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Autore: Laura Sparrow    17/01/2007    2 recensioni
Due giovani donne sole in uno sperduto paesino dei Caraibi, ma determinate ad inseguire i loro vecchi sogni di libertà, l'incontro con un pirata prigioniero che cambierà la vita di entrambe. Mentre un bizzarro gioco del destino riporta a Laura Evans una nave nera che sembrava solo un ricordo di infanzia e una minacciosa maledizione torna da un passato che sembrava dimenticato, Will sceglie di infrangere per una e una sola volta la promessa che lo lega a Calipso per rivedere Elizabeth ancora una volta. Laura Evans e Faith Westley si trovano davanti ad una svolta: voltare le spalle a tutto ciò che è stato e seguire l'unica strada di chi rifiuta le regole: la pirateria. (ULTIMO RINNOVAMENTO COI FATTI RIALLACCIATI AD AWE)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8
Stoccata


L'Olandese Volante veleggiava rapido e silenzioso accanto alla Perla Nera, la sua prua zannuta sembrava non smuovere nemmeno l'acqua mentre passava. Nella cabina del capitano, William se ne stava seduto allo scrittoio, col volto tra le mani. Non c'erano mappe, né strumenti per la navigazione nella cabina: l'Olandese Volante era stata fatta per veleggiare in un luogo dove non occorrevano mappe.
Contro la parete accanto troneggiava un grande organo a canne interamente scolpito nel legno: un'opera mirabile, ma ormai in Will non suscitava né meraviglia né interesse.
Avrebbe potuto cominciare anche lui a suonare per placare la sua solitudine come aveva fatto a suo tempo Davey Jones, il pensiero lo fece perfino sorridere: per quanto ogni tanto trastullarsi sui tasti di quel pianoforte fosse stata la sua unica occupazione vagamente divertente, non ci si vedeva proprio a suonare l'organo con la perizia del precedente capitano dell'Olandese.
Chiuse gli occhi, posandosi le mani sulla fronte mentre coi gomiti si appoggiava allo scrittoio. Perché aveva voluto accompagnare la Perla Nera? Aveva soddisfatto appieno la richiesta di Jack, con la Perla sarebbero arrivati a Tortuga in poco tempo e là si sarebbero organizzati per salvare suo figlio... Ma lui aveva voluto prolungare il suo tempo immeritato nella terra dei vivi, anche se il suo compito qui era terminato da un pezzo. Perché? Perché sfidare ulteriormente l'ira della sua padrona? Non aveva mai desiderato arrecarle offesa né venire meno al suo compito, eppure da quando gli era parso di vedere il viso di Elizabeth fra i volti dei morti non riusciva più a ragionare con lucidità.
David.
Suo figlio si chiamava David.
David Turner, suo figlio, il suo bambino che non aveva mai conosciuto.
Sapeva che quello che stava facendo era assolutamente sbagliato, sapeva che stava rischiando di condannare sé stesso e la sua ciurma di nuovo ad un'esistenza come quella di Davey Jones, ma non riusciva a togliersi dalla testa quel pensiero che lo ossessionava... Perché lui voleva vedere suo figlio.
“Non puoi.” si ripeteva, nel vano tentativo di recuperare la determinazione di un tempo. “Non ti è permesso, tu hai un solo compito a cui adempire, e lo farai per tutto il tempo che è stato stabilito.”
Ma come voltare le spalle ad un figlio di cui solo ora scopriva l'esistenza? Come tornare ai confini del mondo, anche se rincuorato dal pensiero che Elizabeth stava bene, sapendo che lui invece rischiava la vita? Come andarsene senza poterlo vedere almeno una volta e dirgli che lo amava con tutto sé stesso... anche se non lo conosceva?
Respirò. La presenza di Elizabeth rendeva tutto più difficile. Aveva creduto che sarebbe stato forte abbastanza da svolgere il suo compito lontano da lei, illuminato dalla speranza di rivederla dieci anni dopo. Forse ce l'avrebbe fatta. Ma ora, ora che un inaspettato gioco del destino l'aveva riportato da lei ben prima dello scadere del tempo, non si sentiva più tanto sicuro che ce l'avrebbe fatta a lasciarla.
“Elizabeth... Elizabeth, perché non mi hai semplicemente lasciato andare?” si chiese, affondando il viso fra le mani. Le immagini correvano rapide dietro alle palpebre chiuse, la sua testa era in subbuglio come non era mai stata in quegli ultimi tre anni di solitudine, in quelle notti interminabili in cui si era disperatamente rifugiato nei sogni...
- Stai cercando di mettere alla prova la mia pazienza... mio bel capitano?- una voce calda e inquietante insieme, dal forte accento esotico che tendeva a strascicare le vocali dandole una cadenza ipnotica. Era solo frutto della sua immaginazione o l'aveva udita davvero?
Aveva gli occhi chiusi, ma nell'oscurità dei suoi pensieri distinse chiaramente un viso dalla pelle d'ebano e due occhi scuri, brillanti di una luce minacciosa. - Stai rubando troppo tempo al tuo compito... o forse credi... di poterti permettere di fare ciò che ti pare?- un sorriso inquietante, un brillio di denti fra due labbra scure. - Vuoi davvero tentare... la mano del destino?-
- Will?-
William si raddrizzò improvvisamente: doveva essersi addormentato sul tavolo, la testa abbandonata fra le braccia conserte. Strizzò più volte gli occhi, cercando di cacciare la strana sensazione, per nulla rassicurante, lasciatagli da quello strano sogno.
- Va tutto bene?- domandò esitante Elizabeth mentre si lasciava chiudere la porta alle sue spalle.
- Sì... tutto bene. - Will si voltò verso di lei, sollevando le sopracciglia con aria sorpresa quando la vide portare fra le braccia il forziere che conteneva il suo cuore. Accorgendosi dello sguardo di Will, Elizabeth si mosse, a disagio. - Non potevo lasciarlo lì, se qualcuno lo avesse trovato... Certo, la chiave ce l'hai tu, ma... Be'... posso metterlo qui? Sarà al sicuro. -
William annuì senza parlare, seguendo con lo sguardo la ragazza che posava con cura lo scrigno in un angolo della cabina. Lo sentiva pulsare. Possibile che il suo battito fosse così udibile? No, era diverso per lui. Lo sentiva dentro di sé. La vicinanza del suo cuore strappato gli faceva sentire più forti i battiti che sarebbero dovuti risuonare all'interno del suo petto, e invece rintoccavano fra quelle quattro anguste pareti di metallo.
- Abbiamo un figlio. - disse lentamente e con dolcezza mentre lei ancora gli dava le spalle. Sorpresa da quelle parole, Elizabeth si alzò e si voltò a guardarlo. - Oh, Will... è il tuo ritratto. - mormorò mentre un sorriso affettuoso le si allargava sul viso. - Gli ho parlato così tanto di te... è come se ti conoscesse, ormai: lui ti adora, non fa che chiedermi quando potrà vedere il capitano dell'Olandese Volante e... - fu costretta a fermarsi quando si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime. Dannazione, ma perché le succedeva così spesso in quegli ultimi giorni? Si portò una mano sulla bocca fissando gli occhi a terra cercando di trattenere un singhiozzo che già saliva, ma dopo un istante sentì le braccia di William circondarla.
- Non piangere... - bisbigliò Will mentre lei gli si aggrappava con vigore, soffocando le lacrime contro la sua spalla. - Elizabeth, tu... non potevi dirmi una cosa più bella, davvero. Io amo nostro figlio anche senza averlo mai visto... e lui vuole bene a me per le cose che tu gli hai raccontato... Sono felice di questo, veramente. -
Elizabeth aveva intrecciato le braccia dietro la sua schiena e non accennava ad allentare l'abbraccio. - Mi sei mancato così tanto, Will... - gemette, la voce soffocata nella sua camicia.
- Anche tu. - non ricordava che la pelle di Elizabeth avesse un odore così buono: abbracciò più stretta la ragazza, senza spostare il viso dal suo collo.
- Perché te ne devi andare?-
Will temeva quella domanda, sebbene se l'aspettasse. Perché se ne doveva andare. Elizabeth non immaginava quante volte Will se lo fosse chiesto, nella solitudine della sua cabina? Perché aveva dovuto lasciare la donna che amava, la cosa a cui teneva di più al mondo, per un'esistenza solitaria ai confini della terra dei viventi?
- Vorrei saperlo. - mormorò.
Elizabeth sollevò improvvisamente il viso e incollò le labbra alle sue, assaporando il gusto della bocca del giovane. Quindi i suoi baci scesero sul suo collo, mentre le braccia si stringevano possessivamente ai fianchi di lui. - Elizabeth... - bisbigliò Will, stranito, capendo le sue intenzioni. La ragazza lo zittì con un altro bacio, e con quello Will abbandonò ogni resistenza: le sue mani la presero sotto le ascelle, sollevandola e costringendola contro di lui mentre il bacio si faceva ancora più intenso e senza freni, due passi e insieme raggiunsero il letto del capitano dove si lasciarono cadere senza interrompere il bacio. Un giorno solo gli era stato concesso tre anni prima, un giorno solo dove si erano amati non una volta soltanto, ma mai abbastanza per tanta solitudine patita.
- Will... - mormorò Elizabeth mentre lui si stendeva sopra di lei, aderendo alle sue forme morbide e invitanti. - Ti amo... -
- Anch'io ti amo... - sussurrò affannoso William, affondando con lei nell'abbraccio delle lenzuola.

