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Autore: alister_    06/07/2012    16 recensioni
E' dura essere una giovane scrittrice in erba, se il tuo editore ti obbliga a scrivere qualcosa che venda. Specie se quel ''qualcosa che venda'' è una sdolcinata e banale storia d'amore che non hai alcuna intenzione di scrivere. E soprattutto se sei una single incallita e inacidita del tutto incapace di portare a termine un compito simile.
Come si può porre rimedio ad una totale inesperienza in campo amoroso? Tra esperimenti fallimentari, idoli delle teenager e film di qualità scadente, romanzetti rosa e tentativi di vita sociale si snoda la storia della scrittrice più cinica e nevrotica di tutti i tempi!
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Avviso per i lettori di vecchia data: questo è il secondo aggiornamento che faccio dopo il lungo hiatus. Quindi, se qualcosa non vi quadra, probabilmente è perché vi siete persi il capitolo 18 :D In caso, fate un passo indietro: nello scorso capitolo c'era anche un piccolo riassuntino per rinfrescarsi la memoria su quanto avvenuto prima.

Buona lettura!





Alla fine l'ho fatto.

Ho pensato – temuto – di farlo un sacco di volte, in questi due giorni di attesa, e alla fine mi sono arresa ai miei impulsi più vili.

Il fatto è che non sapevo da che parte girarmi.

Non sapevo che cosa mettermi, tanto per cominciare, e questa non è una cosa da poco. E non potevo neppure chiedere consiglio alla mia migliore amica – per quanto possano essere utili i suoi consigli – perché non ho avuto il coraggio di dirle che avevo un appuntamento. Non tanto perché temessi qualche presa in giro, no; piuttosto, non volevo vederla esaltarsi per me, per non dover poi raccontarle quale disastro era stato quell'incontro e non dover trovarmi davanti al suo sorriso di circostanza. E poi di quell'avvocato non le ho mai parlato, sempre più o meno per gli stessi motivi: non mi è mai andato a genio dover giustificare i miei fallimenti davanti al mio prossimo, ed in campo amoroso di certo non posso ambire ad alcun successo.

Così non ho detto niente a nessuno e ho passato due interi giorni a crucciarmi, cercando di allontanare il dilemma del cosa mi metto al momento fatidico.

E giunto quel momento – grosso modo un'ora fa – ho cominciato a vagliare ogni singolo capo di abbigliamento presente nel mio armadio, senza trovarne neppure uno di mio gradimento.

Ho solo jeans troppo sciatti, magliette scialbe, e vecchi vestiti da festa di laurea che di certo non si addicono ad una semplice serata in pizzeria. Non volevo farmi ridere dietro anche per il vestiario.

La mia incapacità di fare conversazione sarebbe stata sufficiente.

Quando ho messo mano ai trucchi, la cosa è degenerata: non riesco neanche ad usare l'eye-liner senza assumere le sembianze di un panda.

Sono scoppiata in lacrime, peggiorando se possibile ancora di più la situazione make-up.

Ed è stato in quel momento che l'ho fatto.

Ma dove penso di andare, in queste condizioni?, mi sono detta, prima di afferrare il cellulare.

Ho inventato una scusa. Una banale indisposizione, neanche dovessi giustificare un'assenza a scuola, e ho cercato di mostrarmi dispiaciuta con un paio di faccine tristi.

L'avvocato ha risposto subito. Non preoccuparti, ha detto, possiamo fare un'altra volta. Tu vedi di rimetterti presto.

Gentile e corretto fino in fondo. Tanto quanto io sono idiota.

Mi sento una scema totale.

Me ne sto sdraiata sul divano a contemplare il soffitto, ancora in pigiama, rimpiangendo di già il mio ultimo lampo di genio.

Mi sono fatta prendere dal panico. Proprio io, che ho affrontato pure gli Esami di Stato con la calma glaciale di un predatore della savana, mi sono impanicata tanto da mandare tutto a puttane.

