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Autore: Hiraedd    10/07/2012    2 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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 Capitolo 6



 
-Dorcas, per caso ti ricordi il titolo del tema per Lumacorno?-.
 
Amelia Bones era una bella ragazza, a modo suo: alta poco meno del metro e cinquanta, aveva un viso da bambola con un sorriso dolcissimo, e due splendide fossette sulle guance. Non era nota per la sua grande intelligenza, benchè sapesse distinguersi di tanto in tanto a lezione per le brillanti risposte, né per il suo immenso coraggio, essendo una Tassorosso.
 
Non faceva parte fissa di nessuna compagnia: non era, come erroneamente pensavano gli altri studenti, parte attiva del gruppo “Prewett-Podmore-Dearborn-Shacklebolt-Jones e Bones” –in cui il Bones in questione stava a simboleggiare il fratello, per essere precisi-, ma aveva amici un po’ ovunque e, cosa strana per quel tempo, non destava particolare antipatia nemmeno nei Serpeverde.
 
Era una ragazza come tante altre, con problemi come quelli di tante altre adolescenti. E, in più, aveva un bel sorriso.
 
-Gli influssi del Gelsomino nell’Amortentia- le rispose Dorcas, un sorriso più riservato a sagomarle le labbra lievemente screpolate.
 
-vedi, Lumacorno e la McGrannitt sono gli unici abbastanza furbi da cambiare di anno in anno gli argomenti di temi e compiti- esclamò Hestia rivolta alle due ragazze, guadagnandosi un cenno d’assenso anche da parte del proprio ragazzo, seduto accanto a lei –la Sprite non lo fa mai-.
 
Fabian Prewett diede in un sorriso divertito.
 
-questo spiega il motivo per cui Meli ha i tuoi stessi voti di Erbologia, Hes- le disse in risposta scuotendo il capo –e meno male che una delle caratteristiche fondamentali dei Tassorosso dovrebbe essere la lealtà-.
 
Amelia Bones si limitò a scrollare il capo, lasciando ondeggiare i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo sulla nuca.
 
-la lealtà è una questione di  punti di vista, Prewett- dichiarò alla fine, con uno sguardo dolce come il miele negli occhi e una punta di sarcasmo sulla lingua.
 
-ehi, tu e Fenwick vi passate le battute, per caso?- intervenne Dearborn con quell’espressione da cane bastonato che sfoggiava tanto volentieri nelle occasioni in cui i suoi amici lo mettevano con le spalle al muro. Non se l’era tolta dal muso sin da che lo avevano spinto –assolutamente controvoglia- dentro a quella locanda malfamata –non dicesti ad Hes qualcosa di simile, in biblioteca, Fenwick?-.
 
Benjy scrutò Caradoc con sguardo scettico.
 
-non passo il mio tempo a registrare a mente la mia voce per il puro piacere di riascoltarla, Dearborn- lo freddò alla fine, sempre con quel tono cortese che impediva di prenderlo a schiaffi pubblicamente anche quando, soprattutto quando, se lo meritava veramente –non ricordo cosa ho detto, in biblioteca-.
 
Dorcas levò gli occhi sul suo migliore amico in uno sguardo di fuoco. Non aveva mai sentito Benjy parlare in modo così gentilmente scortese ad anima viva, o morta, su tutta la terra.
 
Lui le rispose con uno sguardo incolore venato di un rammarico falso quanto una moneta da sei falci, nel bel mezzo del silenzio che circondava ora la tavola. Shacklebolt si poteva dire sorpreso, i Prewett vagamente indignati, Podmore decisamente sbalordito e la Jones soddisfatta per aver avuto la conferma che, in fondo in fondo, quel Fenwick qualcosa di guasto ce lo aveva per essere finito a Serpeverde.
Caradoc aggrottò la fronte, perplesso.
 
I Bones furono gli unici a non dare troppo peso alle parole del ragazzo.
 
-non era negli intenti di Benjy offendere nessuno- disse alla fine, sempre al centro del silenzio, la Meadowes –è solo particolarmente di cattivo umore, stamani-.
 
Caradoc Dearborn si limitò a rivolgere un lungo sguardo alla ragazza.
 
A Dorcas, Caradoc piaceva immensamente.
 
Non come ragazzo, no. Era stato uno dei motivi principali per cui, l’anno prima, aveva rifiutato il suo invito ad Hogwarts. Non le interessava quel ragazzo dai tratti talmente belli da far perdere la testa a più di una ragazza, non le interessava il suo tanto decantato ciuffo e nemmeno i suoi tanto lodati occhi ambrati.
 
