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Autore: Emrys    19/07/2012    3 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ilaria era come circondata da un calore accogliente e aveva la bizzarra sensazione di fluttuare. Provò ad aprire gli occhi e allora scoprì di essere sospesa lungo la scala antincendio. Trattenne il fiato soffocando una crisi isterica e, facendosi violenza, voltò la testa di lato: sua nonna non era da nessuna parte, mentre il corpo do suo padre era di fianco a lei. Lo shock la immobilizzò per un minuto buono, ma poi si rese conto che lei e suo padre erano trasportati da qualcuno, o qualcosa, che sembrava avvolto da un velo nebuloso. Forse era troppo veloce perché l’occhio umano riuscisse a distinguerlo? Era il suo angelo? Provò a muoversi ancora una volta, sforzandosi per distinguere la faccia di chi la stava trasportando, ed ebbe la sensazione di muoversi all’interno di uno spazio liquido: era come essere circondati dalla melassa. “Mi dispiace di averti fatto preoccupare, non volevo. Cerca di riposare, avremo tempo per parlare.” Quella voce era carica di triste dolcezza e apprensione, ma Ilaria riusciva a percepirvi anche una stanchezza profonda. Ilaria inghiottì a vuoto e raccolse le forze per rispondergli, anche solo per ringraziarlo, ma riuscì appena a fargli un cenno di assenso: era troppo stanca ed in breve tempo perse ancora una volta i sensi.

§§§

Una volta arrivato a un centinaio di metri dall’edificio in fiamme Eric planò verso il terreno, nel bel mezzo degli alberi. Ilaria e suo padre erano un po’ affumicati ma, eccetto qualche livido, sostanzialmente illesi. Una volta posati entrambi sul terreno, trattenne un gemito e portò la mano destra al fianco. La sua camicia non poteva certo definirsi nuova, soprattutto dopo il trattamento di Simon, e proprio sul fianco destro spiccava una macchia vermiglia che si allargava con drammatica lentezza. Doveva curarsi al più presto, tuttavia prima doveva assolutamente risolvere altre priorità: per accedere a quel dannato edificio aveva sfondato una finestra, stendendo una manciata di quei rompiscatole, ma nel resto del palazzo ce n’erano come minimo un’altra dozzina. Purtroppo non era riuscito a salvare anche Mary e la sola idea della sua morte lo faceva soffrire come un cane. Senza il sacrificio di quella donna forse non sarebbe riuscito a portar via suo genero e sua nipote, era vero, ma non bastava ad attenuare i suoi sensi di colpa. Quel figlio di puttana di Simon e la sua prigione gli avevano quasi prosciugato le forze, altrimenti avrebbe potuto fare assai di più. “Mi dispiace, amica mia.” Era un sussurro carico di rimpianto: conosceva Mary Wheater da anni e una piccola parte di lui era arrivata a considerarla una di famiglia. Dopo un paio di minuti di quiete Eric si chinò a sentire i battiti di Frank e Ilaria, allora i suoi sensi furono ancora una volta messi in allerta: tre elementi avevano lasciato l’edificio in fiamme e stavano arrivando da loro a tutta velocità.

Quando il ragazzo umano, Luke, l’aveva liberato dal sigillo era subito corso a raggiungerla. La preoccupazione per il destino di Ilaria gli aveva fatto ignorare il dolore delle ferite fresche e aveva fatto passare in secondo piano il calo dei suoi poteri. Era stato un idiota e se sommava alle sue condizioni di partenza anche l’entrata a effetto nella casa di cura, il risultato dell’equazione era uno solo. In ogni caso, per quanto fosse in svantaggio, era riuscito a nascondere la sua identità e quei tre non potevano aver già individuato la loro posizione. Allora Eric allargò le braccia, strinse alternativamente le mani a pugno e dai suoi palmi proruppe una cortina nebulosa color grigio spento: Castar preferiva l’invisibilità completa, tuttavia lui era sempre stato dell’idea che con i i giusti accorgimenti un’ombra potesse essere ben più temibile di un nemico ignoto. Concentrò le sue percezioni, così da capire quanto fossero distanti, e fu colto di sorpresa dal constatare che avevano rotto la formazione: i primi due continuavano a muoversi in coppia, ma il terzo elemento si ero portato avanti. Sembrava uno stallone al galoppo, tuttavia poteva fare il suo gioco: abbattendoli uno per volta poteva cavarsela. Scomparve in un riflesso di sole e si tuffò nella battaglia.

