13 – Arrivi e partenze; bentornata
contessa!
Scusate per l’immenso
ritardo di questo aggiornamento, ma la voglia e l’ispirazione erano latitanti per tante ragioni che non starò qui a dire. Questo
capitolo mi è costato sudore e sangue e immaginando l’aspettativa delle
lettrici, spero di non deludere nessuno. È giocato sulla tensione che ho
cercato di mantenere viva in un modo particolare… mi direte voi se ho fatto
bene o solo creato confusione. Mi sono accorta di non aver risposto a tutte le
recensioni, ma come sempre grazie di tutto, per l’incoraggiamento e la vostra
attenzione costante a questa storia. Buona lettura.
*********
Il chiarore opalescente di uno spicchio
di luna illuminava vagamente la strada su cui viaggiava lenta la carrozza con
lo stemma dei Recamier. Mancava più di un’ ora al sorgere di una nuova alba
nebbiosa. Oscar si rilassava all’interno dell’abitacolo della vettura; il
dondolio del mezzo la cullava mentre ripercorreva con la mente un poco
annebbiata suoni e immagini della serata appena trascorsa. Le luci dei
lampadari di cristallo di Boemia, i violini, le danze, le sete fruscianti di
gonne vaporose, gioielli sfavillanti che brillavano nel buio quanto il
luccichio di certi sguardi accesi d’eccitazione e aspettativa. Se n’era andata
da sola, un po’ prima della fine della festa, e non aveva voluto che Fersen l’accompagnasse.
Nulla era stato come lei si sarebbe aspettato.
Neppure la delusione era stata così
amara. Anzi, la sensazione aveva un che di ridicolo.
In realtà, avvertiva una specie di
sollievo misto a un senso di stupore.
Erano bastate poche ore e tutto il mondo
dei suoi sentimenti si era ridimensionato, come se improvvisamente una lente
deformante le fosse stata tolta davanti agli occhi.
Un mezzo sorriso le affiorava sotto il
trucco del belletto.
-
Sei stata molto sciocca, Oscar… che ti serva da lezione.
Il sentimento iniziale andava via via
scomparendo per lasciare spazio a una sorta di leggerezza del cuore, una
sensazione che la rendeva curiosamente serena. La serata si era conclusa meno
peggio di quanto sperasse; dopo il fallimento del primo approccio, il conte di
Fersen si era limitato a ballare con lei fino a metà della serata, senza
tentare altre sortite ad effetto per conquistare le grazie della sua bella
accompagnatrice sotto mentite spoglie.
Se poi, anche quella fosse una tattica
maschile, poco le importava.
A breve avrebbe smesso i panni della
contessa di Recamier, e le conseguenze future di quel ballo sarebbero state
solo un problema di Danielle di cui lei non si sarebbe curata.
Chissà se al suo stesso posto, Danielle
avrebbe reagito come lei.
Ora capiva meglio certi atteggiamenti
ironici della sorella.
Così pensava Oscar, mentre la carrozza
procedeva verso la villa che iniziava a scorgersi in lontananza tra il verde
ombroso della campagna.
Non c’erano pensieri molesti che
attraversavano la sua mente.
Non c’erano neppure le ultime parole di
André che alcune ore prima l’avevano turbata.
Il suo cuore era in silenzio. Quasi
assopito. Il ricordo addormentato.
La quiete pareva scesa su ogni cosa
attorno e dentro l’anima, ma era solo quella che precede la tempesta.
Non poteva sospettare né immaginare in
quali rapide turbolente sarebbe precipitato presto il suo spirito; ignorava
l’impeto della corrente che stava per travolgerla ed era ancor più impreparata
ad affrontarlo.
§§§§§§
Erano quasi le nove del mattino.
Tranne la servitù, quasi tutti alla
villa dormivano ancora. O così sembrava. Uno strano silenzio aleggiava attorno;
era pesante, come se da un momento all’altro dovesse accadere qualcosa di
tremendo tra le mura della casa. Solo Leopold di Recamier era già in piedi,
contrariamente alle sue abitudini.
Di fronte a lui nell’ androne della
villa stava Lisette in abito da viaggio, un grazioso cappellino calato sulla
testa, da cui spuntavano dei riccioli scuri. L’aria della donna era apprensiva,
non meno di quella del conte.
Con andatura frettolosa, due cameriere
stavano portando i bagagli di Madame Marchard all’esterno della villa per
caricarli sulla carrozza che attendeva la sua viaggiatrice.
Il conte le accarezzava le spalle con
fare rassicurante.
“Siete pronta, mia cara?”
“Sì, Leopold. – Lisette si lasciò
sfuggire un sospiro pesante. - Allora non volete proprio accompagnarmi? È
rischioso, lo sapete?”
Parole cariche d’ansia che il conte
cercava inutilmente di placare e che condivideva, pur tentando di nasconderlo
alla sua amica intima.
“Sì, ci ho pensato. Ma ve l’ho detto,
non posso. Ma potrei raggiungervi in seguito; devo sbrigare alcune importanti
formalità che riguardano l’adozione: dovrò recarmi a Parigi per questo. Sarà
questione di un paio di giorni al massimo.”
