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Autore: Iwuvyoubearymuch    18/07/2012    24 recensioni
Ho provato a mettere nero su bianco ciò che può essere accaduto dopo gli eventi dell'ultimo libro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ci ho messo una vita ad aggiornare e mi dispiace immensamente. Ma questo è stato il capitolo più difficile da scrivere da quando ho iniziato. Ho dovuto confrontarmi con una "parte di vita"a cui la Collins non fa il minimo riferimento nei libri. Quindi, non aspettatevi nulla di eccezionale. Neanche buono, a essere onesta. Su una scala da 1 a 10, a questo capitolo non darei nemmeno uno zero spaccato. Perché l'hai postato allora?, vi chiederete. Be', meglio di così non avrei saputo fare. Lo so che l'ho detto tante volte e non continuo a ripeterlo solo perché voglio che mi diciate che non è vero o mi riempiate di complimenti. Non c'è nessuna falsa modestia, semplicemente questo pezzo non brillerà per fantasia o metodo di scrittura. Mi scuso in anticipo. 
A parte questo sproloquio, volevo ringraziare tutti quelli che hanno risposto alla domanda sui bimbi Mellark. Mi avete dato dei consigli fondamentali, al punto che ho scelto i nomi tra quelli che mi sono stati proposti. Semmai deciderò di inserirli, dovreste vederli fra due o tre capitoli. Ovviamente solo allora, saprete quali ho scelto, giusto per tenervi un po' sulle spine.
Infine, vorrei dire un grazie enorme per chi continua a sostenermi e a inserire la storia tra i preferiti e seguite. Tra l'altro, mi sono accorta solo qualche giorno fa che è presente nelle scelte dal sito. A tal proposito colgo l'occasione per ringraziare (sbaglio, o ho già menzionato un grazie?!) RdP
E ora, bando alle ciance e via col capitolo!
-M


Capitolo Dodicesimo
Katniss Everdeen. Suppongo di non essere mai stata semplicemente Katniss Everdeen. Solo ora mi rendo conto che, se non da i miei genitori o da mia sorella, quasi nessuno mi aveva mai chiamato col mio nome. Da bambina venivo additata come quella che se ne stava sulle sue, che aveva pochissimi amici con cui scambiava una parola o due, e per gli insegnanti ero la piccola che faceva sempre i suoi compiti. Dopo la morte di mio padre nella miniera, sono diventata la ragazza degli scoiattoli per alcuni, delle fragole per altri, Catnip per Gale e cose del genere. Poi, mi sono stati attribuiti altri nomi, in molti dei quali ho faticato riconoscermi sia perché non capivo sia perché non volevo. La Ragazza di Fuoco di Cinna, il niente di Haymitch durante la sessione di preparazione all'intervista, una metà degli Innamorati Sventurati del Distretto 12, la Ghiandaia Imitatrice per i ribelli. Fin dal primo istante in cui mi sono offerta volontaria per gli Hunger Games al posto di Prim, tutti hanno imparato il mio nome e a riconoscermi in tv, ma ognuno ha sempre preferito riferirsi a me con un nome diverso dal mio. Allora non mi sono mai accorta di questo dettaglio, o almeno non ci ho dato troppo peso. Adesso, invece, che sto per cambiarlo ancora una volta, non riesco a togliermelo dalla mente. Diventare la signora Mellark mi mette in agitazione.