Un'occasione così quando mi ricapita? Ho dovuto aspettare più di un quarto di secolo per avere un maledettissimo appuntamento, di sicuro non mi verrà concesso il bis prima dei cinquant'anni!

In questo momento mi detesto. Mi detesto perché sono insieme sollevata e amareggiata dall'aver dato buca all'avvocato.

Da una parte, mi dispiace aver sprecato un'opportunità di rivoluzionare la mia vita. Di dimostrare che anch'io posso uscire con un ragazzo, nonostante finora abbia avuto la vita amorosa di una suora di clausura.

Dall'altra, però, sono consapevole del fatto che non sarei riuscita a dimostrare proprio un bel niente. Avrei fatto la figura dell'idiota e basta. Oltre al fatto che non sono particolarmente portata a chiacchierare con il mio prossimo, che cos'avrei detto che la conversazione si fosse spostata sul personale? Se si fosse parlato di ex? E se si fosse parlato di sesso?

Okay, forse questi non sono esattamente argomenti da primo appuntamento, è vero, ma prima o poi saltano fuori. Prima o poi l'uomo con cui esci prova a baciarti, o a fare di più, quindi la vera domanda è: che succede quando si accorge che non hai la minima esperienza?

Ecco, questo nei fottuti romanzi d'amore non succede mai. Certe situazioni imbarazzanti si possono vivere al massimo a sedici anni, diciassette, diciotto. Stop.

Sono io ad avere seri problemi relazionali. Probabilmente dovrei andare da uno psicologo, entrare in terapia, rispondere ad un sacco di domande idiote sul mio passato alla ricerca di traumi infantili che spieghino questo mio comportamento.

Ebbene, non ce ne sono. Nessun trauma infantile, soltanto una gran mancanza di tempo che in, questi ultimi anni, mi ha impedito di trovare qualcuno che mi piacesse, e una buona dose di sfortuna con i miei amori adolescenziali. E ora che ho trovato qualcuno che sì, mi piace, l'ho bidonato perché non ho abbastanza esperienza nel campo.

Chiudo gli occhi.

Forse dovrei accettare in corner quell'invito alla casa al mare. Togliermi di qui non sarebbe male, per quanto non muoia dalla voglia di vedere i miei amici felicemente accoppiati.

Vorrei soltanto poter spegnere il cervello e togliermi da questa orrenda situazione.

Niente avvocato, niente storia d'amore da scrivere, nulla. Vorrei restare sola al mondo, con l'unico conforto della mia fantasia, nella quale costruire parola dopo parola il mondo dei miei sogni.

Oh, se solo potessi scrivere quello che voglio io, sono sicura che mi uscirebbe fuori il romanzo migliore della mia vita. Sono così stressata che non vorrei altro che potermi buttare a capofitto in una nuova opera, che mi distraesse dai miei problemi.

Invece, questo stupido romanzo mi costringe a esaminare e riesaminare la mia vita, fino allo sfinimento. Sbatto di continuo la testa contro tutto quello che non va in me: mi sembra di impazzire.

Qualcuno suona alla porta.

Mi guardo attorno circospetta: che sia già il portapizze?

Striscio fino alla porta, afferro il portafoglio lungo il tragitto e sbircio dallo spioncino.

Grazie al cielo l'ho fatto. Decisamente non si tratta della mia pizza.

Mi chiedo perché Satana si sia preso tanto a cuore i miei problemi amorosi. La domanda resterà senza risposta, comunque, perché non ho alcuna intenzione di aprirgli. In fondo, in questo momento non dovrei essere in casa.

-Apri la porta. So che ci sei-, dice lui, allegro. -Hai il passo pesante, ti ho sentita strisciare-.

Mi sfugge uno sbuffo esasperato.

-E ora hai sbuffato- ghigna allora.

-Che cosa vuoi?-, chiedo, aprendo per un soffio la porta.

-Non dovresti essere qui-.

Il suo sorriso smagliante mi abbaglia anche attraverso quello spiraglio.