“Come volete. Spero non sia inutile. -
La donna abbassò la veletta nera sul volto. – Se la piccola dovesse morire,
io…”
La voce di Lisette era venata di
incertezza. Forse paura. Il conte se ne accorse.
“Non accadrà. State calma e non
preoccupatevi; andrà tutto bene. Ho mandato laggiù il nostro medico di
famiglia, un uomo capace e preparato. Penserò io a tutte le spese. Andiamo, vi
accompagno alla carrozza.”
Il conte e Lisette attraversarono l’androne.
Nel cortile esterno era ferma una
carrozza con quattro cavalli freschi, il cocchiere stava sistemando i pochi
bagagli in un baule sulla parte posteriore; Leopold aiutò la dama a salire in
vettura e richiuse lo sportello. Poi si accostò al finestrino da cui Lisette si
era sporta.
“Volevo salutare vostra moglie. Le avevo
accennato vagamente ad un parente malato. Questa partenza improvvisa potrebbe
insospettirla, ci avete pensato?
“Per questo ora preferisco non seguirvi.
Le porterò i vostri saluti. È strano che a quest’ora non sia ancora alzata; il
ballo di ieri sera a Versailles deve averla stancata più del previsto. Non si
vede in giro neppure la mia stramba cognata: alquanto strano. Madamigella Oscar
di solito è mattiniera.”
“State attento; ho percepito una strana
complicità tra vostra moglie e sua sorella: non so cosa sia, ma hanno in mente
qualcosa. Arrivederci, Leopold. Raggiungetemi appena potete, non perdete
tempo.”
“Non dubitate; fatemi avere notizie al
più presto. Assicuratevi che mia figlia stia bene. Scrivetemi subito, appena
arrivate.”
Le loro mani erano ancora appoggiate sul
finestrino una sull’altra mentre la vettura lentamente si metteva in moto.
Leopold la guardò allontanarsi con un
espressione mesta mentre udiva lo scalpiccio ritmato degli zoccoli dei cavalli
sul lastricato appena antistante il palazzo.
Dopo alcuni metri, vide madame Lisette
chiudere la tendina e rifugiarsi all’interno della vettura.
Solo quando la carrozza fu lontana si
decise a rientrare in casa.
Anche lui doveva prepararsi per la
partenza e doveva trovare una scusa convincente per la moglie.
§§§§§§
Da almeno un’ ora la luce chiara del
mattino filtrava spavalda tra le tende della camera in cui avevo passato parte di
quella notte sconvolgente. E ancora non sapevo nulla di come essa si fosse
conclusa per le altre persone che con me, l’avevano attraversata in una specie
di delirio febbrile.
Non ero nella mia stanza, nel mio letto,
tra i miei cuscini ricamati e le mie lenzuola profumate, né mi ero risvegliata
tra le braccia di André come avrei voluto: ero nella stanza che occupava Oscar
da quando era arrivata in casa mia circa una settimana prima.
Dopo il ballo, come da accordi avremmo
dovuto incontrarci in quella che era la camera della contessa di Recamier, e
lì, tornare ciascuna nei nostri panni consueti; ma niente era andato come io
avevo sperato.
Non sarei mai riuscita a chiudere occhio
dopo l’ epilogo amaro della serata con André. Avevo lasciato la sua stanza rimuginando
su quanto era accaduto tra noi, sulla passione che quasi ci aveva fatto cedere,
sull’imprevisto un po’ umiliante di vedermi smascherata, chiedendomi cosa
sarebbe accaduto di lì a poche ore, al rientro a palazzo di Oscar.
Endré era stato piuttosto chiaro e non
c’era modo che io potessi fraintendere le sue vere intenzioni: era deciso a
entrare in quella partita pericolosa, e dalla sua determinazione intesi che non
sarebbe rimasto semplicemente a guardare, anche se ancora non comprendevo che
ruolo intendesse sostenere.
O forse l’avevo compreso fin troppo
chiaramente ed era un pensiero che mi spaventava perché non riuscivo a
coglierne gli sviluppi.
Contro ogni previsione, André aveva
accolto la falsa Danielle nella mia stanza quella notte consapevole di trovarsi
di fronte Oscar.
André voleva giocare d’azzardo, osare
sfiorando forse l’impertinenza e non si sarebbe preoccupato delle regole, di
mentire o ingannare, e mi chiedevo se non ero responsabile, insieme a Oscar di
quella sua reazione; quasi a nessuno piaceva essere un burattino in balia dei
capricci assurdi di due donne e certo, non era una cosa che piaceva a un uomo
orgoglioso come lui.
Decisamente il gioco mi era sfuggito di
mano, ma Oscar era all’oscuro di tutto. Per quanto ne sapevo lei poteva ancora
pensare che tutto fosse andato secondo i nostri piani. Ma se non mi aveva vista
arrivare al nostro appuntamento, da donna sagace e arguta, qualche pericoloso
sospetto forse le era venuto… e allora?
Mi alzai dal letto, indecisa su cosa
fare, ma dovevo agire in qualche modo, sbloccare la situazione.
