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Autore: Ariacqua    20/07/2012    15 recensioni
-- FAN FICTION SOSPESA --
Peeta è tornato da due settimane. Dorme a casa di Katniss, ed entrambi sono alle prese con il "Libro della memoria". Potrebbero cominciare finalmente ad essere felici, se non fosse per i terribili ricordi che si celano sotto ogni frontiera di forza ostentata. I ricordi uccidono. Peeta non ha mai parlato della sua tortura, di cosa fu costretto a subire, a fare, per tutto quel tempo. Ma ora è tempo di parlare. E' tempo di cacciare tutte quelle lacrime sepolte da mesi. E' tempo di amare, di scegliere.
I don’t want to forget.
PERICOLO SPOILER PER 'CATHING FIRE' E 'MOCKINGJAY'!
Buona lettura, sweethearts.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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La consapevolezza del fatto che io e Peeta siamo di nuovo insieme, del fatto che le mie labbra abbiano toccato le sue per pochi secondi, provocandomi brividi di piacere, mi rende più felice di quanto io non sia mai stata.
Ciò vuol dire che, anche nei momenti più difficili, più tenebrosi, ci sarà l’altro su cui potremo contare. Non che prima fosse diverso, no. Lui, solo lui, c’è sempre stato per me.
Ed io, io non sarò da meno. Ci sarò sempre per lui. E queste non sono solo parole, questa è una promessa. Una sfida contro tutte le forze negative che minacceranno le nostre menti di perdere la ragione, contro tutti i ricordi che, se non respinti, finiranno per lasciare solo vuoto negli occhi, nelle membra.
Ed è proprio questo che noi faremo.

Li respingeremo.
 

Cammino senza una meta precisa, andando avanti e indietro, tra gli alberi e tra le rocce dei Boschi del Distretto 12.
Peeta, questo pomeriggio, mi ha confessato di voler andare giù alla panetteria, o almeno a quel che ne rimane.
Avevo previsto che una cosa del genere potesse accadere, dopotutto lì c’era cresciuto.
Aveva vissuto ben sedici anni della sua vita con la famiglia, infornando e sfornando pagnotte e decorando minuziosamente centinaia di torte che io e la mia famiglia potevamo solo sognare.
Sono troppo nervosa per sedermi e ragionare, o almeno per scoccare qualche freccia e uccidere uno scoiattolo o un coniglio.
Non riesco neppure vagamente a concentrarmi, pensando a quel che Peeta stia provando guardando quelle rovine.
Ovviamente, appena lui mi ha confessato di voler andare lì, mi sono subito offerta di accompagnarlo.
Volevo davvero. Avrei voluto sostenerlo, abbracciarlo, alla vista di quel mucchio di ciottoli, cenere e altri pezzi di quel che una volta doveva essere proprio il forno, o cose simili. Lui ha rifiutato, dicendomi che, almeno per questa volta, doveva fare dei conti con il suo passato.
Io so cosa si prova. L’ho vissuto in prima persona, quando, alla fine dei nostri secondi Hunger Games, ho visitato tutto il Distretto 12 o, anche in quel caso, di ciò che ne era vagamente rimasto.
Vedere poi le Ville dei Vincitori, poi, per me fu un colpo secco.
Erano lì, intatte, lustre e pulite, come per ricordarti cose come

“Voi avete ucciso, avete vinto i Giochi della Fame, siete potenti, ricchi, siete degni di avere ancora una casa, di essere ancora in vita, ma solo per vedere che gli altri non meritano né l’una né l’altra, che gli altri semplici abitanti valgono meno di niente per noi”

e, pensare che per loro uccidere significa essere degno di una vita felice e di una casa lussuosa, mi fa venire il voltastomaco, provocandomi grandi fitte al cuore, facendomi sentire ancora più in colpa.
Noi non abbiamo mai voluto nulla di tutto questo, e pensare che delle persone del tutto innocenti ed indifese ci abbiano rimesso la vita, mi fa sentire ancor più male.

