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Autore: LilithJow    08/07/2012    3 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Il senso del dubbio oscurava tutto il resto. Mi sembrava di non sapere più nulla di me stessa, della mia vita e del mondo che mi circondava.
Tutto quello che avevo ritenuto una certezza era improvvisamente crollato. Non distinguevo più il reale dal non reale, probabilmente perchè ciò che non avrebbe dovuto esserlo, riempiva costantemente la mia realtà.
Mi ero abituata alla presenza costante di Daniel, in qualsiasi momento della mia giornata, da quando aprivo gli occhi e lo ritrovavo sdraiato al mio fianco, steso sul materasso, o quando andavo al lavoro che da poco, spronata proprio da lui, avevo ripreso, finchè non tornavo a dormire, sicura che lui ci sarebbe stato la mattina dopo e avrebbe vegliato su di me tutta la notte. In fondo, Daniel era il mio angelo custode.
Era diverso da com'era in vita, forse più divertente. Spesso finiva con il farmi ridere in momenti non opportuni ed ero certa che la gente attorno mi considerasse pazza. Ma non importava: le sue battute, i suoi gesti, i suoi sguardi... Mi facevano, semplicemente, stare bene.
Purtroppo però, a momenti di gioia donati da avvenimenti del genere, si alternavano, con sempre più frequenza, momenti di tristezza assoluta, molto vicina alla depressione, dettata un po' da tutto.
In primo luogo c'era Lucas: dopo essersi presentato a casa mia quel giorno, aveva ripreso ad evitarmi, quasi a fingere di non conoscermi. Me ne accorsi quando una mattina lo vidi cambiare palesemente strada pur di non incrociare il mio cammino.
Daniel mi disse di non preoccuparmi per lui, perchè era normale che si comportasse in quel modo: aveva rimedi strani contro il dolore. Tuttavia, non potei fare a meno di farlo, anche perchè continuavo a sentirmi in buona parte responsabile per ciò che gli stava succedendo. Più volte pensai di recarmi a casa sua, bussare e parlargli per ore, nella speranza di riuscire a risollevare almeno di un minimo il suo stato d'animo, ma ogni volta, prima che il mio pugno chiuso potesse toccare la porta, desistevo e correvo via.

Quella mattina, come sempre accadeva, aprii gli occhi alle sei in punto. Per esattamente cinque minuti fissai il soffitto ingiallito della mia stanza, quasi per capire di essere davvero sveglia e non ancora immersa nel sonno. Realizzarlo era facile: mi bastava girarmi di poco verso destra e incrociare i due fari azzurri di Daniel, che mi stavano fissando.
Mi misi su un fianco, prendendo io a osservarlo in ogni minimo dettaglio del viso; dal taglio delle sopracciglia, alla forma del naso e dello zigomo. Era inutile: più lo guardavo, più era perfetto.
Di solito, ogni volta che aprivo gli occhi e incrociavo i suoi, mi limitavo a sorridere e rimanevamo in silenzio per ore, semplicemente a guardarci l'un l'altro, senza osare fiatare. Ma quella volta il silenzio non mi apparteneva.
“Se io volessi seguirti?” mormorai “lassù, intendo”. Daniel accennò una risata, del tutto sarcastica. “Non te lo permetterei. Ne abbiamo già discusso” replicò.
“Non parlo di un nuovo tentativo di suicidio. Voglio dire... Non puoi semplicemente portarmi... Non so, sopra le nuvole, con te?”.
“Non è così che funziona”.
Sospirai, scuotendo leggermente la testa. “Ovvio che non funziona così” esclamai, con tono alquanto irritato, senza che ne avessi davvero l'intenzione “il punto è che io non ho idea di come funzioni, né chi abbia deciso il modo in cui tutto funziona e tu non me lo vuoi dire ed è tutto uno schifo, perchè prima o poi tu te ne andrai e io sarò sola di nuovo. E non tirare di nuovo fuori quel discorso del 'resterò finchè ne avrai bisogno' e che i bisogni non durano per sempre. Il mio bisogno di te non è uguale a tutti i bisogni, e che tu lo voglia o no, ne avrò sempre di te, ti amerò per sempre e desidererò sempre averti accanto”.
