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Autore: Dira_    23/07/2012    20 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LIX






 
And – which is more – you’ll be a man, my son!
(If, Rudyard Kipling)
 
 
“Resta dietro di me.”
Non che Lily avesse intenzione di far altro; aveva ormai capito abbastanza di quella situazione per sapere che meno prendeva iniziative, meglio era.

Magari per sempre.
Sören le aveva lasciato la sua bacchetta e lei non aveva protestato; si sarebbe sentita ancora peggio senza, anche se era consapevole del fatto che probabilmente non avrebbe saputo neanche asciugarcisi i capelli. Era così diversa dalla sua, e aliena. Scura e dritta, senza un solo nodo, o asperità. L’impugnatura era quasi inesistente. Ma la cosa più straordinaria era il fatto che a Sören non servisse; non aveva infatti bacchette in pugno, ma piuttosto una sfera di luce gli brillava nella mano come un piccolo sole. 
Non gli aveva fatto domande in merito, e l’altro non le aveva dato spiegazioni.

Si voltò poi nella sua direzione; Lily non tentò neppure di leggerlo, di capire cosa provasse. Davvero, non le interessava.
“La via è libera.” Le comunicò.
“Va bene.” Sapeva di essere totalmente nelle mani dell’altro. Non aveva fiducia in lui, quella no, ma non era preoccupata. Sapeva, aveva la certezza, che Sören l’avrebbe guidata fuori di lì, anche a costo della sua stessa vita.

Era questo a rendere tutto più incasinato.
“… Il tuo vero nome. Come ti chiami davvero?” Si sentì formulare la domanda mentre una parte di sé le intimava di far silenzio.
Non deve interessarti. Finita questa storia devi cancellarlo. Al diavolo quello che hai sognato, o le allucinazioni che hai avuto. Al diavolo!
Lo vide irrigidirsi, poi voltò il viso di tre quarti. “Sören. Mi chiamo Sören.” Mormorò. “Io… non ti ho sempre mentito.”
“Ma davvero!” Il tono le uscì più sferzante del previsto, ma non se ne scusò. Aveva tutte le ragioni del mondo del resto. “Su cosa mi avresti detto la verità?”

“Sul mio nome, sul fatto che sono un Prince… e su quello che provo per te.” Anche a qualche passo di distanza lo sentì deglutire. “Non ho mai provato niente del genere prima, per qualcuno. Quindi credo mi sarebbe anche difficile mentire.”
Lily ignorò l’ultima parte del discorso. Doveva, doveva assolutamente. Non avrebbe mai creduto che si potesse andare in overdose di sentimenti. “Tua madre era una Prince? Perché il ritratto di Piton era convinto del contrario, ed io credo più al suo ritratto che a … te.” Smise di parlare, perché la schiena rigida dell’altro faceva troppo male a guardarsi.

È perché ti ho voluto bene…
C’era un modo corretto – e possibilmente poco doloroso – per affrontare tutto quello?
“Ti ho mentito solo da chi ho preso il cognome.” Riprese Sören. “Mio padre si chiamava Elias Prince, ed ha sposato una Von Hohenheim, la sorella del padre di Thomas.”
“Quindi siete… cugini?”
“Sì.”
Avrebbe creduto più in una parentela con Il Principe che con Tom; non si somigliavano affatto, anzi, fisicamente sembravano giorno e notte.
A parte l’aria seria.
Presero delle scale. Erano le stesse che aveva fatto all’andava, di legno scuro. Non le piacevano, ma si rifiutò di avvicinarsi alla presenza, suo malgrado rassicurante, del traditore.
“Non mi credi?” Lily si riscosse. Era una sua impressione, poi, o cominciava a fare caldo? Sicuramente, dato che il viso dell’altro era bagnato di sudore. Quest’ultimo si frugò nella tasca dell’uniforme e poi tirò fuori un anello, porgendoglielo. Non era quello che aveva indossato durante l’anno scolastico. Era diverso, di metallo completamente ossidato. Lo prese e se lo rigirò tra le dita, inevitabilmente curiosa. Raffigurava due mani stilizzate che stringevano una corona. “È lo stemma dei Prince.” Le spiegò. “Non ti sarà difficile controllare in un libro di araldica magica, una volta tornata a casa.”
Se tornerò a casa.”
“Tornerai a casa. Sul mio onore.” Replicò con perfetta, insopportabile sicurezza.
Perché così ci credo anch’io.
Glielo tese indietro. “Non mi interessa.” Disse brusca. Non poteva guardarlo negli occhi e sarebbe stato meglio non parlargli. Eppure non poteva, non quell’ultima cosa.
Non se vuoi sapere perché.
Doveva essere la botta in testa a farle quell’effetto, perché quell’ultima frase aveva avuto l’intonazione e il tono di voce di sua nonna Lily.
Sören se lo riprese. Sfiorarsi le mani non avrebbe dovuto farla sentire come se qualcuno le avesse violentemente preso a calci lo stomaco. Invece fu precisamente così.
Che diavolo. Quanto sono stupida? Quanto…
“Lily…”
Distolse lo sguardo e gli cacciò in mano quel maledetto anello. “Smettila!” Le veniva da piangere e non era giusto; la gente quando batteva la testa perdeva semplicemente i sensi, non sognava sua nonna morta da quarant’anni che le intimava di perdonare qualcuno di imperdonabile.

Facendolo sembrare perfettamente sensato poi!
Sören non disse niente, ed era sicura che avrebbero ripreso quella lunga marcia agonica, quando si fermò di botto.  
Non ebbe il tempo di chiedergli che gli fosse preso, perché un bagliore improvviso comparve di fronte ai loro occhi. Veniva dall’alto, ma era sempre più luminoso, sempre più caldo. Cominciò a tossire quando il fumo si riversò su di loro come un banco di nebbia degno del Devonshire. La sua reazione fu di rimanere instupidita come un’autentica idiota da manuale. Sören no. La prese per un braccio e senza troppi complimenti le premette il suo fazzoletto sul viso. “Non respirare!” Le intimò prima di essere scosso da un colpo di tosse. Lily avrebbe voluto dirgli che il consiglio valeva anche per lui, ma fu brutalmente spinta in un angolo, una rientranza che era stata scolpita per permettere una curva migliore agli scalini. Questo prima che un enorme, spaventoso, fottuto muro di fuoco si abbattesse su di loro.
Gli incendi esplodono?
Le venivano in mente le frasi più idiote nei momenti più sbagliati, era sempre stato un suo difetto. Si coprì il viso, rannicchiandosi istintivamente, ma non sentì bruciare, non sentì dolore né calore. Anzi.
Freddo?
Quando si arrischiò ad aprire gli occhi capì perché tutti i babbani che conosceva facevano facce instupidite quando produceva anche le magie più banali. Perché la magia era eccezionale e lo era ancora di più quando abitava il corpo di un mago oltre la media. Si sentì una babbana a confronto.
Il motivo per cui non erano bruciati vivi dalla propagazione violenta del fuoco era semplice; Sören aveva eretto un muro di ghiaccio tra loro e le fiamme, talmente spesso che non era possibile vedervi attraverso. Gli ultimi fili di ghiaccio gli scorrevano tra le dita della mano.
Lily si strinse la bacchetta al petto, perché lei per essere strega aveva bisogno di un legno; ora si spiegava però perché l’altro non aveva avuto problemi a consegnargliela… non gli serviva!

Dannazione!
“… Straordinario.” Le uscì dalle labbra, e non era ciò che doveva dire viste le contingenze e un inspiegabile incendio in corso a pochi metri. Silenzio, era doveroso il silenzio, ma …
Dannazione, un muro, un intero muro di ghiaccio a mani nude!
Sören si voltò battendo le palpebre, stupito dalla sua reazione. Gli vide apparire sulle labbra un sorriso, ma poi perse colore di colpo e si accasciò a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.

E quello non era un buon segno.
“Ren!”
 
****
 
La Passaporta contenuta nello Specchio delle Brame li aveva materializzati all’interno di uno sgangherata rimessa per le barche che evidentemente non veniva usata da decenni, a giudicare dal legno marcio e dalle imbarcazioni coperte da più strati di ghiaccio e sporco.
La vera sorpresa era stata però vedere cosa, o meglio chi, contenessero le barche attraccate; due maghi e una strega male in arnese, legati e spogliati dei loro vestiti. Ron era stato il primo a suggerire – nascondendo una smorfia divertita – che Ted e i ragazzi fossero passati di lì. Harry aveva sposato a pieno l’ipotesi.
Hanno rubato i vestiti ai Mercemaghi per infiltrarsi. Trucco vecchio, ma sempre valido.
 “Ho mai detto quanto odio i viaggi con Passaporta?” Disse poi Ron. “Certo, sempre meglio che viaggiare con quei trabiccoli infernali degli arei babbani…”
“Aerei.” Lo corresse Harry distratto, mentre Nora abbozzava un sorrisetto. Sembrava che gli americani di errori simili fosse raro ne facessero. “Dov’è il castello?”

Nora indicò il promontorio che si ergeva coperto di pini e neve di fronte a loro. “Alza la testa.”
Il castello dei Von Hohenheim, per quanto dovesse essere una residenza secondaria, era enorme. Più piccolo di Hogwarts, aveva comunque un’architettura che lo rendeva altrettanto imponente. La pietra chiara e le guglie scure lo avrebbero reso un esempio piuttosto magnificente di stile germanico, ma in sé vi era qualcosa di lugubre, nonostante tutto il candore che imperversava, trai colori delle fondamenta e la neve.

Sembra una bara … una bara bianca, come quella di Silente.
Il paragone sorprese lui stesso. Inspirò, poi fece un cenno agli altri due. “Sbrighiamoci.”
Ron e Nora annuirono e misero mano alla bacchetta; non sapendo se vi fossero barriere magiche dovevano inevitabilmente risalire a piedi. Rischiare di Spaccarsi era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

Specie perché siamo solo in tre. Maghi capaci, ma solo in tre.
Avrebbe voluto avere la sua vecchia squadra degli esordi a coprirgli le spalle; il gigante Flannery, la sveglia Stump e l’esperto Paulson. I tre ormai erano a capo di altrettante squadre Auror e in ogni caso, certamente, non poteva chieder loro di venir lì dall’Inghilterra.
Già con quanto ci abbiamo messo noi… E con i guai che  ci porterà a posteriori.
Ron stava parlottando con l’americana e la sua espressione sconcertata era piuttosto curiosa. “Cosa?” Chiese inserendosi nella conversazione.
“Nora mi sta dicendo che ha contattato la Polizia Magica Tedesca.” Disse Ron, con la tipica espressione incerta che assumeva quando non sapeva se arrabbiarsi o piegarsi alla ragionevolezza dell’evento.
“Dovevo farlo.” Replicò la strega con aria tranquilla. “Non possiamo arrestare nessuno. Io non ne ho l’autorità, in quanto agente di collegamento. Posso seguire le indagini, spostarmi all’interno del territorio magico europeo e posso ovviamente agire in mia difesa e in quella altrui, ma non posso effettuare arresti. E neppure voi, visto…”
“… visto che questa non è l’Inghilterra. Giusto.” Sospirò Harry; quando avevano interrogato il factotum dei Luzhin avevano in realtà fatto pesare un’autorità che non avevano.

Per fortuna non poteva saperlo…
Ma arrestare Von Hohenheim, per quanto fosse un desiderio fortissimo, non era possibile.
“Se avesse agito su suolo britannico sarebbe stato vostro. Avrei voluto che foste voi.” Ammise.
Harry si sentì un idiota a realizzarlo in quel momento. Aveva sempre pensato che sarebbe stato lui a sbattere il bastardo a Nurmengard.
Ma già il fatto che si tratti di Nurmengard e non di Azkaban avrebbe dovuto aprirmi gli occhi.
Se ci fosse stata Ginny, gli avrebbe ironicamente fatto notare come il suo complesso da Salvatore gli facesse sempre credere di essere l’uomo della situazione quando in realtà non lo era da più di vent’anni.
“Siamo stati degli idioti a non realizzare…” Replicò. “Ma tu lo sapevi da quando Von Hohenheim ha rapito mia figlia. Però non hai detto nulla.”
Non era propriamente un’accusa. Infatti la risposta di Nora non fu una giustificazione. “Spesso non si può scegliere con chi lavorare, Harry. Ormai ti sarai reso conto anche tu che entrambi condividiamo alcune visioni su cosa un funzionario di polizia dovrebbe fare. Incontrarvi per me, oltre ad un onore, è stata una fortuna.” Sorrise. “Come ti ho detto, non mi è mai interessato sapere dove finirà Von Hohenheim o chi lo arresterà. Quello che mi interessa è vederlo sparire nelle viscere di qualche prigione.” Sospirò poi. “Spero sia lo stesso per te, perché se vogliamo continuare a fare questo lavoro dovremo essere spettatori.”
“Alla fine.” Vide Ron ghignare alle sue spalle con la coda dell’occhio. “Solo alla fine però.”
Nora ricambiò il sorriso. “Mi trovi perfettamente d’accordo.”