Soprattutto dovevo scoprire cosa fosse
accaduto tra Oscar e André in quelle poche ore precedenti, dopo che mi ero
allontanata dalla camera dell’attendente.
Indossai i panni maschili della mia
gemella e mi apprestai a uscire dalla camera.
Il cuore mi batteva forte, mentre
attraversavo il corridoio che separava le nostre stanze, sperando di non
incontrare nessuno lungo il breve percorso per raggiungere la mia vera stanza.
Percepivo solo silenzio, a parte i passi
di qualcuno che si muoveva in una delle camere al piano di sotto; forse
qualcuno della servitù che toglieva la cenere vecchia e approntava nuova legna
da ardere in un camino.
Quando fui davanti alla porta della mia
camera esitai, incerta se entrare senza bussare o meno. Dall’interno non
proveniva alcun suono, quasi l’ambiente fosse deserto. Non poteva essere.
E poteva essere tutto.
Oscar stava ancora dormendo?
L’avrei trovata sola con addosso ancora
il mio vestito da ballo?
André era lì con lei?
Mi stavano aspettando al varco per
umiliarmi e far cadere definitivamente ogni maschera?
Tirai un sospiro e mi decisi.
Posai la mano sulla maniglia che si
abbassò senza opporre resistenza e la porta si aprì: scorsi l’anticamera
deserta rischiarata da un raggio di luce che batteva sugli intarsi di marmo del
pavimento, l’arredamento famigliare dai delicati colori pastello, un divano e
le poltroncine, in un angolo un vaso di porcellana dipinta e dentro un mazzo di
fiori appassiti che Ninette non aveva ancora provveduto a buttar via. Entrai in
punta di piedi e richiusi la porta alle mie spalle.
Mi avvicinai all’uscio della camera da
letto, neppure da lì proveniva alcun rumore. Il cuore prese a martellarmi più
forte per l’aspettativa.
Forzai la maniglia e aprii.
Mi sporsi all’interno con la testa e
diedi uno sguardo veloce all’ambiente, alla ricerca di qualche indizio, il
segno di una qualche presenza. E allora lo vidi.
Il vestito color ametista.
Quello che Oscar aveva indossato al
ballo.
Una nuvola rigonfia di seta preziosa
abbandonata scomposta su una sedia. Chi l’aveva aiutata a toglierlo? Ninette
forse?
Feci un passo e fui dentro la stanza.
Scorsi le cortine impalpabili del mio
letto e le sagome di due figure sotto la coltre delle coperte. Mi avvicinai al baldacchino
del letto affascinata e scostai con la mano un lembo di leggera seta bianca.
Una chioma di fluenti capelli biondi era sparsa sul cuscino e di fianco a lei
una testa bruna; il lenzuolo era abbassato quanto bastava a mostrare una
vigorosa schiena maschile nuda, mentre un braccio cingeva le spalle della donna
addormentata. Vedere André, bellissimo, conturbante e addormentato nel mio
letto mi turbò oltre misura; avrei dato non so cosa per essere al posto di
Oscar, che pareva totalmente rilassata, protetta dalla fermezza di quelle
braccia robuste e sicure che la cingevano.
Come se nella vita non avessero mai
fatto altro.
E mi chiesi costernata dal mio stesso
pensiero, se non fosse già accaduto altrove, magari presso la casa di nostro
padre.
Restai incredula a fissare la scena, non
del tutto convinta della visione che i miei occhi mi restituivano: l’apparenza
suggeriva l’immagine suggestiva di due teneri amanti addormentati tra le
lenzuola sfatte.
Li fissai per alcuni secondi nel
tentativo di convincere la mia mente di ciò che sembrava incredibile.
Oscar e André stavano dormendo
abbracciati nel mio letto.
Cosa era successo?
E io adesso, cosa avrei dovuto fare?
§§§§
Non erano ancora le cinque del mattino
quando il cocchio elegante su cui viaggiava Oscar si arrestò nel cortile
antistante l’androne di Villa Recamier. Scese dalla vettura avvolta dalla
preziosa stola profilata di zibetto e salì le scale che portavano all’ingresso.
La porta si aprì prima che lei potesse
bussare e un valletto che reggeva un candeliere in mano l’accolse. Non rallentò
il passo in alcun modo mentre impartì disposizioni precise all’uomo in livrea.
“Mi ritiro nelle mie stanze e non voglio
essere disturbata da nessuno per alcun motivo.”
Non tentò neppure di addolcire il solito
tono di comando.
Il valletto fece un inchino, mentre lei
si allontanava verso le scale che portavano al piano nobile dell’edificio.
Chissà se Danielle la stava già
aspettando, si chiese. Forse avrebbe trovato Ninette; si sarebbe fatta aiutare
con l’abito, ma l’avrebbe allontanata subito.
Non sospettava che la fida Ninette era
già stata congedata da qualcun altro.
§§§§§
Attraversando i corridoi bui, guardingo
era entrato nella stanza e aveva acceso un paio di candele in un angolo.
Da almeno un’ ora buona era seduto
comodamente su una sedia del salottino, e attendeva il ritorno imminente della sua
contessa dal ballo.