Era qualcos’altro.
 
Era, probabilmente, il fatto di poter riconoscere che oltre quella maschera si celava il ragazzo forse più intelligente con cui avesse mai avuto l’onore di trascorrere del tempo.
 
Perché non era per caso che sette anni prima Caradoc Dearborn era stato smistato a Corvonero, a parer suo.
 
La ragazza, quindi, incrociando quello sguardo tanto lodato, non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso rassicurante, subito scomparso nel levare gli occhi verso i suoi compagni di tavola, verso la cappa di silenzio persistente che continuava ad aleggiare su tutta la combriccola.
 
-vi va un pezzo di torta al cioccolato?- chiese indicando la piccola tortina in mezzo a loro, in un tono disinvolto che mai prima di allora le era appartenuto –Ab è uno cuoco davvero stupefacente, e non ho mai assaggiato una torta migliore di questa-.
 
 
*
 
 
-quindi tu non sei mai salita su una scopa?- chiese sbalordito, circa una mezzora dopo, Sturgis Podmore.
 
Essendo loro decisamente in troppi per condurre una sola conversazione, la tavola si era naturalmente divisa in due sottogruppi. Hestia, Sturgis, Fabian, Edgar e Dorcas parlavano di qualsiasi cosa capitasse a tiro, da eventi assolutamente trascurabili accaduti il natale scorso alla facilità di manovrabilità delle moderne scope da corsa. In realtà, i primi quattro parlavano ridendo e scherzando tra loro, rievocando ricordi divertenti e passandosi la parola a vicenda, mentre Dorcas si limitava ad ascoltare con un mezzo sorriso divertito sulle labbra.
 
Solo con quell’ultima domanda, l’attenzione dei quattro si focalizzò pienamente su di lei.
 
Intimidita da tanto interesse, si ritrasse lievemente sulla sedia imporporandosi appena sulle gote.
 
-beh, io non…- esitò un attimo, scuotendo la testa –se si escludono le prime lezioni di volo, no-.
 
Se fosse stata una persona diversa, sarebbe scoppiata a ridere di fronte all’espressione di totale sbalordimento dipinta sul viso dei tre ragazzi. Vide la Jones scuotere la testa e dare una gomitata al suo ragazzo.
 
-Merlino, Dor, perdona questi trogloditi- le disse con fare cameratesco, pestando sonoramente il piede a Sturgis per ridestarlo dallo stato di catatonico stupore in cui pareva esser precipitato –sai, sono troppo stupidi per capire che ci sono cose più interessanti del volo, al mondo-.
 
Nuovamente, il sorriso fece capolino sul volto della ragazza.
 
-no, davvero, non capisco- esclamò Edgar scuotendo il capo –perché no? Insomma, a tutti piace volare!-.
 
Dorcas scosse il capo.
 
-no, mi dispiace- mormorò cercando per un secondo ancora di fuggire tanta attenzione. Dal momento che nessuno dei tre pareva voler volgere ad altro il proprio interesse, si sentì in dovere di continuare –preferisco tenere i piedi per terra, ci sono meno rischi di cadere-.
 
-come, sei caduta dalla scopa?- chiese allora Fabian, interdetto.
 
-quella fu solo colpa di quel bastardo di Malfoy- dichiarò Amelia, infiltrandosi nella conversazione. Fino ad allora, era rimasta ad ascoltare in parte i discorsi di Caradoc, Kingsley e Gideon sui M.A.G.O. e in parte quelli dei cinque ragazzi –è sempre stato un’idiota, ha fatto cadere anche la Boot. Siete compagne di dormitorio, non è vero, Dorcas? Tu ti sei rotta un braccio, e lui l’ha passata liscia-.
 
Dorcas annuì, a testimoniare che Morag Boot occupava il letto accanto al suo, per quanto la cosa le fosse mai interessata. Avevano scambiato si e no tre parole, dall’inizio di quell’anno.
 
Tornando con lo sguardo sul resto della compagnia, la ragazza incrociò il profilo di Fenwick. Ben era intento ad ascoltare le parole di Kingsley, che ora era occupato a descrivere il suo personale esame di Difesa Contro le Arti Oscure, ai G.U.F.O.
 
