III.
Chiudi gli occhi e ascolta.
Il sospiro della pialla. Il fruscio delle setole. Il
crepitio del pigmento.
Da bambini il buio sfrigolava della torcia di
Konnakis, sgocciolando chiarore dorato sui seni cadenti, e i satiri danzavano
fuori dal cerchio di luce, agitando i ventri flaccidi e dondolando i falli i posticci.
Ma quando la tela d’ombra si è squarciata a metà,
quel tripudio di figure cremisi è esploso nell’attesa sempiterna del tocco
divino e si è riversato in un rigurgito di fiamme livide lungo il Canal Grande,
per poi ribollire all’orizzonte come una fumosa linea di confine.
Anche se solo, però, Veneziano non ha mai smesso di
giocare e aspettare e cercare le dita nodose dell’etèra: ad occhi chiusi, nelle
grandi sale dei palazzi si tendeva verso il mormorio di voci care e lontane; sorrideva,
perché un giorno avrebbe insegnato a Romano la lingua del Caravaggio e da lui
avrebbe imparato a conversare in spagnolo col Velázquez.
Negli anni ha davvero imparato, insegnato, ascoltato
con le mano di Romano stretta nella propria, e quando credeva che mai, mai più sarebbe
rimasto senza la compagnia dell’Arte…No, basta. Basta così.
Ora il silenzio è di nuovo colmo di sussurri.
Lento è l’incedere di Konnakis e i satiri le
volteggiano attorno, inciampando sulle zampe tozze; sotto le sferzate di luce
del Tintoretto il Bacchino Malato porge grappoli rosseggianti al Cristo
Furente, per mitigarne la rabbia e allontanare da sé la maledizione del
Giudizio.
Così tanti colori…! Così tante sensazioni che temeva
perdute per sempre…!
Una risata vibra ai lati della coscienza e Veneziano
apre timidamente un occhio, tornando ad essere parte del mondo che lo circonda.
Cerca il fratello con lo sguardo e tira un sospiro di sollievo nel vederlo poco
distante, mentre s’accompagna a belle signorine dall’aria distinta e offre loro
un braccio o un bicchiere di vino, intrattenendole con aneddoti e altre
storielle.
Sembra così felice, anche se l’allegria gli tocca le
labbra e non raggiunge gli occhi, anche se manca la sola persona in grado di
rendere quella serata davvero perfetta.
Almeno, Romano non ha più l’espressione cupa dei giorni spesi alla ricerca di
opere praticamente svanite nel nulla.
-Ho sempre sognato di poter vedere Palazzo Venezia
tornare al suo vecchio splendore-
Rodolfo Siviero non è una di quelle persone che si
perde in troppe parole: conosce il valore di ognuna, la forza del silenzio e la
debolezza della voce.
Veneziano lo stima per questo -e per molte altre cose.
-Io non ricordavo potesse essere così tranquillo- replica
e si porta il calice alle labbra, sorseggiando quel poco di vino rimasto.
Uno dei camerieri rallenta il passo, ma la Nazione gli
rivolge un cenno di diniego, invitandolo a riempire i bicchieri degli altri
invitati.
È strano, davvero strano non sentire più i muri
rombare e tuonare per la violenza di un’unica voce: i corridoi e le stanze
formicolano e crocchiolano di parole smozzicate, commenti e sussurri; non più discorsi
enfatici o gesti imperiosi a declamare antichità e grandezza, ma il mormorio
cadenzato dei quadri e il respiro marmoreo delle sculture.
-Vi ringrazio, signor Siviero-
L’ex partigiano dell’Arte china il capo, unisce i
talloni con uno schiocco e poi torna ad osservare il Tiziano davanti a loro; una
stilla rossa ravviva gli occhi ingrigiti dal tempo e dalla Guerra.
-Io ringrazio voi, Italia Veneziano-
-Non fatelo, vi prego-
-Voi mi avete liberato-
-Ma prima vi ho imprigionato-
La Nazione sfugge lo sguardo di Siviero ed è allora
che la vede, là, nascosta tra una signora imbellettata e un ometto tarchiato
col monocolo: una figura vestita di nero, le spalle un po’ piegate, la nuca
bionda sollevata verso la languida figura della Leda. Anche senza vederli
immagina gli occhi che scivolano sul profilo del corpo di lei, dalle perle che
cingono la crocchia ed il collo bianco fino ai piedi che tirano e tendono le
pieghe del panneggio. Si perderà nella contemplazione delle dita affondate tra
le piume del cigno, negli intrecci di colore sulle penne e lungo le strisce
scure che graffiano le orecchie del gatto.