Peeta me l'ha chiesto un pomeriggio di qualche settimana fa. Io ero appena ritornata dal bosco e lui dalla panetteria. Mi sono immediatamente accorta che qualcosa era sbagliato. La maggior parte dei giorni Peeta entra in casa tutto sorridente, un po' stanco forse, ma sempre con quel sorriso sulle labbra che ne fa spuntare uno anche a me involontariamente. Quel pomeriggio, era chiaro che non era uno di quei giorni. Sembrava preoccupato ed ero certa di avere qualcosa a che fare con l'espressione tesa che cercava di non farmi scorgere. Ha evitato il mio sguardo quasi fino alla sera, distogliendolo alla svelta ogni volta che per errore incontrava il mio. Ho aspettato che fosse lui a raccontarmi cosa era successo, per non sembrare invadente. Mi ero fatta un'idea abbastanza precisa di quello che poteva essere accaduto, sebbene nelle ultime settimane fossero diminuiti gli episodi. Onestamente, non so perché sperassi che Peeta prendesse l'iniziativa da solo. Non l'ha quasi mai fatto e so che è perché non vuole che mi preoccupi. Rimane il fatto che in questo modo mi preoccupo anche di più. E' frustrante non sapere cosa gli passa per la testa, essere incapace di dargli una mano concreta per mettere fine alle sue sofferenze. L'unica cosa che posso fare è essere presente e ascoltarlo, ma come faccio se lui si rifiuta di parlarmene spontaneamente? E allora non mi resta che fare il primo passo. Come ogni altra volta che lo vedo turbato, inizio a chiedergli del lavoro alla panetteria. Dalle sue risposte mi rendo conto dell'intensità dell'episodio. Se il flashback non è stato poi così violento, allora Peeta si rilassa nel giro di pochi minuti; quando invece mi risponde a monosillabi e evita ogni contatto tra di noi capisco che è stato insopportabile. Quel pomeriggio, doveva essere stato terribile. Dopo le domande di routine – “Come è andata in panetteria?”, oppure “Qualche cliente interessante?”- Peeta era anche più nervoso. Provai a mettergli una mano sulla spalla e, anche se lui non la cacciò via, ebbi l'impressione che non gli facesse piacere. La lasciai lì, però. Aveva bisogno di sapere che tutto andava bene, che non era solo e soprattutto che io non ero la Katniss che aveva visto nella sua testa. "Vuoi del tè? Non è zuccherato" gli chiesi, aggiungendo una certa enfasi nell'ultima parte. Probabilmente fu un'idea ridicola pensare che Peeta potesse riprendersi solo facendogli capire che sapevo come prendeva il tè, ma fu utile ed era tutto ciò che mi interessava. Accennò il primo vero sorriso da quando era entrato in casa e se fossi stata più perspicace avrei dovuto intuire che dovevo iniziare a preoccuparmi. Un cambiamento d'umore così drastico è impossibile. Da taciturno e immobile, era diventato tutto l'opposto: andava avanti e indietro, mormorando parole silenziose e incomprensibili alle mie orecchie. Più volte gli chiesi se stava bene e lui mi rispose semplicemente di si. In genere, non gli credo quando mi dice che sta bene, soprattutto dopo un flashback della portata di quel giorno. Eppure, in quel momento qualcosa mi disse che stava davvero bene dal piano fisico e morale. Sembrava solo nervoso. Molto. Troppo. "Si può sapere cos'hai?" gli domandai a un certo punto, stufa di quel suo comportamento. Lui non disse niente all'inizio. Afferrò il mio polso e mi trascinò sul divano dietro di lui. Mentre io lo guardavo più confusa che mai, lui prendeva dei respiri profondi.
"Devo dirti una cosa" bofonchiò, stringendo le mie mani tra le sue. Annuii, anche se non era una domanda. "E' da un po' che ci sto pensando, ma avevo paura che..."
"Paura?" domandai, scettica.
Fu il suo turno di annuire. "Conoscendoti, potresti anche dirmi di no" spiegò con tranquillità.
Ricordo che quelle parole mi infastidirono. E' vero Peeta mi conosce, forse, meglio di chiunque altro; è inevitabile dopo quello che abbiamo passato. Eppure non penso di essere così prevedibile, al punto da formulare ipotesi sulle mie decisioni. "Vediamo" dissi in tono di sfida, senza mai togliere gli occhi da lui.
A quel punto Peeta inalò una bella dose d'aria e divenne rigido come una statua di marmo. Avvertii la stretta sulle mie mani intensificarsi. "Vuoi sposarmi?"