Risalirono il crinale in silenzio. Dovevano mantenere fiato e concentrazione in vista di cosa gli aspettava finita la scalata.
Quello che trovarono li lasciò completamente basiti.
Trovarono i Mercemaghi che si erano aspettati e difatti estrassero le bacchette pronti allo scontro. Erano due dozzine e corsero loro incontro come un’orda.
Corsero loro incontro e poi li superarono. Parzialmente nascosti da un gruppo di arbusti che cingeva il fossato erano comunque visibili ad un occhio attento. Ma quegli uomini non stavano attaccando loro, fuggendo da qualcosa.
“Che miseriaccia sta succedendo…?” Mormorò Ron sbalordito.
“Non lo sapremo finché non ne fermeremo uno. E stanno scappando.” Harry uscì dal goffo nascondiglio colpendo – se ne vergognò un po’ – alle spalle uno dei Mercemaghi con un incantesimo di Pastoia.
A mali estremi…
Quello cadde come folgorato e rotolò per qualche metro nella neve. I compagni non si fermarono, né diedero segno di aver notato l’attacco o il lampo di luce da esso scaturito. Sembravano totalmente concentrati nello scappare il più velocemente possibile. Alcuni di loro, notò Harry, nella rovinosa ritirata tossivano violentemente.
Ma cosa…
Con Nora e Ron si avvicinò al prigioniero di fortuna, immobilizzato in un’espressione di sorpresa. Si assicurò di averlo legato con un Impedimenta prima di terminare l’altro incantesimo. Rianimato, quello si mosse tra il sorpreso e il furioso, prima di guardarli in faccia e vomitare qualcosa in un idioma che Harry non aveva mai sentito.
“Che cavolo blatera?” Esclamò Ron. “Ehi, parla normale. Parla inglese!”
“Ronald, non siamo in Inghilterra, la nostra non è la lingua madre qui.” Lo riprese blandamente la creola, ma con un piglio decisamente alla Hermione, tanto che questo borbottò istintivamente.

“Incantesimo di traduzione?” Suggerì Harry con una punta di comprensione; né lui né l’amico erano abituato a scontrarsi con barriere linguistiche avendo sempre vissuto e lavorato in una nazione forte della propria lingua. Mai come in quel periodo avevano fatto tanta fatica a farsi capire.
“Credo sia bulgaro, ma non conosco una formula per la traduzione in inglese. Provo con il tedesco.” Si scusò Nora, prima di rivolgerglisi nella suddetta lingua. Fortuna volle che il Mercemago quello un po’ lo parlasse. Si scambiarono qualche breve battuta, ed Harry vide con sorpresa la donna impallidire.
Non un buon segno. Non un buon segno affatto.
“Che sta dicendo?” La incalzò Ron che doveva aver notato la stessa cosa. “Che succede Nora?”
La donna guardò verso il castello, poi verso di loro. “Dice che è scoppiato un incendio.”  
“Un incendio?” Ron guardò verso il castello. Immobile, silente, come un quadro babbano. “Ma che stai dicendo? Non c’è fumo, non ci sono fiamme! Dovrebbe esserci almeno il fumo che esce dalle finestre…”
“Gliel’ho detto. Dice che c’è una barriera attorno alle mura che impedisce alla gente di uscire ma, pare, anche alle cose. Fuoco compreso.”

Harry sapeva che l’ultima cosa che doveva fare era perdere la testa; anni, decenni prima, nelle grigie elementari che aveva frequentato, aveva imparato una poesia che non aveva dimenticato neppure durante i suoi anni magici. Per quanto la situazione fosse inadatta, la pensò.
Se riesci a conservare il controllo quando tutti attorno a te lo perdono¹…
In fondo era quello il suo maggior pregio, che sapeva di aver passato di peso a James, il suo maggiore. Vide le espressioni pallide, spaventate di Ron, ma anche della roccia Nora, perché il fuoco era un mostro che spaventava l’umanità dall’alba dei tempi, che fosse magica e babbana. Perché neanche la magia più potente, di fronte al fuoco, poteva aver sicurezza di riuscita e non di morte del mago.
E capì che come al solito, era l’unico che riusciva a pensare ancora. Non grandi pensieri, non era Hermione e non lo sarebbe mai stato.
Ma pensieri efficaci.
“Se sono usciti, c’è anche un’entrata.” Disse dopo un lungo silenzio. “Chiedigli da dove sono scappati. È da lì che entreremo.”
 
****
 
Era come se il suo intero corpo fosse stato paralizzato da un veleno a diffusione rapida.
Sören avrebbe dovuto sapere che utilizzare quel braccio avrebbe avuto delle conseguenze; certo, lo sapeva, ma l’aveva ignorato per l’urgenza di portare Lilian fuori di lì. Di metterla in salvo ed assolvere al suo compito.
Il mio ultimo, forse…
Si sentiva le punte delle dita intorpidite, e quella sensazione stava propagandosi e pulsando in ogni sua fibra. Era ancora cosciente e per questo sapeva di essere paralizzato.
Se dormissi…
La barriera sarebbe durata a sufficienza per farla scappare, rifletté. Doveva solo indicarle il modo per uscire di lì.
Sören!” Sentì la voce dell’altra trascinarlo bruscamente nella realtà. Sentì come se gli avesse preso a calci la mente, e forse Lily l’aveva fatto sul serio, essendo LeNa.
Notò che gli si era inginocchiata a fianco, e lo scrollava per la casacca dell’uniforme. “Sören!” Ripeté. “Cos’hai? Rispondimi!”
Era troppo difficile, lungo e doloroso da spiegare, e non c’era tempo in ogni caso. “La barriera…” Volse lo sguardo verso il muro di ghiaccio. Cinque, forse sei minuti. Forse anche meno. Non era mai stato molto bravo in quelle stime. Erano suo zio e Johannes che si preoccupavano di prendere le misure della sua magia. “… la barriera non durerà a lungo. Poi arriverà il fuoco.” Chissà da cosa era stata scatenato poi. “Stammi a sentire…” Parlare in inglese era difficile quando tutto era sfuocato. “Se torni indietro e finisci il corridoio c’è l’accesso … l’accesso per il passaggio della servitù.” 

La vide aggrottare le sopracciglia come se non capisse. Eppure era certo di essersi espresso in un inglese corretto. “Che significa?” Gli fu chiesto.
“Il passaggio della servitù non dovrebbe essere stato raggiunto dall’incendio, è dall’altra parte del corridoio, da dove siamo venuti … Porta ad un’altra ala del castello, e poi ad un’uscita secondaria. Da lì potrai scappare.”
“Perché parli al singolare?” Sembrava furiosa, e davvero, non ne capiva il perché. Gli aveva anche afferrato la casacca come se volesse scrollarlo. Sentiva le sue unghie premere contro la pelle. Non capiva. Le stava offrendo ciò che voleva, ciò che le aveva promesso. Forse aveva paura di non farcela da sola. Ma poteva. Era Lily.

“So di non stare onorando la mia promessa… ma non riesco…” Sospirò. “Non riesco più a muovermi, mi dispiace.”
“E quando quella roba di ghiaccio si scioglierà, ed io sarò via e tu non potrai muoverti?” La domanda era strana, perché c’era una sola risposta. Sören non la disse perché non ce n’era bisogno. Si limitò a rimanere in silenzio. Lily era una ragazza intelligente, avrebbe ca…
Lo schiaffo che gli arrivò gli fece bruciare la guancia come l’inferno stesso.
Brutto idiota!” Sören ci mise qualche attimo prima di realizzare che l’altra si stava faticosamente puntellando per tirarli entrambi in piedi. “Non azzardarti!”
“A fare… a fare cosa?” La guancia bruciava e il mondo era di nuovo a fuoco. Il dolore poteva essere anche buono, quindi.

“A suicidarti!” Sbuffò sonoramente prima di tirarlo su. Sören tentò di aiutarla come poté. Le gambe perlomeno aveva conservato un po’ di forza per non crollarle completamente addosso. “Se solo ti azzardi ad immolarti come il grande eroe tragico che credi di essere giuro che ti vengo a riprendere dall’Altra Parte solo per ammazzarti di nuovo!”
Non erano vere minacce di morte. Le conosceva bene e sapeva che non avevano quel tono e soprattutto non erano accompagnate da quella faccia. Lily aveva l’espressione concentrata, con le labbra ridotte ad una linea sottile e serrata. Aveva gli occhi lucidi.

Non voleva che piangesse, non ancora.
“Non voglio immolarmi.” Cercò di farle capire, anche se non aveva la minima idea di cosa volesse dire. Forse c’entrava con il sacrificarsi, ma non ne era sicuro. Comunque, non capiva il nesso. Lasciarlo lì ed andare avanti era la cosa più razionale da fare.
Come se Lily fosse una creatura razionale. È tutta sentimenti, la conosci bene.  
Data la situazione, lo schiaffo e la rabbia dell’altra era quantomeno bizzarro che si sentisse contento. Eppure era quello il sentimento che lo placcò improvviso come un centauro bizzoso. “Ti rallenterò, sono pesante e non auto-sufficiente.” Andava detto. Andava spiegato. Lily forse non sapeva cosa stava rischiando portandoselo dietro. “Non sono più in grado di proteggerti, piuttosto il contrario. Devi lasciarmi qui.”
“Morgana, non tentarmi…” Ringhiò,  e fu proprio un ringhio. Inquietante in bocca ad una ragazza che sembrava capace di dire solo cose graziose. “Ascoltami bene. Devi scontare i casini che hai combinato e …  non tutto quello che hai fatto è stata colpa tua.” Esitò, poi fece una smorfia. “Molto, ma non tutto.”  
“Io…”
“Sta’ zitto!” Lo interruppe con veemenza, cominciando a camminare. Anche volendo non avrebbe potuto sciogliersi dalla stretta. Gli stringeva il polso con forza, passandosi l’altro braccio sulle spalle, quello innocuo; esili, eppure abbastanza tenaci da reggere il suo peso. “Ci manca solo che tu muoia.” Borbottò. “Questo sarebbe rovinarmi la vita.”

“Non voglio…”
“Perché lo faresti.” Continuò, ignorando il suo tentativo di inserirsi in quello che sembrava un monologo. “Quindi vedi di uscire tutto intero da questo casino mostruoso.” Gli piantò gli occhi in faccia e la contentezza fu spazzata via dalla strana sensazione di disagio e aspettativa che aveva provato molte volte in sua presenza. Non era mai riuscita ad identificarla. “Se vuoi farti perdonare, devi vivere.”

Sören percepì le sue dita stringere la presa sulla spalla di Lily. Sembrava fragile, quella di una ragazzina, eppure aveva una forza straordinaria. Perché Lily era straordinaria. “Te lo prometto.” Mormorò. E lo intendeva con tutto il cuore. Che sì, checché ne dicessero suo zio e Johannes, ne aveva uno. Faceva male e poi smetteva, e poi faceva di nuovo male e così via.
Era averne uno, no?
Lily si morse le labbra. “Bene, fantastico.” Disse stringendo la presa contro la sua vita. Era lì che teneva la bacchetta. “Direzione, Ren. Dove dobbiamo andare?”
Sören non le fece notare che aveva ripreso ad utilizzare quel nomignolo, che era ormai diventato a lui così caro. Ingoiò il sorriso perché in certe cose bisognava stare molto attenti, l’aveva imparato.

“Da quella parte.”
 
****
 
“Teddy, che diavolo facciamo?”
“Professor Lupin!”
Ted si sentiva diviso in due come se qualcuno lo avesse tagliato in due parti esatte. Sapeva che doveva essere quello a prender le decisioni, che Dominique e Scorpius erano solo due ragazzi, e non doveva stare a loro il compito di abbandonare, coscientemente, Al e Thomas per cercare Lily.

Era proprio quello il punto; come prendere la decisione giusta, se una decisione giusta non c’era?
Guardò i due; Scorpius era pallido e tirato, e si voltava continuamente indietro. Guardava indietro e guardava lui. Era chiaro che fosse nella sua esatta situazione. Dominique invece aveva perso ogni espressione giocosa per sostituirla con una del tutto priva di emozioni, ovvero  la sua versione di preoccupazione.

“Dividiamoci.” Propose la ragazza con voce decisa. “Posso andare a cercare io i due secchioni mentre voi andate a prendere la rossa, nessun problema.”
Ted doveva prendere una decisione, in quanto professore, in quanto adulto, in quanto l’unico che poteva sopportarne le conseguenze. Non avrebbe addossato un peso simile a due ragazzini.

“No, nessuna divisione.” Replicò con tono forse eccessivamente duro, ma necessario per farsi dar retta dalla bionda testa platinata che aveva imparato a conoscere negli anni provenzali come una sorella minore. “Andremo tutti assieme. Da Lily.”
“Ma Dursley e Mini-Potter…” Tentò Scorpius incerto.