-Scusate-
E senza una parola, una spiegazione di più,
Veneziano si allontana, posa il calice vuoto sul vassoio, rischia di inciampare
sul cameriere, su una vecchina, su Romano, addirittura, ma non gli importa.
E’ tornato ad essere un bambino con gli occhi chiusi
e nel buio l’unica luce è là, davanti a lui, si riflette contro la tenda
scarlatta e scintilla nel cordone dorato che oscilla tra le pieghe.
Veneziano si blocca dietro la figura, apre la bocca,
la richiude, si morde le labbra, tortura i polsini della camicia, deglutisce.
Basterebbe parlare, dire, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ci sarebbero così tante cose, eppure non
gliene viene in mente nessuna. Ha la mente vuota e il cuore che straborda di
parole.
Prende un respiro e intreccia le dita dietro la
schiena, dondolando sui talloni.
Basterebbe dimenticare gli anni, scordarsi di essere
Nazioni e credersi umani, anche per una sera appena, ma senza alcun ricordo di
sculture da donare a Cancellieri, Re o Papi, senza casse di imballaggio o
cornici divelte in tutta fretta.
I quadri e le statue tacciono.
Basterebbe una sola domanda.
-Allora? Ti piace…Germania?-
Note
“Una mostra delle opere riprese fu
allestita in Palazzo Venezia sotto l’alto patronato dell’Accademia dei Lincei
nel Novembre 1950. Questa esponeva gli oggetti d’arte illegalmente acquistati
dai tedeschi in Italia e che sarebbero tornati ai luoghi di provenienza secondo
l’impegno assunto con il Governo Alleato.
(…) Non ci si nascondeva, allora come
ancora oggi, la difficoltà di individuare opere disseminate per l’Europa o
emigrate oltre oceano anche a seguito di transazioni o rocamboleschi
spostamenti dovuti ad eventi disparati, in gran parte successivi a quelli
conosciuti e documentati da Siviero nel suo mirabile archivio. Accanto a queste
considerazioni doveva aggiungersi da un lato, e fino agli ultimi anni ’80, la
scarsa collaborazione dei paesi dell’est (molti capolavori finirono in Russia,
ad opera dell’Armata Rossa, dopo la presa di
Berlino) a causa della “Guerra Fredda”, poi l’ostruzionismo anche
interno al nostro Paese, che poggiava su motivazioni di opportunità politica o
di cautela diplomatica”
(Manuale di Legislazione dei Beni
Culturali, Giulio Volpe)
Tra le opere esposte c’era anche la
“Leda” del Tintoretto.
“Gli esempi più significativi di
ceramica sovra dipinta appartengono alla prima fase della produzione [sott.
Magnogreca]; sono i vasi tarantini del gruppo detto di “Konnakis”, dal nome
dell’etèra raffigurata su un frammento di cratere nell’atto di avanzare,
danzando e agitando una fiaccola, verso la porta socchiusa dell’ala del
banchetto.”
(Le Arti Figurative, Piero Orlandini)
Le altre opere citate più chiaramente
sono:
-Frammento di Konnakis [Fossi
riuscita a trovare una foto su internet l’avrei messa volentieri D:]
-Vasi fliacici di satiri
-La Creazione di Adamo (Michelangelo)
-Bacchino Malato (Caravaggio)
-Giudizio Universale (Michelangelo)
Eccoci arrivati al capitolo finale :D
Vorrei ringraziare:
-Sara_Sakurazuka,
Chaska e Rota per aver recensito il
precedente capitolo;
-Chaska
e Sara_Sakurazuka per aver messo la storia tra le preferite;
-Ninja
girl e sasuchan7
per aver messo la storia tra le seguite.
Bien! Che dire, ancora?
Ringrazio ancora Amy per il contest, Rota per
avermi sopportato, seguito, recensito e soprattutto aspettato (La Midorima/Takao arriva. Te lo giuro <3) , la figlia
Angleterre,l’Ele, Jo-San e LadyBracknell per non avermi mandato a quel paese con le mie
paturnie mentali, e poi chaska,
Sara_Sakurazuka, Black Knight, KonataR, Ninja Girl e sasuchan7 per il
loro supporto.
Grazie
a
tutti voi <3
Nemeryal
Fin.