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Autore: Ila_Chia_Echelon    17/07/2012    2 recensioni
Raccolta di racconti horror creati da due menti perverse (si consiglia di non utilizzarli allo scopo descritto nel titolo) con parecchi cuori strappati, sangue e per fortuna (o sfortuna) significati non del tutto ovvi e superficiali...a voi l'interpretazione!
Auguriamo a tutti una buonanotte...
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Yellow fire

Carol Even, alla rispettabile età di 68 anni, si rigirò nel letto per l'ennesima volta, forse l'ultima, e osservò il corpo disteso accanto a lei, appartenente a sua nipote Elisabeth, una dolce ragazzina di 12 anni dai lineamenti delicati e l'incarnato roseo.
Sorrise, nonostante fosse vedova da anni i suoi nipoti gareggiavano per passare una notte dalla nonna e lei si ritrovava a dormire sola raramente.
Diede un'ultima occhiata alla sveglia, che segnava le 23:46, e poi, finalmente, si addormentò.

***

Le luci della strada filtravano dalla tapparella lasciata rara, il calore percorse il suo intero corpo, risalendo dalle gambe fino alla fronte, e Carol realizzò che qualcuno cercava di attirare la sua attenzione scuotendola leggermente all'altezza della spalla sinistra.
Con la mente annebbiata dal sonno, il suo pensiero si rivolse ad Elisabeth e, spaventata dall'idea che stesse male, ruotò rapidamente su sé stessa.
Andò a scontrarsi, prima con lo sguardo e poi col viso, con qualcosa di candido e morbido, che risaltava nell'oscurità.
All'inizio l'impatto fu piacevole, fresco e vellutato, ma dopo pochi secondi le parve di affogare.
Di colpo totalmente sveglia, tentò di scostarsi tirandosi indietro, ma due mani l'afferrarono costringendola in quella infelice posizione.
Non respirava.
Gridò, ma tutto quello che le uscì fu un unico, debole, sussurro soffocato.
Scalciò, ma le sue gambe magre avvolte nelle lenzuola colpirono l'aria.
Tentò di artigliare e graffiare le mani che l'avevano afferrata,si accorse che erano piccole e morbide, ma tutto ciò che ottenne fu di sentire la loro presa farsi ancora più ferrea.
Morire arrendendosi a una fine buia e terribile o morire combattendo per una fine in ogni caso buia e terribile?
Si accasciò, rassegnata, chiuse gli occhi e spirò, rivolgendo un ultimo pensiero al marito morto nel sonno in un afosa notte di luglio, tanti anni prima.