*

Le due giornate successive furono piene come non erano mai state prima d'ora; eppure, pur lavorando duro mi sentivo libera come mai mi ero sentita in vita mia. Era impressionante quanto in fretta mi fossi abituata: stavo diventando anche piuttosto abile nell'arrampicarmi sulle sartie, io che avevo sempre avuto paura delle grandi altezze: era ugualmente impressionante salire in coffa, ma lassù, col mare che si stendeva in ogni direzione e il vento sulla faccia sembrava di volare sull'oceano. Valeva la pena di affrontare la paura dell'altezza per godere di quel panorama.
Michael, che prima ci derideva perché noi dovevamo lavorare e lui no, ora ci invidiava terribilmente perché un viaggio per mare può essere tedioso e lui non aveva niente da fare dal mattino alla sera, mentre noi due andavamo su e giù fra il cordame per sciogliere le vele, salivamo in coffa per fare da vedetta in caso si avvicinassero navi della marina britannica e ci occupavamo dei lavori a bordo.
Avevamo fatto conoscenza con gli altri pirati: c'era Gibbs, il primo ufficiale, che già conoscevamo; Cotton, un vecchio pirata a cui era stata tagliata la lingua e che parlava attraverso un pappagallo che si esprimeva con detti marinari; Marty, un nanerottolo calvo alto la metà di me; Gomez, Jona, Rodrigo, Samuel, John... la Perla era piena di gente e si viveva a stretto contatto con tutti. Essendo le uniche donne, io e Faith condividevamo la cabina sottocoperta con la giovane mulatta di nome Annamaria.
L'Olandese Volante ci seguiva giorno e notte, rimanendo sempre fianco a fianco con la Perla, e non potevo fare a meno di chiedermi con un certo struggimento come Elizabeth e Will avrebbero affrontato la loro prossima separazione.
Il primo giorno di navigazione dopo il nostro arrivo a bordo della Perla, fu Gibbs, che a quanto sembrava era un maestro nel raccontare storie, a soddisfare la mia curiosità riguardo la triste storia dei miei amici. Avevo intuito che Jack sapeva che cosa era successo, ma quella sera in cui gli avevo chiesto la storia della Wicked Wench non avevo avuto il coraggio per chiedergli di chiarirmi le idee anche su Elizabeth e William. Il vecchio Gibbs ci pensò per me: mentre supervisionava il nostro lavoro di cucitura delle vele (anche se in realtà facevamo già un lavoro ottimo e la sua era una scusa in più per starsene seduto all'ombra a scolarsi la sua bottiglia di rum) notò gli sguardi che di tanto in tanto non potevo fare a meno di lanciare all'Olandese, sperando di scorgere sul ponte Elizabeth o Will.
- La conosci la storia di quei due ragazzi?- mi aveva chiesto dando dei colpetti alla bottiglia di rum come se fosse stato un infante.
- Non proprio. - avevo risposto. - Almeno... non nei dettagli. -
- Davey Jones tre anni fa era il capitano dell'Olandese Volante. - aveva cominciato Gibbs in tono grave. - Quella nave è stata creata dalla dea Calypso per un solo scopo: traghettare all'altro mondo le anime di coloro che muoiono dispersi in mare. Il suo capitano non può scendere a terra che una volta ogni dieci anni e, cosa più importante, il suo cuore ancora pulsante è rinchiuso in un forziere di cui lui stesso custodisce gelosamente la chiave. - sottolineò le ultime parole stringendo la mano a pugno e portandosela allo sterno; ripensando al piccolo forziere che Elizabeth aveva portato con sé quando eravamo saliti a bordo dell'Olandese avevo avvertito un brivido corrermi giù per la schiena.
- Davey Jones aveva corrotto il suo compito disertando i confini del mondo e veleggiando nella terra dei vivi diventando il terrore dei mari di tutto il mondo, prendendo i naufraghi come schiavi sulla sua nave infernale... compreso il padre del giovane Will Turner, Sputafuoco. - Gibbs aveva preso un sorso di rum dalla bottiglia, scrutando la polena zannuta dell'Olandese Volante. - Sfortunatamente c'era un prezzo da pagare per liberarsi del mostro che era divenuto Davey Jones: l'Olandese Volante deve avere un capitano per svolgere il suo compito, perciò chiunque colpisca il cuore del capitano... deve prenderne il posto. -
Avevo annuito in silenzio mentre intuivo come poteva essere andata a concludersi la storia. Bevendo un altro sorso del forte liquore Gibbs aveva proseguito: - Will era intenzionato a farlo: era disposto a sacrificarsi pur di avere libero suo padre. Qualcun altro però aveva pensato di assumersi quella responsabilità, diventare capitano dell'Olandese. Jack. -
- Jack?- avevo esclamato, incredula. - Jack traghettatore delle anime dei naufraghi? Senza poter fare porto che una volta ogni dieci anni?-
Gibbs aveva annuito e roteato gli occhi: - Già... penso che fosse l'idea dell'immortalità a stuzzicarlo, più che altro... - si era guardato in giro e poi si era chinato su di me accostandosi una mano alla bocca come se temesse di essere sentito. - Aehm... non andarglielo a dire, ma temo che se veramente ne avesse preso il posto... tempo un anno e ce lo saremmo ritrovato coperto di cozze. -
Avevo soffocato una risata per poi lasciare che recuperasse il filo del discorso per finire di raccontarmi la storia: - In ogni caso, ci fu una grande battaglia fra la Perla e l'Olandese, e proprio mentre Jack stringeva in mano il cuore pulsante di Davey Jones, quando finalmente sembrava che avessimo in pugno quella creatura spietata... Jones uccise William. -
Lo avevo guardato ad occhi sbarrati. - Uccise...?-
Gibbs si era limitato ad annuire. - Lo impalò con la sua spada, proprio quando sembrava che avessimo vinto. E allora Jack... - si era guardato nuovamente attorno con aria furtiva. - ...Non dirgli nemmeno questo... ma Jack fece forse la cosa più nobile che avesse mai fatto in tutta la sua vita: si avvicinò a Will che era in fin di vita e fece pugnalare a lui il cuore. Jones morì. La battaglia fu vinta. E Will tornò come capitano dell'Olandese Volante... legato per sempre ad un arduo compito, ma vivo. -
Così era stato, dunque, per i miei vecchi amici. Così era finita Elizabeth, sola ad Oyster Bay insieme al figlio che William le aveva lasciato. Così i miei amici sarebbero finiti, separati per sempre da un compito più grande di loro.
Quel racconto, però, mi aiutò anche a rivalutare Jack: forse dopotutto avevo ragione, c'era qualcosa di più grande che lo legava ad Elizabeth e Will, e che lo aveva spinto a salvare la vita di William pur in un modo tanto doloroso. Ora che conoscevo anche questa parte della storia, sapevo che non avrei mai potuto pensare a lui come ad un capitano crudele, né tantomeno indifferente agli altri come avrebbe voluto far credere.
Da parte mia, Jack rimaneva la cosa più affascinante della Perla Nera. Ora potevo vederlo nel suo vero elemento; lui e la sua nave sembravano una cosa sola, la sua vita era fare il capitano. Lo vedevo sempre la mattina al timone, sicuro, e felice come un bambino; durante la giornata sembrava essere ovunque come una pallina di mercurio impazzita: sul ponte a dare ordini, al timone, in sala ufficiali, nella stiva... soprattutto nella stiva, quando la sua scorta di prezioso rum finiva. Di certo era uno che prendeva sul serio il suo lavoro. Ora che lo vedevo nel suo vero mondo non potevo fare a meno di pensare che fosse nato per essere capitano della Perla Nera e null'altro; lo si vedeva da come scrutava il mare quando teneva con mano sapiente il timone, col quale a volte pareva fondersi e diventare tutt'uno con la sua nave: era quella e solo quella la sua vita.
Amavo il suo essere un pirata, avevo cominciato ad amare praticamente tutto di lui, ma non dicevo niente a nessuno, nemmeno a Faith che di norma era la mia unica e fidata confidente. Per la prima volta sentivo che quello che provavo era qualcosa di troppo personale per essere condiviso da altri.
Jack era il mio capitano, eravamo diventati grandi amici: vivendo su una nave costantemente gomito a gomito con la ciurma non potevano che crearsi saldi legami alimentati dal cameratismo e dell'indispensabilità che ciascuno aveva per la sopravvivenza della ciurma. Mi divertivo a parlare con lui e punzecchiare il suo orgoglio pirata ogni volta che ne avevo l'occasione, e lui faceva altrettanto: lo amavo in silenzio, senza farne parola con nessuno.
Un mentore prezioso per la nostra nuova condizione di pirati fu proprio Gibbs: l'anziano pirata, oltre ad occupare la carica più alta dopo il capitano, sembrava anche essere la persona che gli era più vicina; del resto era impossibile conoscere Gibbs e non volergli bene. Aveva preso me e Faith sotto la sua ala protettrice, per così dire, e si era preso l'incarico di insegnarci le fondamentali nozioni della vita di mare: io e la mia amica ascoltavamo assorte mentre seduto sul ponte Gibbs ci mostrava come fare correttamente un nodo o come si ricucivano le vele strappate, io ero sempre piena di domande per lui, e lui sempre pronto a soddisfare la mia curiosità, che si trattasse di sapere perché la nave prendeva il vento in un certo modo o perché certe vele andavano spiegate più di altre.