L’oscurità stava scivolando via da ogni
cosa, e il chiarore dell’alba era oramai prossimo; filtrava ancora debole dalle
grandi finestre che si aprivano sul parco della villa.
Si guardò attorno curioso, come a voler
studiare l’ambiente, quasi un terreno di gioco neutrale, estraneo a lui quanto
a lei, pensò; una camera decisamente femminile, una tappezzeria dai toni più
tenui con decorazioni campestri un po’ frivole, nulla a che vedere con quella
più sobria, un po’ severa di Oscar, a Palazzo Jarjayes.
Per un secondo, aveva pensato di
aspettarla direttamente nella stanza da letto, immaginandosi divertito la sua
espressione esterrefatta, ma sarebbe stato troppo; in fondo, anche se in panni
femminili, si trattava pur sempre di Oscar, la donna soldato.
Non voleva avere troppo vantaggio su di
lei. Ma in verità, di quale vantaggio poteva vantarsi? Anche per lui quello era
un terreno di battaglia sconosciuto, ma almeno lui era nei suoi panni.
Però era curioso: come si sarebbe
comportata in quella circostanza?
Si sarebbe tradita mostrando la sua
natura, o sarebbe stata al gioco?
E lui? Lui avrebbe saputo giocare
altrettanto sottilmente?
Ancora un poco e lo avrebbe scoperto.
Aveva allontanato con astuzia e garbo la
cameriera personale di Danielle, venuta per accogliere il ritorno della sua
padrona, recando con sé una preziosa vestaglia per dormire.
“André, ma che fai qui? Queste sono le
stanze personali della signora contessa. Devi andartene subito, sarà qui fra
poco, di ritorno da Versailles.”
“Lo so, Ninette, ma non preoccuparti.
Vedi, ho un appuntamento speciale e importante con la tua bella padrona.”
Le rispose in tutta tranquillità
rivolgendole un sorriso spontaneo.
“Cosa? Stai scherzando, vero?”
“Non scherzo affatto, Ninette. – Si era
alzato dalla poltrona e si era avvicinato alla giovane cameriera che lo
guardava stupita oltre che ammirata, e forse con un pizzico d’ironia. – Puoi andare
a riposare, non credo che madame avrà bisogno dei tuoi servigi; anzi, credo che
non vorrebbe trovarci entrambi qui nello stesso momento. Sono sicuro che hai
capito. Vai pure, mi occuperò io di lei.”
Non riuscì a evitare di sorridere con
malizia che la sveglia serva colse immediatamente.
“André, tu sei… un briccone
insospettabile! Tu vuoi sedurre la mia signora. Cosa ti sei messo in testa? Sei
veramente pazzo. Non ti facevo così… impudente!”
Alla cameriera scappava una risatina
soffocata. Non si sarebbe certo scandalizzata per così poco, conoscendo le
passioni disinvolte della sua padrona. André contava su questo oltre che sul
suo silenzio. Ma non voleva lasciarle credere qualcosa di squallido.
“Sedurre? Ma che vai a pensare! Cara
Ninette, io sono un servo e anche un gentiluomo; non posso spiegarti la natura
dei miei servigi, ma posso assicurarti che sono qui su richiesta esplicita del
colonnello Oscar e non ho cattive intenzioni. Quindi stai tranquilla, - le
disse accompagnandola dolcemente alla porta – non voglio certo mancare di
rispetto a madame Recamier e la tratterò con tutti i riguardi.”
“Madamigella Oscar? Non capisco… - disse
un po’ confusa. - Tu non me la racconti giusta, André.”
Sorrise di nuovo maliziosa. Le sarebbe
rimasto qualche sospetto, André lo sapeva, ma non avrebbe parlato con nessuno.
“Ninette mi raccomando: la tua
discrezione è fondamentale. Posso contarci? È una questione molto delicata che
non ti posso spiegare. Nessuno deve sapere che sono qui, soprattutto la signora
contessa.”
“Va bene André, ma solo se mi prometti
che mi spiegherai ogni cosa.”
“D’accordo, piccola furfante; hai vinto.
Contenta? Ma adesso vai!”
E la spinse fuori nel corridoio
richiudendo la porta.
Alle scuse avrebbe pensato dopo.
Si era accomodato di nuovo in poltrona
apprestandosi ad attendere il rientro della sua scaltra dama.
Quanto scaltra ancora non sapeva, ma era
ansioso di scoprirlo.
Che cosa le avrebbe fatto credere?
Di essere innamorato della sua gemella?
Solo di volere un’avventura con lei?
No, in verità sperava solo di
confonderla, turbarla coi gesti e le parole come era già accaduto nelle
scuderie, capire se Fersen era riuscito a fare altrettanto quella sera.
Era stata lei a chiederlo.
Ne riparleremo André, aveva detto.
E lui era lì, per riparlarne.
Perché lei sembrava avergli dato una
vaga speranza, e dopo, senza un perché, andava a quel maledetto ballo con quel
libertino di Fersen.
In amore e in guerra tutto è lecito, e
lui era stanco di essere solo uno spettatore di sentimenti altrui, senza mai
poter esprimere i suoi.
In un modo o nell’altro.
Con la verità o l’inganno.