“Non ci hanno separato, sono loro ad aver scelto di prendere un’altra strada.” Anche se parlò al plurale era sicuro che la decisione fosse stato presa da uno solo dei due; Thomas.
E da quando sono capaci di reggersi in piedi che Tom si mette nei guai e Al lo segue per correggere i suoi maledetti errori.
Era frustrante, ma inevitabile come il fatto che il sole sorgesse ogni giorno. Aveva rinunciato a capire il rapporto che intercorreva tra quei due, anche se istintivamente ne riconosceva la forza. Niente avrebbe potuto separare Al da Tom. Quando aveva notato l’assenza dei due, non lo aveva neanche sfiorato il pensiero che non fossero assieme.
E questo la dice lunga…
Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Intendi dire che se ne sono andati spontaneamente?” L’espressione che scaturì da quelle parole parlava da sola.
Sì, anche i Serpeverde possono essere dei cretini patentati, Scorpius.
“Andiamo biondo, da quando in qua Tommy si imbarca in salvataggi all’altrui persona?” Motteggiò Dominique scrollando le spalle. “Era chiaro che non gliene fregasse un tubo di salvare Lils. È qui per qualche altro motivo tutto suo che a me non interessa.” Si strinse nelle spalle. “Il capo ha parlato. Andiamo a salvare la rossa.” 
Scorpius fece una smorfia. “Mi sento tanto tassorosso delle cause perse … senza offesa per i presenti.” Gli lanciò un’occhiata di scuse neppure troppo convinta. “Ma se noi ci occupiamo della Piccola Potter… Chi si occuperà di quei due piantagrane?”
“Non ho detto che non torneremo a prenderli.” Replicò Ted con un sospiro. “Ho detto solo che dobbiamo avere delle priorità. Restare qui fermi non aiuterà né loro né Lily.”
“Ben detto, Teddy!” Esclamò Dominique. “Muoviamo le chiappe? Che tra parentesi questa puzza di fumo proprio non mi piace.”
“Fumo?” Ted si diede dell’idiota per non aver notato prima la stimolazione di un senso che, a dirla tutta, aveva piuttosto sviluppato – eredità lupesca, l’avrebbe chiamata Jamie. Troppo preso ad usar cervello e razionalità, come al solito, aveva dimenticato l’istinto.
Era odore di fuoco, ma vi era anche qualcosa di marcio. Non Ardemonio, stimò con relativo sollievo. Sarebbero già morti tutti, data la velocità di propagazione del suddetto.
Questo non significa che non sia fuoco magico.
“Lo conosco ‘sto odore! Alla Riserva non c’è cosa che non puzzi così!”
Ted dalle parole di Dominique estrapolò la soluzione; era Fuoco Di Drago. Non vi era un drago vero, naturalmente, ma si potevano estrarre le pietre focaie presenti nella gola di tale creatura per farne inneschi per qualsiasi tipo di fuoco magico; da quelli d’artificio venduti ai Tiri Vispi ai temibili Fuochi Ritardanti usati dalle squadre di Tiratori Scelti per stanare i fuggitivi; questi ultimi i Babbani li avrebbero chiamate bombe.
“Merda!” Esclamò Scorpius sgranando gli occhi. “Non ditemi che c’è anche un incendio!”
“È l’effetto di un Fuoco Ritardante, Scorpius, riconosco l’odore.” Si sentì in dovere di dirgli; la distanza alunno-insegnante che intercorreva tra le mura scolastiche lì non poteva valere. E poi, quei due ragazzi gli avevano dimostrato testa e cuore. No, decisamente non poteva più trattarli come bambini. 
“Hanno usato Fuoco di Drago come innesco?” Dominique inarcò le sopracciglia. “Allora siamo nella cacca. La velocità di propagazione non è come quella dell’Ardemonio, ma ci vuole più di qualche secchiata d’acqua dalla bacchetta per spegnerlo.” Proclamò serena.

Scorpius fece un sorriso nervoso. “Merlino, ma che razza di sfiga scatenano i Potter?” Era sempre più pallido, ma Ted apprezzò il fatto che nonostante tutto non avesse ancora perso la testa. Che c’e n’era ben donde.
“Credo sia inutile dirvi che se c’è ancora una possibilità di andarsene, è adesso ragazzi.” Spiegò calmo, ma senza infiorettare la cosa. “Siete entrambi in gamba. Entrambi potete uscire adesso, da soli.”
Scorpius e Dominique si guardarono, e fu questa a parlare. “Certo Teddy.” Fece una delle sue smorfie buffe. “Ti lasciamo tuuutto da solo a salvare le chiappe della rossa e dei due secchioni. Com’era la storia che non dovevamo separarci?”

“Siamo con te, Professore.” Ghignò Scorpius e non era un titolo, pareva detto come un nomignolo. “Meglio un Tassorosso che un Grifondoro a prender decisioni. Pare che, statisticamente, portiate a casa la pelle più di frequente.”
Ted sorrise. Non c’erano bisogno di parole, quindi si limitò ad una pacca ciascuno. “Scorpius, solitamente quante vie d’accesso ci sono alle segrete?” Chiese poi.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, meditabondo. “Almeno due.” Stimò. “Quella normale e quella di servizio, per i servitori o… carcerieri. Non ci piove che sia così anche qui, l’architettura è simile.”
“Siamo vicini?” Incalzarlo con le domande era un buon metodo per distrarlo. Scorpius infatti dava il meglio di sé quando veniva messo al centro dell’attenzione di qualcuno, meglio se un gruppo. 
In questo lui e Jamie sono due gocce d’acqua.
“Dovremo esserci.” Fu la pronta, lucida risposta. Malfoy indicò di fronte a sé una rampa di scale che si apriva nel vuoto e nel buio. Erano strette e nascoste parzialmente da un arazzo che vi pendeva mollemente sopra. La porta era aperta. “Sì, è quello il passaggio di servizio.”
Ted sentì odore di umido, salmastro, terra. Era la direzione giusta, gli suggeriva Il Lupo – sì, chiamava così quella parte di sé.
“Scendiamo. Ora. 
Non ci furono obiezioni.
Scesero velocemente le scale, con solo l’aiuto delle proprie bacchette. Ted, nonostante avesse chiesto silenzio, sentì i due ragazzi confabulare dietro di lui.
“In caso io muoia, ed è abbastanza probabile… Devo prima sapere una cosa. Capisci, Weasley, proprio non posso finire nella tomba e non saperlo.”
Habla, RaggioDiSole.”
“Ma tu e Violet siete…”
Stiamo.” Fu la tranquilla proclamazione. Ted non poté fare a meno di esserne meravigliato a sua volta; dopotutto sorprendeva la scoperta che Dominique potesse avere una relazione di coppia con qualcuno.

Pensavo neppure le interessassero, gli esseri umani.
“Assurdo!”
“Non dirlo a me!” Uno sghignazzo. “Per essermi infilata in questo casino? M’ammazzerà se tornerò viva.”
“Per favore, io ho una Rosie. La mia pallocchetta è assai brutale.”

“La tua morde?”
Un breve silenzio meditabondo “… No, in effetti quello non lo fa.”
“Allora poche storie, ho vinto io.”
“Ragazzi…” Li riprese. Capiva perché quei due scherzassero; non c’era medicina migliore delle sciocchezze, per allentare la tensione. Tuttavia abbassare la guardia non era una buona idea. “Fate silenzio, potrebbero esserci…” Si bloccò perché quasi li avesse chiamati, arrivarono dei passi. Fece cenno ai due di fermarsi e quelli obbedirono all’istante smettendo chiacchiere e sorrisi. Le bacchette furono spente all’istante.

Poco dopo arrivò il fioco lume di una bacchetta. Un lumos tenue, unico.
Una sola bacchetta.
Il problema era che i passi sembravano di due coppie di piedi. Trattenne il respiro, poi batté la mano sul braccio di Scorpius, immediatamente dietro. “Vado a vedere. Restate qua.”  
“No, Profes…” Tentò quello, ma scese prima che potesse dargli tempo di rispondere. Se i due sconosciuti lo avessero attaccato, Dominique e Scorpius sarebbero stati l’effetto sorpresa.
Il bagliore fioco si faceva sempre più vicino, brillante. Svoltato l’angolo della tortuosa scala si sarebbero trovati faccia a faccia. Inspirò e chiamò a raccolta forza e concentrazione; un altro scontro stava per arrivare.
Odio la violenza. La odio.
Voler essere Auror come sua madre era stata la scelta meno oculata della sua vita.
Fortuna ho cambiato idea in tempo.
Levò la bacchetta e lanciò il Lumos più brillante che gli riuscì per accecare i due in arrivo; un buon metodo per neutralizzare senza far troppi danni.
Tutto si sarebbe aspettato fuorché la reazione conseguente.
 
“Che diavolo!”
 
Era una voce femminile, giovane e inglese che conosceva benissimo. Perché era la voce di Lily Luna.
Sbalordito si trovò di fronte proprio la ragazza che erano venuti a salvare con tutti i pericoli del caso. Lily, con i capelli arruffati, l’uniforme sporca e ovviamente abbacinata.
Lei e il ragazzo tedesco sparito nel nulla, Sören Luzhin. Ted notò solo in un secondo momento che l’amica teneva in piedi il ragazzo sostenendolo. Lo notò e poi si sentì letteralmente schiacciare contro il muro. Era stato il tedesco che, come un fulmine lo aveva sbattuto contro il muro; gli torse il polso per fargli cadere la bacchetta mentre con l’altra mano gli tolse aria stringendo alla gola. Presa ineludibile.
Dannazione, li ho accecati e non riescono a vedermi!
“Ren, che cavolo sta succ… Non vedo niente! Che stai facendo?!” Gridò Lily strizzando gli occhi inutilmente. Ted provò a parlare ma il maledetto ragazzino aveva tutta l’intenzione di strozzarlo.
Dann…
Pensare stava cominciando a diventare difficile, dato che l’aria faticava ad arrivare al cervello.
Vide un baluginare alle sue spalle, e subito arrivarono Scorpius e Dominique, disattendendo fortunatamente ai suoi precedenti ordini.
“Lily?!” Esclamò Scorpius sgomento. Comprensibile; la scena che gli si era parata davanti doveva essere quantomeno sconcertante. “Professore! Ehi, lascialo subito!” Esclamò subito dopo, pronto a lanciarsi contro Luzhin per liberarlo dalla sua presa mortifera.
No, no, no! Fermi!
Qualunque fosse il motivo della presenza di Luzhin, quel gioco di fraintendimenti stava per scatenare un disastro.
Sören, no!” Esclamò di colpo Lily. “Fermati, è Scorpius, sono amici!” Fece qualche passo incerto, inciampando a causa della visuale ridotta. “Basta!”  
Quest’ultimo, quasi Lily avesse spento un interruttore, lasciò la presa e scivolò dal lato opposto della parete facendo un profondo sospiro. “Non vedo… non potevo saperlo.” Mormorò. “Scusa.”
“Sì, neanche io, ma non è un buon motivo per aggredire gente a caso!” Sbottò con un insolita furia. Poi si calmò, voltandosi nella loro direzione. “Scorpius…?”
“Sì, e Dominique. E Teddy.” Recitò Dominique con lo sguardo che saettava dalla cugina al tedesco, concludendosi con lui. “Qualcuno mi spiega che diavolo sta succedendo?”
Lily esitò, strizzando ancora una volta gli occhi. Li puntò su di lui, il che significava che la visuale era parzialmente ritornata. “Teddy?” Chiese infatti. “Io… cioè. Stavo scappando?”
“E noi stavamo venendo a salvarti, Piccola Potter. Ma vedo che ti sei portata avanti con il lavoro.” Si inserì Scorpius. Lanciò uno sguardo eloquente e battagliero a Luzhin. “Lui?”
Lily si morse un labbro. Ted conosceva bene quel gesto; stava per eludere la conversazione. “Lunga storia, c’è un incendio, possiamo parlarne do…”
“Sappiamo dell’incendio. Abbiamo tempo.” La interruppe; non era vero, ma dovevano chiarire la posizione del tedesco prima che uscissero fuori nuove svolte e sgradite sorprese. “Che ci fa qui?”
Allora è vero che lavora per Von Hohenheim.
Lily guardò verso Luzhin, poi sospirò. “Non è davvero Luzhin è… il nipote del padre di Tom. È … è complicato.” Scosse la testa, rassegnata all’idea di non potersi spiegare.
“È cugino di Tom?” Scorpius inarcò le sopracciglia. “Momento. Al diavolo la parentela. Significa che è coinvolto in questa storia?”
“Ti ha rapita lui?” Dominique aveva assunto un’espressione poco raccomandabile, a differenza del suddetto rapitore. A Ted bastò un’occhiata per capire che Lily non lo stava sorreggendo perché si era storto una caviglia. Era sudato, pallido e allo stremo delle forze. Doveva aver utilizzato le ultime energie per attaccarlo.
“Lily.” La richiamò. Quella si voltò verso di lui con un’espressione ansiosa. “È vero? Ti ha rapita?”
“No!” Esclamò. “Altrimenti perché me lo starei portando dietro?” Chiese retorica, prima di scuotere la testa alle sue stesse parole. Sembrava più confusa di loro. “Cioè… faceva parte del piano, ma è stato John Doe, Sören mi ha tirata fuori dalla cella in cui mi avevano rinchiusa! Il padre di Tom voleva liberarsi di me, ma lui…” Si morse di nuovo il labbro. Se lo stava martoriando e non era da lei. “Ho già detto che è complicato?”
Ted guardò di nuovo verso il tedesco. Aveva lo sguardo piantato a terra e respirava male. Di certo non costituiva un pericolo più grande di un incendio o di una dozzina di Mercemaghi.
“Okay, fantastico. Chissenefrega.” Tagliò corto Dominique, prendendola per un braccio. “T’abbiamo trovata, quindi leviamoci dalle scatole prima di morire arsi vivi. Mi piacerebbe campare un altro paio d’anni. Ho cose grandiose da fare, sì?”
“E di lui che ne facciamo?” Scorpius lo teneva sotto tiro, a cinque doverosi passi di distanza. Non lo biasimava; doveva aver visto l’espressione omicida che il ragazzo aveva dipinto in volto quando lo teneva per il collo.
Mi avrebbe ucciso senza esitare se avesse Lily non l’avesse fermato.
“Lo molliamo qui!” Proclamò Dominique. Non c’era da aspettarsi opinione diverse dalla ragazza, che giudicava in base ad una dicotomia perenne. In questo lei e James si somigliavano come gemelli.
“Col cavolo!” Lily si liberò dalla presa della cugina e si frappose tra loro e il tedesco. “Lo portiamo con noi! Non è in grado di andarsene da solo, e scommetto che neppure voi sapete con precisione dov’è l’uscita! Ci può dire come uscire, è casa sua!”
“Lily, è il nipote di Von Hohenheim, non possiamo fidarci di lui su due piedi.” Le spiegò con tutta la gentilezza che gli era rimasta. Non era molta. “Capisco che sia tuo amico…”
“Non è mio amico.” Era un tono definitivo, freddo e risoluto. Così poco da Lily che ne rimase colpito, e non in senso positivo. Non piangeva, ma era pallida e ferita. Quell’espressione Ted l’aveva già vista addosso a persone che avevano perso molto. Non avrebbe mai voluto vederla sul viso di una ragazzina di quindici anni. Specialmente sulla spensierata Lily Luna.

