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Autore: cranium    06/07/2012    3 recensioni
-Come ti chiami?- chiese Draco.
-Non te lo dico, mi prenderesti in giro.- rispose testarda.
-Non può essere più strano del mio, dai dimmelo.-
La ragazza sbuffò infastidita poi rispose:
-Mi chiamo Wren contento?-
-Ti chiami scricciolo?- e scoppiò a ridere, più per l’espressione buffa che aveva fatto la ragazza che per il nome. Infondo le si addiceva: aveva le spalle strette e era piuttosto minuta, ma il carattere non era quello di un timido uccellino.
[...]

Draco/Nuovo Personaggio.
I Malfoy sono vittime di una maledizione da tre secoli, imposta su di loro da una donna.
Riuscirà Draco a spezzare il flagello che opprime la sua famiglia e far si che la ragazza che ama si innamori di lui?
O anche lui dovrà soffrire le amare pene dell'amore?
Storia ispirata a "La Bella e la Bestia".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Il serpente e l’uccellino.

Capitolo VIII: Wren e Draco.

È indubbio che l'amore abbia un carattere

diverso dall'amicizia: quest'ultima non ha

                                                                                                                                                         mai mandato nessuno in manicomio.

Charles-Louis de Montesquieu,

 

La sua seconda missione come Mangiamorte.

Con la complicità degli infiltrati al Ministero Voldermort era riuscito a prendere tutto il potere.

Lui c’era, c’era quando il suo Signore aveva torturato il Ministro per chiedergli di Potter, ma lui non aveva proferito parola.

Era questa la lealtà che i Grifondoro decantavano tanto?

Questo il sentimento che li legava e li faceva lottare come un unico corpo?

Infondo Rufus Scrimgeour ad un leone un po’ ci assomigliava con i suoi capelli folti e la sua voce possente, ma nell’agonia neppure la sostanza ti salva e la sua voce si era trasformata in quella di un micetto mentre tentava di trattenere le urla mordendosi le labbra.

Si erano smaterializzati in fretta, sperando che la notizia del cambio di governo non fosse già giunta alla loro destinazione, arrivati però si accorsero che era così.

Nel bagliore argenteo di un Patronus che si dissolve la gente scappava.

Chi poteva si smaterializzava, altri cercavano i propri figli o i membri più anziani della famiglia che non potevano fuggire senza di loro, i più coraggiosi si erano schierati compatti per affrontare qualcosa che non era ancora lì.

Nei loro vestiti dalla festa i loro visi contratti sembravano ancora più rabbiosi, persino la sposa aveva la bacchetta in mano per difendere quelli che non erano ancora fuggiti, per permettere la fuga a chi sapevano loro.

Si avvertì un –crac-, Potter, la Granger e Weasley non c’erano già più.

 

Le sue unghie si erano ridotte a dei moncherini senza spessore e forma, i denti esigevano il loro tributo, o le unghie o la lingua, e le prime, se morse, erano meno dolorose.

Passò a mordicchiare l’interno della guancia finché non avvertì il sapore ferroso del sangue fresco.

A volte ci sono cose che bruciano più del dolore fisico, il rimorso, per esempio, la coscienza che ci infiamma lo stomaco per far capire che abbiamo sbagliato, finché l’incendio interno non arriva alla gola e cerchiamo di spegnerlo con qualcosa di forte, ma non facciamo altro che peggiorare la situazione.

Mai mescolare alcool e fuoco se non vuoi finire senza un sopracciglio.

Ma infondo bere aiuta, no?

Cosa c’è di meglio che dimenticare i propri errori sotto l’ebbrezza di qualche grado?

Probabilmente non averli commessi, ma quando prendiamo una decisione non sappiamo mai che effetti avrà, o meglio, lo sappiamo, ma facciamo finta di nulla.

Era lì, sdraiato nella camera adiacente alla sua che sarebbe diventata la dimora di Wren, con un bicchiere in mano, se sua madre lo avesse visto lo avrebbe di certo sgridato, anche se ormai maggiorenne, ma le madri non vedono il loro cucciolo che cresce, per loro è sempre il piccolino da allattare al seno, e non si accorgono che magari il figlio ha bisogno di altro al posto del latte materno.