Per tutta quella mia sfuriata, Daniel restò perfettamente immobile, a guardarmi mentre mi affannavo e diventavo tutta rossa. Lui sorrise appena, il che mi fece innervosire. Mi alzai di scatto dal letto, prendendo a fare su e giù per la stanza, sebbene in quel momento desiderassi picchiarlo a causa del fatto che si prendeva gioco di me in quel modo.
Ma non lo feci, non ne avrei mai avuto il coraggio. Lo vidi alzarsi, poco dopo, abbandonare il letto e avvicinarsi a me, lentamente.
“Se avrai sempre bisogno di me” sussurrò “vuol dire che dovrò rimanere con te per sempre. Ma io so che non accadrà. Tu puoi pensarla come vuoi, non voglio obbligarti a credermi”.
Come potevo credergli?
Mi aveva detto più volte di esser in grado di percepire i miei sentimenti e le mie sensazioni, però io ero fermamente convinta del fatto che avrei sempre e comunque desiderato la sua presenza.
“Cosa succede dopo?” chiesi, in un sussurro “quando avrò vissuto questa vita felice che dici che avrò, quando morirò in modo del tutto naturale. Che cosa c'è?”.
Daniel esitò nel rispondere. Sapevo benissimo dove le sue esitazioni avrebbero portato, avevo imparato a leggere i suoi gesti. “Non puoi dirmelo” dissi “Okay, va bene. Dimmi almeno che dopo la morte potrò stare con te. Non mi importa dove e come”.
La sua esitazione raddoppiò dopo quelle ultime frasi. A quello non ero preparata, perchè non lo aveva mai fatto così a lungo.
“Io sono un angelo, Sam” mormorò “e gli angeli sono stati creati per vegliare sugli umani. Quando tu avrai trovato la tua felicità, io andrò via e veglierò su qualcun altro. E'... E' così che funziona. Tu non dovresti nemmeno vedermi, ma... Questo è un caso un po' particolare perchè... Beh, sei tu quella particolare e la nostra storia e il modo in cui ci siamo incontrati e io non..”. A quel punto, ero stanca di ascoltare, come se le sue parole mi stessero ferendo, squarciando la pelle in qualche modo, perchè stava ponendo una sentenza definitiva su noi due. Mi ero illusa che almeno dopo la morte, nell'aldilà, avremmo potuto riunirci, invece lui aveva appena buttato giù ogni cosa.
Tuttavia, non ebbi alcuna reazione violenta o incredibilmente triste.
No. Presi il suo viso tra le mani e modellai le labbra sulle sue, mentre una lacrima amara mi rigava una guancia. Sulle prime, Daniel tentò di distaccarmi, ma durò tutto meno di due secondi. Si arrese quasi subito al mio contatto, poggiando entrambe le mani sui miei fianchi.
Quando mi staccai, rimasi ancora con il viso molto vicino al suo. Sentivo il suo respiro sulla pelle: era gelido, come il vento d'inverno. “Non avresti dovuto farlo di nuovo” disse, a tono di voce a malapena percettibile.
Io non replicai, non a parole. Ripresi a baciarlo con tutta la dolcezza che avevo in corpo e finalmente, per la prima volta, Daniel fu di nuovo coinvolto nel bacio, come accadeva quando era in vita.
Lo spinsi in maniera lieve verso il letto e ci ritrovammo stesi sul materasso, tra le lenzuola ancora in disordine, io sopra di lui. Continuai ad accarezzarlo per tutto il tempo, passando le mani sul suo collo e sul fianco. La sua pelle fredda mi donava sensazioni incredibili, che mai prima avevo immaginato.