“Quello che ha fatto, fingersi un altro per avvicinarsi a noi è imperdonabile.” Continuò senza guardarlo. Ted vide però che il tedesco non guardava altri che lei. “Ma non è stato lui a rapirmi, né a cercare di uccidermi. Mi ha salvata. Conosce la strada per uscire di qui, e ci porterà fuori. Me l’ha promesso.”
“Ti ha ingannato per tipo un anno e tu credi alle sue promesse?” Dominique inarcò le sopracciglia. “Sul serio, rossa, non ti facevo scema! Ci darà in pasto allo zietto e tanti saluti!”
“Non lo farò.” Era la voce del ragazzo. Si rialzò in piedi e scostò gentilmente Lily. Sembrava reggersi in piedi per pura volontà, ma la voce era sicura. “Ho promesso a Lilian di portarla fuori di qui. Vi porterò tutti fuori di qui. Non le chiedo e non vi chiedo di fidarmi di me. Tuttavia, non avete scelta.”
“Posso picchiarlo?” Borbottò Dominique. “Sul serio, già non mi piaceva prima … ma ora.”
Scorpius inspirò. “Però ha ragione.” Si strinse nelle spalle all’occhiataccia dell’anglofrancese. “Stiamo andando un po’ a caso. Fin’ora ho azzeccato la planimetria, ma per uscire di qui ci servirà qualcosa in più che la fortuna e le similitudini con casa mia. ”
Ted come al solito sentì il dovere di prendere una decisione. Lily non aveva avuto parole gentili per il tedesco, eppure si era frapposta tra lui e Dominique e Scorpius, la prima cocciutamente – e ragionevolmente – impietosa e il secondo equilibrista tra due fazioni opposte come solo chi aveva sangue Malfoy poteva essere.
Non c’era tempo per indagare su cosa muovesse le decisioni dell’ultimogenita Potter, né tantomeno su quelle del suo improbabile protetto. In realtà c’era tempo solo per prendere una decisione. E dunque, la prese.
“Viene con noi.” Decretò. “Lils, sta’ con Scorpius e Domi. Di lui mi occuperò io.”
Stavolta Lily non protestò; si mise trai due biondi facendo un lieve sorriso a Scorpius, che ricambiò e le passò un braccio attorno alle spalle con fare protettivo.
Ted si voltò verso il falso Luzhin. Questo non aveva smesso un momento di seguire i movimenti della ragazza; era come se avesse il terrore di perderla di vista. “Come posso chiamarti?” Gli chiese interrompendo la visuale.
“Sören. È il mio vero nome.” Lo disse come se non fosse la prima volta. Rassegnato.
“Voglio che ti sia chiara una cosa allora, Sören.” Fece in modo che lo guardasse negli occhi. Non fu facile. “Se avrò il sospetto che ci stai portando dalla parte sbagliata sarò io stesso a darti in pasto alle fiamme.” E non scherzava, perché il suo buon cuore gli poteva suggerire di salvare uno scagnozzo di Von Hohenheim, ma non di tendergli una mano se avesse dimostrato di non meritarsi quella possibilità.
Il ragazzo annuì. “Non mi aspetto nient’altro.” Non chiese scusa, né perdono. Non cercò un intercessione. Non aveva neppure l’aria ansiosa del reo confesso che cercava simpatia per scampare ad una futura condanna. Stava lì ed attendeva una sua reazione.
“È vero che l’hai salvata?” Chiese. Sciocco da parte sua forse, ma voleva sentire la risposta.
Sören distolse di nuovo lo sguardo da dove era Lily, oltre Scorpius e Dominique. Ted avrebbe scommesso mille Galeoni che avrebbe saputo trovarla anche in mezzo al buio e centinaia di persone. Era inquietante.
“È lei che ha salvato me.”
Non aggiunse altro.
 
****
 
“Che stiamo facendo qui?!”
Il ragazzino dai grandi occhi verdi oltre che carino era insopportabile e rumoroso come una batteria di coperchi che cadeva a terra.  
Questo detto, il tipetto per poco non era bruciato vivo, rimanendo fermo come un rincoglionito mentre il fuoco avanzava vorace. Non c’era di che stupirsene; gente non abituata a vender cara la pelle ogni giorno non era brava ad usare il cervello quando andava nel panico.  
Lo aveva così trascinato via, tornando esattamente su suoi passi. Il fuoco – che era scoppiato un fottuto incendio, come a voler peggiorare ulteriormente le cose – andava in alto, non in basso, e c’era più possibilità di scappare dai quartiere della servitù che dalle vie canoniche.
Lo aveva spinto dentro la cucina e aveva chiuso la porta con forza, prima di dirigersi verso la sua spoglia cameretta. Non avrebbe lasciato al fuoco l’unica cosa che avesse veramente valore per lui. Certo, si era allontanato per prendere la sua meritata liquidazione, ma questo non voleva dire che non sarebbe tornato per lui.
Tese le orecchie; il silenzio in cui era immerso il posto voleva dire che Etzel e moglie se n’erano già andati. Bene, gli avevano dato retta. Ora doveva solo raggiungerli nella foresta.
“Ehi, sto parlando con te! Perché mi hai portato qui?!”
L’inglese arrabbiato era più facile da capire che quello da conversazione. Occhi Verdi era pieno di disappunto per non esser morto arso vivo, probabilmente.
Coglioncello. Neanche un grazie, eh.  
Senza una parola sollevò il materasso per prendere l’unico amore della sua vita. Il suo violino. Controllò che lo spago attorno alla frusta custodia di marocchino fosse integro. Lo era. Lo infilò dunque con tutta cura nella sacca.
“Cos’è quello?!”
Cavolo, ma non sta mai zitto?
Sbuffò a guance piene, voltandosi. “Violine.” Spiegò indicandolo. Forse utilizzando la radice latina, condivisa anche da un anglosassone, l’altro avrebbe capito.  Meine Violine.
“Eh?” Sgranò gli occhi, sempre con la bacchetta spianata. Forse pensava stesse nascondendo un’arma babbana – l’unica che in effetti avrebbe potuto utilizzare.
Milo fu così costretto ad aprire la custodia con uno scatto secco. “Violine.” Ripeté indicandolo. “Es ist nur ein Violine!²
L’altro inspirò, distogliendo lo sguardo ed arrossendo. Era buffo, gli si leggeva in faccia ogni espressione.
“Va bene, scusa… pensavo… beh.” Borbottò. “Ma che ci facciamo qui?”

Milo fece una smorfia frustrata. “Sicuro.” Stentò. “Qvesto posto sicuro.” Aveva vissuto qualche anno a Berlino, miscuglio infinito di facce, persone, etnie e lingue, oltre che porto tollerante verso i Maghinò. Avendo dovuto rapportarsi con gente da ogni parte del Mondo Magico aveva imparato un po’ d’inglese. Abbastanza da capirlo – e fingere di non saperlo fare – ma non da parlarlo.
Il ragazzo si guardò attorno. “Okay, ho capito che vuoi uscire quanto voglio uscire io. C’è un incendio. Ma perché siamo tornati indietro?”
“Uscita grande kaputt.” Lo capì perché impallidì di brutto. “Altra. Altra uscita.”
Occhi Verdi si mordicchiò il labbro. Era definitivamente carino. Chissà in che sponda pescava. Probabilmente in quella dove sguazzavano maschietti par suo. Il che era giusto, dato il delizioso fondoschiena di cui era fornito.
Milo…
Ridacchiò di sé stesso, chiudendo la sacca e buttandosela in spalla. “Andare?”
“Devi riportarmi dov’ero prima.” Lo ghiacciò. Non era sicuro di aver inteso bene, e anche l’altro parve intuirlo perché si ripeté. “Devi portarmi dov’ero prima. C’è una persona che ho lasciato, una persona che non saprebbe che fare in un incendio.”
“Sei pazzo?” Gli uscì di cuore, e anche piuttosto correttamente. Gli insulti erano la prima cosa che imparava in una lingua straniera. “Tu muore!”
Occhi Verdi tentennò vistosamente, ma poi deglutì con indomito e assolutamente cretino coraggio. “Non me ne andrò senza di lui.” Decretò.

Lui chi? Chi se ne fotte! Affari tuoi!
Fece una smorfia, alzando le mani. I patti erano portarlo fuori di lì, non imbarcarsi in una missione suicida per riportare indietro altra gente, probabilmente ormai oltre la barriera di fiamme. La bacchetta gli faceva paura, certo: ma gli faceva molta più paura il fuoco.
Il ragazzo parve capire il ragionamento dietro il suo gesto. Lo vide con una certa sorpresa fare un sorriso che proprio non si addiceva a quella faccetta d’angelo. Perché gli angeli non ghignavano.
“Se non vieni con me, io morirò. E se morirò tu avrai lasciato morire uno dei figli di Harry Potter. Conosci Harry Potter? Mi chiamo Albus Severus e sono suo figlio.”
Merda.
E chi non conosceva il Salvatore dei Due Mondi? Era il maledetto Che Guevara dei maghi.
Così Bambi è un figlio d’arte. Grandioso.  
Non che volesse poi dir molto. Fece una smorfia divertita. “Io e te soli. Se tu muore, io non parla.” Replicò sereno.
La risposta fu un incantesimo che lo prese in pieno petto. Non fu doloroso come si aspettava, però, dato che riuscì a rimanere in piedi. Era stato più che altro uno spintone. Si premurò comunque di guardarlo storto.
Se non avessi la bacchetta ti prenderei a calci in culo, maghetto!
L’altro non aveva smesso di sorridere però, il che era inquietante. “Sai che ho appena fatto?” Gli chiese scandendo bene le parole. “Ti ho colpito. Non preoccuparti, è un incantesimo leggero, l’avrei sentito anche tu.” Aggiunse. “Ma la magia lascia tracce. E ora chi ti troverà, e ti troveranno perché ci sono già gli agenti di mio padre qua fuori, saprà che hai avuto a che fare con me.” Abbassò la bacchetta. “Ti ho scritto il mio nome addosso. Sapranno tutti che sei l’ultima persona con cui ho avuto a che fare.”
Piccolo figlio di puttana!
Essere colpevole della morte di un rampollo dell’alta società magica non era un buon biglietto di presentazione per le teste di latta, che fossero tedesche o inglesi. Certo, poteva star bluffando, ma chi glielo assicurava? Anche se fosse scappato chi gli assicurava che le teste di latta di tutta Europa non gli avrebbero dato la caccia?
Dannazione!
Avrebbe voluto liberarsi di lui, più di ogni altra cosa al mondo, ma non c’era storia. Era fregato. Si limitò a fissarlo in cagnesco. Perlomeno era stato infinocchiato da un tipetto astuto.
Magra consolazione.
“Scommetto che conosci un passaggio sicuro per arrivare da Von Hohenheim. Un passaggio senza fiamme, intendo.”
Certo che lo conosceva, ma non era quello il punto.
Da Von Hohenheim?
Lo guardò con tanto d’occhi ma l’altro non vacillò. “Fammi strada.” Ripeté scostandosi dalla porta.
“Perché?” Perlomeno doveva sapere il motivo per cui rischiava la vita.
Occhi Verdi lo fissò con un’espressione indecifrabile. Ferma, avrebbe detto. E anche rassegnata in un certo senso. Gli si addiceva. “Perché devo andare a prendere un idiota che non sa badare a se stesso.”
Un idiota che è andato a parlare con il padrone? Ma quello, dato l’incendio, sarà già scappato!
Glielo disse, ma la risposta fu un gesto di diniego. “Saranno già assieme adesso.”
Chi poteva essere il tipo da salvare? Forse il tanto discusso figliol prodigo? Quel Thomas? Ne aveva sentito parlare da Etzel e Hilda, ma di certo non abbastanza per aver chiara la situazione.
Non che me ne freghi granché.  
Sospirò. “Pericoloso.” Disse soltanto, ma l’altro parve non udirlo neppure. Gli fece di nuovo cenno di fargli strada.
Odio i maghi.
Fece una smorfia e uscì dalla stanza.
 
****
 
“Vieni avanti, Thomas.”
Uno studio. C’era luce, a differenza del resto del castello. Luce dovuta ad un grosso camino, ma comunque sufficiente per poter spegnere la bacchetta e farsi avanti senza dover inciampare rovinosamente nei propri piedi.