Le nuvole si scurirono all’improvviso, i primi tuoni colsero impreparato lo stesso Eric, tuttavia il cielo scuro s’integrò perfettamente nei suoi piani e lui ne approfittò per mimetizzarsi nel temporale e restare in attesa. Dopo pochi minuti le sagome dei loro inseguitori apparvero all’orizzonte. L’angelo aspettò fino a quando non riuscì a distinguerne i lineamenti e congiunse le mani, creando così un fulmine globulare che scagliò all’interno di una successione di fulmini naturali. Il primo cadde senza neanche rendersi conto di cosa lo aveva colpito. Vedendolo cadere al suolo, Eric per un momento si compiacque di non aver perso la mira di un tempo. Un istante dopo qualcosa gli apparve alle spalle, ma Eric evitò il fendente e scomparve a sua volta. “Dov’è finito?” “Non ha abbastanza forza per allontanarsi significativamente.” “Non lascerà gli umani, però non dobbiamo sottovalutarlo.” Il loro scambio di battute era tutt’altro che rassicurante, i due si rivolsero un cenno d’intesa e furono avvolti in due manti nero brillante. Scesero di quota e ripresero la caccia: il fallimento non era un’opzione accettabile.

Appena cominciarono a perlustrare il terreno, percepirono le energie di due esseri umani. Gli bastò un attimo per riconoscere Ilaria e suo padre, gli planarono vicino e subito due lame luminose si materializzarono tra le loro mani. “Avevo l’impressione che fosse un po’ presto per la caccia alle anatre.” La voce di Eric sembrava provenire da ogni dove, però intorno a loro non riuscivano a sentire la minima traccia della sua energia, perché? Passarono minuti carichi di tensione e la figura del ribelle emerse da un tronco alle loro spalle, unì i palmi delle mani e creata una lama di luce troncò di netto le ali dell’avversario a lui più vicino. Questi emise un urlo disumano e si accasciò al suolo in preda alle convulsioni. Il suo manto nero si dissolse progressivamente e il compagno si mise in guardia. “Hai mai pensato quanto sia strano che la regola del non intervento venga mandata alle ortiche con tanta facilità ? O io e la ragazza siamo diventati una sorta di caso speciale?” Nel parlare avevano cominciato a girare in cerchio, studiandosi a vicenda. “Sei pronto, o forse preferisci tornare dagli Anziani con le ali tra le gambe?” Si fissarono in silenzio per una decina di secondi, poi l’avversario fece apparire una seconda lama di luce e cominciò un duello serrato.