-…alla fine si è trattato solo di un Molliccio, ed è stato piuttosto semplice. Non credo che quest’anno gli esami saranno così poco impegnativi e…-
 
-parla per te, King, poco impegnativi! Studiavamo sei ore al giorno nel mese precedente i G.U.F.O.- si intromise Fabian, vedendo che l’attenzione della Meadowes era stata attratta dalle parole del Caposcuola –spero davvero che ti conterrai, quest’anno, e non ci farai studiare dalle dieci alle dodici ore come minacci fin dall’inizio di settembre-.
 
-Fab, sono serio quando dico che dovremmo impegnarci-
 
-anche io sono serio quando dico che giorno dopo giorno assomigli sempre di più a Docco- ribattè il ragazzo, indicando quello che, Dorcas l’aveva capito più o meno dieci frecciatine prima, doveva essere un po’ il buffone e un po’ il collante del gruppo –ancora un po’, e dovremmo sopportarne due che straparlano e fanno la ruota come dei pavoni-.
 
-io, non faccio la ruota come un pavone- puntualizzò sentendosi chiamato in causa il capitano corvonero, l’indice sfoderato ad ammonire il gemello incriminato –e poi, la tua è tutta invidia-.
 
Il rumore di una sedia scostata interruppe la diatriba in corso.
 
-scusate- mormorò Benjy alzandosi e scostando il proprio boccale di idromele –porto la torta ad Ab-.
 
Dorcas fu tentata di alzare gli occhi al cielo, ritrovandosi poi costretta a piantarli sul nodo del legno al centro della tavola.
 
Lasciò che il proprio migliore amico prendesse la piccola teglia e si dirigesse al bancone, a fare compagnia al burbero barista, e per un attimo lasciò che il silenzio solidificasse la tensione. Alla fine, rassegnata, alzò gli occhi.
 
-sembra davvero di malumore- mormorò per primo Sturgis, indicando con un cenno Benjy.
 
Dorcas scosse la testa, cercando una spiegazione che fosse più cortese del “sopporta assai poco l’ego gigantesco di Caradoc Dearborn”.
 
Alla fine scosse le spalle.
 
-gli passerà- mormorò svogliatamente in risposta.
 
-beh, per essere un serpeverde non è male- la consolò con un sorriso Gideon.
 
 
*
 
 
Benjy Fenwick sapeva di essere una persona dal carattere particolare. Jodie Fenwick, sua sorella, ossia una delle poche persone che potevano vantare con lui una qualche forma di confidenza, era abituata a ripetergli spessissime volte quanto lui fosse una persona strana. Qualche volta aggiungeva che era difficile credersi davvero sua sorella, alla luce dei fatti.
 
Non che Jodie non gli volesse un gran bene, anzi. Era l’unica persona con cui ormai intratteneva una qualche forma di corrispondenza puntuale al di fuori di Hogwarts, se si escludevano i genitori. Ma, proprio perché gli voleva un gran bene, sentiva il dovere di essere schietta e sincera.
 
Benjy era strano, introverso, talvolta timido e sicuramente molto riservato. Era anche piuttosto bello, decisamente intelligente, astuto e privo di una qual si voglia forma di scrupoli nei confronti di coloro che non conosceva a menadito: di quest’ultima categoria facevano parte tutti gli abitanti della terra escluse quattro persone. Sua madre, suo padre, Jodie e Dorcas.
 
Al contrario di quanto era uso pensare ad Hogwarts, fra quei pochi che facevano caso a lui, aveva uno spiccato senso dell’umorismo. Strano, forse, bislacco e un po’ perverso. Ma lo aveva.
 
Per questo si sarebbe messo a ridere sfacciatamente alla prospettiva di dover passare un indecente numero di minuti –se non di ore- a così stretto contatto con una persona come Caradoc Dearborn, se solo non fosse stato un comportamento disdicevole da tenere in pubblico, per non dire decisamente di cattivo gusto.
 
Caradoc Dearborn era, agli occhi della maggior parte di Hogwarts, una di quelle persone da non lasciarsi sfuggire. MAI, in nessuna occasione. Ottimo partito sia come fidanzato che come amico: bellissimo ragazzo, eccezionale giocatore di quidditch, capitano della squadra di Corvonero, che solo lo scorso anno era arrivata ad un soffio dalla coppa,  studente brillante e sagace, amico leale, Purosangue da almeno cinquanta generazioni, convenientemente ricco e ben istruito, nonché oltremodo educato. Aveva un bellissimo sorriso e uno splendido sguardo ambrato, cose che attiravano le donzelle almeno quanto il suo conto in banca.
 