E poi, Alberich Von Hohenheim. Era seduto su una poltrona, non dietro uno scranno come la sua immaginazione l’aveva sempre dipinto. Una poltrona di broccato con di fronte un’altra, gemella. Tra di loro un tavolino, sgombro di tutto tranne una scacchiera.
Tom provo irritazione immediata a quella messinscena. Una partita a scacchi era ciò che quell’uomo credeva di aver vissuto fin’ora?
Gli scacchi sono un gioco. Nessuno muore negli scacchi, nessuno viene ucciso.
Strinse la bacchetta e l’uomo colse il gesto. Sorrise.
“Non ho intenzione di duellare con te.” Fece una breve pausa. “Siediti, ti prego.”
Tom guardò la sedia, poi la porta alle sua spalle. Avrebbe potuto ucciderlo e andarsene. L’effetto sorpresa l’avrebbe aiutato.
Saresti davvero in grado di uccidere, Tom?
Oh, io sì. Ma tu? Saresti capace di ricominciare?
La voce dell’Altro gli solleticava le orecchie, ponendo quesiti ora più che mai. Quesiti a cui, a dirla tutta, non era poi così volenteroso di dar risposta.
Si sedette, appoggiandosi al morbido schienale. Si prese il tempo per guardare l’uomo che gli aveva tolto il sonno e la serenità per quei lunghi diciotto mesi.

Era come guardarsi allo specchio; stessi lineamenti sottili, eppure volitivi. Stessi capelli, benché quelli dell’uomo fossero lunghi alla maniera dei Purosangue di due generazioni precedenti e più chiari. La barba era corta, curata. Le vesti erano ricche, probabilmente intessute a mano da esperti e laboriosi sarti. 
Sarei potuto essere così, se fossi vissuto qui?
Non si rispose, perché era molto più interessante notare come dietro l’aria imponente, si nascondessero degli indizi interessanti. Il volto infiacchito, le guance cascanti. Ma erano gli occhi ad essere rivelatori. C’era qualcosa che vi bruciava dentro, e non era un’emozione. Era un malessere che si propagava nelle palpebre gonfie.
Era come vedersi ad uno specchio, sì. Ma deformato.
L’ uomo con un cenno della mano fece apparire due bicchieri di cristallo e una bottiglia panciuta, sigillata. “Ho passato il tuo esame, Thomas?” Gli chiese con tono leggero, palesando che aveva letto perfettamente le sue intenzioni.
“Non c’è stato alcun esame.” Replicò. “Cosa vuoi da me?”
Questo fece un breve sorriso. “Dritto al punto, vedo.” La bottiglia fu stappata con uno schiocco. Magia senza bacchetta. Semplice ma d’effetto.
Non per me. Queste cose le sapevo già fare un anno fa, prima del mio esilio a Rügen.
“Ho fretta.” Replicò osservando il liquido paglierino versarsi con un gorgoglio nel bicchiere dal suo lato. “E non ho sete.”
“Peccato. È un eccellente liquore importato dalle Ardenne.” Lo verso per sé e ne sorseggiò il contenuto. “Durante certi tipi di conversazioni bere qualcosa è un’etichetta non scritta. Sei maggiorenne, no? Puoi bere. ”
La voce era calma, rassicurante. Un certo timbro caldo la rendeva affascinante. Il genere di voce che parlando pacatamente riusciva ad animare intere folle.

“Cosa vuoi?” Ripeté senza vacillare. Non se ne sarebbe andato senza delle risposte. Non se ne sarebbe andato senza averlo ucciso e tolto per sempre dalla sua vita come un chirurgo babbano asportava un cancro.
Per cortesia, moccioso. Davvero credi di poter levare la bacchetta e togliere una vita umana?
Cosa ne penserebbe Albus?
Serrò le labbra. L’uomo sorrise ancora. Impossibile che sapesse cosa stava accadendo nella sua testa, eppure…
“Voglio vedere mio figlio, forse?”
“Non sono tuo figlio.”

Fece un cenno assertivo. “Vero. Mio figlio è morto diciotto anni fa, la notte in cui nacque. Permettimi comunque di considerarti una mia creatura.”
Tom sentì un oppressivo peso al petto. Quello non poteva contestarlo, razionalmente. Non poteva contestare di aver avuto vita, una nuova vita, per mano del mago che gli stava davanti.

“Mi hai fatto venire qui per farti ringraziare?” Ritorse con un sorriso agro. “Perché non lo farò. Non ti ho chiesto io di farmi tornare.”
“Eppure sei qui.” Inarcò le sopracciglia. “Respiri, possiedi la Magia, hai fatto esperienze, conosciuto persone, ti sei legato ad altre. Stai vivendo una seconda possibilità.” Bevve un altro sorso leggero e posò il calice sul tavolino, accanto ai suoi pedoni neri. “Non dirmi che questo ti dispiace.”

Non poté ribattere, non quella volta.
“Lo immaginavo.” Continuò. “Non fraintendermi, non cerco gratitudine. Mi sono rassegnato da tempo ad aver persone ingrate attorno a me.” Si passò un dito sulle labbra, meditabondo. “Era tutto per arrivare a questo, Thomas. Per arrivare a noi. Che ti piaccia o meno, il tuo sangue appartiene ai Von Hohenheim.”
Tom serrò le dita sui braccioli di stoffa. Sentiva l’Altro urlare nella sua testa, e la sua bacchetta chiamarlo.
“Il mio sangue appartiene a me.” Ribatté. “Della gente è morta per questo grandioso momento.” Motteggiò feroce. “Della gente che amo è stata ferita per colpa tua… solo per parlarmi?”
L’uomo non rispose subito. Si limitò ad appoggiarsi sullo schienale. “Avresti accettato un invito formale via Gufo in cui ti spiegavo chi ero e cosa volevo?”
Cosa…?
Von Hohenheim fece un cenno dismissivo, come se si scusasse della frase precedente. “Sai bene chi sono. Sai bene che patetici fattucchieri con poca immaginazione mi cercano per tutto il globo. Il nostro incontro non avrebbe potuto avere luogo in altro modo che così. Né il tuo padrino né altri lo avrebbero permesso. Tu stesso … ti saresti fidato, forse? Ti hanno cresciuto per cercare approvazione e regole da altre persone. Questo ti ha reso debole. Manipolabile. Sia da loro, che da me.”
Tom si trattene dal saltare in piedi ed attaccarlo; la furia che gli era divampata nel petto non era facile da trattenere ma aveva delle domande. Domande a cui voleva una risposta, domande che fino a quel momento non aveva fatto neppure a sé stesso.
Von Hohenheim, almeno per il momento, gli serviva vivo.
“Rapire la figlia di Harry Potter per portarmi qui… Decisamente un metodo valido. Senza conseguenze, soprattutto.” Sibilò afferrando il suo bicchiere, e giocando a far rilucere i riflessi. Non bevve però; bottiglia sigillata o meno, la sua paranoia galoppante gli aveva sempre salvato la pelle.
“Sei qui adesso.”
“Qui assieme ad altre persone, con il mio padrino in arrivo. Perché arriverà.”

L’uomo sorrise. Non vi era calore in quella esternazione. “Nutri molta fiducia in lui.”
“Mi ha salvato.” E non disse altro, anche se frasi intere, immagini, verità intercorsero in quel breve instante.

E mi ha combattuto e ucciso, una volta.
“Certamente.” Replicò Von Hohenheim. “Comunque è già qui.” 
Harry…?
La sua espressione dovette essere di pura meraviglia e speranza, perché la vide riflessa nel sarcasmo di cui si tinse il volto dell’altro.
“Sei un ragazzo, Thomas. Ti affidi ancora così tanto agli adulti?”
Tom sentì Voldemort – le cose andavano chiamate con il loro nome -  urlargli di nuovo nella testa.
Chiedigli ciò che abbiamo bisogno di sapere, e poi uccidilo!
Non te ne libererai mai se non lo uccidi. Non saremo mai liberi dall’idea che quest’uomo ci ha dato la vita e può anche darci la morte.
La soluzione finale è la morte!
“Sono un esperimento.” Disse piantando gli occhi sulla scacchiera. Era una partita già iniziata, e in stadio avanzato. Ben giocata, da mani esperte, per quello che poteva vedere e comprendere. “Un esperimento alchemico, mi disse John Doe.”
“Cosa vuoi sapere?” Lo anticipò lo stregone. “Se sei umano?”
Tom non rispose. Si stava imponendo di guardarlo negli occhi, ma era difficile. Era come fissare una voragine infinita, come fissare il suo abisso personale e vederci dentro tutto ciò che lo teneva sveglio la notte, che solo la presenza di Al il suo abbraccio riuscivano a lenire. E non sempre.
I morti, l’oscurità, l’anima spezzata. Sette volte. Sette volte.
Sette peccati. Quale mancava al tuo appello? Nessuno, vero?
Distolse lo sguardo e lo abbassò sulle mani. Tremavano. Impercettibilmente, ma tremavano.
Non importa quello che ti ha detto Al, quello che ti ha assicurato Harry. Non avresti dovuto avere una seconda possibilità.
Non te la meriti.
Quell’uomo, versione distorta di una parte di sé, del suo sangue, gli stava mettendo di fronte le sue più grandi paure.  
“Il tuo corpo lo è. La tua anima lo è stata.” Osservò la voce di Hohenheim, lontana, eppure gli sembrava gli parlasse all’orecchio. Da una parte Voldemort, dall’altra suo padre. Decisamente disagiante. “Ma come hai detto tu, sei un esperimento… un prototipo, se mi passi il termine.” Fece una breve pausa. “Non so cosa ne sarà di te.”
Era sincero. Era sincero proprio perché, se ne accorse in quel momento, aveva già bevuto due bicchieri. Due bicchieri pieni, e nell’aria vi era un aroma che prima non aveva percepito a pieno. Lo catalogò e riconobbe. Era odore di infermeria, di erbe officinali, di San Mungo. C’era odore di pozioni.

Il fuoco scoppiettava e illuminava il viso di Alberich Von Hohenheim. Un viso scarno, giallastro.
Malato.
Sembrava davvero leggergli la mente, perché annuì, quasi avesse risposto ad una sua domanda silenziosa. “A tua differenza, Thomas, io conosco sin troppo bene ciò che mi riserverà il futuro. Un futuro immediato, oserei dire.”
“Stai morendo.” Non ci voleva un genio per fare due più due. Neppure per realizzare che aveva di fronte un uomo già condannato a morte. Forse era per questo che aveva messo in piedi quel teatrino degli orrori? Perché l’incombere della morte l’aveva portato a non aver nulla da perdere o remore morali o razionali da rispettare?
“È per questo che mi hai voluto qui? Che ti sei fatto terra bruciata attorno?” Si guardò attorno. “Non hai nessuno. Neppure il tirapiedi che mi hai spedito l’anno scorso. Sei solo.” Era l’altro ad essere debole, non lui.
Mai.    
Alberich fece un cenno evasivo. “Pedine. Non ho pianto certo la loro perdita. Era necessaria per arrivare qui, a questo momento. In fondo, alla fine del gioco non restano poi molti pezzi sulla scacchiera. Restano i Re.”
Era pazzo. O forse no. Tom non poteva dire di conoscere il confine labile tra sanità e follia. Forse non c’era neppure, perché aveva avuto riprova che la ragionevolezza era cosa grandemente sopravvalutata.
“Non rimangono solo i Re, non si conclude una partita così.” Replicò con un puntiglio forse infantile. Ignorò il sorrisetto dell’altro.
“Cosa vuoi da me?” Gli sembrava di ripeterlo all’infinito. Perché forse era quella la vera domanda. La domanda.
L’uomo posò il bicchiere, e poi si tolse la bacchetta dalla cintura. Tom si mise immediatamente in allarme, prima di vederlo posarla di fronte a sé. Rivolta a sé dalla parte del manico.
Cosa diavolo…?
“La stessa cosa che vuoi tu, Thomas.” La spinse nella sua direzione. “Che tu mi uccida.”
 