La mia audacia sparì in pochi secondi, lasciando il posto a una confusa incredulità. Rimasi a fissarlo per qualche minuto, incapace di spiccicare una sola parola. A dire il vero, non ero nemmeno in grado di trovare qualcosa da dire. Una risposta, ovvio, ma quale? Improvvisamente troppe cose mi passarono nella testa. Mi alzai dal divano e attraversai la stanza da un lato all'altro un paio di volte. Io, sposarmi? Proprio io che non ho mai nemmeno preso in considerazione l'idea di un matrimonio. Era impensabile che potessi dirgli qualcosa di diverso da un "no" secco. Non avevo intenzione di diventare la moglie di qualcuno, per poi correre il rischio di perderlo. No, non volevo che mi succedesse la stessa cosa di mia madre. Come potevo lasciare che mi perdessi proprio come aveva fatto lei? Ero convinta che se non mi fossi mai sposata, non avrei sofferto. Ma, anche senza un matrimonio, non soffrirei lo stesso se Peeta dovesse morire? La risposta era scontata. E allora, cosa dovevo fare? Non trovai la risposta subito. Anzi, forse quella era pronta fin dal momento in cui Peeta me l'aveva chiesto, ma mi spaventava. Sposarlo voleva dire affidare la mia vita completamente nelle sue mani, e lo stesso avrebbe fatto lui con la sua. In un certo senso, entrambi saremmo stati gli artefici della felicità dell'altro, il che comportava di conseguenza anche possibili emozioni spiacevoli. Ero certa al cento percento che Peeta non si sarebbe tirato indietro se qualcosa non fosse andato storto, così come ero certa che io non l'avrei abbandonato per nessuna ragione al mondo. Abbiamo passato gli ultimi anni a guardarci le spalle l'un l'altra, a proteggerci a turno e a pianificare tattiche per salvarci vicendevolmente. Peeta è l'unico a cui affiderei la mia vita senza rimorsi o preoccupazioni. Dopo qualche giorno di meditazione, annunciai che l'avrei sposato.
Ed è per questo motivo che adesso sono in un negozio della città per l'abito da sposa. Ne ho prenotato uno qualche giorno fa. Delly ha insistito perché lo provassi prima di prenderlo e per fortuna ho seguito il suo consiglio. Mi andava largo e la proprietaria del negozio hanno dovuto stringerlo di una taglia o due. Dal momento che da quando il Distretto 12 si è ripopolato, ci sono stati soltanto due matrimoni, di cui sono a conoscenza perché Peeta ha fornito loro il pane da bruciare, so per certo che il vestito che ho scelto io non è stato mai indossato da nessuno. E' stupido pensare una cosa del genere, ma così mi trovo più a mio agio. Lo rende più mio.
"E' pronto" mi dice una dice una signora anziana dall'aria gentile. Mi indica con una mano il retro del negozio, dove so che ad aspettarmi c'è l'abito che ho scelto, accuratamente sistemato su un manichino. E' molto semplice. In effetti, a guardarlo sembra una lunga tunica bianca, stretta un po' sui fianchi e senza maniche. L'ho scelto apposta. Non volevo niente che mi ricordasse quelli per il mio finto matrimonio, nulla che portasse a galla i ricordi di Capitol City su cui ho cercato di mettere una pietra. Erano bei vestiti, ma niente che faceva al caso mio. Se mi fosse stata concessa la libertà di scelta – non che allora mi importasse – non avrei mai indossato nessuno di quelli.
Trattengo il respiro, una volta oltrepassato l'arco che porta in una piccola stanza molto luminosa. Su un manichino c'è davvero un abito da sposa, ma non è il mio. La linea e il modello sono gli stessi, ma la cura dei particolari grida il nome di Cinna. Se non sapessi che è morto, direi che è stato lui a disegnarlo per me. Ma so che non è andata così perché l'ho visto morire proprio davanti ai miei occhi, pochi istanti prima di entrare nell'arena per la seconda volta. E allora perché mi guardo attorno? Inconsciamente allungo il collo in direzione delle tendine dietro al quale mi sono cambiata tre giorni fa. Cosa sto cercando? Mi aspetto davvero che Cinna compaia da un momento all’altro? Si. No. Eppure è una delusione lo stesso quando nessuno esce.
“Questo non è l’abito che ho scelto” sussurro alla signora, dietro le mie spalle. La voce è un po’ smorzata e ha perso quel pizzico di credibilità che avevo cercato di imprimerle. Non mi volto. Gli occhi sembrano pungere alla luce che entra dalla finestra spalancata.