Di tutta la patria dei bellocci, era quello che Fenwick sopportava meno. Non che avesse qualcosa contro il quidditch o quelli con un bel sorriso: il problema era l’ego spropositato del ragazzo in questione.
 
Caradoc Dearborn aveva la bocca così piena d’arroganza che di tanto in tanto, Ben, si ritrovava a chiedersi come potesse parlare senza soffocare. Aveva un ego talmente grande da richiedere, sempre a parere del serpeverde, almeno venti metri vuoti attorno a lui per potersi muovere senza fare danni.
 
Quando lo aveva sentito lamentarsi, con quella voce piena e intensa che si ritrovava, fuori dalla porta del suo piccolo paradiso personale, il giorno del compleanno della sua migliore amica, Benjy Fenwick aveva capito di non doversi aspettare un granché, dalla giornata. Poi lo aveva visto sedersi svogliato accanto a se, e aveva compreso che sarebbe stata proprio una di quelle giornate che, avendo diritto di scelta, si avrebbe preferito non vivere.
 
Insieme a Dearborn era entrata tutta l’allegra compagnia.
 
Ma c’era una cosa che aveva potere su Benjy Fenwick. Non era tanto la persona, Dorcas Meadowes, e nemmeno l’occasione, il suo compleanno.
Era più l’aver visto un pallido sorriso nascente sulle sue labbra allo scorgere la sagoma dei Prewett, che parevano divertirla in modo così inspiegabile.
 
L’unica cosa che aveva spinto Ben a chiedere ad Ab di sopportare la combriccola intera, era il desiderio di saperla felice.
 
-ti posso servire ancora qualcosa, Fenwick?- chiese burbero Ab irrompendo nei pensieri del ragazzo –tipo un biglietto da visita ai Tre Manici di Scopa, per esempio? È una bella locanda, sulla via principale del villaggio, dovresti provarla… e magari portarci i tuoi amichetti-.
 
Ben soppresse un sorriso acido, rivolgendo invece un cenno alla torta.
 
-Dor si è premurata di lasciartene un pezzo, dal momento che non ti sei degnato di raggiungerci, prima-.
 
-sto lavorando, io,  Fenwick- lo rimbrottò occhieggiando il quadratino di torta rimasto nella teglia. Con un’espressione svogliata che non avrebbe ingannato nemmeno quell’idiota di Dearborn –caso mai si fosse degnato di guardare da quella parte, il principe-, si allungò sul bancone per afferrare il pezzo di dolce. Con un sorriso appena accennato nascosto dietro a quella sudicia massa di barba, alzò gli occhi verso il tavolo, rivolto a Dorcas. La ragazza, con una mano attorno al suo bicchiere di succo di zucca, alzò gli occhi a ricambiare quello sguardo –mica come voialtri nullafacenti, che vi rigirate nella bambagia-.
 
Vide da lontano la ragazza sorridergli, e prima di portarsi alle labbra il pezzo di torta lo alzò come si userebbe fare con un calice per proporre un brindisi.
 
-a proposito di gente che vive nella bambagia- riprese a parlare con lo stesso tono, non appena ebbe finito di mangiare il dolce, mettendosi a rimestare sotto al bancone –è arrivato circa dieci minuti fa, ma non volevo interrompere nulla. Sia mai che decidiate di andarvene in anticipo, tu e i tuoi amichetti-.
 
Ancora una volta, Ben ingoiò commento, risposta e risata. Sapeva che poche cose davano ad Aberforth una soddisfazione grande quanto il vedere qualcuno raccogliere una provocazione.
 
-da dove è arrivato, oggi?- chiese invece interessato, prendendo ciò che il vecchio gli porgeva –l’ultima volta che l’ho sentita era tra gli aborigeni australiani, una settimana fa, e cercava in non so quale modo di convincerli a farle incontrare il loro sciamano. Prima o poi ci rimette il collo, secondo me-.
 
-è commovente il sentimento che trapela dalla tua voce, si vede che ti preoccupi per il destino di tua sorella- mormorò in risposta il vecchio, scrollando le spalle –la posta è arrivata con un Grifone del Bengala. Animali resistenti, quelli. Direi India, quindi-.
 
 
*
 
 
Hestia aveva osservato con attenzione Dorcas fin da quando, entrata nel malandato Pub, aveva ordinato un’acquaviola accompagnata dai brontolii di uno stizzito Caradoc Dearborn.
 