****
 
Entrati si resero conto di quanto l’incendio fosse vero.
Una cortina di fumo li fece immediatamente arretrare. Harry si tamponò il viso con un risvolto del mantello, mentre sentiva gli occhi lacrimare violentemente dietro gli occhiali.
“Moriremo soffocati se facciamo qualche altro metro!” Tossì Ron, coprendosi naso e bocca con la manica della divisa.
Riflettè velocemente. “Nora!” Esclamò. C’era sempre bisogno dell’elemento erudito nel gruppo. E né lui né Ron avevano mai risposto al requisito. “Pensi che possa andare qualcosa come un incantesimo Testabolla?”
La creola afferrò il taccuino e vi scribacchiò qualcosa, lanciandoglielo poi. “Prova questa formula, dovrebbe funzionare anche fuori dall’acqua!”
Harry la lesse con gli occhi che bruciavano come tizzoni e poi la eseguì. Una patina gialla gli offuscò la visuale ma al tempo stesso riprese a respirare. Passò il taccuino a Ron, e in pochi attimi furono tutti e tre in grado di avere aria pulita nei polmoni.
L’amico toccò la sostanza solida e giallastra che avvolgeva la sua testa come un palloncino e, assicuratosi che non sarebbe scoppiata, fece un sospiro sollevato. “Okay, da che parte ora?”
In quel momento sentirono dei forti rumori provenire alla loro sinistra, verso una serie di scale che scendevano. Qualcuno però stava salendo. Un gruppo di persone che camminava allo stremo delle forze, a giudicare dai passi incerti e faticosi. Harry fece cenno di fermarsi e portare le bacchette alla mano. Potevano essere Mercemaghi che tentavano di scappare. Li avrebbero aiutati, ma non disarmati.
Scese la prima rampa di scale. Corse, quando si accorse chi era il capofila.
Sua figlia. I suoi capelli rosso tiziano erano troppo peculiari per essere scambiati con quelli di qualcun altro.
Lily!” Esclamò, ma evidentemente l’incantesimo Testabolla modificato non gli permetteva di farsi udire. La ragazzina però lo vide e sgranò gli occhi.
Si strappò il pezzo di stoffa che si era legata attorno al viso. “Papà!” Harry vide che subito dietro spuntava Malfoy, talmente sporco di fuliggine da avere i capelli scuri. La spingeva in alto, tentando di non crollare al tempo stesso. Prese in braccio sua figlia, afferrando il ragazzo. “Ron!” Urlò senza successo. Fortuna voleva che il fido compagno fosse subito dietro di lui; afferrò il giovane Malfoy da sotto le ascelle e se lo caricò sulle spalle.
Dietro vi erano altre tre persone. Dominique, la quale sembrava stare meglio degli altri – i geni Veela o le sue ripetute estati in mezzo a draghi sputa fuoco dovevano aver aiutato – e infine Ted, che portava sulle spalle…
Sören Von Hohenheim?
Il figlioccio era un bagno di sudore e i capelli avevano perso ogni colore, metà per il fumo e l’altra metà sicuramente per la spossatezza. Non riuscì a dire nulla, ma lo sguardo fu più che eloquente.
No, dannazione, non mi devi chiedere scusa Teddy.
Ma dove sono Al e Tom?
Mancavano all’appello, questo era il fatto.
Fu Nora a soccorrere il giovane, dividendo il peso del tedesco con lui. “Fuori di qui, subito!” Gridò a voce alta e chiara. Ovvio che l’americana conoscesse il modo per farsi sentire oltre la bolla.  
Fecero a ritroso la strada in fretta e furia e nel cortile si tolsero l’incantesimo, mentre i ragazzi tossivano e crollavano a terra in più gradi di debolezza.
Dominique si stese a pelle d’orso sulla neve, chiudendo gli occhi. “Per tutte le palle di drago.” Sussurrò con voce arrochita. “Ed io che pensavo di voler fare un mestiere fuori di testa. Forse dovrei candidarmi per l’Accademia Auror o giù di lì. Perché questa roba è stata veramente fuori di testa.”
Scorpius ridacchiò, passandosi sul viso la pezza con cui si era protetto fino a quel momento per togliersi lo sporco che lo imbrattava. “Ti passo il modulo per la domanda d’ammissione allora.”
“Grazie biondo, ma preferisco vivere.”

Harry posò a terra Lily, che si guardò attorno spaesata. La luce pomeridiana che rifletteva la neve doveva abbacinarla da come strizzò gli occhi. “Papà…” Disse e non riuscì a dire altro prima di stringerlo forte e scoppiare a piangere. Harry la abbracciò di rimando mentre tra i singhiozzi la sentì scusarsi infinite volte.
“È tutto a posto, streghetta, va tutto bene…” Borbottò impacciato, perché poteva anche essere l’uomo che salvava la situazione – e in quel caso lo era stato solo grazie a forti aiuti dall’esterno – ma con le parole non sarebbe mai stato bravo. A parte quando doveva pronunciarle per fare il suo lavoro. “Lily, dove sono Al e Tom?”
Non ditemi che l’hanno fatto ancora.
Teddy perse il poco colore che i suoi capelli avevano riacquistato. “A quanto pare il fuoco si è propagato molto più velocemente di quanto pensassimo.” Abbassò lo sguardo. “Al e Tom …”
“Dursley ha deciso che aveva di meglio da fare e Albus l’ha seguito. Sono andati da Von Hohenheim, per quanto ne abbiamo capito.” Terminò per lui Scorpius, accettando grato una delle borracce che Nora aveva fatto apparire per tutti.

Ron, vicino a lui, spalancò la bocca. “Quel piccolo coglione!”
“Non posso che darle ragione.” Replicò Scorpius con una smorfia. “Volevamo andarli a cercare, ma l’incendio… beh, ha reso le cose un po’ difficili.”
“Non c’è bisogno che ti giustifichi ragazzo!” Esplose Ron in un singolare anelito di empatia verso il biondo, tanto che questo lo guardò sbalordito. “Giuro che prendo a calci il sedere quel coglioncello non appena ce l’ho tra le mani!”

Harry, senza sciogliere dall’abbraccio Lily, guardò verso il castello, e poi verso i tre ragazzi. “Da che parte?”
“Ah, boh.” Borbottò Dominique trangugiando acqua come se fosse Elisir di Lunga Vita. “Chiedilo al mangiapatate zio, è lui il signorotto del castello.”
Harry guardò in direzione del tedesco che se ne stava seduto come gli altri bevendo dalla bottiglia che gli era stata assegnata. Non aveva aperto bocca e fissava la pietra del selciato come a volervi scomparire. Represse l’impulso di prendere la bacchetta e maledirlo. “Tu.” Lo apostrofò e questo alzò immediatamente la testa. “Dove si trova tuo zio?”
Sentì Lily irrigidirsi nel suo abbraccio. “È nel suo studio. È sicuramente lì.” Mormorò il ragazzo. “Posso portarvici.”
Stavolta Lily si mosse e Harry sciolse la presa capendo le sue intenzioni. “Papà, non può.” Disse a bassa voce, guardando ovunque tranne che in direzione del giovane Von Hohenheim. “Ha perso quasi tutta la sua magia e non si regge in piedi. Se lo riporti là dentro morirà.”
Harry stava per obbiettare che poco gli importava di quello spregevole ragazzino, ma qualcosa nello sguardo di sua figlia gli fece morire le parole in gola. Per qualche ragione che non comprendeva, Lily lo stava ancora proteggendo. “Lily…”
“Noi non siamo come loro.” Lo fermò. “Noi siamo migliori. Dovrà pagare per ciò che ha fatto, ma non così.” Deglutì e si asciugò l’ennesima lacrima facendogli stringere il cuore e ribollire il sangue di rabbia. “Non così, papà, ti prego.”
Dovette annuire. Sua figlia aveva ragione, e ringraziava Merlino che glielo avesse ricordato prima di commettere un grave errore dovuto alla furia che provava. Non era un giustiziere, era un maledetto Auror. “No, tu resterai qui.” Disse al tedesco. “Dicci solo come arrivarci.”

Sören annuì. “Non posso assicurarvi che la strada sia libera però.”
“Non preoccuparti.” Si guardò con Ron che annuì deciso. “A quello pensiamo noi.”

 
****
 
Il ragazzo lo stava guidando per dedali infiniti. Ma erano ancora vivi, il che, supponeva, fosse già molto considerando il fumo che tossivano ad ogni piè sospinto. Albus aveva strappato un pezzo del mantello che aveva poi gettato via – troppo pesante, troppo caldo – e se l’era legato al viso. Ne aveva fatto uno uguale per il Magonò che non aveva neppure ringraziato.
Beh, lo stai obbligando ad andare incontro alle fiamme, chiaro non sia dell’umore.
Appena aveva capito che Tom era tra loro e il fuoco non aveva esitato un istante; non avrebbe mai abbandonato quell’idiota a sé stesso ora che aveva una guida capace di eludere barriere magiche e fiamme. Non l’avrebbe lasciato a confrontarsi con i demoni interiori che sicuramente l’incontro con Alberich Von Hohenheim gli avrebbe scatenato.
Sono stato costretto ad andarmene. Esser costretti non significa rinunciare.
Era terrorizzato, sapeva di star facendo una cosa stupida, ma non aveva importanza. Uscire di lì senza Tom sarebbe stato inutile.
Tanto vale che mi butti dalla scogliera.
Perché poco da fare, non poteva sopravvivere se l’altro non viveva. Accanto a lui, possibilmente. Vita natural durante, ancora meglio.
Tutto questo è molto Grifondoro, Signor Potter.
Sorrise appena; in fondo, certe eredità non si potevano eludere per la decisione di un cappello male in arnese.
Milo premette l’ennesimo mattone dell’ennesimo anonimo muro. Si aprì l’ennesimo passaggio segreto. Tossì e gli fece cenno sbrigativo di passare. Al obbedì. Fece appena in tempo a vedere una lingua di fiamme investirlo che fu afferrato da sotto le ascelle come una specie di cucciolo di gatto e tirato indietro, mentre il Magonò calciava il mattone richiudendo il passaggio tra sbuffi di fiamme e fumo.
Scheisse!” Sbottò coloritamente, perché quello era un insulto di sicuro. Ricordava di averlo sentito pronunciare da Meike e il conseguente rimbrotto di Tom. “Passaggio kaputt!”
“Ho notato…” Mormorò controllando di non aver preso fuoco. Sarebbe stato spiacevole. Fortuna voleva che conoscesse un paio di incantesimi ignifughi, insegnatigli da nonna Molly per evitare scottature durante i pomeriggi estivi passati ad imparare a cucinare alla Tana. Non l’avrebbero salvato da un incendio aperto, ma avevano tenuto per qualche fiamme ribelle.

Diversamente però era andata all’altro ragazzo che si guardava le mani con una smorfia dolorante. A giudicare dalla puzza dove esserglisi bruciata le peluria degli avambracci e le mani stesse non erano in condizioni migliori. Gli si avvicinò sollecito, ma lo vide ritrarsi di scatto, fissando la bacchetta. Sospirò: evidentemente non si fidava dei maghi, e a giudicare dalle cicatrici che gli vedeva sulle braccia, notabili ma vecchie, ne aveva ben donde. Quel tipo di cicatrici erano il risultato di fatture.
Non si fida eppure mi ha salvato la pelle. Certo, può averlo fatto per non dover spiegare come sono morto, però…
Non esisteva solo il bianco e il nero al mondo. Quel ragazzo non era un complice di Von Hohenheim, era un suo servitore. E probabilmente una vittima. “Non voglio farti male, voglio curarti. Studio Medimagia.” Spiegò gentile, inventando ma neppure troppo. Dopotutto stava davvero studiando – con molta calma – per il concorso che si sarebbe tenuto l’anno dopo.
Merlino, ora come ora sembra impossibile sedermi in un aula per fare un test.
Mostrò al Magonò la sua migliore faccia innocente, e quello fece una smorfia, facendo cenno di procedere.
Okay. Magonò. Significa che la maggior parte degli incantesimi curativi su di lui non ha effetto.
Puntò la bacchetta in direzione delle mani tese.
Proviamo l’Incantesimo a Fattore Rigenerante. Non funzionerà come per un mago, ma almeno gli darà un po’ di sollievo.
Sorrise quando vide l’altro spalancare gli occhi di fronte al fatto che le sue mani avevano di nuovo pelle sana, anche se leggermente scottata. Doveva però essere un dolore sopportabile a giudicare dal distendersi dei lineamenti. “Dovrai comunque farti curare, era una brutta scottatura.” Lo informò un po’ a caso, dato che non era capito.
L’altro con sua somma sorpresa annuì. “Vielen danke.” Gli fece cenno. “Di qua.”
“Allora mi capisci!”
Gli venne servito un ghignetto che rispondeva ampiamente alla sua domanda.

Merlino, possibile che ho a che fare solo con ragazzi stronzi? Ho un’attira-stronzi in tasca?!
Sbuffò seguendolo di rimando. Non fecero che pochi passi che un’enorme esplosione li gettò a terra.
Al, tra il dolore e la sorpresa, capì immediatamente che si trattava del passaggio che Milo aveva richiuso prima.
Abbiamo costretto l’incendio, ma l’incendio non può essere costretto. Esplode!
Si sentì tirare su di peso dall’altro. “Corri!” Gli urlò in inglese strattonandolo. Il fuoco stava ruggendo alle loro spalle. Albus si tirò in piedi e scattò via con tutte le sue forze.
Ci raggiungerà! Dannazione, siamo un corridoio senza finestre, senza sbocchi, è incanalato!
Milo si gettò sulla porta alla fine del corridoio, ma con orrore si accorsero che era sbarrata. Al tentò un Alohomora ma non si mosse di un millimetro.
Il fuoco stava arrivando e dunque tentò il tutto per tutto. La bacchetta sputò un getto d’acqua violento che si abbatté contro il fuoco facendolo dissolvere in una nube di vapore. Ma lo stava confinando, non estinguendo.
Che razza di fuoco è?!
“Apri quella porta!” Intimò al ragazzo. “Devi aprirla o moriremo!”
L’altro si chinò sulla serratura, estraendo dalla sacca qualcosa di tremendamente simile ad un kit da scasso. Si mise al lavoro, mentre Al si voltava per concentrarsi sull’incantesimo. Era fradicio, la bacchetta era bollente e al di là della cortina di vapore acqueo sentiva il fuoco bruciare.