***

Elisabeth si stropicciò gli occhi con le mani e si stiracchiò la schiena allungando le braccia. Solo allora si guardò intorno e notò che la nonna se ne stava distesa accanto a lei, rannicchiata sul fianco sinistro, dandole le spalle. Sorpresa -Carol si alzava sempre molto prima di lei- diresse lo sguardo verso la sveglia alla sua destra. Erano le 9:30. Sua nonna non dormiva mai fino alle 9:30.
Eccitata, balzò giù dal letto e corse in cucina. Finalmente avrebbe potuto usare quel delizioso vassoio che aveva scovato in un armadietto per portare la colazione a letto alla nonna!
Sistemò il caffè, un'arancia e una brioche sul piano decorato del vassoio e tornò in fretta in camera, timorosa che Carol si svegliasse.
Raggiunse il lato del letto vicino alla finestra, chiamando nel frattempo la nonna. Si chinò su di lei, ma a ricambiare il suo sguardo gioiosa non trovò altro che due occhi sbarrati, rivolti al cielo e terribilmente privi di vita.
Il vassoio cadde a terra, la tazzina si frantumò, il liquido bollente le bruciò i piedi nudi; si portò una mano alla bocca, in un tipico gesto di stupore.
L'orrore subentrò al contatto con la sua pelle fresca.
Che cosa aveva fatto...
Quelle mani che aveva sempre odiato, perchè troppo piccole e paffute, ora le parvero mostruose, intrise di sangue, maledette.
Finì contro al muro e quel contatto la scosse un poco, ma cercare di dare un senso alla situazione non poteva che gettarla nel panico.
Decise di non farlo.
Corse fuori dalla stanza, lasciandosi alle spalle quell'orribile puzzo di morte che aveva avvertito guardando sua nonna negli occhi vitrei, sentendo qualcosa attanagliarsi profondamente nella sua gola, e non si fermò finchè non fu fuori da quella casa.
Era sola, un singhiozzò le sfuggì, mentre esaminava il cortile come mai prima di allora.
Era sola, o forse no?
Appena sveglia, aveva dimenticato la forza misteriosa che l'aveva spinta a soffocare Carol contro il cuscino, ma ora ricordava, ricordava ogni cosa, non solo quella notte.
Ricordava il giorno in cui aveva percorso le imponenti navate di quel tempio sotterraneo a fianco di suo padre, il modo in cui lui le parlava, con voce sommessa, carezzevole, dopo averla fatta sedere in un angolo appartato, su morbide e basse poltrone.
Le diceva di stare tranquilla, ma lei, che avrebbe giurato sul fuoco di aver visto una luce giallastra brillare nei suoi occhi, non ci sarebbe mai riuscita.
Lui se ne era accorto e, prendendole una mano, l'aveva scortata in una stanza meravigliosa, fatta interamente di specchi. Cominciò a giocherellare, fingendo di parlare con decine di persone uguali a lei, che la comprendevano, come solo suo padre sapeva fare. George non l'aveva sgridata come la mamma quando aveva decapitato le sue bambole, anzi si era trovato d'accordo con lei sul fatto che era molto più divertente che limitarsi a vestirle. Non si era arrabbiato nemmeno quando l'avevano sorpresa a giocare con la carcassa di un istrice, cosa che lei considerava perfettamente normale, ma che evidentemente per sua madre era sconvolgente.
Avrebbe potuto citare centinaia di episodi simili ed in sostanza l'eroe era sempre suo padre. Era il suo eroe.
Così, quando lui la guidò vicino ad uno specchio, non oppose resistenza, nonostante avrebbe preferito continuare i suoi giochi.
"Guardati Elisabeth, sei bellissima, lo sei ogni giorno di più." Lei arrossì di piacere e sorrise. Ma poi il suo papà aggiunse qualcos'altro.
"Guarda i tuoi occhi Elisabeth." Lei lo fece, convinta di trovarci la solita sfumatura grigio-verde, ma quel che vide le fece ghiacciare il sangue.
La stessa fiamma che ardeva nello sguardo attento di suo padre ora si trovava anche nei suoi occhi, se possibile ancora più viva e terribile.
Rimase per un attimo paralizzata da quella scoperta traumatica, poi, prendendo a poco a poco coscienza del suo corpo, girò lentamente la testa verso il viso di suo padre.
"Papà, cos-cos'è?"
"Lo scoprirai a tempo debito piccolina, lo scoprirai."
In quel momento Elisabeth pensò che non era proprio sicura di volerlo sapere ed ora, seduta a gambe incrociate nell'erba fresca, la testa appoggiata al palo dell'altalena, era certa di non essersi sbagliata.
Si alzò con lentezza e, non vedendo altre soluzioni, si costrinse a rientrare in casa per impossessarsi del cellulare di Carol.
Compose il numero di suo padre, lui avrebbe capito.

***

Seduto su una panchina della gremita piazza del paese, George aspettava l'arrivo di sua figlia con più tranquillità di quello che aveva previsto per quel fatidico giorno. Ma quando la vide arrivare, i capelli leggermente scarmigliati, gli occhi vacui, provò una profonda pena per lei e il senso di colpa lo invase. Dio, era solo una bambina!
Non avrebbe mai dovuto avere figli, ma Rose li desiderava così tanto..e lui amava Rose, era la sua salvezza e ogni giorno che passava la consapevolezza di questo cresceva in lui a pari passo con i suoi sentimenti.
Le sorrise rassicurante, ma lei non si buttò tra le sue braccia farneticando parole sconclusionate, né cominciò a piangere disperata. Il suo atteggiamento apparentemente distaccato un po' lo sorprese.
"Sai papà..-attaccò-mi sento una persona orribile, sono una persona orribile. Ma non sono la sola, vero? Era questo che dovevo scoprire?"
George, non riuscendo a sostenere il suo sguardo, finì a rimirare la punta delle sue scarpe, spiazzato.
"Che cosa sono, che cosa siamo, papà!?" incalzò Elisabeth, appoggiandogli le mani sulle ginocchia.
Non poteva spiegarle tutto lì, in mezzo a tutti.
"Vieni." Le disse semplicemente.

