perché prima di lui, prima di noi, prima di quell'estate, non avevo mai provato il bisogno di dimostrare che potevo essere anch'io una persona matura e responsabile, che potevo fare le scelte giuste, anche quando erano quelle più difficili.

Non era importante, comunque. Non più. 

Scossi la testa. 

« No, Hugo. Non l'ho fatto per via di Scorpius: l'ho fatto perché Draco è una brava persona e l'ho fatto perché la mamma se lo merita ». 

Cercai di nuovo la sua mano e Hugo non la ritrasse. Lo considerai un buon segno: non aveva nemmeno tentato di affatturarmi, per il momento. 

Decisi di concludere il mio illuminante discorso prima che la mia fonte di parole ispirate si esaurisse (cosa più che probabile dato che, per quanto ne sapevo, tale fonte prima di allora non era nemmeno mai esistita). 

« Lo sai che lei ha sempre cercato di renderci felici e si è sempre sacrificata tanto per noi, anche se è una pazza paranoica e spesso e volentieri ha finito per essere solo troppo severa o troppe esigente, ma... beh, siamo abbastanza grandi, ormai, non credi? Io penso che dovremmo fare qualcosa noi per lei, adesso. Si è presa cura di noi per sedici anni e sì, ha sbagliato centinaia di volte, ma chi non sbaglia? Io penso che un regalo dovremmo proprio farglielo, per una volta ».

Alzai gli occhi su Hugo, un po' nervosa, mentre scrutavo il suo volto alla ricerca di qualche segno che tradisse la sua reazione alle mie parole, ma la sua espressione rimase impenetrabile: continuò a fissare l'erba tra le sue gambe incrociate, in silenzio.

Tossicchiai, a disagio. 

« Ehm... Io ho finito » annunciai infine, tanto per assicurarmi che fosse chiaro.

« Me n'ero accorto » replicò Hugo.

« E quindi? »

Hugo scrollò le spalle. « Niente. Ho solo due domande ».

Continuava a non guardarmi in faccia, ma sembrava relativamente tranquillo. Tutto sommato, mi sembrava che stesse andando molto meglio di quanto avevo temuto. 

« D'accordo » dissi. « Chiedi pure ».

« La prima domanda è: credi davvero di potertene venire qua a farmi questi discorsi profondi e che per me sarà tutto a posto? Domanda numero due: dove hai battuto la testa per diventare così matura e responsabile? »

Finalmente Hugo alzò gli occhi per incontrare i miei ed il suo volto si aprì in un sorrisetto un po' mesto. Ricambiai il sorriso, sollevata. 

« Non sono venuta qua per sentirmi dire “brava”.Volevo solo spiegarti perché l'ho fatto e... beh, sì, mi piacerebbe se tu capissi. Sarebbe bello se fossimo d'accordo su questo, almeno un po', visto che è una cosa che ci riguarda entrambi ». 

Hugo sbuffò e strappò una manciata di steli d'erba dal terreno. 

« Per capire lo capisco » disse. « Anche a me è sembrato strano vedere mamma e papà di nuovo assieme, che si facevano le fusa e si dicevano cose sdolcinate. Insomma, era sbagliato, non erano loro. E per quello che hai detto sulla mamma... beh, sì, in teoria hai ragione. In pratica non lo so... non nutro questa gran simpatia per i Malfoy, io ». Si morse l'interno delle guance, scavando due identiche fossette ai lati del proprio viso. « Non lo so, non è facile da accettare. Immagino che tu abbia avuto tempo per abituarti, in questi mesi. Io no. E me ne serve un po' ».

Sì, era giusto. Hugo spesso reagiva in modo molto più maturo e responsabile di quanto facessi io e per questo, di solito, tendevo a dimenticare chi dei due fosse il fratello maggiore. Ma Hugo aveva pur sempre quindici anni e a me ci erano voluto mesi per capirlo: non potevo pretendere che le cose andassero a posto con un semplice “scusa” ed uno schiocco di dita. Ed in fondo era giusto così. 

Non potei evitare di rivolgergli un gran sorriso.

« Quindi non vuoi uccidermi? » indagai. 

Hugo scosse la testa, ricambiando il mio sorriso con un piccolo ghigno un po' stentato.  

« Nah... vedrò di fartela pagare in qualche modo, quando torniamo a scuola ».

« Allora è tutto a posto? » insistetti.

Hugo inarcò un sopracciglio, apparentemente divertito dalle mie domande.

« Tutto a posto direi di no. Hai pur sempre mandato a monte il nostro magnifico piano ». 

« Ma mi vuoi ancora bene, no? »

Hugo aggrottò le sopracciglia, con l'aria di uno studente impreparato a cui è stata appena posta una domanda di Aritmanzia incredibilmente complicata. Finse di pensarci per un po', poi mi assestò una gomitata tra le costole. 

« Ma sì, dai » me la diede vinta, infine.

« Allora va bene » dichiarai. « Se mi vuoi ancora bene sopporterò tutto ». 

Hugo mi lanciò un'occhiatina malvagia. « Oh, ne avrai di cose da sopportare, sì... »

Gli restituii il colpo in pancia. 

« Aha, per esempio cosa? » chiesi.

Hugo ridacchiò e schivò il mio secondo colpo. 

« Non lo so... mi farò venire in mente qualcosa. Mentre ci penso resti da noi per cena? » 

Gli rivolsi un sorrisetto complice.

« Solo se non cucina papà ».  

Provai una punta di orgoglio mentre mi rendevo conto che per una volta ce l'avevo fatta davvero, a sistemare le cose. Non tutte, non definitivamente, ma un tassello alla volta stavo cominciando a rimettere a posto il puzzle della mia vita.

   
 
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