-Visto che lo sai, sei tu a non dover essere qui. Insomma, se sai che dovevo uscire, che diavolo sei venuto a fare? A suonare a vuoto il campanello?-, ribatto io, logica.

-Avevo il sospetto di trovarti. Anzi, in realtà ne ero sicuro al 99%. Dai, fammi entrare. Sul pianerottolo ho incontrato il tuo portapizze e ho pagato per te. Annusa, se non ci credi-.

Lo faccio, perché effettivamente non mi fido della parola di quell'intrigone invadente che s'impossessa del pc altrui non appena uno gli volta le spalle.

Profumo di pizza. Fame. Cibo.

D'accordo, Satana ha vinto ancora una volta. Del resto, la pizza è sempre stata il mio tallone d'Achille.

Lo faccio entrare, senza preoccuparmi minimamente dello stato pietoso in cui verso: devo avere ancora la faccia da panda, ma, del resto, è stato lui a presentarsi ancora una volta a casa mia senza avvisare, e ora ne paga le conseguenze.

-Allora? Che è successo?- chiede, posando la giacca leggera su bracciolo della poltrona più vicina.

Lo fulmino con lo sguardo, concentrandomi piuttosto sulla mia cena: scompaio in cucina a prendere posate e bicchiere – senza premurarmi di offrirgli anche solo un misero bicchiere d'acqua – e, al mio ritorno in salotto, lo trovo seduto ad aspettarmi, con sguardo interessato. Perlomeno questa volta ha avuto l'arguzia di starsene lontano dal computer.

Ignoro i suoi occhi pieni di domande e comincio a mangiare. La pizza è ottima, probabilmente l'unica nota positiva in una giornata veramente orrenda – e, questa volta, è almeno calda.

Satana sta zitto, così mi basta concentrarmi per far finta di essere da sola, in un immaginario mondo in cui non esistono appuntamenti e seccatori, ma solo buoni infiniti per la pizza gratis e collezioni di CD rock a cui attingere liberamente...

-Allora?-

Non riesco a pensare al mio Eden personale per più di due secondi, e il re dei seccatori già torna alla carica: neppure io so perché l'ho fatto entrare, e, soprattutto, perché non l'abbia ancora sbattuto fuori di casa come l'ultima volta.

Uhm, a ripensarci non sono stata particolarmente gentile in quelle circostanze, eppure lui è tornato lo stesso. Sembra che gli piaccia essere trattato male.

-Allora niente-.

-Come mai sei qui? Voglio dire, avevo intuito i problemi psicologici che ti causava l'idea di uscire, ma speravo li avresti vinti-.

Problemi psicologici. Grazie tante.

-E invece no-.

-Sei andata in panico?-

Stranamente, formula questa domanda con sincero interesse, e non – come ci si potrebbe aspettare, con malizia – quasi volesse veramente aiutarmi. Capirmi.

-Più o meno-, gli concedo, tra un boccone di pizza e un altro.

Lui sorride.

-Trucco? Vestiti?-

Quasi mi strozzo con il doppio strato di mozzarella.

-Ma come...?- chiedo, scioccamente, mentre tossisco per non soffocare.

Per tutta risposta il suo sorriso si accentua: ora sì che mi sta prendendo per il culo.

-Cara, basta guardarti una frazione di secondo per capire che in quell'ambito hai qualche problema-.

Ehi, caro, ricordati che ho un coltello in mano. Non è troppo affilato, ma può comunque fare dei danni, se maneggiato con una certa abilità. E per il mio personaggio ninja del terzo romanzo, di ricerche sui coltelli ne ho fatte parecchie.

Però ha ragione. Sia prima, sia ora, sia due giorni fa con quella sua melodrammatica uscita di scena: mi sta dicendo la verità, nuda e cruda. E ciò mi irrita, perché non è certo piacevole vedersi buttare in faccia i propri difetti, però è giusto farsi un esame di coscienza per capire che ha ragione.

E' bizzarro, penso. Da quando gli ho detto sinceramente quello che penso di lui, Satana sembra aver deposto la sua maschera di attore consumato per ripagarmi con la stessa moneta: brutale sincerità. Non so dire se sia un miglioramento o meno.