Oltre alla cultura piratesca e ai vari lavori che andavano svolti sulla nave, come promesso ci insegnarono anche a combattere: cosa fondamentale per un pirata. Ci insegnava Annamaria, anche se spesso alcuni altri pirati, che erano tutti buoni spadaccini, si univano a noi per aiutarci trovandolo un divertente diversivo dal lavoro a bordo.
- Così, perfetto. - fece soddisfatta Annamaria mentre eseguivo una stoccata. - Ora prova questa: pari il colpo di piatto, ti abbassi e dai un calcio agli stinchi. - mi fece vedere la mossa al rallentatore in modo che capissi esattamente il movimento, poi mi fece provare. Scherma da pirati; sporca ma incredibilmente funzionale. - Va bene, però calcia un po' più forte, devi fare male al tuo avversario. - si rivolse a Faith. - Adesso prova tu. -
Per non avere mai preso in mano una spada prima di allora non ce la cavavamo neanche tanto male. In realtà io una spada qualche volta l'avevo usata: dato che mio padre ne possedeva alcune e si teneva allenato, da ragazza spesso gli chiedevo di insegnarmi a duellare. Dopo diversi sbuffi e rimproveri anche piuttosto aspri, “Sei una ragazza, non è decoroso per una giovane della tua età volere usare la spada!” papà aveva ceduto e ogni tanto per farmi un piacere mi insegnava per gioco a tirare di scherma. Quei piccoli allenamenti mi sembrarono subito ridicoli in confronto a quello che io e Faith affrontammo a bordo. Dopo aver imparato un po' di mosse Annamaria ci sfidò una alla volta in un breve duello; ci disarmò in due minuti, ma intanto imparavamo. - Attacchi con troppa violenza. - mi avvertì quando finimmo di combattere. - La forza ci vuole, ma se ci metti solo quella finisci per agitare a caso un pezzo di ferro; devi essere precisa. -
- In poche parole devo andare forte ma piano?- chiesi con un sogghigno, mentre mi asciugavo il sudore dalla fronte.
Annamaria rise: - Qualcosa del genere. Su, ricominciamo!- continuammo a duellare sul ponte, mentre Faith si allenava contro Michael, che aveva voluto anche lui imparare i rudimenti della scherma, non potevo vedere come se la cavava perché ero totalmente concentrata a parare gli attacchi della spada di Annamaria. C'era anche un altro spettatore che seguiva il nostro duello: la scimmietta che avevamo visto il giorno del nostro imbarco era l'altra cosa, oltre a Jack, che sembrava essere sempre dovunque a bordo di quella nave, spuntando dai posti più impensabili.
Fin da quando avevamo iniziato il nostro allenamento sul ponte, la scimmia si era appollaiata sull'argano ed era rimasta lì, osservandoci con palese curiosità. Quell'animale era ben strano: non si lasciava avvicinare da nessuno, però finivi sempre per ritrovartela lì a tre passi che ti fissava come se avessi appena commesso un delitto. Il capitano sembrava detestarla di tutto cuore e non perdeva occasione di spararle addosso ogni volta che si avvicinava troppo: in quei casi l'incomprensibile avvenimento che avevamo osservato la prima volta si ripeteva regolarmente; quando non riusciva a schivarlo, la scimmia incassava il colpo, strepitava e scappava via senza un graffio.
Mentre ancora combattevamo, ad un certo punto Annamaria si fermò e guardò qualcosa alle mie spalle. - Ehi, guarda chi c'è. - commentò sollevando un sopracciglio, io mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Jack; aveva la spada in mano e mi guardava col suo consueto sorrisetto furfantesco.
- Mi concedi questo duello?- domandò educatamente come se mi stesse invitando a ballare, dondolando pigramente il busto.
- Perché no?- risposi, arretrando di un passo e mettendomi in guardia. Sapevo benissimo di non valere una cicca in combattimento contro di lui, ma non volevo rifiutare la sfida.
Ci fronteggiammo, l'uno davanti all'altra: i nostri amici avevano smesso di allenarsi e notai che erano rimasti a guardarci attendendo che cominciassimo a combattere.
Jack mosse appena un passo avanti e vibrò un fendente senza troppa energia, io lo parai facilmente; allora tentai un attacco, ma non con molta enfasi: lui lo parò e lo respinse. Ci girammo attorno lentamente: mentre lo fissavo per capire quale sarebbe stata la sua prossima mossa capii da come mi guardava che il duello era solo un pretesto, mi stava studiando; ed io detestavo quando lo faceva. “Basta giocare, combattiamo sul serio!” mi dissi, e sferrai con decisione un fendente. Jack sembrò appena sorpreso per quell'improvvisa energia, ma non si scompose e parò di nuovo il mio attacco. Dopo un po' divenne frustrante: io mi impegnavo più che potevo, ma per lui era molto facile tenermi a bada, e quel suo sorrisetto cominciava a farsi strafottente. - Allora? Combatti o fai finta, io sono qui che aspetto!- ridacchiò arretrando rapidamente di due passi. “Te lo do io, te lo do.” pensai, attaccai dall'alto, la sua lama si alzò a parare la mia, ed io gli pestai violentemente un piede. - Ahia!- esclamò sorpreso, balzando all'indietro.
- Non verrai proprio tu a dirmi che non vale, spero!- dissi, sogghignando; lui mi fissò per un attimo con aria oltraggiata, poi gli tornò sulle labbra il sorriso furfante. - Certo che no... - capii troppo tardi che aveva in mente qualcosa: infatti la sua spada guizzò rapidissima e colpì la mia, facendomela volare via di mano. - Infatti vale anche questo. - commentò con calma puntandomi la lama alla gola con un gesto quasi elegante. Mi aveva disarmata in un solo istante.
- Va bene, va bene; hai vinto, soddisfatto?-
- Sì. - Jack rinfoderò la spada, poi gettò il capo all'indietro con aria compiaciuta. - Dai, facciamo una pausa, offro io da bere ai perdenti!-
Posai la spada e andai a sedermi sulle casse insieme a Faith, Annamaria e Michael mentre Jack andava nella sua cabina a procurarsi del rum; dopo circa mezz'ora di allenamento mi sentivo assolutamente esausta. Dalla sua postazione in cima all'argano, la scimmietta emise il suo squittio che mi ricordava sempre in modo inquietante una risata e balzò giù, cominciando a perlustrare le assi del ponte a passetti saltellanti come se fosse alla ricerca di qualcosa di interessante da mettere sotto i denti.
- Sei andata bene. - mi disse Faith in tono incoraggiante quando presi posto al suo fianco, io le sorrisi e scrollai le spalle. - Tanto era ovvio che perdevo, ho appena imparato, cosa pretende?-
Faith aggrottò le sopracciglia. - Ma il suo obiettivo non era batterti. -
La fissai, sorpresa della sua risposta. - Ah no?- replicai, accigliandomi.
- Be', non si può parlare di un vero duello perché lui è molto più esperto. - continuò lei, arricciandosi su un dito una ciocca di capelli scuri. - Infatti lui stava... come dire, giocando: era te che voleva mettere alla prova, forse voleva vedere cosa eri in grado di fare. E a me alla fine è parso soddisfatto. -
Non ci avevo pensato. Soddisfatto di cosa, però? Non avevo fatto altro che sforzarmi inutilmente di tenergli testa e pestargli un piede quando non ci ero riuscita.
Jack tornò con una bottiglia di rum che mi diede in mano prima di sedersi sulle casse con noi. - Suvvia, pace e da bere per tutti!- commentò in tono gioviale.
- Drink up, me hearties!- assentii io, citando le prime parole di una canzone marinaresca che avevo sentito cantare a bordo, e che pareva essere piuttosto popolare. Bevvi un sorso dalla bottiglia; il liquore era forte e bruciava in gola, ma cominciava a non dispiacermi. Lo passai a Faith, che lo passò ad Anamaria che lo passò a Michael, e infine Jack si scolò a collo quanto restava.
Notai che Faith aveva una faccia strana, come se cercasse di togliersi dalla bocca un cattivo sapore.
- Che c'è, Faith?- domandai.
- Il rum!- rispose lei, sorridendo e roteando gli occhi. - Non mi ci abituerò mai. -
- Farai meglio ad abituartici, tesoro, sulla Perla non sono ammesse insubordinazioni, comprendi?- Jack le diede una pacca su una spalla. Delicata. Non come quella che non molto tempo prima aveva rifilato a me come se fossi un mozzo di sentina. - Vuoi fare un altro po' di pratica?- abbassò la voce e sogghignò, porgendole di nuovo la bottiglia.
- No grazie, per oggi mi è bastato!- rifiutò lei, allontanandola con un gesto deciso della mano, e Jack, con un'alzata di spalle, bevve l'ultimo sorso.
- Ne avrai da imparare, dolcezza... se vuoi posso insegnarti io. -
Jack si protese improvvisamente verso di lei e le circondò le spalle con un braccio, un po' abbracciandola un po' fingendo di strangolarla. Lei si liberò ridendo.
Risi anch'io, come tutti, però vederlo fare il cretino con lei mi diede fastidio, e non si trattò solo di una rapida puntura. Mi sentii bruciare il petto di qualcosa di feroce e irrazionale che non aveva nulla a che fare con il rum. Lui era mio. E non avrebbe dovuto fare qualcosa di assolutamente stupido come rivolgere quel sorriso dal dente d'oro a Faith proprio sotto i miei occhi.
Mi accorsi che lo stavo fissando solo quando lui incrociò il mio sguardo, e mi affrettai a distogliere l'attenzione da loro due. A quel punto Jack si alzò per tornare ai suoi compiti, noi restammo lì a riposarci ancora qualche minuto prima di rimetterci al lavoro.