Ninette era andata via da circa venti
minuti, quando avvertì un fruscio, dei passi leggeri e un po’ frettolosi
provenire dal corridoio.
Qualcuno si avvicinava.
Era lei.
Ne era sicuro.
Alzò il capo in direzione della porta.
Pochi secondi e questa si aprì.
La vide entrare avvolta nella seta; lui
non si mosse, restando seduto vicino alla tenda della finestra, nascosto nella
semioscurità.
Non emise un fiato limitandosi ad osservarla
mentre si muoveva lenta dentro la stanza e si liberava svelta del mantello che
le copriva le spalle.
Non lo aveva ancora visto.
Ma lui la vide in tutta la sua bellezza.
§§§§§
Lei non badò alle due candele accese e
semiconsumate poste sul piano di marmo alle due estremità del camino.
Giudicò normale che l’ambiente fosse
poco illuminato, vista l’ora che precedeva di poco l’alba grigia e spenta che
stava per sorgere; pensò che la sorella si fosse addormentata nell’altra stanza.
Trasalì soltanto quando sentì quella voce calda, apparentemente sconosciuta
alle sue spalle e un curioso brivido, uno strano formicolio delicato ed
eccitante percorse la sua pelle alla base delle nuca.
“Bentornata contessa.”
Si girò bruscamente, quasi spaventata in
direzione della voce e si accorse di avere il respiro accelerato e il cuore in
tumulto.
Allora, distinse i contorni di una
figura maschile seduta vicino alla finestra.
Mise a fuoco per quanto le consentì la
penombra, finché non lo riconobbe. E la sorpresa quasi la ammutolì.
“Vi siete divertita al ballo? È andata
come speravate?” continuava a chiedere André, mentre lo vedeva alzarsi dalla
poltrona e avvicinarsi a lei.
Era incredibile che non avesse
riconosciuto subito la voce; doveva essere ancora frastornata dalle luci e le
emozioni di Versailles.
All’improvviso realizzò che il suo
attendente non avrebbe dovuto trovarsi lì, e Danielle non c’era. Con evidenza
spaventosa e incomprensibile, qualcosa era andato storto. Cosa era accaduto in
quelle poche ore in cui lei era stata lontana?
“André, ma cosa diav… - Oscar dovette
mordersi le labbra per impedirsi espressioni eccessive. - Che sei venuto a fare
nelle mie stanze private? Non dovresti essere qui; a quest’ora, poi… è
sconveniente.”
Tentò di obbiettare, e lo vide
trattenere un sorriso.
“Siete stata voi, contessa, a invitarmi.
Non ricordate? Me lo avete fatto capire chiaramente in più di un’occasione; non
ditemi che ho frainteso.”
Un debole bisbiglio di sbigottimento le
salì alle labbra.
“Cosa?”
Non ebbe il tempo di perdersi nelle sue
domande, perché André si era parato di
fronte a lei; la fissò in maniera indecifrabile e intensa per pochi minuti, poi
la sua espressione mutò all’improvviso e divenne morbida, come la piega delle
labbra abbozzate in un sorriso affascinante: lo sguardo avvolgente la scrutava
con sfacciata ammirazione, accarezzando con gli occhi il viso, le guance, la
bocca pronunciata, fino a scendere sulla nudità del suo decolleté.
Oscar avvertì la carezza di quello
sguardo che la esplorava e per un attimo infinito smise di pensare con
lucidità, mentre lui le si era fatto pericolosamente vicino, tanto da sentire
il suo respiro dolce scivolarle sulla pelle tra il collo e l’orecchio, mentre
Andrè lentamente si spostava dietro di lei, lasciando che i loro corpi si
sfiorassero.
Oscar sussultò, appena avvertì le mani
di André che si posavano sulle sue spalle e pareva volessero giocare maliziose
col tessuto della manica dell’abito. Non capiva cosa stesse per accadere, né
riusciva a immaginare quali fossero le intenzioni di André.
Sentiva solo il suo cuore che piano
accelerava fino a diventare furioso, in preda a un’ emozione imprevedibile e
crescente.
Smise quasi di respirare quando sentì la
bocca dell’uomo sussurrare bassa e roca vicinissima al suo orecchio.
“Allora contessa, perché non volete
rispondermi? Vi è piaciuto ballare con Fersen? Solo poche ore fa mi avete detto
che avreste preferito ballare con me. Ho capito male, forse? Posso davvero
sperare di competere con l’affascinante conte svedese? Io non sono altro che un
umile servitore, non sono certamente come lui.”
“Spero proprio di no, André… e non
vorrei mai che tu fossi come il conte… - rispose lei con un moto d’orgoglio
improvviso. - Competere con lui? Perché dovresti, André? Perché mi chiedi di
Fersen? Cosa c’entra con noi?”
Si era mossa mentre lui le stava girando
attorno, sempre vicinissimo, e non smetteva di puntarle addosso il suo sguardo.
“Ho anch’io un orgoglio maschile da
difendere. Il mio cuore non è meno sincero di quello di un nobile, ed è
altrettanto colmo d’amore. Prima mi avete fatto credere di amarmi, e dopo
correte a corte con quel damerino innamorato della regina. Penso di meritare
una spiegazione. Sono stato un semplice trastullo? Siete innamorata di lui?”