Un rumore di fogliame dietro di me mi risveglia dai miei ricordi, dai miei pensieri. Mi giro di scatto, con occhi vigili. Intravedo uno coniglio bianco passare da una roccia e l’altra, con fare impaurito.
Controllando i miei movimenti rendendoli meccanici ma efficaci, riesco a recuperare arco e faretra molto silenziosamente.
Incocco la freccia, tendo al massimo l’arco. Prendo bene la mira, e le mie dita si staccano velocemente dall’estremità superiore della freccia.
Un forte rumore rimbomba nell’aria. La freccia ha colpito una roccia, spezzandosi letteralmente in due.
L’ho mancato.
Mancato.
Delusione si dipinge sul mio volto, insieme ad un senso di rabbia.
Non ho mai mancato una preda tanto facile quanto vicina a me.
Il mio viso produce una smorfia, non so neanche esattamente indicata a chi.
So solo che non ne posso più di stare qui con le mani in mano, mentre Peeta starà combattendo contro ricordi, contro le lacrime che pian piano cominceranno a rigargli il volto.
Devrò esserci io, a stringerlo fra le mie braccia e consolarlo, come lui ha sempre fatto con me. Lui non sa che sono venuta qui nei boschi, per sfogare un po’ delle mie preoccupazioni, soprattutto riguardo lui.
Racimolo le poche cose che ho portato con me, ed esco dal confine dei boschi, pensierosa.
Fa freddo. Anzi, dire che fa freddo è poco. Ad ogni mio respiro si formano nuvolette di vapore condensato.
Mi avvicino sempre di più alle rovine de
lla panetteria ma, appena arrivata, non vedo nessuno.

“Maledizione” penso.

Dove può essersi cacciato? Dopotutto non può essere passata più di mezz’ora da quando è arrivato.
La mia mente lavora febbrilmente su dove potrebbe essere, e perché.
Visioni di lui, triste, malinconico e solo mi si presenta davanti.
Non dovrei permetterlo, penso, a denti stretti.
Mi avvio verso casa, con la convinzione che è solo quello il luogo dove potrebbe trovarsi, quando scorgo la sua figura in lontananza, camminare verso i boschi, a testa bassa.
Rimango pochi secondi a guardarlo, sorpresa. Dopotutto lui non sa che io sono stata lì, e non avrebbe nessun motivo per andarci, suppongo. E poi, inoltre, non ha la minima idea delle strade del bosco, potrebbe perdersi nel giro di dieci minuti.
Finisco di elaborare questi pochi pensieri, ed infine cerco di seguire i suoi passi nella neve.
Riesco ad entrare silenziosamente nei boschi, e dopo pochi minuti di cammino, vedo Peeta seduto su una roccia, le gambe strette al petto, lo sguardo vuoto avanti a sé.  Mi ricorda vagamente Annie, ma scaccio via subito quel pensiero.
Lui non finirà come lei, perché ci sono io.
Esco allo scoperto, ma lui non ci neppure vagamente caso. Continua a tenere lo sguardo su una pianta avanti a lui, finche non mi accovaccio esattamente dinanzi alui, prendendogli il viso fra le mani e scostandogli un ciuffo dal viso.
Lui mi guarda sorpreso.

- Che fai, mi segui, dolcezza? –

Imita la voce di Haymitch.
Fa di tutto per non sembrare in qualunque modo triste, in colpa, o malinconico.
Lo ammiro per questo, cerca di nascondere i suoi sentimenti negativi, e questo talvolta può essere molto utile. Io ne so qualcosa. Ma con me non funziona, dovrebbe saperlo bene.
Non serve a nulla indossare una ‘maschera’ anche nella presenza di chi ami.
Lo guardo negli occhi, io accenno un piccolo sorriso, ma poi ritorno subito seria, come per fargli capire ciò che ho appena pensato, come per fargli capire che non serve fingere.
Lui abbassa lo sguardo verso il terreno. Ha capito ciò che volevo comunicargli, come sempre.
Mi piace quest’intesa fra noi. Come riusciamo a comunicare solo con gesti, sorrisi, sguardi. Non servono parole.
I suoi occhi diventano lucidi, ma continua a trattenere le lacrime. Ancora e ancora.
Gli prendo ancora una volta il volto tra le mani, costringendolo a guardarmi.
Vorrei spiegargli che io ci sono, e ci sarò sempre. Che lui voglia parlarmi della sua famiglia, voglia sfogarsi di quello che ha provato andando nelle rovine del Forno, o che voglia confessarmi cosa è stato costretto a subire a causa delle torture in Capitol City.
Come spiegargli tutto questo? Io non sono mai stata brava con le parole, una frana a dirla tutta.
Così decido semplicemente di abbracciarlo, e di metterci tutta la dolcezza possibile.
Stringo le braccia al suo ventre, poggiando la testa sulla spalla.
Lui ricambia subito l’abbraccio, ed entrambi chiudiamo gli occhi al contatto.
Calore irradiano i nostri corpi, facendoci sentire molto meglio, sciogliendo quel gelo che un po’ si era formato dentro di noi.
Rimaniamo così non so per quanto tempo. Non abbiamo fretta di fare nulla, se non aspettare che il gelo e la  tristezza vengano respinti da una forza inversa che solo noi possiamo procurare all’altro.
Improvvisamente, si gira a guardarmi.