Non posso morire così, non posso!
Eppure sentiva venir meno le forze, la testa girare. Non era abituato ad usare tutta quella magia, specialmente in così poco tempo. Era stanco, talmente stanco che sapeva che ancora pochi attimi e il getto si sarebbe estinto.
“Sbrigati!” L’altro si voltò, pallido in volto, e poi riprese la sua opera di scasso. Non funzionava, forse c’era una barriera simile a quella che aveva diviso lui e Tom.
Sentì letteralmente la magia finire e chiuse gli occhi.
Merda.
E poi qualcuno lo afferrò per la cintura dei pantaloni e lo strattonò indietro. Il Magonò forse, ma era tutto inutile, la porta non si apriva e…
“Albus!”
Aveva le allucinazioni? Perché non poteva essere suo padre a chiamarlo. Poi di colpo sentì vento fresco tutto attorno a sé. Spalancò gli occhi e vide suo padre e zio Ron circondare lui e Milo a bacchette spianate. Il fresco era dovuto ai getti ghiacciati provenienti dalle loro bacchette; le fiamme vennero congelate.
Papà!” Esclamò voltandosi. Sentì le braccia del genitore avvolgerlo, e strinse con forza di rimando. Un singhiozzo violento gli squassò il petto e non gli importò che questo lo facesse regredire all’età di cinque anni.
C’era suo padre.
“Albie…” Si sentì accarezzare i capelli come un bambino. Ma andava bene, persino l’infamante nomignolo. Alzò il viso e c’era davvero suo padre, i suoi occhiali fuori moda e il viso e duro e deciso dell’eroe. Perché lo era davvero, al diavolo la facile ironia. Era il suo eroe. “È tutto a posto adesso. Come stai?”
Papà … l’unico  uomo a sentirsi in imbarazzo dopo che ti ha salvato la pelle.
“Bene. Adesso.” Gli fece eco, sorridendo all’altro mago. “Grazie… non ce la stavamo cavando granché.” Se c’era suo padre forse voleva dire che molto di quel casino era stato risolto. “Lily?”
“Lily e gli altri sono già fuori. Con loro è rimasta Nora, te la ricordi?” Annuì. Fu davvero la più bella notizia che potessero dargli, date le circostanze. Lily era salva; l’obbiettivo principale di quella missione suicida era riuscito anche senza di lui.   
“È stato un caso trovarti, ti abbiamo sentito urlare. A proposito, lui chi è?” Chiese suo zio facendo cenno verso il Magonò che ricambiò l’occhiata sospettosa con una del tutto strafottente nonostante avesse i vestiti bruciacchiati e tossisse l’anima.  

“È un servitore del castello, mi stava portando…” Non c’era tempo da perdere. “Tom è con Von Hohenheim, papà!”
L’uomo masticò un’imprecazione a mezza bocca. “Pensavo foste assieme.” Disse spazzolandogli quello che restava della sua povera felpa. “Cos’è successo?”
“Ci ha separato una barriera magica.” Spiegò e finse di non notare che suo padre dava per scontato che avesse seguito l’altro. Forse scontato lo era davvero, e non solo ai suoi occhi. “Sono sicuro che è stato quel tipo!”
“Ovvio, voleva che Thomas fosse solo.” Suo padre aveva un’aria omicida meravigliosa, e Al si trovò nella posizione di sentirsi felice che quella rabbia fosse indirizzata verso la persona spregevole che cercava di far del male al loro Tom.

Facciamogliela pagare, papà.
“Va bene.” Gli venne sorriso brevemente, un tentativo poco convinto di tranquillizzarlo. “Adesso zio Ron vi porterà fuori da questo inferno. Io vado a cercarlo.”
“Vengo con te.” Non dovette neanche rifletterci. Perché, poi? Di fronte al formularsi di evidenti obiezioni sulla bocca di suo padre, lo bloccò. “Ho fatto una promessa a Tom, papà. Gli ho promesso che sarei tornato a riprenderlo e intendo mantenerla.” Levò una mano, e ignorò l’aria corrucciata di suo zio. “E poi, andare da soli non è una buona idea. Posso esserti ancora utile papà. Non sono più un bambino che devi proteggere.”
“Ma se vi abbiamo appena salvato la pelle! Stavate per morire!” Giusta obiezione da suo zio Ron purtroppo. Al fece una smorfia, ma suo padre, diversamente dall’altro, sospirò.

Vittoria?
“Va bene. Albus verrà con me.”
“Harry!”

Suo padre scosse la testa all’esclamazione dell’altro mago. “Credo che avrò bisogno di qualcosa di più efficace di una bacchetta per affrontare quell’uomo.” Non disse altro, ma ad Al fu chiaro che lo portava con sé solo perché sapevano entrambi che Tom non sarebbe stato nelle condizioni di ascoltare eventuali ragionamenti razionali. Se l’anno prima la strategia di John Doe era stata metterlo in crisi, era ovvio pensare che anche Von Hohenheim avrebbe seguito quella linea. Non sarebbe stato uno scontro canonico buoni contro cattivi.
Tom quando si premono certi tasti non riesce a rimanere lucido… E sappiamo bene cosa succede quando perde il controllo.
“Non potete andare soli!”
“Lo so, Ron.” Gli sorrise suo padre dandogli una pacca sulla spalla. “Ma tu devi portare questo ragazzo fuori, prima che si senta male. È ferito e gravemente intossicato. E poi, credo proprio che Nora avrà bisogno di una mano quando arriveranno gli agenti locali.”

L’uomo sospirò. “Sai sempre cosa dire quando serve, eh Harry?” Scosse la testa e gli diede una solida pacca sulla spalla in quel segreto linguaggio virile che Al aveva sempre poco compreso. “Cercate di tornar vivi, o Ginny mi ammazza. Voi Potter avete un abbonamento per le missioni suicide, miseriaccia!”
Al si scambiò un’occhiata con suo padre, e quello sorrise appena. “Che vuoi farci. Il sangue non è acqua.” Gli mise poi una mano sulle spalla e strinse appena. “Sei sicuro Al? Da qui non si torna indietro.

Notò la dismissione dell’infamante nomignolo. Doveva esser segno di qualcosa.
“Lo sono, papà. Andiamo a riprenderci Tom.”

****
 
“Ucciderti?”
Gli sembrava impossibile aver udito quelle parole. Eppure il viso di Von Hohenheim non diede segno di fraintendimento.
“Uccidermi.” Inarcò le sopracciglia. “Non è ciò che vuoi? Liberare il mondo e soprattutto te dalla mia presenza?”
Lo era, certo. Lo era ed era spaventoso che l’altro conoscesse i suoi pensieri, quelli più cupi, oscuri.
“I Babbani, esseri inferiori certo, ma meno di quanto ci si aspetti, sostengono che l’uccisione del padre sia un processo dovuto, per la maturità di un giovane uomo.” Sorrise. “Anche se da loro viene inteso in senso metaforico.”
Tom inspirò bruscamente e altrettanto bruscamente respinse la bacchetta. “Non ti ucciderò.”
Ed era vero. Per quanto quel desiderio malsano gli corrodesse le viscere sapeva che alla fine dei giochi non vi avrebbe dato seguito.

Non posso diventare un assassino. Non posso per loro.
Per Harry, Albus e la sua famiglia, per le persone che amava. Non  meritavano di soffrire sapendolo macchiato di una colpa simile, per quanto spregevole fosse stata la vittima.
“Non ne ho bisogno. Morirai comunque. Perché sporcarmi le mani?” Passò le dita sui braccioli della poltrona, trovandoli bollenti. Forse perché si sentiva bruciare.
Uccidilo. Proprio perché è comunque condannato la pena sarà più lieve da sopportare.
È vendetta. Vendicati per quello che ti ha fatto, che ci ha fatto. Che ci farebbe, se potesse.
Negli occhi dell’uomo apparve un lampo di collera, subito soffocato. Scosse la testa. “È una giusta obiezione…” Ammise. “Prendilo dunque come un gesto di misericordia, se preferisci. La mia fine sarà orribile, già sono stato avvertito. Porre fine alle mie sofferenze…”
Perché dovrei?” Ripeté interrompendolo. “Non ti uccido per pietà. Non ti uccido perché non ne ho bisogno. Non provo niente per te.”

Non era vero, non del tutto; provava odio e paura. Quell’uomo gli aveva dato la vita e altrettanto facilmente poteva togliergliela. Usare misericordia su di lui? Mai.
“Torniamo piuttosto alle mie domande… Avrò la vita di un qualsiasi essere umano?”
Il mago fece un cenno dismissivo. Sembrava, per il momento, d’accordo con accantonare la sua richiesta. “Ti stai chiedendo se ti ho dato un’aspettativa di vita maggiore o minore rispetto alla media?”
“Esattamente.”
“Come ho già detto, hai il corpo di mio figlio.” La bacchetta era ancora tra loro e non vi era segno che se la volesse riprendere però. Questo lo rendeva nervoso. “Un corpo umano, il corpo di un mago. Non sono un indovino, non ho idea di cosa il futuro riserberà per te. Ce l’ha forse qualcuno?”

Cadde il silenzio. Tom non riusciva a distogliere lo sguardo dalla bacchetta. Era così diversa dalla sua, così scuro il legno, non anglosassone. Anche la fattura apparteneva alla moda di decenni prima.
Concentrati sui particolari. Non concentrarti sul fatto che potresti ucciderlo e nessuno saprebbe che l’hai impugnata tu. Non è tua, vero Tom?
Nessuno potrebbe mai avere la certezza che sei stato tu. Il ragionevole dubbio, mio caro.
“Così sei deciso a risparmiarmi.” Tom fu riscosso dalla voce. Perdersi in se stesso, aveva davvero ragione Albus, non era mai una buona idea. Si sentiva lo stomaco serrato e la bocca asciutta.
“Non ti ucciderò.” Ripeté. “Non sono affari miei cosa decidi di fare di quel che resta della tua patetica vita.”  
Il mago rise di rimando, lasciandogli l’amara sensazione di non aver afferrato qualcosa. “Speravo davvero di non doverlo fare.” Era un bluff, decretò. Era la frase che preludeva ad un bluff. “Checché ne dicano i miei detrattori, odio arrivare a misure estreme.”
“Non c’è niente con cui tu possa ricattarmi.” C’era, c’era eccome se Von Hohenheim dava mostra di capirlo così bene. L’aveva spiato, il maledetto. Era certo che aveva passato quei quasi due anni a carpire informazioni su di lui come uno sparviero avrebbe studiato la propria preda.

Von Hohenheim prese la bacchetta e con un lieve cenno – che lo fece comunque impallidire per lo sforzo – appellò a sé quello che sembrava un bacile d’argento profondo poche dita.
“Un Pensatoio…”
“La funzione è simile.” Convenne, prima di pronunciare qualche parola in latino e sfiorare la superficie con la punta della bacchetta. Essa si riempì di un liquido azzurrino. “Saresti così cortese da guardare?” Gli chiese. “Ti posso assicurare che non corri rischio. È solo uno schermo.”  
Tom gli lanciò un’occhiata ma aveva colpito un altro dei suoi punti deboli; la curiosità vorace. La superficie si fece brumosa e in pochi attimi si palesò, davvero come in uno schermo televisivo, un corridoio. Un corridoio invaso dal fumo.
“Lo riconosci?” Chiese Von Hohenheim, che neppure guardava ma sembrava non ve ne fosse bisogno.
“È un corridoio di questo castello.” Intuì. “Perché me lo stai mostrando? Cos’è questo fumo?”
“È fuoco.” Una risposta semplice eppure spaventosa. Tom ci mise più di qualche attimo a realizzare cosa stava dicendo l’altro.
“ … Incendio. C’è un incendio?” La cascata di conseguenze lo investì come un tifone. Era bloccato su una torre, ma gli altri? Erano riusciti ad uscire?
“Non è vero, mi stai mentendo.” Non poteva aver dato fuoco al suo stesso castello con lui dentro.
Come se non volesse morire, eh Tom?
“Immaginavo avresti pensato ad una menzogna. Guarda pure fuori dalla finestra. Aprila, se preferisci, così sarai certo che non l’ho incantata.”
Tom si alzò di scatto dalla poltrona, tirò le tende pesanti a mani nude, sentendole sganciarsi dai supporti perché erano fatte per aprirsi con la magia. Spalancò la finestra che si apriva sulle merlature del castello. Merlature invase dal fumo, finestre sfondate dalla furia del fuoco e fiamme, fiamme ovunque.  