Trovò curioso e insolito sentire Andrè
che dava del damerino a Fersen.
Le sembrò di cogliere una nota polemica
mista a paura nel tono di voce, un fatto che la spaventò.
Innamorata di lui.
Quelle frase pareva aver perso ormai
ogni significato.
Passò un attimo di silenzio che fu
interrotto da parole che André sperava di sentire da sempre.
“No, non lo sono, André. Di sicuro è una
delle poche cose vere di questa notte appena trascorsa… e conosco il tuo cuore,
la tua nobiltà d’animo.”
Nel dirlo si sentì rincuorata.
E lo fu anche André che sorrise mentre
scivolava dietro le sue spalle, senza che lei lo vedesse. Poi lo sentì
sfiorarle la nuca con la guancia e percepì il suo alito caldo sul collo.
“Ne siete sicura, mia bella contessa? Se
per voi è un gioco, per me non lo è affatto; non lo è più, ormai. Ho cercato di
resistervi finché ho potuto, perché so che questo sentimento è una follia, ma
ho deciso di lasciarvi vincere. Voglio cedere completamente a voi, perché mi
sento rapito. Solo voi potete placare la furia del mio petto.”
Un lungo brivido le bloccò lo stomaco e
il respiro; Oscar avvertì le dita dell’amico giocare con la spallina della
manica che scendeva denudando la spalla e la bocca di André vi posava un bacio
sulla pelle delicata.
Turbata e sconvolta dalle sensazioni che
avevano invaso il suo animo confuso, tentò di divincolarsi, girandosi con
impeto verso di lui, per placarlo, spiegargli, dirgli che non era possibile tra
loro, ma si ritrovò avvinta dal suo abbraccio, dolcemente imprigionata contro
il suo petto, con la bocca vicina a quella dell’uomo.
E Andrè non seppe resistere oltre alla
tentazione di baciarla sul serio.
Le sfiorò le labbra prima teneramente,
accarezzandole fino a schiuderle per insinuarsi in lei; fu sorpreso e felice di
sentire Oscar reagire sciogliendosi, mentre avvertiva che le mani non
opponevano più resistenza contro il suo torace, ma lentamente scivolavano a
circondagli le spalle e la schiena ricambiando il suo abbraccio appassionato.
E Oscar non ricordava come fosse stato
baciare il conte di Fersen, solo poche ore prima; sapeva solo che baciare il
suo attendente, stringerlo tra le braccia le piaceva oltre ogni fantasia.
Era eccitante e tenero insieme. Era
proibito eppure rassicurante e naturale; era come se la sua pelle fosse per
lei, il suo sapore, le sue mani, le sue spalle forti, il suo corpo virile
premuto contro il suo, la sua nuca che accarezzava dolcemente con una mano.
Tutto di lui era per lei, e altrettanto si sentiva sua.
Non c’era nessun ricordo che fosse
paragonabile a quel piacere intenso.
Il bacio divenne più profondo, sensuale
ed esigente, e scatenò il reciproco desiderio, noto per André, ma nuovo e
conturbante per Oscar; le bocche si inseguivano affamate della dolcezza
dell’altro, si cercavano con passione e le mani di Andrè correvano sulla
schiena di Oscar a cercare i lacci che trattenevano il bustino del vestito.
Sapeva che non avrebbe dovuto, ma le sue dita si infilavano libere tra le
asole, tentando di sciogliere i nodi di seta, cercando di arrivare alla pelle.
Quando Oscar si rese conto di quello che
stava per succedere, cosa Andrè pareva cercare, si divincolò timorosa e conscia
di non poter andare oltre.
Non così.
Si staccò da lui a malincuore, col
respiro corto, e fu consapevole che il suo corpo avrebbe voluto mantenere quel
contatto e approfondirlo.
“Oh, Andrè… per favore, fermati. Noi non
dobbiamo… Ci sono cose che tu non sai…” ansimò senza fiato.
Si allontanò da lui quasi fuggendo,
appoggiandosi con la schiena contro la porta della camera da letto; tentò di
ricomporsi, di calmare il battito del cuore che le esplodeva sotto il seno.
Sentiva ancora il fuoco bruciare le sue labbra, e ne voleva ancora.
E André la guardava come non l’aveva mai
guardata, e la feriva il pensiero che tutta quella brama ardente fosse per Danielle
e non per lei. E si chiese con rammarico se il trasporto di Andrè fosse vero
amore, e non altro.
Lui si avvicinò di nuovo fermandosi di
fronte a lei.
Le sfiorò un polso risalendo fino al
gomito; indugiò all’orlo del guanto che le fasciava il braccio. Lentamente
prese a sfilarglielo. Fece altrettanto con l’altro.
Con difficoltà lei tentò di parlare, di
arginare quel fuoco che le lambiva le viscere e le scaldava il sangue.