“Mi hanno detto di darle questa” dice vagamente la donna, tendendo la mano verso di me.
Hanno? Di chi sta parlando? Forse si riferisce a Peeta e Haymitch. O Sae e Delly?
Abbasso lo sguardo e volto la testa all’indietro quel tanto che basta perché veda cosa c’è tra le mani della signora. Una lettera. Sulla busta bianca c’è scritto il mio nome in bella grafia. Non mi sembra familiare. Non appartiene a nessuno che io conosca.
Senza annunciare la sua uscita di scena, la sarta gira sui tacchi e va via sul davanti del negozio. Mi mordo l’interno della guancia e arriccio le labbra di tanto in tanto, cercando di capire se è il caso o meno di aprire questa lettera. Qualcosa mi dice che può appartenere a mia madre, ma non è il suo modo di scrivere. Chiunque sia, deve aver saputo del matrimonio. Come, non lo so.
Tamburello le dita sulla carta spessa e ruvida. La apro? Cosa può esserci di tanto terribile in una semplice lettera? Sarà solo qualcuno che vuole farci gli auguri. Mentre sollevo il lembo triangolare, evito di chiedermi qualsiasi cosa riguardi il vestito.
 
Katniss,
se stai leggendo questa lettera, allora molte cose che non mi aspettavo – e altre che mi aspettavo – sono accadute. Sarai uscita dall’arena nel modo che Haymitch ha pianificato insieme agli altri e avrai messo fine a tutto. Conoscendoti, ti starai chiedendo ancora se ne sia valsa la pena o meno. La maggior parte delle volte avrai pensato che sarebbe stato meglio morire durante i giochi per smettere di soffrire, ma so che nel profondo sai di aver fatto la cosa giusta. Nonostante il dolore e le perdite, sai che senza ogni tua azione, adesso non staresti leggendo queste poche righe e non avresti accettato nessuna proposta di matrimonio. E se non lo sai ancora, lo capirai col tempo. Grazie a quello che hai fatto, ne avrai a sufficienza.
Quello che hai davanti è il modello che avevo disegnato per il tuo finto matrimonio. E’ stato il primo ad essere scartato; ti piacerà senz’altro.
Se stai leggendo questa lettera, vuol dire che oggi non potrò essere con te in questo giorno. Sappi, però, che scommetto ancora su di te.
Cinna.
 
Fisso le parole come se fossero scritte in una lingua che non riesco a comprendere. Provo a rileggerla, ma è solo dopo la quarta volta che qualcosa mi entra in testa. E’ una lettera di Cinna. Quindi, in un certo senso avevo ragione a cercarlo. Deve averla scritta subito dopo l’intervista con Ceasar Flickerman, subito dopo che io mi sono trasformata da sposa addolorata e furente nella Ghiandaia Imitatrice sotto gli occhi dell’intera Panem. Era consapevole che quell’abito l’avrebbe condotto a una morte certa. Il pensiero che ne fosse consapevole non mi ha mai rincuorato più di tanto. Anzi, forse l’ho trovato anche stupido in certi momenti. Ma ovviamente quello era il suo modo di dire che non poteva giocare sottostando alle regole di Capitol City. Osservando le sue decisioni dall’esterno, potrebbe anche sembrare che Cinna abbia agito incurante di quello che avrebbero potuto farmi. La mia mente non ha mai nemmeno sfiorato un’idea del genere, ma Cinna l’aveva calcolato e so che ha agito in quel modo solo perché era certo che qualcuno avrebbe fatto di tutto per tirarmi fuori dall’arena. Era a conoscenza dell’alleanza di Plutarch Heavensbee e dell’accordo tra lui e Haymitch e i distretti ribelli. Vorrei davvero che fosse qui con me, oggi. Cinna ha fatto per me molto più di quanto siano riuscite a fare altre persone, in poco tempo e in una situazione che non era per niente facile. L'aver conosciuto lui è una delle poche cose che ha reso gli Hunger Games meno opprimenti. Era un amico.