- Vieni. Devo farti vedere una cosa. Ti piacerà… credo. –

Non capisco minimamente ciò a cui si riferisce, ma non mi oppongo, e mi lascio trascinare da lui.
Zigzaghiamo tra alberi e cespugli incolti, dirigendoci verso il Prato.
A questo punto non so proprio dove voglia portarmi.
Aumenta la velocità del passo man mano che ci avviciniamo, ed io sono costretta ad imitarlo. Mi prende la mano ed intreccia le mie dita nelle sue.
Ad un certo punto si ferma di botto, ed io mi accorgo che siamo davanti a casa mia, anzi, nostra, ormai.
Lo guardo un po’ stranita ed un po’ irritata. Cosa deve farmi vedere a casa mia che io già non sappia?
Ha interrotto quel così bel momento, nei boschi.
Neanche il tempo di pensare o di chiedergli dove vuole arrivare, che mi ritrovo dentro casa a salire sulla terrazza, al piano più alto.
Non ci saliamo quasi mai, lassù. Ma non capisco comunque cosa vuole farmi vedere di tanto interessante che io già non sappia.
Ci ritroviamo avanti la porta a vetri della terrazza, e questo punto gli scocco uno sguardo tra l’innervosito ed il curioso. Lui mi rivolge uno sguardo divertito, in tutta risposta. Ciò non fa che aumentare la mia stizza.
D’un tratto, mi copre entrambi gli occhi con le mani. Io, del tutto impreparata, faccio per scostarle brutalmente, ma lui desiste.

- Dove vuoi arrivare? –

Gli chiedo, ormai spazientita.

- Fidati. –

Risposta più disarmante proprio non poteva darmela. Non posso oppormi a questa affermazione, perché di fatto io mi fido ciecamente di lui, e questo lo sappiamo entrambi.
Fatto sta che non ha lo stesso risposto alla mia domanda, ma che mi lascio andare, trasportata dal suo corpo dietro al mio.
Il fatto che io non possa vedere, mi fa sentire più vulnerabile, anche se concretamente non c’è nulla da cui proteggersi o da dover stare all’erta. Subito mi ricordo di ciò che ho provato nella mia prima Arena quando smisi di sentire da un’orecchio. Beh, la sensazione è quella, e non mi piace.
Sento le mie mani toccare la ringhiera che delimita la fine della terrazza.
Faccio per aprire bocca, ansiosa di sapere cosa diavola sta succedendo, quando lui toglie le mani dagli occhi.
In un primo momento vedo tutto un po’ più sfocato del dovuto, ma poi i miei occhi si abituano alla luce, e riesco subito a capire ogni cosa.
Avanti a me si presenta uno dei tramonti più mozzafiato che abbia mai visto.
Indescrivibile.

- Ti piace? …Io lo trovo… - sospira – meraviglioso. –  mi dice.

- Un po' meno carico. Più come... il tramonto. - sussurro io, guardando ancora quelle sfumature create dal sole. Non le ho pronunciate a nessuno, in
particolare. Solo in ricordo della nostra conversazione di circa un anno fa.