*

Poco più tardi, verso l'ora del pranzo, ero diretta di fretta sottocoperta per servire il rancio. Feci per scendere le scalette che da sotto il cassero di prua conducevano al ponte intermedio, quando dallo stretto passaggio comparve Jack, in direzione opposta alla mia. Quasi sobbalzai, maledicendo dentro di me la strana capacità del capitano di apparire praticamente ovunque.
Pensando che volesse passare mi feci indietro, ma lui invece fece l'ultimo gradino e mi venne dritto incontro.
- Sbaglio o sento un po' di gelosia nell'aria?- mi canzonò, avvicinandosi a passo di marcia con le braccia che dondolavano come al solito.
Gli rivolsi un'occhiata di sufficienza, senza capire esattamente che cosa volesse, ma imponendomi di ignorarlo.
- Sei stupido o lo fai?- lo rimbeccai, sapendo di stare sfidando non poco il mio rango di mozzo nei confronti del suo capitano. Tuttavia lui non aveva mai dato segno di preoccuparsene, quindi non vedevo perché avrebbe dovuto tacciarmi di insubordinazione proprio ora.
Cercai di aggirarlo, ma inaspettatamente lui allungò un braccio e si appoggiò al corrimano, impedendomi di andare avanti: il cassero era una piccola stanza chiusa a prua, cosa che rendeva privata la nostra conversazione, ma quattro aperture portavano rispettivamente alle scalette di sottocoperta e in coperta. Da sotto arrivavano le risa e le conversazioni dei pirati in attesa di mangiare: ero consapevole che chiunque sarebbe potuto passare di lì da un momento all'altro e, curiosamente, non sapevo se, nel caso, l'avrei considerata una via di scampo o un'interruzione.
- Perché mi confondi le idee, miss Evans?- aveva abbassato la voce quasi ad un sussurro, e il suo sguardo aveva un che di sfida in quel momento. - Prima mi togli le armi perché mi temi, poi mi prendi a schiaffi perché non mi sopporti, e infine ti batti con me anche se sei solo ai rudimenti con la scherma. Eppure, l'ho visto quanto ti ho punto sul vivo quando prima scherzavo con miss Westley... e non con te. -
- Stupefacente, adesso credi perfino di sapere leggere nel pensiero?- replicai, sardonica.
- Io lo so perché. - continuò, ciondolando su se stesso e fissandomi col ghigno sornione sulle labbra. - Me lo hai detto tu stessa, no? Chissà com'è che nonostante tutto, tu conservi sempre uno schiaffo per me...? -
- Te ne sta per arrivare uno adesso. -
La mia risposta lo fece solo sorridere di più. Il suo dannatissimo sorriso canzonatorio, ma magnetico.
- Guarda che dicevo sul serio quando ho detto di tenere ai miei mozzi. - di colpo il suo sorriso cambiò, diventando gentile... quasi dolce. - E chissà... magari ad uno in particolare. Magari proprio a quello che è tanto insolente da conservare sempre uno schiaffo per me... comprendi? Vorrei davvero che mettessimo giù le armi. Sul serio. Io non ho niente da temere da te, e tu non hai niente da temere da me. -
- Andiamo, piantala. - risi con poca convinzione, allungando un gomito nel tentativo di toglierlo di mezzo.
Lui ne approfittò per venirmi più vicino, e riuscì a stringermi a tradimento un braccio attorno alla vita in un rapido abbraccio. Non mi bloccò, non mi forzò, non mi impedì di scostarmi. Fui io a rimanere perfettamente ferma, senza sapere che fare e senza nessun desiderio di respingerlo.
- Ecco che lo rifai... è divertente, ma se continui non saprò mai che cosa devo fare. - disse in tono decisamente divertito, tirandomi gentilmente verso di sé: sorrideva, eppure c'era ancora una sorta di inaspettata dolcezza nel modo in cui lo faceva.
- Potresti lasciarmi!- replicai, staccandomi bruscamente da lui.
Mi sentivo sulle braci. Ero tra le sue braccia. Dovevo allontanarlo, perché di colpo avevo una paura tremenda di quello che sarebbe potuto accadere se lo avessi lasciato continuare.
- D'accordo. -
Lui allentò subito la stretta, però si protese di nuovo verso di me e mi stampò un rapido e morbido bacio sulla guancia, solleticandomi col tocco più ruvido della barba.
- A più tardi. - mi bisbigliò all'orecchio con voce dannatamente sensuale mentre per un breve attimo riusciva a tenermi stretta contro di sé, prima di sciogliermi dall'abbraccio e andarsene così come era arrivato.
Quando scesi sottocoperta fra i pirati vocianti, rossa come un peperone e col cuore che sembrava una grancassa, stavo ancora camminando a un palmo da terra.