Cinna aveva ragione nella lettera: l'abito mi piace. Non differisce molto da quello che avevo scelto, a dirla tutta, ma ai miei occhi sembra un vero capolavoro, uno di quelli a cui ero abituata quando il mio stilista doveva vestirmi. Decido di provarlo immediatamente e mentre la donna anziana mi aiuta a infilarlo, fingo che sia Cinna a darmi una mano. E' lungo fin oltre le caviglie, così mi vengono offerte un paio di scarpe con un tacco non molto più alto di quello che indossai la prima volta a Capitol City. Nonostante ciò, l'orlo sfiora ancora il pavimento, ma non me ne preoccupo. E non devo nemmeno preoccuparmi di inciamparvi dentro, visto che a partire dai fianchi si allarga giusto quel tanto che basta per farlo finire sotto le scarpe. La parte superiore racchiude semplicità e delicatezza in un dipanato motivo di perle, che se fosse stato usato da qualcun altro avrebbe sfigurato. Guardandomi allo specchio quasi non mi riconosco. 
Esco dal negozio e arrivo fino al Villaggio dei Vincitori senza che neanche me ne accorga. Se questo era già un giorno particolare, adesso lo è anche di più. Passo davanti a casa di Peeta. Vorrei fermarmi da lui per raccontargli quello che è successo, ma Delly mi ha espressamente vietato di vederlo adesso, mormorando qualcosa riguardo il fatto che gli sposi non posso vedersi prima delle nozze secondo una tradizione del Distretto 13. Ho provato più volte a dirle che qui non siamo al Distretto 13, non più almeno. Per quanto possa essere sempre di buon umore e tutto il resto, è anche una delle persone più testarde che io abbia conosciuto quando vuole esserlo.
Quando entro in casa, come se non avessi avuto abbastanza sorprese, ne trovo un'altra ancor più sconvolgente. In casa mia, avvolti in delle nuvole dai colori più disparati c'è il mio team di stilisti. Venia, Octavia e Flavius sono davanti a me, sorridenti e raggianti come li ho conosciuti due anni fa. In un attimo mi sono addosso, mi stringono in abbracci stritolanti e gridano parole concitate. Non afferro nulla di quello che dicono se non quanto siano felici che io e Peeta ci sposiamo, che loro siano stati invitati a un simile evento. Io, nel frattempo, cerco di capire cosa diavolo ci facciano qui. Non che non li voglia, ma ho paura che potrebbero esserci anche cameraman e tv.
"Siamo solo noi" mi assicura Octavia, ancora pensierosa riguardo i miei capelli. Li tocca come se fossero pericolosi. "Effie ci ha costretti a tenere la bocca chiusa"
"Effie?" domando, sconvolta. C'entra anche lei? Vedrò comparire pure lei fra un paio di minuti?
Flavius annuisce con un’espressione come a dire "so che non te l'aspettavi". Come posso dargli torto? Tutta questa faccenda è un po' surreale. "E' lei che ti ha fatto avere l'abito di Ci-Cinna" balbetta, chiaramente trattenendo le lacrime. 
"Perché siete qui?" chiedo, allora. E' uscita un po' male; sembra quasi che non ne sia contenta. E in effetti, non so se lo sono. Dovrei esserlo, certo, ma il motivo che suppongo rende tutto meno piacevole. "Volevate farci gli auguri da vicino?" continuo, sperando che sia come dico.
Venia scuote la testa con un fare che non promette nulla di buono. "Non puoi sposarti così" dice, puntando l'indice in direzione della testa, per poi farlo scorrere giù fino ai piedi. Esattamente ciò che temevo. Comunque, la sessione di bellezza non si è rivelata così terribile come ricordavo. Forse, perché adesso ho potuto ribellarmi ad alcune cose che intendevano farmi, non dovendo più obbedire all'ordine di Haymitch. Tant'è vero che alcuni peli sono rimasti al loro posto e ho insistito perché non mi ricoprissero di creme e unguenti tre o quattro volte. La sensazione di bruciore e pizzicore mi da fastidio solo a pensarci. Per i capelli ho lasciato carta bianca. In qualsiasi modo li abbiano intrecciati sulla nuca, so per certo che hanno fatto un buon lavoro. Riguardo il trucco mi sono imposta di nuovo. Assolutamente nulla di marcato, troppo carico e ovviamente nessun tipo di tatuaggio che hanno tentato di applicarmi. Voglio rimanere il più semplice possibile, in modo da sentire che sono ancora io, Katniss.