« Non è strano che io sappia che tu rischieresti la tua vita per salvare la mia, ma non... qual è il tuo colore preferito? »
Un lento sorriso mi compare sulle labbra. « Il verde. E il tuo? »
« Arancione » risponde.
« Arancione? Come i capelli di Effie? » mi sorprendo.
« Un po' meno carico » dice. « Più come... il 
tramonto. »
 

Il ricordo mi provoca un mezzo sorriso.
Peeta si gira a guardarmi, un po’ divertito.

- Cosa? – mi domanda, sorridendomi.

Punto il dito proprio verso il tramonto.

- E’ il tuo colore preferito. Arancione, come il tramonto. – gli rispondo.

- Te… te l’ho detto io? – mi domanda, un po’ sorpreso, ma serio.

- Sì… - gli sussurro. – Non…non lo ricordi? – gli prendo la mano.

- No. – dice, abbassando lo sguardo, gli occhi lucidi.

Mi accorgo subito di quel suo gesto, e stringo più a me.

- Ora lo sai. Non ti preoccupare – gli sorrido, maledicendomi per come ho rovinato tutto, come mio solito.

Spero di non avergli invocato ancora una volta gli orribili ricordi delle torture. Sono una stupida.
Lui mi accenna un sorriso di rimando.

- Il tuo, qual è? – mi chiede.

- Il verde. – sussurro.

- Verde come… -

- Come le foglie degli alberi – gli rispondo, ad una domanda ancora non formulata completamente.

Mi sorride.
Ora comincia a fare proprio freddo. Il sole cala sempre di più, e con lui la temperatura.

- Ho un’idea. – dice.

Prende due lettini che si trovano all’estremità della terrazza. Non li avevo neanche mai notati. Li avvicina, come per crearne uno solo, ma più grande. Prende un grande piumone dall’armadio della nostra camera al piano di sotto, ed entro due minuti ecco creato un piccolo “angolo relax”.

Mi ci tuffo dentro senza tanti complimenti.
Il mio corpo si riscalda pian piano, grazie al piumone, ma un brivido di gioia mi provoca ancora più calore, quando sento il corpo di Peeta vicino al mio.
Finalmente iniziamo a riscaldarci, vedendo gli ultimi bagliori irradiati dal sole, ammirando tutte quelle meravigliose sfumature. Mi rendo conto che è un po’ una pazzia, stare fuori con questo freddo, ma che importa.

L’intero mondo è pazzo.

Altri brividi invadono il mio corpo quando Peeta mi stringe di più a sé, ed inizia ad accarezzarmi delicatamente il capo.
Lentamente, alzo la testa in cerca del suo sguardo. Sprofondo nei suoi occhi, negli abissi marini che vi ci sono.
Lui avvicina le sue labbra alle mie, e mi sfiora delicatamente.
Non potrei essere più in pace con il mondo di così. Mi godo il momento il più che posso, perchè so che purtroppo non durerà all'infinito.

Intreccio le mie gambe nelle sue e, pian piano, cado addormentata in una valle che, almeno questa volta, spero non sia fatta solo di incubi.





Angolo Autrice [leggete, perfavore (:]
Kakzxsqakcnwdnhvcwvb, perdonate l'immeeeenso ritardo.
Ecco qui il settimo capitolo.
Non mi sarei neanche lontanamente immaginata che venisse così lungo alla fine, e spero con tutta me stessa di non avervi annoiato.
Questo capitolo, vede consolidarsi il rapporto fra Katniss e Peeta ancor di più. E' particolarmente Fluff, come forse avrete notato, ma non vi preoccupate, nel prossimo prevedo che accadranno alcune cose. (Non voglio spoilerarvi nulla! u.u)
Bhe, cos'altro dire... Ci tengo a ricordarvi, come sempre, che più recensite più mi verrà voglia di continuare a scrivere altri capitoli e, di conseguenza, meno tempo mi ci vorrà per pubblicarli.
Devo informarvi che, però, io domenica partirò (*w*, era ora), ma spero di avere il tempo di aggiornare il prima possibile.
Mi farebbe tanto piacere trovare tante recensioni al mio ritorno *w* (sia 
positive che negative, ovviamente, perchè si può sempre migliorare).
Per ora, ci arriviamo alle dieci recensioni? c:
Su, su, ghiendaie! (?)
Alla prossima e buone vacanze,

Rosie_posy (con l'impressione di avervi ormai annoiato a morte :3)
  
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