***

Arrivarono al tempio in cui era stata due anni prima a notte inoltrata. Era stata una giornata estenuante, Elisabeth si era sentita costantemente sull'orlo delle lacrime mentre raccontava al gentile poliziotto chiamato da George quel che era successo. O meglio, quello che avevano deciso di raccontargli dopo aver eliminato tutte le prove, in primis il cuscino che giaceva ai piedi del letto. Fortunatamente il suo aspetto da bambina dolce ed indifesa aveva aiutato, e non poco. Arrivati a casa avevano cenato in un silenzio angosciante e suo padre aveva annunciato a Rose che avrebbe portato Elisabeth da sua zia in campagna, per aiutarla a riprendersi dallo shock, cosa che sicuramente avrebbe fatto, dopo averla portata a quel misterioso santuario. Finalmente.
Ci si arrivava scendendo da una scalinata pubblica e imboccando uno stretto cunicolo che pareva non portare a niente, ma che nascondeva una botola quasi invisibile perchè semi ricoperta dall'erica che ricadeva da una delle pareti di roccia.
Suo padre la ricondusse nella stanza degli specchi, forse per farla sentire a suo agio, e si sedettero proprio nel centro.
Per un lungo istante la guardò negli occhi ed Elisabeth vide che era sinceramente preoccupato per lei, che non sapeva come affrontare l'argomento proprio perchè dubitava della sua reazione. Gli mise una mano sul braccio e quel gesto era una rassicurazione ed un invito a parlare al tempo stesso.
"Elisabeth..ti sei guardata intorno?"
"Si papà." rispose aggrottando le sopracciglia, non capiva cosa c'entrasse.
"Non ti sei mai chiesta come faccio a conoscere questo luogo? Perché ti ho portata qui la prima volta?"
Lei rabbrividì, ricordando la luce che aveva visto negli occhi di suo padre..e che vedeva anche ora, si rese conto sbalordita.
"Beh, in effetti si-rispose, deglutendo rumorosamente-ma forse non ho mai voluto sapere davvero la risposta."
George sospirò, scostandole una ciocca di capelli castani che le era ricaduta sul viso e portandogliela dietro l'orecchio.
"Elisabeth vedi...la nostra è una famiglia antica, antichissima. Quello che ti sto per far leggere è un manoscritto di un nostro antenato, risalente a centinaia di anni fa."
Si alzò e andò a recuperare una teca di cristallo da dietro uno specchio, che si apriva spingendolo contro la parete e rivelava una piccola conca segreta.
Lo passò a Elisabeth, chiedendole di maneggiarlo con cautela e tornò a sedersi davanti a lei, aspettando con aria rassegnata la sua reazione.
Il manoscritto riportava quanto segue:

"Scusandomi per il carattere prettamente riassuntivo del mio scritto, ieri sera ho preso in cuor mio la decisione di lasciare ai posteri un accenno di spiegazione alle domande che certamente si porranno in seguito a eventi tristemente e inevitabilmente catastrofici, ed è per questo che ora mi accingo a narrare la mia storia, o meglio quella di mio padre, nonostante l'irrazionale terrore di venir scoperto mi spinga a tagliare molte parti e a rinunciare alla mia solita scrittura elegante.
Questi dovrebbero essere tempi gioiosi nella mia umile dimora, ma avvenimenti accaduti molti anni or sono affievoliscono fino a renderla pallida la felicità che dovrebbe conseguire la nascita di un erede maschio, soprattutto da parte mia.
Ventinove anni fa nacqui io, figlio di un uomo arricchitosi con il commercio e di una donna di nobili natali, rigettata però dalla famiglia per aver osato sposare colui verso il quale si dirigeva il suo amore, ma di cui, scioccamente, non aveva ritenuto necessario informarsi sulle faccende passate, bevendo come acqua di sorgente i racconti di mio padre, sussurrati a mezza voce al calore di un fuoco peccaminoso.
Forse sono stato un po' troppo duro con mia madre, dopotutto mio padre sapeva far molto bene il suo lavoro, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che la sua ingente fortuna non derivasse da quello ed, effettivamente fu proprio vendendo qualcosa, o qualcuno, che ottenne tutto ciò che aveva.
Ma per rendere comprensibile questo scritto che già sta diventando quanto mai confuso, sono costretto a fare un passo indietro.
Emmett Lewis nacque in una famiglia di poveri contadini, ma ben presto la sua indole lo portò ad allontanarsi dal luogo in cui aveva visto per la prima volta la luce e ad imbarcarsi in imprese a dir poco dubbie, sperperando al gioco i poveri guadagni di una giornata, che questi derivassero da onesti lavoretti raccattati al ciglio di una strada polverosa o da “mestieri” molto meno onesti.
Nonostante non fosse affatto stupido, a lungo andare il volersi misurare con giocatori molto più esperti di lui lo portò ad indebitarsi fino al collo e Dio solo sa quanto gretti e crudeli potessero essere i frequentatori di tali osterie del malaffare.
Uno di questi cosiddetti gentiluomini, in una gelida notte di dicembre, non si fece alcun scrupolo nel farlo picchiare dai suo sgherri fino a ridurlo ad un ammasso di carne sanguinolenta, a depredarlo di tutto ciò che aveva con sé che potesse avere un valore ed infine ad abbandonarlo in un boschetto isolato, frequentato soltanto da qualche prostituta da quattro soldi il cui accompagnatore non si potesse permettere una squallida camera di una locanda malfamata.
La versione giovane e in fin di via di mio padre era ben consapevole che soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarlo, ma sapeva anche che, fosse stato nei panni di Dio, nemmeno lui si sarebbe scomodato ad aiutare un personaggio della sua levatura.
Decise di lasciare il mondo crogiolandosi in dolci pensieri, il sorriso di sua madre, la manina della sua sorellina che si agitava in segno di saluto mentre lui si accingeva a partire, quando percepì qualcuno soffiargli sul collo, producendo un brontolio simile a un ringhio.
Ruotò faticosamente sulla schiena, cosa che gli provocò non poco dolore, cercando di identificare la fonte di tale insolito rumore.
Lo vide e sorrise, certo che si trattasse di un'immagine causatagli dal delirio, e si ritrovò a fissare quello strano e orribile essere grassoccio, che conservava dei tratti umani, nonostante i terribili occhi gialli e porcini, la bocca enorme distorta in un ghigno diabolico che lasciava intravedere carnivori denti aguzzi e la puzza di morte emanata dalla carne purulenta.
Chi sei?” domandò Emmett, ora diviso tra la certezza che quell'essere fosse frutto della sua mente e l'idea che potesse essere lì per cibarsi di lui.
La creatura lo fissò per qualche secondo prima di parlare, e quando rispose lo fece con una voce che sembrava provenire dai recessi più bui e misteriosi della Terra, spaventosa, ma nonostante tutto leggermente intrigante.
Non sono il prodotto dei tuoi incubi sciocco.- si interruppe per emettere una risata sadica- Anzi, proprio il contrario. Sono stato evocato dalle tue azioni e dai tuoi pensieri più oscuri, sono ciò che ti meriti come compagnia negli ultimi istanti della tua vita a causa di tutto ciò che hai fatto e a cui ormai non potresti più rimediare se io non avessi deciso diversamente. Potrei offrirti un'altra possibilità.”
Un'altra possibilità?- domandò mio padre con voce roca e debole- In che senso, come?”
La possibilità di continuare a vivere, idiota! Posso darti tutto quello che fin ora non hai mai avuto, ricchezza, una donna da amare e che ricambi il tuo ardore, una famiglia, dei figli!”
Che cosa vuoi in cambiò?” chiese Emmett, diffidente.
L'anima dei tuoi discendenti.”
L'anima..” cercò di articolare una domanda, ma un dolore atroce al petto lo lasciò senza fiato.
Devi deciderti Emmett, ormai la vita ti sta abbandonando.” sentenziò quell'orribile essere, l'invito sottinteso nel tono di voce.
Accetto-disse a fatica- accetto l'accordo, ma a una condizione, permetterai loro di donarla a quella persona che ameranno e che ricambierà il loro amore completamente.”
Una risata sarcastica si levò dalle labbra enormi della creatura.
Va bene, sappiamo quanto questo sia quasi impossibile, dopotutto.”
Nell'istante dopo aver udito queste parole, Emmett si ritrovò seduto ad uno scrittoio, pronto ad amministrare il suo patrimonio creatosi dal nulla e ad iniziare un'esistenza completamente nuova.
Così, fu in quel tragico frangente che mio padre sperimentò per la prima volta le sue abilità di venditore, non capendo la posta in gioco, ma riuscendo comunque ad accaparrarsi condizioni favorevoli, anzi salvifiche potrei direi senza allontanarmi dalla realtà delle cose.
Se state leggendo questo scritto, non credo serva chiarire il significato della richiesta di quella malefica creatura, ma per fugare ogni dubbio confesserò di aver ucciso per la prima volta all'età di tredici anni, sotto il potente effetto del suo allucinogeno possesso. Gli scintillii giallastri che forse un giorno noterete specchiandovi non sono altro che le impronte del suo maledetto passaggio, il segno indelebile della sua presenza, resteranno sempre, anche dopo aver messo la vostra preziosa anima nelle mani della persona che amate e che vi ama, come resteranno i ricordi, i sensi di colpa.
Mi sono dilungato fin troppo, la tremolante luce della candela sta quasi per svanire e la frenesia dello scrivere si è consumata: non mi resta che lasciarvi.
Conserverò nelle mie stanze questo manoscritto rivelatore finchè mio figlio non sarà disgraziatamente abbastanza grande e consapevole per capire, dopo di ché sarà lui a dover trovare un luogo adatto perchè sia tramandato alle successive generazioni.