I tre stilisti mi danno una mano a vestirmi e, dopo un ultimo ritocco al trucco e ai capelli, mi scortano fino al Palazzo di Giustizia. E' totalmente diverso da quello precedente la distruzione. E' stato ampliato e l'ascensore non fa più rumore; per certi versi somiglia a quello del Centro di Addestramento. Scaccio il ricordo alla svelta. Lungo un corridoio laterale intravedo una bambina dai capelli biondi, che gioca con una bambola. Deve essere la figlia del nuovo sindaco. Dopo la morte della famiglia Undersee, il ruolo è passato a un ex commerciante della città, che si è dato parecchio da fare per la ricostruzione del Distretto. E' grazie a lui che adesso abbiamo una farmacia nuova che mi premunisco di rifornire settimanalmente e una sorta di ospedale. Nulla di artificioso come quelli di Capitol City, ma molto più di quello che avevamo prima a disposizione.
Quando entro nell'ufficio del sindaco, Peeta è già lì ad aspettarmi. E' elegante, vestito nel suo abito nero, e sembra quasi che si trovi in un altro mondo. Appena mi vede, intravedo un mezzo sorriso che, non so come, scatena qualcosa nel mio stomaco. Scorgo facilmente anche l'apprezzamento per il mio aspetto, e ciò mi lusinga. Mi avvicino a lui col capo chino, sperando che né lui né il mi vecchio team si accorga del rossore alle guance. Forse, non è stata una buona idea non esagerare col trucco.
Il rituale del matrimonio è semplice e veloce. A dirla tutta non esiste nessun rituale: bisogna solo mettere una firma su un pezzo di carta e, nel caso mio e di Peeta, decidere se andremo a vivere nella mia o nella sua casa nel Villaggio dei Vincitori. Abbiamo concordato che ci trasferiremo nella mia, visto che praticamente viviamo lì insieme già da un bel po'. Ecco cosa basta, perché io diventi la moglie di Peeta. Una semplice firma e sono la signora Mellark.
Mi accorgo di aver fatto la cosa giusta a sposarlo, quando il sorriso che porta per tutto il giorno mi rende più che felice. Sono certa del fatto che non mi abbia persa di vista neanche per un secondo, mentre chiacchiera con i pochi invitati al banchetto. Io stessa non sono riuscita a togliergli gli occhi di dosso, ansiosa per il momento in cui rimarremo soli. Il team di stilisti è rimasto giusto un'ora prima di salutarci, perché il loro treno per Capitol City era in partenza. Presto hanno seguito il loro esempio anche gli altri invitati; l'ultimo ad andarsene è stato Haymitch, che non ha abbandonato la sua postazione neanche per un minuto se non accompagnato dalla sua preziosissima bottiglia di vino rosso. Per fortuna, poi è andato via e Peeta ed io abbiamo bruciato il pane. Della vasta scelta che Peeta mi ha messo davanti, ho scelto quello che mi diede a dodici anni, quello che mi salvò dalla morte. Ne mangiamo entrambi un pezzetto, ridendo e facendo il resoconto della giornata.
"Sei stato tu a dirlo a Effie, vero?" gli chiedo improvvisamente.
Annuisce, le ombre scure attorno agli occhi causate dalla luce del camino acceso. "Una volta mi ha detto che alcuni degli abiti di Cinna erano stati scartati prima ancora di sottoporli al pubblico" mi spiega, tracciando dei cerchi sul palmo della mia mano. "Ho pensato che avrebbero potuto piacerti"
Non resisto alla tentazione di baciarlo. Devo ancora raccontargli la parte della lettera, ma penso che possa aspettare un paio di minuti. Lui risponde immediatamente, così colgo l'occasione di passargli le braccia attorno al collo. Le dita finiscono tra i suoi capelli, accuratamente pettinati da Flavius questo pomeriggio. Le sue mani si poggiano sulla mia schiena e poi sui fianchi; mi tira in modo che sia decisamente più vicina a lui. Ci stringiamo a vicenda e ciò serve a far dirottare la mia mente a pensieri più intimi. Infatti, nel giro di pochi minuti e tantissimi baci, mi accorgo che siano arrivati davanti alla porta della mia camera da letto. Anzi, nostra.