-Insomma, che cosa gli hai detto?- mi incalza lui, interessato come una nonnetta di fronte all'ultima puntata della soap preferita.

Con un sospiro, gli sintetizzo a grandi linee lo scambio di sms, cercando di tenere un tono il più possibile neutro.

-E tu che gli hai risposto?-

Sbatto gli occhi, interrompendo la masticazione.

-Niente- bofonchio.

Lui rotea lo sguardo, esasperato.

-Sei un disastro. Dammi il cellulare-.

-No!- strillo. -Scordatelo! Non scriverai mai più nulla a nome mio, neanche una lista della spesa!-

-Okay, okay. Allora scrivigli tu: ripetigli che ti dispiace e dagli appuntamento per la prossima settimana, nel week-end immagino sia già impegnato...-

Resto perplessa a fissarlo: probabilmente la mia espressione sarebbe la stessa se mi trovassi ad assistere ad un rituale d'accoppiamento delle seppie di Ketu.

-Se non lo fai tu, lo farò. Sai benissimo che posso prenderti il cellulare e scrivere quello che voglio senza che te ne accorga. Sii furba ed evita che lo inviti a modo mio-.

Se questa voleva essere una minaccia... Be', è una minaccia efficace.

Sbuffando, mi arrendo: poso forchetta e coltello in favore del mio cellulare, abbandonato in una delle fessure del divano. Digito meccanicamente e in tutta fretta, per poter tornare presto alla mia pizza senza soffermarmi troppo a pensare che sì, sto davvero seguendo le istruzioni che mi impartisce Satana. Forse è il caso di farsi vedere per un esorcismo?

-Fatto-, borbotto, tornando a masticare.

Lui, non ancora soddisfatto, si sporge in avanti per sbirciare lo schermo del display. Dopo una rapida occhiata, annuisce con un sorriso.

-Ottimo!- batte le mani e si lascia cadere contro lo schienale della poltrona.

Gli lancio un'altra occhiata di sbieco, tentando di ignorare il suo sorrisetto in favore della mia cena.

-Ora non ci resta che aspettare una sua risposta e poi penseremo a scegliere il look. Darò un'occhiata nel tuo armadio, così vediamo se c'è qualcosa da salvare... Altrimenti abbiamo il tempo di rimediare con una rapida seduta di shopping prima del gran giorno. E dovremo rimediare dei trucchi, ovviamente, perché dubito che tu ne abbia...-

-Ce li ho-, ringhio a denti stretti.

Lui sembra sorpreso.

-Oh, davvero? E perché non li usi mai? Sei sempre così sciatta...-

-Senti, scordati di mettere le mani nel mio armadio, d'accordo?-, sbotto, lasciando cadere le posate sul tavolino. Va già bene che era lui a parlarmi di autostima, l'altro giorno: di certo con queste simpatiche frecciatine non acquisterò sicurezza. -Quindi puoi anche piantarla con questi discorsi da gay-, aggiungo.

-E tu puoi smetterla con le tue solite generalizzazione idiote, grazie-, ribatte inaspettatamente lui, tagliente. -Credevo avessi imparato ad eludere gli stereotipi. Coraggio, sei più intelligente di così-.

Mi mordo il labbro per non lasciarmi sfuggire una delle mie risposte acide.

Ha ragione, maledizione. Per quanto mi dia fastidio ammetterlo, ha proprio ragione.

Mi sono sempre considerata una persona intelligente e matura, sin da quando ero solo una tredicenne già inacidita circondata da coetanee con la fissa dell'idolo del momento; eppure, in compagnia di quest'individuo, riesco sempre a dimostrarmi terribilmente superficiale. Di base odio essere in torto, figurarsi quanto fastidio mi fa essere contestata – a ragione – dal mio pseudo-collega.

-E comunque non sono gay-, riprende lui, sorridendo. -Bisex-.