*

Era il pomeriggio del terzo giorno, un pomeriggio addirittura troppo sereno: il sole bruciava implacabile nel cielo limpido, arrostendo le schiene dei pirati al lavoro sul ponte. Io passavo in quel momento con un involto di lenzuola pulite sottobraccio da portare nella cabina del capitano; boccheggiavo per l'afa insopportabile e non vedevo l'ora di potermi ritirare nell'ombra di sottocoperta a bere qualcosa di rinfrescante.
Aprii la porta che dava sulla sala degli ufficiali che precedeva la cabina del capitano, e stavo per scostare la tenda di pesante stoffa rossa che era stata tirata per offrire riparo dal sole quando udii uno scoppio di risate fragorose. Mi fermai: Jack doveva avere compagnia. In effetti non era insolito che incontrasse i suoi ufficiali nella saletta a poppa, e quel pomeriggio sembravano anche tutti parecchio allegri. Per qualche motivo esitai ad entrare ed indugiai dietro la tenda scarlatta, semplicemente incuriosita: riconobbi per prima la voce di Gibbs; stava già parlando quindi afferrai soltanto metà dell'animato discorso: - ...allora un brindisi alla nostra, signori!-
- E un cortese calcio nel sedere a quel mucchio di figli di puttana della Revenge!- lo seguì la voce di Samuel, il quartiermastro. Battei le palpebre, arricciando le labbra in una smorfia tipo “uh!”, anche se dopo un paio di giorni su una nave pirata imprecazioni e simili non mi toccavano più di tanto.
Udii un cozzare di boccali: certamente stava scorrendo diverso rum fra gli invitati al tavolo del capitano. - Alla nostra. - fece allegra la voce di Jack.
- E ai mozzi più graziosi che si siano mai visti in tutti i Caraibi!- aggiunse la voce di Rodrigo, uno degli ufficiali secondo solo a Gibbs. Il suo commento suscitò uno scroscio di grasse risate e un forsennato battere di boccali sul legno del tavolo.
- Fingerò di non capire a chi vi state riferendo... - rispose la voce di Jack, mellifua ma assolutamente diabolica. I pirati risero di nuovo, per poi lanciarsi in coloriti commenti: - Non si può proprio dire che siano come la nostra Annamaria, non trovate? Almeno non ho da temere di perdere qualche dente se mi avvicino troppo... -
- Temere? - Samuel ridacchiò. - Nooo... che hai da temere da loro? Sono così dolci e graziose... -
- Insomma, il tipo da tentare con un goccio di rum per vedere se diventano ancora più dolci e graziose!- terminò Jack con una semplicità che era assai più maliziosa di qualsiasi commento lascivo. Risate; io intanto cominciai a sentirmi piuttosto a disagio: avevo capito che stavano parlando di me e di Faith, e di colpo desiderai trovarmi da tutt'altra parte, ma ora che c'ero non potevo schiodarmi dal mio nascondiglio celato dalla tenda, così tesi le orecchie anche se in verità non ne avevo affatto bisogno considerato il tono della conversazione che si faceva sempre più animata man mano che veniva annaffiata col rum.
- E Laura Evans? Una colombella imbottita di polvere da sparo, ve lo dico io! Vi siete accorto che vi fa gli occhi dolci, capitano?-
- Se me ne sono accorto?- sentii rispondere Jack col tono di quando si voleva dare delle arie, mentre sentivo le guance andarmi in fiamme non avrei saputo dire se più per l'imbarazzo o l'indignazione. - Bisogna essere ciechi per non notarlo!-
- Buttatevi capitano, è la vostra occasione! Quella vi accoglie a braccia aperta, parola mia!-
No, adesso vado dentro e li prendo a sberle, dal primo all'ultimo. Ma come si permettevano? Avevo una mezza idea di entrare a dirgliene quattro quando la voce di Rodrigo, ora discretamente impastata dall'alcool, continuò: - Questa è quella che io chiamo fortuna, fortuna sfacciata! Neanche una, ben due, due belle fanciulle in cerca di avventura! Per me le faremmo solo contente se le offrissimo qualche altro genere di “impresa”... Non esiste giovane donna che non sogni qualcosa del genere, ammettiamolo!-
- Oh no no no... - lo interruppe Jack. - Ve lo dico io come stanno le cose... si da il caso che la giovane miss Evans è perdutamente innamorata di me, non c'è scampo!- scoppi di risa, ululati e battute, poi lui continuò imperterrito al di sopra del baccano: - Eh, la povera piccola innamorata! Avete visto, ohi, non ne lascio una! Nessuna più resiste al capitano Jack Sparrow!-
Le risate si fecero sempre più sguaiate, seguite da commenti che salirono sempre più di tono fino a sfociare nell'osceno, tanto che desiderai davvero tapparmi le orecchie per non sentire più nulla. Stringevo un lembo della tenda, le nocche tremanti di furia a stento contenuta.
Anche se la mia rabbia mi spingeva con tutte le sue forze a spazzare via la tenda ed entrare a dirgli il fatto loro, sapevo che non ne avrei mai avuto il coraggio. Ma soprattutto ero allibita. Come aveva potuto Jack dire quelle cose su di noi, su di me? Dopo che avevamo combattuto insieme, addirittura dopo che era venuto da me e mi aveva dato quel bacio gentile fuori dalla cambusa...
“Povera piccola innamorata... nessuna resiste al capitano Jack Sparrow!” brutto pomposo pirata pieno di boria, come si permetteva di parlare così di me? Non gliela facevo passare liscia, questa me la pagava.