Il vestito scivola dolcemente fino alle caviglie, mentre spingo la porta con la schiena. Mi pare di incespicare, ma sono così stretta a Peeta che non posso esserne certa. Lo sento sorridere contro le mie labbra; lo faccio smettere con un nuovo bacio. Per evitare che cada ancora, Peeta scalcia via l'abito con un piede. E' strano, ma vorrei che lo trattasse meglio. O che almeno non ci mettesse i piedi sopra. Fosse stato quello che avevo scelto qualche giorno fa, non ci avrei dato molto peso, ma questo è di Cinna.
Quando mi accorgo che siamo arrivati al letto, mi prefisso che gli abiti di Peeta raggiungano il mio. Ci metto un po' più del previsto. Le mani si intoppano a ogni bottone della camicia e ho bisogno del suo aiuto. Lui, comunque, non ne sembra molto dispiaciuto. Anzi, è sempre lui che mi fa sedere sul letto, ed è lui che si stende su di me. Mi sento a disagio. E' ridicolo come abbia partecipato due volte agli Hunger Games, abbia ucciso un numero di persone impensabile per una ragazza della mia età, e poi l'intimità mi mette fuori gioco. Non l'ho mai pensata a questo modo, quelle rare volte che mi sono permessa di farlo. 
A ogni movimento ho la sensazione che le lacrime inizino a scendere da un momento all'altro. Credo che sia per colpa del nervosismo. Vorrei non esserlo così tanto, vorrei possedere la stessa calma di Peeta e non rovinare un così bel momento. Lascio quindi che sia  lui a guidarmi, mentre consento al suo odore di entrarmi nelle narici. Farina e cannella sono quelli che riconosco più facilmente. Porto il naso nell'incavo del suo collo e inspiro più forte che posso. Mi piace la cannella.
Peeta sa perfettamente come muoversi: ogni minima parte del mio corpo diventa sempre più sensibile sotto il suo tocco. Ripenso alla nostra storia. A come faceva freddo durante la notte in quella grotta in riva al torrente, a come Peeta ed io ci tenevamo stretti l'uno nelle braccia dell'altra nel sacco a pelo, per non perdere quel poco di calore che ci rassicurava. I baci non richiesti, quelli per il pubblico e per Haymitch, e quelli che volevo io. Quelli che hanno fatto crescere in me il desiderio di riceverne degli altri. Forse allora non significavano niente per me, ma adesso è quasi come se ne dipendessi. Il modo in cui Peeta mi abbracciava sul treno del Tour dei Vincitori e mi tranquillizzava ogni volta dopo un incubo. In questo preciso istante sento di nuovo quella brama che ho provato sulla spiaggia. Mi riporta al presente. Chiudo gli occhi e metto le mani sulle sue spalle. Lo spingo un po' in modo che mi guardi in faccia.
"Chiedimelo" dico, la voce ridotta a un sussurro appena udibile. Non so perché ho bisogno di dirglielo adesso. Probabilmente è la cosa più giusta da fare e voglio che lui sappia. E' giusto che venga a saperlo adesso. Avrei dovuto dirglielo molto tempo fa, ma ora posso rimediare.
Fisso quegli occhi blu pieni di desiderio e preoccupazione. Ha capito a cosa mi sto riferendo? Prende un respiro profondo prima di avvicinarsi al mio viso. Si, ha capito perfettamente la domanda da pormi. "Tu mi ami. Vero o falso?" bisbiglia al mio orecchio. E' molto più simile a un soffio leggero, che manda in fuori controllo ogni cellula. Perdo definitivamente quel pizzico di lucidità che finora ho preservato.
"Vero"
  
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