Si, era proprio Fenwick, quello seduto al tavolo. E si, era proprio la Meadowes, quella che gli faceva compagnia con un sorriso più morto che vivo in volto e l’espressione… scompigliata, quasi. Come di chi si sia trattenuto sveglio per tutta la notte precedente, con l’unica occupazione di osservare il soffitto e pensare ai malspesi.
 
Anche ora, quasi due ore dopo, continuava a guardarla. La vide alzarsi –d’altronde era seduta accanto a lei, come non notarlo?-, fare un cenno con il capo al barista e dirigersi verso una porta interna dall’aspetto malmesso come il resto del locale.
 
Fenwick era nuovamente seduto al suo posto, schiacciato tra un Caradoc improvvisamente silente e Edgar, che con la sua allegria riusciva a smontare un po’ la tensione accumulata dai suoi vicini. La busta in cui era contenuta lettera che Benjy aveva appena portato a Dorcas faceva bella mostra di se sul tavolo, con il sigillo di cera rossa venato e la pergamena di grana fine lievemente accartocciata sul risvolto esterno.
 
-non sapevo avessi una sorella, Fenwick- esclamò Hestia all’ennesimo sospiro di Kingsley, che sembrava arrovellarsi il cervello per trovare un modo per spezzare la ritrovata tensione –è da molto tempo che è in India?-.
 
Se c’era una cosa incomprensibile dall’esterno, nel rapporto tra Benjy e Dorcas, era il loro strano modo di comunicarsi le cose. Quando aveva preso tra le dita quella busta e aveva scartato la lettera, Dorcas si era limitata ad aggrottare la fronte con fare perplesso e ad emettere una sola parola.
 
-Oriente?- aveva chiesto stupita.
 
-India, secondo Ab- aveva risposto Benjy, come al solito imperscrutabile.
 
Sporgendosi leggermente verso la ragazza con la lettera in mano, era riuscita a sbirciare la firma del mittente.
 
Cordialmente tua, Jodie Odelia Fenwick.
 
-non più di qualche giorno, ne sono convinto- rispose Fenwick strappandola dai suoi pensieri con quella voce incolore che sempre usava per rispondere –solo una settimana fa era in Australia-.
 
Scettica, Hestia scosse il capo.
 
-viaggia molto?- chiese interessata.
 
-più di quanto piaccia ammettere a nostra madre- mormorò in risposta il ragazzo, allungando la mano per riprendere la busta ormai vuota; il resto della lettera se lo era infatti tenuto Dorcas nella sua spedizione chissà dove al piano di sopra del malandato pub –ma Jodie lo chiama lavoro-.
 
-lavoro?- domandò interessato Kingsley, rasserenato dalla momentanea mancanza di tensione nell’aria –è una ricercatrice?-.
 
-qualcosa del genere, si- annuì Ben in risposta –è antropologa dei simboli e dell’occulto, gira per il mondo per ricercare le origini della magia nelle tribù più antiche… o qualcosa del genere, non saprei esattamente descrivere ciò che fa-.
 
 Alla fine il silenzio calò ancora, e forse ancor più pesante di prima.
 
 
*
 
 
-noi… Dorcas!- l’aveva richiamata indietro, alla fine, la Jones, quando tutti insieme erano usciti dal Pub, nel primo pomeriggio. Al suono della voce di Hestia, Dorcas si era voltata perplessa.
 
-si?- aveva chiesto con quella voce roca che sempre si ritrovava quando doveva parlare con chiunque non fosse Ben. Poco avanti rispetto a lei, Fenwick si era fermato, una figura solitaria avvolto in un mantello, silente.
 
-noi…- aveva di nuovo esitato la ragazza, con gli amici alle sue spalle incuriositi da quello che avrebbe detto. Non c’era nessuna figura solitaria, tra di loro, solo una massa di persone unite e amiche -…io e Meli di solito studiamo insieme in biblioteca, dopo le lezioni, oppure sotto il faggio accanto al lago, se è bel tempo e non è troppo freddo. Ti va di unirti a noi, lunedì, dopo le lezioni?-.
 
Lo stupore di Dorcas doveva essere visibile a tutti, a giudicare dal silenzio che seguì tali parole.
 
-si, certo- aveva annuito alla fine, lo sguardo più imperscrutabile e il volto di nuovo disteso e impassibile –volentieri… Buona giornata-.
 