“Andrè, se a uno di noi è rimasto un po’
di buon senso…”, ma l’attendente non la lasciò finire: la bloccò contro la
porta, la prese di nuovo tra le braccia e la baciò con rinnovata passione,
quella che aveva nascosta per anni; la trattenne per la vita con un braccio e
con l’altro intanto apriva la porta, che richiuse dietro sé dopo averla spinta
dentro la stanza da letto, senza mai smettere di baciarla.
La ragione gridava a Oscar di resistere
e il suo corpo avrebbe voluto un’altra cosa. Perché non provare a essere
Danielle fino in fondo? Sarebbe stato facile, pensò per un solo istante. Ma le
emozioni erano troppe tutte insieme, si erano susseguite nell’arco di poche ore
e lei era incapace di gestirle tutte.
Doveva fermarlo, prima che fosse troppo
tardi. Prima che entrambi commettessero un errore cui non ci sarebbe stato
rimedio.
E non sapeva se ci sarebbe riuscita.
“Andrè, ascoltami, ti prego… - Lo
costrinse a guardarla negli occhi. - Mi hai chiesto se mi è piaciuto ballare
con Fersen: beh, la mia serata è stata abbastanza mediocre in tal senso. Devo
dire che alla fine, tutto mi è sembrato chiaro, non avevo più dubbi finché non
ho varcato la soglia di là, e ti ho trovato qui… e adesso, tu confessi qualcosa
che non avrei mai pensato di poter sentire. Sento la tua passione, André… il
tuo ardore è immenso e vero. Quale donna non si lascerebbe bruciare da un amore
così? Non sai come mi sento in questo momento; approfitteresti di una donna
confusa che non sa ancora cosa vuole… e cosa sente, o forse lo sa, ma ha paura
che tutto possa essere un’illusione.”
La donna che parlava era Oscar senza maschere.
Era lei, non stava fingendo di essere
qualcun altro, anche se probabilmente non se ne rendeva pienamente conto.
La barriera che André intendeva superare
era crollata di fronte al suo assalto.
Andrè lo comprese e accolse questa verità
preziosa come un tesoro, quel tesoro che lui aveva sperato di trovare da
sempre. Certo, la stava ingannando, ma non era sua intenzione approfittarsi di
lei, voleva solo che il suo cuore battesse per lui e che lei potesse
riconoscerlo. Voleva che lei capisse la differenza tra l’amore idealizzato
fatto di sogni romantici e quello vero che ha la forza di un seme che mette
radici robuste, profonde e invadenti.
“Ho capito cosa vuoi dire, ma ora tocca
a te ascoltarmi: non voglio approfittarmi di te. Non potrei mai farlo. Voglio
solo un momento da portare con me, quando andrò via. Un ricordo segreto che sia
solo nostro… che ci legherà per davvero, e renderà un po’ più sopportabile la
lontananza da te.”
“Perché, dove pensi di andare?” chiese
lei, quasi allarmata.
“Credo che Oscar vorrà partire presto e
tornare a Palazzo Jarjayes; mi ha detto che saremmo ripartiti subito dopo
questo ballo, forse già in giornata, al più tardi domani mattina. E non so
quando noi potremo rivederci…”
Mentre parlava, ormai dandole del tu,
Andrè era tornato dietro di lei e lentamente aveva iniziato a slacciarle i
lacci che trattenevano il vestito che ormai si stava allentando.
“Voglio portare con me il profumo della
tua pelle… accarezzare i tuoi capelli, sentirli scivolare morbidi tra le mie
dita… - e prese a scioglierle i riccioli trattenuti dalle forcine. - Voglio
stendermi accanto a te, nel tuo letto, aderire al tuo corpo senza muovermi…
sentire il tuo calore…”
Oscar avvertiva le sue carezze sulla
schiena e sulle spalle, la bocca di Andrè indugiava ancora sulla sua pelle; il
corpino dell’abito era ormai allentato e le stava scivolando sul davanti e lei
tentava debolmente di coprirsi, combattuta tra la ritrosia e il desiderio di
lasciarlo fare.
“Oh André,
tu non capisci! Non avevo previsto niente di tutto
questo e non si tratta solo di noi… Oh, Dio che gioco perverso e pericoloso!”
E furono ancora le sue parole sussurrate
tra un bacio e l’altro a scioglierla, mentre la seta dell’abito scivolava
sempre più in basso.
“Ma sei stata tu, mia bella contessa a
iniziarlo… So che non sei una donna che indietreggia di fronte a una sfida. Non
aver paura, non farò nulla che tu non voglia. Lasciati solo spogliare… voglio
solo liberarti da questo corsetto che ti stringe il corpo, prenderti tra le braccia
e adagiarti sul letto. Ti giuro che non farò nient’altro.”
La voce di André si era arrochita.
In fondo, era già accaduto tra loro,
pensò Oscar.
Erano ancora ragazzi e più di una volta
avevano dormito insieme.
Nel letto di Oscar o nelle scuderie a
palazzo. Erano vestiti.
Ma non così; questa era una cosa
diversa.
Ed era decisamente più eccitante.
Ed era più pericoloso.
E la seta scivolò via dalle curve del
suo corpo, accompagnata dalle mani sapienti di André. E Oscar si ritrovò con
solo addosso la delicata biancheria intima femminile, una camiciola scollata di
cotone profilata di merletto e le coulotte arricciate fino al ginocchio, mentre
metri e metri di gonne vaporose erano finite sul pavimento ai suoi piedi.