Girai sui tacchi e uscii dalla porta attenta a non farmi sentire, anche se dalla confusione che stavano facendo probabilmente non mi avrebbero sentita nemmeno se me la fossi sbattuta violentemente alle spalle. Con ancora le lenzuola tutte spiegazzate fra le braccia mi infilai sotto le scale del cassero di poppa, a fianco della porta, e attesi lì, fremente di rabbia. Rimasi lì finché non vidi i tre pirati lasciare uno dopo l'altro la sala degli ufficiali, tutti discretamente sbronzi. Vedendo uscire per ultimo Gibbs mi ricordai improvvisamente di non averlo sentito prendere parte ai commenti che ci erano stati rivolti: aveva anche la faccia più scura del solito, non sembrava allegro quanto i suoi due compagni. Oh, be'. Mi consolai un poco al pensiero che almeno il vecchio Gibbs era rimasto quello che sembrava.
Erano usciti tutti tranne Jack. Perfetto. Allora uscii dal mio nascondiglio e spalancai la porta della saletta, scostando la tenda: Jack era seduto al tavolo ingombro di bottiglie e di boccali vuoti, intento a dondolarsi distrattamente sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto, ed era chiaramente un po' sbronzo. Vedendomi si voltò con divertita sorpresa, esibendo il suo sorriso migliore. Ma va al diavolo, esibizionista. - Oh, salve Laura! Che ci fai qui?-
Non risposi al saluto e non entrai nella stanza: tesi l'involto di lenzuola pulite verso di lui. - Queste devono essere tue. - le sbattei violentemente per terra. Jack inarcò le sopracciglia fissandomi con aria stupefatta. - Grazie tante per i complimenti, prima. - aggiunsi in tono gelido.
Lui per poco non cadde dalla sedia; il sorriso svanì dalla sua faccia, lui aprì la bocca per ribattere, ma non seppe cosa dire.
- Sono anch'io parte della ciurma o no? Credevo che fossimo amici, e credevo che tu fossi una brava persona. E invece vedo che sei soltanto un bastardo arrogante. - gli voltai le spalle.
- Ehi, no! Non bene! Aspetta!- esclamò, balzando in piedi e agitando le mani nella mia direzione; io mi voltai bruscamente verso di lui: stavo tremando. - No, tu non puoi venire a fare il carino e poi metterti a discutere su chi ti porterai a letto per prima! Comprendi? - chiusi la porta dietro di me e me ne andai.

*

- Laura, va tutto bene?-
Mi concentrai sul pesce che stavo pulendo: faceva uno schifo tremendo sviscerarlo, ma almeno il disgusto mi distraeva.
- Sì, tutto ok. - risposi mestamente.
Prendere il pesce, tagliarlo per il lungo e ripulirlo dagli intestini, solo quello: non dovevo pensare a nient'altro.
- Invece no. - insistette lei, appoggiando il coltello. - Sul serio, c'è qualcosa che non va?-
Io scossi il capo.
- No, Faith, è tutto a posto, davvero. -
Stupido Jack. E stupida me, stupida per tutti quegli stupidi pensieri che mi ero permessa di fare su di lui. Dovevo immaginarmelo, dannazione, non era altro che un arrogante, stupido pirata. E io ero soltanto una ragazzina, come al solito.
- Senti... ha a che fare con Jack?- domandò Faith, con delicatezza.
Chiedendomi se la mia faccia fosse davvero così trasparente, esitai e buttai nel cesto il pesce che avevo in mano. Quel lavoro non avrebbe mai smesso di farmi schifo. Si sposava bene con ciò che provavo per il capitano, al momento.
- Sì. - risposi infine: avrei dovuto rinunciare al mio proposito di non rimuginarci sopra. - Ma non è come pensi tu. Sfortunatamente ho potuto constatare che il capitano non è nient'altro che un superficiale arrogante. -
- Ma si può sapere cos'è successo?- disse Faith, che si stava spazientendo. Sospirai e mi accinsi a spiegarle la questione.
- In parole povere: il capitano e gli altri dell'allegra combriccola se ne stavano in sala ufficiali a sfotterci e a chiedere a Jack chi fra noi due voleva portarsi a letto per prima. E questo a me ha scocciato non poco. - mi pulii le mani sui calzoni. Avrei puzzato di pesce, ma pazienza. Sinceramente, chi se ne sarebbe preoccupato a bordo di una nave pirata? - Oh sì, ci possiamo considerare i nuovi mozzi della Perla Nera, siamo “parte della ciurma”... Come no, siamo due fenomeni da baraccone qui a bordo, ecco cosa siamo! Due puttane! Non mi sono mai sentita così insultata in vita mia! Scommetto che ci ha prese tutte e due per i fondelli fin dall'inizio. Pensare che mi ero anche ambientata bene qui... con un capitano talmente bastardo pronto a spararne di grosse come una casa su di te non appena giri l'occhio!-
Faith mi fissò in silenzio, con un sopracciglio che si inarcava intanto che mi ascoltava, e infine si lasciò sfuggire solo un profondo sospiro per poi scuotere il capo. Però fu su di me che puntò uno sguardo condiscendente.
- Laura, di certo non sono cose gentili da dire e non è bello trovarsi ad ascoltarle. Ma, onestamente, che cosa ti aspettavi?-
Rizzai le orecchie, senza capire che cosa intendesse.
- Scusa?-
- Sono uomini. - rincarò Faith, per nulla impressionati. - Pirati. Ubriachi. Radunati in cabina per una bevuta con il capitano. Ti aspetti che dalla loro bocca esca qualcosa di vagamente lusinghiero nei confronti delle uniche due donne a bordo? Non dovresti davvero basarti su quel che hai sentito oggi per giudicare Jack... -
- Mi aspetto un po' di rispetto!- protestai.
Volevo che anche Faith mi dicesse che Jack era un bastardo, così forse mi sarei convinta e avrei smesso di pensare a lui. Insomma, era già abbastanza brutto essermi affezionata così tanto a lui e poi scoprirlo di punto in bianco a parlare di me come di una puttana... ma era ancora peggio dopo tutto questo scoprire di volergli ancora molto bene, anche senza volerlo ammettere.
Invece Faith non rispose, ma strinse le labbra e si chiuse in ostinato silenzio come a volermi dimostrare che avevo torto. Tornò al suo pesce, fissando il pavimento con aria meditabonda.
Avevo paura di quel suo silenzio. Avevo paura di intuire che, nonostante tutto, potessi non essere l'unica ad avere a cuore l'opinione di Jack Sparrow.