Oramai la decisione era stata presa e non si sarebbe potuto tirare, non adesso, non per la sua vigliaccheria.

Prese dalla sedia il mantello nero e se lo infilò prima di uscire, tirò su il cappuccio e si smaterializzò nella sera, mentre l’odore dei gelsomini all’ingresso lo accompagnava verso la sua destinazione.

Diagon Alley lo investì con i suoi colori spenti da imminente dittatura, le vetrine vuote e buie, con le sue persiane e serrande chiuse o sbarrate, con le sue strade vuote neppure ci fosse stato il coprifuoco, con il suo clima gelido.

Si addentrò per i vicoli che oramai conosceva come le sue tasche se non meglio, fino a trovarsi davanti al portone di legno scuro che era la sua meta.

Bussò, ma lo trovò già aperto.

Salì per la scala ripida attento a non attirare l’attenzione della signora Burkin che avrebbe potuto sentirlo, continuò a arrampicarsi sugli scalini, e ad ognuno che scavalcava con passo lento e controllato, perdeva un briciolo di sicurezza in quello che stava facendo.

Perché a diciassette anni non ci si rende conto di quello che si fa, almeno finché non ci si sbatte contro, finché non si vede il danno effettivo sulla pelle ancora giovane e non consumata, finché non ci si trova davanti all’alto baratro e pochi secondi prima si aveva l’intenzione di gettarcisi, finché le gambe non percepiscono il pericolo e costringono alla ritirata il cervello.

Ma l’ostinazione e l’egoismo sono più forti delle gambe, e in un certo senso anche l’amore.

Marcus Gray gli si parò davanti in tutta la sua mole e il suo odio profondo e viscerale che si poteva leggere negli occhi scuri dell’uomo.

Gli stava portando via la figlia, una figlia che si era dovuta crescere da sola, che aveva dovuto combattere contro tutto senza poter vedere il suo nemico, ma che era l’unica persona che gli era rimasta al mondo.

Ora lo vedeva, si sarebbe dato in pasto alle fiamme dell’inferno per lei, ma lo aveva capito da troppo poco per avere la fiducia della figlia e il suo amore, troppo tardi, anche per lui.

Erano uguali sotto quell’aspetto, nessuno dei due era riuscito a far capire a Wren quello che provavano, che fosse stato l’amore di un padre, sia l’affetto profondo di un amico.

Tutti e due l’avevano tradita, chi con il lavoro, chi con l’egoismo.

Lei odiava tutti e due.

-Ti aspettavo.-

Sulla soglia, insieme a lui, anche un baule e Wren che il padre teneva stretta nella sua presa.

Niente guance rosse per la rabbia, niente denti serrati come una animale che vuole difendere i propri diritti, solo Wren, con la schiena diritta e i capelli lunghi e ribelli, le calze perennemente spaiate e le labbra rosse quasi come la sua maglia.

-Sei un pezzo di deficiente, lo sai?- disse lei e Draco pensò che si stesse rivolgendo a lui perché si era accorta che la stava fissando.

-Lo faccio solo per te, lo vuoi capire?!-

-Sì certo, come no.-

-Non voglio perdere anche te..- tutta la disperazione di un uomo in quelle poche parole.

Cosa voleva dire per una persona perdere prematuramente la moglie e poi lasciare la figlia in mano a un Mangiamorte?

Cosa voleva dire aver capito troppo tardi quello che provava per sua figlia?

-Ti  sempre interessato così tanto vero? Non è che sta storia  non è una scusa per non avermi più tra i piedi?-

-Come ti permetti ragazzina.-

La delusione di vedere la figlia che anche in un momento così delicato gli stava dando contro.

-Senti tu.. sì tu- e lo punzecchiò con il bastone –hai così tanto tempo da perdere?-

-Io?- rispose lui, ma non si accorse dei muscoli di Wren che si erano irrigiditi al suono della sua voce, per poi rilassarsi accompagnati da un movimento della testa.

-Perspicace direi.-

-Sì in effetti dovremo andare.- ma Marcus sembrava non voler lasciare il braccio della figlia, che invece se ne liberò con uno strattone, per lasciare che lo prendesse lo sconosciuto per facilitare la smaterializzazione.

Perdere una figlia in un –crac-.