Allora, André la sollevò da terra senza
sforzo, portando una mano sotto le sue ginocchia e l’ altra dietro la sua
schiena.
Oscar si aggrappò al suo collo e lasciò
che le loro fronti si sfiorassero.
Lui la portò verso il letto, superò il
sipario impalpabile delle tendine appese al baldacchino e la depose con
gentilezza sulle lenzuola, tra i cuscini.
Quindi si distese accanto a lei.
I loro sguardi umidi di commozione si
allacciarono per un lungo istante, prima che Andrè tornasse a cercare le sue
labbra che oramai erano diventate esigenti: Oscar rispondeva ai baci con
trasporto crescente che non tentava più di dominare.
Seguendo i suoi impulsi, gli sfilò la
camicia dai pantaloni per lasciar correre le mani sulla sua pelle. Una brama
impellente la prese: sfiorandogli una guancia, accostò le labbra all’orecchio
dell’uomo a sussurrare parole che le parevano proibite.
“Toglila André, per favore; voglio
guardarti.”
Era quasi un comando appena velato, una
debole inflessione che solo lui avrebbe potuto cogliere. Si sfilò l’indumento e
lo gettò ai piedi del letto e lei poté contemplarlo, e lo scoprì più bello e
sensuale di quanto potesse immaginare.
Capiva Danielle e il suo apparente
capriccio, che forse non era mai stato tale. Lasciò vagare una mano sul suo
torace a seguire le linee dei muscoli forti, il guizzo delle vene sul collo, il
profilo ampio delle spalle. Andrè in silenzio, la osservava con intensità
disarmante.
Alla fine lei sospirò.
“Oh… È facile desiderarti, André. E tu
sai come scatenare tutto questo in me… Davvero non vuoi approfittare della
situazione? Potrei lasciartelo fare, se tu volessi continuare…”
Le ultime parole uscirono in un soffio
timido, quasi impacciate.
Non sapeva esattamente come avesse
potuto dirle. Era la semplice verità, che non riusciva più a camuffare.
Solo guardandolo negli occhi, seppe già
la risposta. Lo vide sorridere, forse leggermente turbato. Ma fu questione di
un secondo e ritrovò la consueta fermezza nel suo sguardo verde e profondo.
“No, non voglio, mia bella contessa,
anche se ti desidero più di tutto. Che opinione avresti di me, dopo?”
Lei provò ancora, e non sapeva se stava
mettendo alla prova lui o se stessa.
“La mia opinione non muterebbe, André.
Non lo saprà nessuno, neppure… - esitò incerta, con una nota di tristezza nella
voce - neppure Oscar…”
Per la prima volta la guardò in maniera
strana e lei non seppe decifrare il suo sguardo. Sembrava esserci dell’amarezza
nei suoi occhi e fu qualcosa che la sorprese; era come se avesse toccato un
tasto dolente, un nervo scoperto che faceva male, quasi in lui fosse emerso un
vago senso di rimorso incomprensibile.
“No… Riposa sul mio cuore, adesso.
Lascia solo che ti stringa tra le braccia, così…” e l’avvolse nel suo abbraccio
con tenerezza, trattenendo il suo viso contro il suo petto, baciandola un ultima
volta sulla bocca e sulla fronte.
Le emozioni erano state travolgenti come
ondate impetuose che si abbattono con fragore sulla spiaggia e una nave
sballottata da una tempesta ha bisogno di acque placide.
Così, i loro sensi troppo accesi da
turbamento e desiderio avevano bisogno di rilassarsi e distendersi.
Lentamente il sonno più profondo li
prese con sé, mentre l’ultima delle ombre della notte cedeva il passo all’alba
che sorgeva.
§§§§§
Immobile e basita di fronte al mio
letto, mi stavo ancora interrogando su quello che i miei occhi vedevano, senza
comprendere appieno.
Ero ancora indecisa su cosa fare, quando
avvertii distintamente nel silenzio, un vago rumore provenire dalla stanza
accanto; qualcuno pareva bussare alla porta.
Il mio cuore mancò un battito, ma cercai
di non farmi prendere dall’ansia. Dovevo mantenermi padrona della situazione in
ogni caso, e non era la prima volta che mi trovavo in situazioni critiche.
Sapevo che dovevo evitare il peggio, e il peggio sarebbe stato che qualcuno mi
sorprendesse a letto con l’attendente di mia sorella.
Bruscamente ritornai nel mio salottino
privato, chiudendo a chiave la camera da letto dove Oscar e André dormivano.
Percepii altri colpi, più netti e
definiti, mentre dietro la porta qualcuno
si accaniva con insistenza sulla maniglia che non voleva cedere, poi
udii una voce maschile inconfondibile.
“Danielle, mia cara, siete già sveglia?
Aprite, vi prego. Avrei necessità di parlarvi urgentemente.”
Sgranai gli occhi con autentico orrore
quando riconobbi la voce di mio marito Leopold di Recamier che premeva per
entrare nelle mie stanze.
Continua…