*

Dopo la cena Faith era sul ponte mentre il sole tramontava; un tramonto cupo, in contrasto col sole spaccapietre che c'era stato quel pomeriggio. Si profilava burrasca all'orizzonte.
La Perla procedeva senza fretta al fianco dell'Olandese, sul ponte erano rimasti pochi pirati, i più sulle sartie occupati ad allentare le vele per meglio catturare l'ultima bava di vento.
Faith se ne stava su quello che era diventato il suo posto preferito, seduta su una barra di legno all'ombra dell'albero maestro.
Guardava Jack, che se ne stava al timone sul cassero di poppa. Il capitano aveva una faccia cupa quanto il cielo, in mano teneva una fiasca di rum -la sua miglior cura per il morale a terra- e ogni tanto ne prendeva una lunga sorsata.
Faith si alzò dal suo posto e salendo la scaletta gli si avvicinò a passi lenti, senza una ragione precisa.
Non sapeva ancora cosa voleva, non capiva che cosa stava provando in quell'istante. Dal furibondo resoconto che Laura le aveva fatto riguardo ai fatti accaduti nel pomeriggio, Faith aveva capito che c'era stata una rottura fra lei e il capitano, una brutta rottura che era andata a minare seriamente lo strano rapporto che si era pian piano instaurato fra di loro.
Faith se ne era accorta, durante le giornate passate sulla Perla, e aveva dovuto ammettere che per la prima volta aveva provato una sorta di... infantile gelosia per le attenzioni che il capitano rivolgeva alla sua amica.
Se ne era anche stupita. Gelosia? E di cosa? Lei e Laura erano come sorelle, avevano sempre diviso tutto, vissuto l'una per il bene dell'altra. E adesso forse qualcosa cominciava a cambiare, lo sentiva.
Ma forse ora quel qualcosa era stato troncato sul nascere, pensò, a causa di quella malaugurata conversazione che Laura aveva origliato. Sapeva bene che la sua amica non era molto incline a perdonare chi tradiva la sua fiducia.
Tradire la sua fiducia... Ma allora forse anche lei...? Indugiò su quel pensiero che la tormentava. Anche lei stava tradendo la fiducia dell'amica? Avrebbe dovuto parlarle di ciò che provava? Avrebbe dovuto confessarle che i suoi occhi non erano gli unici che cercavano Jack ogni mattina sul ponte?
Jack la vide e le rivolse un sorriso mesto.
- Miss Westley. Tutto a posto?- chiese, appoggiando un braccio sul timone.
- No... cioè, sì... cioè... non lo so. - rispose Faith, trovandosi improvvisamente a balbettare.
- Morale sotto le suole, uh?- fece Jack, comprensivo, dondolando il capo. - È una serataccia. - ingurgitò un altro sorso di rum.
- Sì, anche Laura è giù oggi... - si pentì subito di averla tirata in ballo. Non che non le importasse di lei, solo in quel momento non se la sentiva di parlare di lei, non con Jack. Avrebbe solo complicato ulteriormente la cosa.
Lui annuì, ancora più serio.
- Sì, Laura... - borbottò il suo nome lentamente, quasi con un sospiro, in un modo che fece rizzare le orecchie a Faith: come se gli costasse pronunciarlo ma allo stesso tempo gli piacesse. Mosse in modo curioso le spalle, come nel tentativo di liberarle da un peso, e bevve un altro sorso, più lungo dei precedenti, prima di voltarsi a guardare la ragazza ciondolando il capo. - Senti... odio fare quello che affibbia i messaggi scomodi a qualcun altro, ma... Oggi, ecco... c'è stato un malinteso con lei, e quello che vorrei veramente fare è porgerle le mie scuse. Ma non credo che lei mi permetterebbe di farlo. Non è che puoi... che so, fungere da intermediario?-
Fatih lo scrutò aggrottando le sopracciglia. - Come, scusami?-
Il capitano si strinse nelle spalle, facendo un gesto come di rimestamento con le mani.
- Io non volevo offenderla. Mai voluto. Assolutamente! È stato un caso estremamente sfortunato, intendiamoci: ci sono modi in cui un uomo parla con altri uomini, che non sono affatto quelli che un uomo riserverebbe ad una signora, ma se la signora in questione finisce per ascoltarli e prenderli per verità... - per un istante sembrò perdersi, con la bocca aperta e lo sguardo nel vuoto, poi le spalle gli si afflosciarono. - Aiuterebbe davvero se le spiegassi tu che non c'è ragione per prendersela... I vostri discorsi da donne, che ne so io. Aiutami, per favore. -
- Ascolta, c'è una cosa che di cui ti dovrei... cioè... Io non so più cosa pensare. - mormorò Faith, parlando più con se stessa che con Jack. - Non sono sicura di niente, in verità. Io... non capisco. -
Voleva rivelare al capitano che avrebbe fatto meglio a fare molta attenzione a quali parole sceglieva con Laura, perché forse lui neppure si rendeva conto di quanta influenza esercitasse su di lei e quanto potesse ferirla. Di quanto l'avesse già ferita.
E tuttavia il pensiero di ciò che aveva origliato la sua amica, Jack che parlava di loro due, di lei, in quel modo, la turbava in modi molto contrastanti.
“Dunque pensi a noi anche in quei termini, non è vero, capitano? Dunque lo dici anche ad alta voce. Ci consideri donne, in tutto e per tutto. Entrambe. Anche me. Hai parlato anche di me in quel modo.”
Sapeva di dover fare una scelta, in ogni modo, se schierarsi con Jack o con la sua amica.
Jack... Jack l'aveva in qualche modo catturata. Non lo poteva negare; anche lei sul ponte cercava di continuo i suoi occhi, seguiva ogni guizzo della sua bandana rossa, sentiva il cuore battere più forte quando lui le si accostava.
Cos'era che provava lei? Attrazione? Possibile? Però non voleva perdere Laura, il cui interesse per Jack era palese. Era tremendamente confusa, più sentiva bisogno di certezze, più queste le sfuggivano dalle mani.
In quel momento, facendola quasi sobbalzare, Jack le posò inaspettatamente una mano sulla spalla.
- Ehi, se c'è qualcosa che non va, dolcezza, me lo diresti, vero?-
“Io ti ho difeso. Ti ho difeso anche quando sapevo che l'avevi ferita.”
La mano di Jack sulla sua spalla, il suo tono gentile. Quel piccolo, semplice gesto risvegliò in lei un desiderio proibito, che ora si ritrovava a desiderare a tutti i costi. Faith si voltò improvvisamente verso di lui e gli si accostò un po' di più, poi cogliendo di sorpresa anche se stessa avvicinò il viso al suo e gli sfiorò appena le labbra con un bacio.
Rimasero fermi un istante, quasi paralizzati, poi improvvisamente Faith si ritrasse come se avesse preso la scossa, e lo stesso fece Jack, più lentamente, aggrottando le sopracciglia come se non capisse esattamente che cosa fosse appena accaduto.
- Perdonami... non... non volevo! - farfugliò lei, arretrando, con le mani sollevate e gli occhi strabuzzati.
Il capitano allargò gli occhi, sorpreso, e alzò a sua volta le mani come per calmarla.
- È tutto a posto. - assicurò lui, ancora sorpreso, ma Faith stava già arretrando. Rimase confusa per un attimo ancora, poi di scatto voltò le spalle a Jack e se la svignò in fretta verso la propria cabina con un'espressione di puro sgomento stampata in volto.
Faith era rossa fin sulla punta del naso, in preda ad un misto di imbarazzo e rancore: aveva ancora sulle labbra il sapore del rum che Jack aveva bevuto. Aveva appena baciato un uomo, per la prima volta nella sua vita di ragazza onesta. perché? Perché? Perché? Ma era impazzita? E per di più lì a poppa... davanti a tutti! Dio mio, e se qualcuno li avesse visti? Sentì il viso diventarle se possibile ancora più infuocato.
Aveva voluto baciarlo, non lo poteva negare. Era stato più forte di lei. E le era piaciuto. Peggio ancora: Jack, tranquillo, aveva ricambiato. Eppure ora che l'aveva fatto si sentiva peggio di prima, ancora più confusa: era un guazzabuglio di emozioni contrastanti e, no, non andava affatto bene.