Era simile a ciò che si prova quando si poggia una mano sulla neve appena scesa: fresca, delicata, morbida e così vicina. Stavo tremando, era difficile da nascondere, tanto che lui accennò a fermarmi non appena lo notò, ma non potevo permetterlo. Non mi ero spinta così oltre per mollare a causa del freddo.
E poi a me quel freddo piaceva.
Era così che immaginavo il paradiso: io attaccata a Daniel e al gelo della sua pelle, nulla più. Mi scordai, almeno per un momento, le sue parole, la sua estrema sentenza che mi aveva precluso ogni felicità a cui aspiravo.
Lui, ora, era lì ed era completamente mio.

Quando fummo entrambi privi di vestiti, l'essere nudi aumentò a dismisura il freddo che sentivo.
Le posizioni si erano invertite, ora era lui ad essere sopra di me. Avevo le mani appoggiata sul suo collo, mentre venivo percossa da brividi continui. Daniel mi guardò per un istante, sfiorandomi la guancia con due dita. “Stai tremando” mormorò. Mi affrettai a scuotere la testa, in segno di diniego.
Non volevo che lui si scansasse, che ponesse fine a ciò che stava per accadere, qualcosa che sarebbe stato più che magico.
Stavamo per unirci da ogni punto di vista, fisico – sebbene mi chiedessi come fosse possibile – e spirituale.
Le nostre anime si sarebbero incatenate, divenendo un unico essere, una sola e pura cosa, piena d'amore e di purezza.
Non seppi spiegare allora – né ci riesco adesso – le infinità di sensazioni che mi avvolsero quando ciò accadde. Il solo baciarlo mi mandava in una totale estasi. Fare l'amore con lui... Beh, fu come nascere per una seconda volta e mi lasciò letteralmente senza fiato.
L'intero corpo mi formicolava e il cuore mi batteva all'impazzata.
Quando Daniel mi scivolò accanto, non osai muovermi, per almeno qualche minuto, come se volessi realizzare che tutto ciò fosse realmente accaduto e non fosse solo uno dei miei tanti sogni. Ma quando sentii la sua mano sfiorarmi la guancia, capii che era tutto vero.
O relativamente vero: lui era ancora un angelo, che solo io potevo vedere, e chissà che sarebbe successo se qualcuno fosse entrato nella stanza solo qualche istante prima e mi avesse vista fare... Tutto quello.
Accennai una risata, all'idea, che venne subito soffocata dal bacio sulle labbra che mi affrettai a dargli.
Mi distaccai in maniera lenta da lui, a malincuore, dal momento che avrei seriamente voluto prolungare il contatto tra di noi, ma sentii la necessità di farmi investire dai suoi occhi color ghiaccio, che ritrovai poco dopo a qualche centimetro dal mio viso.
“Ti amo” mormorai “so che lo sai, che lo senti e tutto il resto, ma... Mi piace dirlo”.
“Non dovresti” sussurrò lui, sfiorando le mie labbra con due dita. “Io sono... Sono morto ed è come se in questo momento fossi solo nella tua testa, perchè nessuno, a parte te, può vedermi. E' un motivo valido per smettere di amarmi”.
“Non lo è. Sono sempre stata convinta che se è vero amore, esso riesce a superare anche ostacoli estremi, come la morte. Potrei incontrare tanti uomini, baciarli, andare a letto con loro, ma non credo che il mio amore per te cesserebbe di esistere. L'amore batte la morte semplicemente perchè è più forte”.
Daniel rimase in silenzio in seguito alle mie parole. Ero pienamente convinta di ciò che avevo detto, soprattutto in quell'istante, mentre lo guardavo, perdendomi nei dettagli del suo sorriso appena accennato e dei suoi occhi socchiusi.
Una replica non arrivò mai.
Non seppi se lui condivideva quella teoria oppure ne era inesorabilmente contro.
Non glielo chiesi nemmeno, forse perchè avevo paura di una sua risposta e rimasi in silenzio per il resto della giornata.

  
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