Mi strozzo con la coca-cola che avevo preso a sorseggiare per evitare di rispondere. Nel giro di due secondi scarsi, i miei colpi di tosse incontrollati si mescolano alla sua risata ilare.

-Ah, sei uno spasso!-, esclama, mentre io riprendo a fatica a respirare. -Sei così... inibita. Prendi tutto mortalmente sul serio, ci credo che poi ti impanichi per le cose più banali-.

La vibrazione del mio cellulare, che annuncia l'arrivo di un nuovo messaggio, mi impedisce di replicare alla sua ennesima frecciatina con qualcosa di più di una semplice occhiata torva.

Afferro il telefono prima che lo faccia Satana, già proteso in avanti e più che incline a impicciarsi di nuovo.

-Martedì sera-, annuncio, cercando di usare un tono rilassato, dopo aver letto l'sms dell'avvocato, cortese come al solito. Mi arrendo davanti all'evidenza dei fatti: ormai è impossibile estromettere Satana da questa faccenda, che mi piaccia o no.

-Perfetto!-, esclama, abbagliandomi con il suo sorriso. -Ora resta solo da sistemare la questione look. E poi, magari, ragioniamo insieme su una strategia di conversazione... Sì, forse sarebbe il caso di fare anche quello, per evitare silenzi imbarazzanti...-

-Ma perché lo fai?- lo interrompo io. Finalmente sono riuscita a formulare la domanda che ho sulle labbra da giorni, e lui ne sembra sorpreso. -Perché giochi al Dottor Stranamore con me? Perché ti prendi tanto a cuore le mie faccende personali?-

Dopo un attimo di spiazzamento, Satana sorride e scrolla le spalle.

-Chissà, forse mi piaci-.

Scoppia a ridere dopo neanche due secondi e io realizzo solo dopo un bel po' che a suscitare la sua ilarità non è quanto ha detto, bensì l'espressione scioccata che mi si è dipinta in faccia.

-Ti vedessi in faccia- mormora, tra le risate. -Sei esilarante, davvero. Dalla tua espressione sembra che ti abbia appena detto che aspetto un figlio e tu sei il padre-.

Con quest'esempio balzano, la mia espressione così divertente si accentua ancora di più.

-Ah, a volte mi sembra di parlare con una ragazzina di quattordici anni, che considera l'altro sesso una razza aliena e vede problemi insormontabili nelle frasi più genuine. Hai il modo di rapportarti al tuo prossimo che avrebbe un'adolescente priva di esperienza del mondo, lo sai?-

Oh be', grazie tante. Un'altra simpatica botta alla mia precaria autostima, e un'altra analisi crudelmente veritiera della mia psiche. Possibile che l'autore de “L'amore di noi due” riesca a psicanalizzarmi meglio di quanto riesca a fare io stessa? Ma, soprattutto, chi diavolo gli ha dato il permesso di farlo e prendersi tutta questa confidenza?

Sospiro. Nonostante sia stata più che categorica nel cercare di trasmettergli la mia antipatia sin dall'inizio, continuo a ritrovarmelo in salotto. E, come se non bastasse, nel giro di tre settimane scarse è diventato un esperto per quel che mi concerne. Forse dovrei iniziare a trattarlo bene nella speranza che si levi di torno?

Mentre ci rifletto sopra, lascio parlare lui, mai a corto di argomenti: è già tornato alla carica con la questione abbigliamento.

In silenzio, torno alla mia pizza. Forse una consulenza non richiesta non è proprio da buttar via.

A mali estremi, estremi rimedi.












Capitolo 20 in lavorazione!

Prometto che, al prossimo aggiornamento (che non dovrebbe tardare), ci sarà finalmente sulla scena l'Avvocato :D
Questa volta sono stata di parola, visto? Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia e che mi lasciano ogni volta recensioni meravigliose! Un grazie particolare a tutti i nuovi lettori - che sono più di quanti mi aspettassi!
Come al solito, ricordo la mia pagina Facebook, per ogni aggiornamento :D


   
 
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