Ritrovare una amica in un –crac-.

L’odore dei gelsomini li sorprese di botto, quando i loro piedi non erano ancora pronti all’atterraggio e nemmeno i loro stomaci.

 

-Tu!- gli gridò lei appena arrivati alla camera –Devi starmi veramente lontano se non vuoi che ti faccia male sul serio.-

-Ah sì?- la sbeffeggiò lui per sdrammatizzare l’atmosfera, ma lei lo prese di striscio col bastone e fu costretto ad allontanarsi.

-Sì!-

-Non voglio farti del male.-

-Io non posso dirti la stessa cosa.-

-Senti magari se mi conoscessi meglio..- avrebbe voluto abbracciarla, dirle che era uno stupido, che era lui, che era Draco, che non le avrebbe mai fatto del male.

-Chi ti dice che io voglia conoscerti.-

-Sono l’unica persona con cui parlerai per molto tempo.-

Sembrò pensarci un attimo, con la mano cercò il materasso dietro di lei e vi si accovacciò con le gambe al petto.

Si erano completati per così tanto tempo, lei tranquilla e sbarazzina lui nervoso e calcolatore, che anche adesso riusciva a pacarla.

Perché lei sapeva cos’era la solitudine, e ne aveva la giusta paura, lei sapeva cosa voleva dire non avere nessuno con cui parlare, nessuno con cui confidarsi.

Anche lui era così, sotto la scorza di vecchia serpe burbera, era solo un ragazzo.

Sapeva cosa la rendeva felice, sapeva cosa la spaventava e sapeva di mancarle, in un modo o in un altro.

-Come ti chiami?- gli chiese appoggiando il bastone in segno di resa.

-Neville.- rispose con il primo nome che gli era saltato in mente.

-Non è un nome da cattivo sai?- e accennò un sorriso tra le ginocchia che teneva ancora al petto.

Quanto gli era mancato il suo sorriso, quanto le era mancata lei.

-Wren non mi sembra un nome da ragazza che prende a bastonate le persone!-

-Bisogna adeguarsi nella vita.-

E lui lo sapeva bene, si stava adeguando a una vita che non era la sua, a una maschera di ferro che gli stava troppo piccola e che lo soffocava giorno dopo giorno, ora dopo ora,

Si stava adeguando a un nome troppo grande, che invece, gli stava così largo da poterci nuotare dentro per trovare una via d’uscita impossibile da trovare, per trovare quel lembo fragile dal quale scappare per trovare la luce che da tanto cercava.

E forse l’aveva trovata.

Lei con i suoi occhi spenti, che di luci non ne aveva mai vista, il suo corpo esile e fragile da stritolare in un abbraccio, le sue spalle minute che riuscivano a sollevare il mondo senza aiuto di altro che della sua forza.

-Dalla voce non sembri neppure vecchio.-

-Infatti non lo sono.-

-Vuoi farmi credere che adesso anche i ragazzini diventano Mangiamo..- si frenò di scatto e si morse il labbro storcendo il naso –sarà perché il mondo è pieno di idioti, ecco perché.- continuò.

-Devo andare, ti porterò qualcosa da mangiare.- disse lui sbrigativo mentre usciva dalla stanza.

“Neville! Proprio Neville mi doveva venire in mente?”

 

Tornò dopo nemmeno un’ora da lei, voleva recuperare tutto il tempo che aveva perso, anche se lei sembrava riluttante anche al solo pensiero.

Chissà cosa pensava di lui, di quel mostro dalla maschera scura che l’aveva portata via da casa sua, dalle sue cose, dalla sua piccola quotidianità.

Per un attimo i suoi pensieri cupi vennero interrotti da un lampo di luce solitario nella sua notte eterna, prima lei aveva pensato a lui, lui Draco, ne era certo.

 

 

NdA:

capitolo corto, scusate.

Il prossimo sarà più lungo e incentrato su Wren principalmente, e forse torneranno Lucius e Narcissa..

Wren è arrivata a villa Malfoy ed è adesso che incomincia la vera “storia” se possiamo chiamarla così.

Ringrazio chi continua a seguirmi, siete fantastici tutti, grazie mille.

Serpeverde ha vinto la Coppa delle Case!

 

cranium

  
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