§§§

I soccorritori raggiunsero il Saint Paul in poco meno di quarantacinque minuti, ma soltanto quando riuscirono a domare l’incendio poterono dedicarsi alla ricerca dei superstiti. Dopo una mezza giornata trovarono Frank e Ilaria privi di sensi e, per lo sconcerto generale, loro furono i soli sopravvissuti del disastro. La ragazza era stata la prima a riprendersi i sensi e adesso aspettava all’interno della saletta d’attesa del pronto soccorso, ansiosa di sapere le condizioni di sue padre. Si abbracciava il petto con entrambe le braccia, facendo fatica a trattenere i singhiozzi e sentiva il proprio cuore preda di tumulti contraddittori: paura per suo padre, rimpianto per nonna Mary e una malinconica felicità per il suo angelo le accarezzava la pelle. I medici insistevano su come le esalazioni di fumo e il trauma psicologico potessero provocare allucinazioni, ma lei sapeva che era reale: era stato lui a stendere le ombre nere e l’aveva portata in salvo insieme a suo padre. “Signorina.” Ilaria alzò gli occhi e distese le gambe, ritornando alla realtà. Aveva davanti un dottore stempiato, sulla sessantina, che teneva tra le mani una cartella color azzurro spento. Sembrava lo stereotipo vivente del vicino tranquillo, ma l’espressione che le rivolse ebbe il potere di terrorizzarla: esprimeva rammarico, compassione e un pizzico di tenerezza. Lei non voleva sapere perché la compativa, non voleva il suo rammarico o la sua tenerezza professionale; voleva suo padre ! “È uscito dalla sala operatoria cinque minuti fa, l’operazione è riuscita, ma oltre al fumo che può aver inalato non possiamo dimenticare che è un fumatore da più di vent’anni. Non sappiamo come reagiranno i suoi polmoni e il colpo alla testa gli ha provocato un trauma cranico di lieve entità.” Trauma cranico? Quando mai un trauma cranico poteva definirsi lieve? Ilaria stava per cedere al panico. “In ogni caso, per adesso è stabile e non ci resta che aspettare.” “Quando si sveglierà?” Il dottore cercava di trovare le parole giuste e questo era un ulteriore brutto segno. “Non lo sappiamo con certezza, durante l’intervento abbiamo dovuto indurre un coma farmacologico, ma mi aspetto che riapra gli occhi entro poche ore.” Ilaria sentì il proprio cuore perdere un battito, nelle parole rassicuranti del medico aveva appena letto una sconvolgente possibilità: suo padre, il suo papà poteva anche restare in coma per il resto della vita. Inghiottì a vuoto e smise di ascoltare, attese che il dottore la lasciasse sola e poi corse fuori dall’ospedale. Corse senza preoccuparsi di frenare le lacrime, soffocando le urla del suo cuore con lo sfinimento: sapeva di non essere più una bambina, ma non poteva impedirsi di pensarci. Adesso sarebbe stata davvero sola, suo padre era il suo unico parente ancora in vita e perderlo in quel modo…

§§§

Castar atterrò con eleganza, fermandosi al suo fianco, e dopo un istante le ali grigio fumo scomparvero sotto le pieghe della sua giacca. Eric lo ignorò per quasi un minuto, ma alla fine si decise a fissarlo con un’espressione stanca: se il suo amico era riuscito a trovarlo, curare le ferite prodotte dallo scontro e dalla prigionia gli stava costando troppo tempo. “Ciao.” “Ciao? Stupido imbecille, dov’eri finito? È successo un casino !” Il mezzo sorriso che ricevette in risposta rappresentava benissimo un silenzioso “direi che me ne sono accorto”, ed ebbe il potere di irritare Castar ancora di più. “Forse non sei aggiornato, tuttavia Sihel in persona si è scomodato per venire a minacciarmi: vuole che smetta di preoccuparmi per te. Eric, ti ammazzeranno.” Il suo amico non mostrava il minimo timore, tanto da fargli dubitare che avesse capito, e quando lo vide ridere un dubbio atroce si fece strada nella sua mente: forse Eric era impazzito sul serio. “Direi che ci hanno già provato, tuttavia sono ancora il cavallo vincente.” Fece una pausa e provò con cautela a muovere il braccio destro. Solo allora Castar sembrò accorgersi delle sue ferite però, prima che potesse aprir bocca, Eric riprese: “Mi sembra che ormai la guerriglia sia più che cominciata, forse ti converrebbe sul serio lasciarmi perdere. Non ho neanche la certezza di salvare la mia di vita, figuriamoci il tempo materiale per preoccuparmi anche della tua.” Cercava di stemperare la tensione con il sarcasmo, però Castar non aveva intenzione di assecondarlo. Per la prima volta in tanti secoli d’amicizia Eric vide apparire sul suo viso l’espressione disperata della preda che si accorge di essere finita in trappola. “Almeno dimmi perché: all’inizio credevo che volessi impedirne il risveglio, poi ho anche creduto che nella tua testa bacata lo volessi accelerare, per poterla istruire e usarla per rovesciare i cinque Anziani.” Eric lo fissava in silenzio e Castar alzò le braccia, scuotendo il capo. “Sappiamo entrambi che non è così, quindi ora dimmi la verità. Me lo merito, perché butti la tua vita per una senza ali qualunque?” L’altro fece un sorriso sghembo e Castar spalancò gli occhi. “Io non capisco cosa…” “Cazzo ! Le hai dato il tuo sangue ! È solo grazie a questo che non è ancora morta o impazzita. Perché?!”
   
 
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