Firmato: Charles Emmett Lewis.

 

Elisabeth rimase a fissare a lungo il foglio attraverso la teca anche dopo aver concluso la prima lettura. La realtà era che non sapeva come reagire. Charles aveva scritto di aver ucciso per la prima volta a tredici anni, lei a dodici, e quella non sarebbe stata l'unica, soltanto il principio di una lunga serie di furie omicide. Le sembrò d'un tratto di avere centinaia di anni a gravarle sulle spalle, centinaia di vite da redimere, centinaia di modi per poter uccidere. Perché in qualunque modo la si mettesse, lei doveva e voleva uccidere. Una strana eccitazione si impossessò di lei mentre quest'ultimo pensiero le sfiorava la mente, alzò lo sguardo dal manoscritto e lo puntò su suo padre.
Nessuno avrebbe salvato lei, ma chi mai aveva detto che voleva esserlo?
Sollevò il braccio destro, mirò lo specchio più vicino a lei e scagliò la teca contenente il manoscritto verso di esso. Il vetro si frantumò e schegge tagliente si depositarono tutt'intorno ai suoi piedi.
Elisabeth si chinò velocemente a raccoglierne alcune. Suo padre forse le stava dicendo qualcosa...ma le parole arrivavano smorzate e confuse ai suoi orecchi e lei, pregustando il momento di gloria suprema, non se ne curava affatto.
Successe tutto in un solo istante. Proiettili luccicanti saettarono dalle sue mani verso il petto di George, raggiungendolo ovunque cercasse di scappare, creando piccoli laghi cremisi.
Elisabeth rise, cibandosi della sua stessa risata, morendo e rinascendo attraverso di essa.
Era una persona nuova ora e non avrebbe permesso a nessuno di cambiarla, di smorzare il fuoco che ardeva dentro di lei.
Si avvicinò al corpo di suo padre, finendolo con un taglio netto alla carotide e bagnandosi le mani di quel liquido rosso che bramava come fosse nettare degli dei.
La nuova Elisabeth uscì dalla stanza e si allontanò dal tempio, pronta ad affrontare il mondo e a conquistarsi il suo più puro e tetro terrore.

 

 

   
 
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