*

Anamaria non era ancora tornata in cabina, e nemmeno Faith: io me ne stavo distesa su un fianco sulla mia brandina, cercando di convincere la mia mente ad addormentarsi, ma avevo la sensazione che fosse una battaglia persa in partenza.
Ad un tratto la porta della cabina cigolò, accompagnata da rumore di passi sul legno. Mi voltai a guardare chi era e vidi Faith.
- Ciao. - la salutai a mezza voce. Lei mi guardò: sembrava nervosa.
- Laura... ti devo parlare. -
Mi alzai sui gomiti. - Che c'è?-
Si passò la punta delle lingua sulle labbra, innervosita, come cercando di decidersi a parlare.
- Io ho... - sembrava sul punto di piangere, tanto che dovette prendere un respiro profondo prima di mormorare: - Credo di avere... cioè, ho baciato il capitano. -
Mi paralizzai. Qualunque pensiero razionale avessi fatto fino a quel momento, si volatilizzò, cancellato dalla sensazione di sbigottimento totale che mi piombò addosso come una slavina.
- Scusami, avresti fatto cosa?- domandai lentamente, con una voce che quasi non riconobbi come la mia.
- Io... non significava niente. E non so come sia successo. -
- Sai, non è tanto difficile. Serve che due persone stiano sufficientemente vicine. Serve la bocca, di solito. E, almeno di questo sono piuttosto sicura, non accade per sbaglio. -
L'acredine nella mia voce saliva sempre di più. Cosa provai in quell'istante? Stupore? Rabbia? Tristezza? Probabilmente tutte e tre insieme, ma soprattutto una spiazzante sensazione di sgomento. Rimasi come paralizzata con gli occhi sgranati e una spiacevole sensazione di occlusione allo stomaco, poi, con enorme autocontrollo, le voltai le spalle e tornai molto lentamente a distendermi sulla brandina.
- Laura, te lo giuro, io non... io vorrei non averlo mai fatto... - balbettò lei.
- Però l'hai fatto, o sbaglio? Perciò, quando oggi peroravi il suo “essere un brav'uomo”, immagino fosse un commento del tutto interessato. Scusami. Errore mio. Non mi intrometterò. - replicai, gelida e acida quanto e più di prima.
In realtà mi trattenevo a stento. Io e Faith eravamo come sorelle, ci conoscevamo da anni, eravamo sempre state amiche. Eravamo una famiglia. Non volevo litigare con lei, non con lei; non con la mia migliore amica, non potevo. Ma soprattutto non volevo scontrarmi col fatto che la mia unica amica avesse potuto farmi una cosa del genere.
Ecco, un unico colpo, una sola stoccata, come mi insegnava Anamaria, ed ero stata ferita a morte proprio dalle due persone a cui tenevo di più. Non avevo nemmeno avuto il tempo o il coraggio di spiegare nulla a nessuno... solo di insultare Jack. E ora se lo era preso Faith. Mi ero appena inimicata entrambi. Li avevo persi entrambi. In silenzio e senza disturbare, aveva agito prima lei. Un'amara lezione per me che mi ero crogiolata nel dubbio e nel mio stupido orgoglio.
- Io non voglio litigare con te!- insistette; sembrava veramente triste e smarrita.
Mi ostinai a voltarle le spalle. Basta parlare. Basta, per favore. Basta o dirò cose che non riuscirò a trattenere, che feriranno tanto te quanto me.
Rimasi a fissare la parete di legno; lei rimase in piedi di fianco alla mia branda per un po', forse sperando di vedermi girare, ma io non lo feci, e così lei si rassegnò e si distese sulla sua branda.
Non mi girai, non mi mossi, non la guardai neanche: non ce l'avrei fatta. In quel silenzio di gelo non potei impedire ad una lacrima di scendermi lungo la guancia e cadere sul cuscino.

Nota dell'autrice:Ci ho messo un sacco di tempo per riscrivere questo capitolo! Perché? Perché sto lottando strenuamente per non cadere nel "Mary-Sueismo" e nemmeno nel "telenovelismo", cosa che facevo un po' troppo presto nella prima versione di questa storia, e chiedo a chiunque mi legga di tirarmi bacchettate sulle dita ogni volta che tendo a sconfinare in questi due pericolosissimi generi! ;-P Come sempre un grandissimo ringraziamento a Shalna per i consigli che mi ha dato per correggere questo capitolo, spero di poter contare su di te anche in futuro e soprattutto di leggere presto nuovi capitoli delle tue bellissime ff!
  
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