Prima che il disagio si rendesse visibile, aveva voltato la schiena a quella strana gente così diversa da lei e si era trascinata con Ben da Mielandia, più desiderosa che mai che quella giornata decisamente fuori dagli schemi giungesse al termine.
 
 
*
 
 
Alla fine il due di ottobre era passato, lasciandosi alle spalle qualche confuso ma piacevole ricordo di una compagnia per nulla usuale.
 
-secondo me dovresti andarci- esordì Fenwick quel lunedì mattina, non appena Lumacorno lasciò loro campo libero sulle pozioni.
 
-loro non ti piacciono- gli ricordò Dorcas, guardandolo stupita.
 
Benjy scosse il capo, come a liquidare la faccenda.
 
-non devono piacere a me. E poi, non è vero che non mi piacciono, Dor. Trovo solo molto irritanti i modi di fare di Dearborn, sai come la penso su di lui-.
 
-non farò finta di capire perché tu non riesca a vedere dietro ai modi di Dearborn, Ben, perché proprio non lo capisco- mormorò Dorcas mentre si sporgeva per lasciar cadere nel calderone una foglia di Aconito, sotto lo sguardo attento del serpeverde, che con il suo occhio acuto supervisionava il suo lavoro –normalmente non fatichi per nulla a vedere oltre le maschere-.
 
Benjy alzò un attimo lo sguardo dal calderone –cosa che faceva assai raramente, quando occupava il banco in compagnia di Dorcas, perché chiunque la conosceva un minimo sapeva quanto la ragazza fosse negata per le pozioni. I suoi voti erano soprattutto merito della vicinanza di Ben-.
 
-c’è poco da vedere, oltre Caradoc Dearborn- rispose in un sussurro il serpeverde, prendendo con mano ferma una boccetta di sangue di salamandra –mi chiedo piuttosto cosa ci veda tu, in quegli occhi così belli-.
 
Per caso stai meditando di cadere ai suoi piedi? Quella, la domanda che Dorcas lesse nelle parole del proprio migliore amico.
 
Non parlavano mai di ragazzi, né tantomeno di ragazze. E di certo non parlavano mai di Caradoc.
 
-non fanno per me, anche se oggettivamente esistono poche altre persone al mondo ad avere occhi tanto degni di nota. Sembrano quelli di un puma- disse Dorcas, scrollando le spalle e guardando la pozione bollire come da manuale. Alla fine, dopo qualche minuto, alzò gli occhi verso quelli del proprio migliore amico –sai, Ben, ho sempre pensato una cosa, riguardante Caradoc-.
 
Fenwick socchiuse gli occhi, mostrandosi vagamente interessato.
 
-è un bellissimo ragazzo, purosangue, con la battuta sempre pronta e ottimi voti. Passa tanto di quel tempo a convincerti di essere un idiota, che ben presto inizi a dimenticare che tra quelle due belle orecchie sta una testa che è stata smistata a Corvonero, e non per il suo conto in banca o per il ciuffo. Ora, una persona del genere, deve essere o irrimediabilmente stupida o incommensurabilmente intelligente. Il fatto che si comporti da stupido mi ha convinto di avere a che fare con una delle persone più intelligenti che io abbia mai conosciuto-.
 
Benjy storse le labbra in un sorriso amarognolo.
 
-quello che vuoi dirmi è che dovrei chiedergli scusa?- chiese lievemente sorpreso, in tono volutamente ironico.
 
La sua migliore amica, in risposta, diede in un sorriso innocente.
 
-veramente, quello lo hai detto tu-.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
so che come capitolo non è un granchè, così come so di essere in ritardo, sia con questa che con L’amore ai Tempi dell’Odio. Chiedo scusa, ma in questi giorni ho talmente tanti pensieri per la testa e tante cose da fare che quando alla sera cado sul letto non ho nemmeno la forza di sognare, figurarsi di scrivere. Mi sono strappata ognuna di queste frasi con immensa fatica, e immagino che il risultato pessimo sia ben visibile.
 
Sul capitolo non ho nulla da dire, risponderò a tutte le recensioni appena la linea internet smetterà di fare i capricci, giuro!
 
Ho cambiato il titolo. “Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura” è un verso di una canzone di De Andrè, “Un chimico”. Erano anni che non la ascoltavo, ma quando ho sentito questa frase non ho potuto non collegarla a Dorcas…
 
Ancora mi scuso per tutto ritardi e mediocrità del capitolo,
spero che vi piaccia comunque,
Hir



   
 
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