“Se ti chiedi perché questa zona non sia stata colpita la risposta è semplice … C’è una barriera. Non so per quanto resisterà, ma dovrebbe darti sufficiente tempo per scappare.”
Tom non riusciva a distogliere lo sguardo da quello spettacolo orribile. Non ascoltò neppure parola dell’altro. Perché non gli importava.
Gli altri … Al. Sono riusciti a scappare?
Harry … no, non può essere venuto a cercarmi. Non può. Non deve.
Avevano un vantaggio consistente su di lui. Persino Al doveva essere riuscito a tornare indietro e ricongiungersi a Lupin, Malfoy e le due ragazze. Anche Lily, naturalmente.
Dovevano aver avuto tempo prima dell’incendio.  
“Dove sono?” La voce non sembrava neanche la sua. Sentiva la bacchetta bruciare nella tasca del mantello. “Dove sono i miei amici?” Non ebbe risposta. “Dimmelo!” Ringhiò  e vide le candele accanto a lui tremare violentemente; no, non andava bene. La sua Magia stava reagendo troppo velocemente al suo stato d’animo.
Sta’ calmo. Mantieni la calma.
Neppure le tecniche che gli aveva insegnato Cordula sembravano servire.
L’uomo sorrise appena. “La bacinella, Thomas. Ha risposte più efficaci delle mie. E temo che a me non crederesti.”
Si gettò su di essa e quella, quasi avesse recepito il suo desiderio, si fece torbida di nuovo e mostrò, quasi fosse uno Specchio delle Brame al contrario, proprio ciò che non desiderava vedere.
C’era Albus in compagnia di un ragazzo biondo che non aveva mai visto ma indossava vesti da servitore. Correvano rincorsi dalle fiamme. Albus cadeva, si rialzava e poi arrivavano ad una porta. La porta era chiusa, non riuscivano ad aprirla. L’immagine cambiò di nuovo. Lupin, Malfoy, quella matta di Dominique e Lily avanzavano in mezzo al fumo, tossendo e incerspicando. Non riuscivano a respirare. Di nuovo. Harry e Ron venivano investiti da una cortina di fumo.
Sono dentro. Non sono riusciti ad uscire.
“È una menzogna…” Sussurrò e no, la voce non sembrava proprio la sua. Trasfigurata in qualcosa di meccanico e orribilmente privo di emozioni. Non per molto, comunque. Si conosceva abbastanza bene per sapere che sarebbe arrivato il momento. Quel momento, in cui lui e l’Altro erano una cosa sola, la stessa persona.  
Voldemort.
“Nella mia condizione non sono in grado di creare visioni così dettagliate. Vedi la realtà, Thomas. Solo quella.” Disse l’uomo con calma surreale. Non vedeva la sua faccia? Non capiva che gli stava facendo vedere il suo peggiore incubo?
Moriranno per colpa tua, Tom. Lily è stata rapita a causa tua, Al ti ha seguito, gli altri sono qui perché tu esisti. Moriranno perché esisti.
Tutto per colpa tua. Ancora una volta, porti morte.
Si allontanò di scatto dal tavolino, con violenza e questo si rovesciò  mentre il bacile cadde a terra con un rumore metallico spargendo liquido azzurrino sul tappeto. Von Hohenheim non batté ciglio. “Ritira l’incendio!” Gli intimò. “Richiama quelle fiamme!”
“Non posso.” Si guardò le mani e la bacchetta che giaceva tra di esse. “Non sono stato io a scatenarlo e anche se ne fossi in grado e non lo sono, non lo farei.” Discorreva. Sembrava parlare del più e del meno e non di vite umane.
Eri così, Tom. Eri così anche tu.
“Moriranno!” Era patetico, se ne rendeva conto. Von Hohenheim non sorrideva, ma lo guardava piuttosto come un insetto curioso. Chissà, forse non si era aspettato la sua disperazione.
“Quello che hai visto non era in tempo reale. È accaduto venti minuti fa. Sono già morti.”
Qualcosa dentro di lui si ruppe. Una diga, o forse, se si voleva esser precisi, il suo cuore.
Con un cuore rotto non si andava avanti. Non si sentiva, non si provava niente.
Era ora, ragazzo. Dormi, e lascia fare a me.
 
****
 
Entrare nella sezione della torre padronale e non trovarvi né fumo, né calore, né tantomeno fiamme era stato un sollievo, quanto un inquietudine. Significava che erano nel posto giusto, ma anche che di lì a poco avrebbero dovuto confrontarsi con un mago considerato uno stregone, per le sue capacità.
Non era Silente ad esser stato nominato Stregone? È l’unico che conosco.
“Al, tutto a posto?” Gli chiese suo padre stringendogli il braccio, sia per sentirlo, sia per assicurargli che c’era. Al gradì molto.
“Sì, un po’ affumicato, ma quest’incantesimo americano è fantastico!” L’aria era viziata all’interno della bolla, ma c’era ossigeno e questo bastava. Ad un cenno di suo padre la sciolse però; ora potevano respirare agevolmente anche senza l’aiuto della magia. Quest’ultimo sembrava persino più teso di quando erano nuovamente entrati nell’incendio.
“Papà, che c’è?”  
“Sono preoccupato per Tom.” Sorrise appena. “Ovvio, no? Dai, andiamo.”
“C’è qualcos’altro.” Non appena lo ebbe detto realizzò che era vero, da come venne guardato. “Hai … hai paura che Tom faccia qualcosa di stupido?” Tentò di indovinare.

Suo padre serrò la mascella. “Al, Tom è… lo sai com’è. È particolare, non è…”
“So che ha l’anima di Voldemort. Che in un’altra vita è stato … quel tizio.” Replicò tranquillo, o almeno fingendo di esserlo. Lo sguardo di suo padre non doveva farlo vacillare. “Ma non è Voldemort. Giusto?”

“Giusto…” Si morse un labbro. “Non intendevo dire questo, comunque. Ti ricordi la faccenda degli Horcrux, vero? Come sono stati creati, intendo.”
Al annuì, mentre un brivido spiacevole gli correva lungo la schiena. Come poteva dimenticarsi di quella tecnica orribile, anche se la conosceva solo a grandi linee.

E non intendo approfondire la cosa, grazie.  
“L’anima di Voldemort è stata divisa sette volte. Tom ha … è…” Si corresse mentre salivano le scale. Parlare sì, ma non perdere tempo. Era questo che adorava di suo padre. “ … è il settimo pezzo. Non sono un esperto, non so come funzioni, ma… credo sia questo a renderlo diverso da noi.”
Vero.

Tom l’anno prima era stato pesantemente influenzato dalla Pietra della Risurrezione e forse lo era stato proprio perché non era tutto intero. Era stato influenzato e messo sotto Imperio da John Doe non perché fosse un mago debole. Tutt’altro.
È la sua anima ad esserlo.
“Pensi che possa di nuovo esser messo sotto maledizione?”
Suo padre non si voltò, continuando a salire. Faceva fatica a stargli dietro, ma non perse il passo. “No, non è questo di cui ho paura. Non solo almeno.”
“Allora cosa?”
Lo sentì sospirare profondamente. Non si voltava e forse era perché non voleva fargli vedere quanto angosciato fosse.
Come se non lo capissi.
“Ho paura che la sua anima sia molto più a rischio della mia o della tua, in certe situazioni. È più facile … che si perda, capisci?”
Ad Al venne da rimettere. Non era giusto; Tom aveva vissuto diciotto anni forse non perfetti, ma da essere umano che lottava ogni giorno contro i propri difetti.
Non era giusto che la sua anima contasse così poco.
“Non la perderà. Forse sarà un po’ malridotta, ma adesso appartiene ad una persona buona.” Disse con tono sicuro, tanto che suo padre si voltò per guardarlo. “Lo so, papà. Lo conosco.” Fece una breve pausa. “E comunque non glielo permetteremo, giusto?”
Suo padre sorrise. “Giusto.”
Un rumore improvviso, di qualcosa di metallico che cadeva sopra le loro teste li fece sobbalzare. Non si dissero nulla; solo, presero a correre.
Tom!
Ad Al sembrava di non avere più le gambe quando arrivarono in cima a quella torre infinita. Suo padre non perse tempo. Con un incantesimo che non gli aveva mai visto fare, ma che doveva appartenere all’arsenale super-segreto degli Auror, scardinò la porta che crollò con un tonfo. La saltò, entrando dentro. Lo seguì a ruota.
Si trovarono di fronte una scena che avevano paventato.
Tom teneva la bacchetta puntata al petto di un uomo seduto su una poltrona, disarmato. Gliela teneva puntata così forte che la stoffa della veste si era bruciata tutta attorno.
Tom!” Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
L’interpellato non si voltò neppure, e Albus capì di colpo cosa aveva temuto suo padre. Alla luce impietosa del giorno – la finestra era aperta e rifletteva il pomeriggio nevoso – gli occhi di Tom erano rossi.
No, no, non di nuovo!
Non era Imperio, o lo era. Non aveva importanza. Ciò che importava era che il ragazzo di fronte a loro aveva di nuovo perso il controllo, lasciando che quel poco che era rimasto di Voldemort si impadronisse di lui.
“Dannazione…” Sentì mormorare suo padre. “Thomas, allontanati da Von Hohenheim!”  
L’uomo – che dunque era il mostro – fece un quieto sorriso, senza neppure guardarli. Li aveva sentiti, e gongolava. Voleva morire? Perché?
“Avanti. Sei venuto qui per un motivo e adesso hai anche la possibilità di esaudire il tuo desiderio. Fallo.” Serrò le dita sulla punta della bacchetta, spingendosela contro. “Uccidimi.”
No, non è vero! Non è venuto qui per ucciderti!
Un ghigno orribile deformò il viso di Tom. Si era sbagliato; voleva. Qualsiasi cosa avesse detto o fatto quel mago disgustoso, lo aveva spinto a desiderarne la morte. Ma Al era certo che anche se l’altro ci aveva pensato, non avrebbe mai agito.
Non è capace di uccidere. Non vuole più uccidere. Tu non lo conosci!
Vide con la coda dell’occhio suo padre puntare la bacchetta in direzione dei due. “No, papà! Se tenti di disarmarlo…”
“Lo so, potrei innescare una reazione con la sua bacchetta e far partire l’Avada.” Non c’era dubbio che volesse usare L’Anatema Che Uccide a giudicare dalle scintille che già gli sprizzavano dalla bacchetta. Erano verdi. “Ma Al, non c’è altro modo. Non posso stare a guardare mentre…”
“C’è!” Insistette interrompendolo. “Dobbiamo farlo tornare in sé!” Si voltò verso questo. “Tom, razza di cretino! Guardami! Non devi ucciderlo, è quello che vuole!”

Lo vide aggrottare le sopracciglia. Una parte di lui sembrava ancora connessa con la realtà circostante, e dunque doveva averli sentiti. Solo c’era qualcosa che lo bloccava.
Cosa? Cosa l’ha mandato fuori di sé?
“Morti…” Mormorò. “Sono tutti morti per colpa tua…”
Ed ecco la soluzione.

Gli ha fatto credere che siamo morti nell’incendio!
“No, razza di stupido!” La bacchetta aveva scintille sempre più ravvicinate, sempre più verdi. “Non siamo morti, siamo salvi. Tutti!” Di nuovo una leggera smorfia e stavolta il ghigno vacillò e si spense. Gli occhi però era ancora rossi. Un dannato rosso rubino. “Guardami, sono qui davanti a te!”
“Al, continua…” Sussurrò suo padre. “Continua, sta’ funzionando.”
A lui non sembrava. Le scintille c’erano ancora e così l’espressione di trionfo di Von Hohenheim. Ma fosse dannato se si sarebbe arreso. Doveva trascinare Tom fuori dagli abissi della sua coscienza prima che perdesse per sempre l’uscita.

Un omicidio. Un omicidio danneggia l’anima di chi lo compie.
La sua è convalescente. Reggerebbe il colpo?
“Ti ho promesso che sarei tornato a prenderti, no?” Fece qualche passo nella sua direzione e vide l’altro irrigidirsi. Aveva sentito la sua presenza, anche se solo fisicamente.
Andiamo, idiota! Andiamo!
“Te l’ho promesso … eccomi qui. Non potrei mai morire in modo così cretino ed abbandonarti!” Si umettò le labbra mentre sentiva lo sguardo di suo padre su di sé.
Al diavolo.
“Io mantengo le mie promesse. Sempre. Quindi mantieni la tua e torna da me. Adesso.” Forse non era il caso di dare ordini a qualcuno che non sembrava neanche notificare la tua presenza.
Eppure.
Tom fece una smorfia di dolore, come se qualcosa lo avesse colpito. E finalmente si voltò nella loro direzione. Fu come vederlo prendere in faccia una secchiata d’acqua. Sgranò gli occhi e inspirò bruscamente. “Al…” Sussurrò. “Sei…”
Bentornato, cretino – gli veniva da piangere, ma il sollievo era ancora fuori luogo. “… vivo.” Terminò per lui. “Sono un Potter, ho nove vite come i gatti, non lo sai? Siamo vivi, tutti. Gli altri sono al sicuro.”

Suo padre abbozzò un sorriso, senza però togliere lo sguardo o la bacchetta in direzione dallo stregone.
“Thomas, allontanati.” Disse pacato. “E abbassa la bacchetta.”
Tom si guardò la mano e poi Von Hohenheim. Dovette realizzare cosa stava per fare, perché si tolse come se fosse sui carboni ardenti. “Figlio di puttana!” Ringhiò. “Aveva detto…”
“Che Al e gli altri erano morti nell’incendio.” Annuì suo padre. “Ho capito benissimo la situazione. Lascia che sia io ad occuparmene.”
Tom non se lo fece ripetere due volte. Gli si mise accanto senza una parola, e Al provò il desiderio violento di stringerlo, e baciarlo fino a togliergli il respiro. Scoppiare a piangere, eventualmente.

Non era il momento.
Dopo. Tu, da camera, non esci per una settimana.
“Ciao.” Disse invece. “Sei un idiota.”
L’altro sorrise appena e c’era un intero universo di sentimenti dietro quel sorriso. Scommetteva dieci galeoni che Von Hohenheim non l’avrebbe mai saputo notare. Per questo aveva perso. Aveva visto solo una delle centinaia di sfumature che componevano Thomas Dursley.

“Ho come l’impressione che tu me l’abbia detto almeno dieci volte negli ultimi cinque minuti.”
“È perché non mi ascoltavi.” Si morse le labbra, mentre l’altro gli stringeva forte il polso. “Dovevo ribadire il concetto. Spero che adesso sia chiaro.”

“Chiarissimo.”
Von Hohenheim aveva perso tutta la sua aria trionfante. Sembrava preso da una furia indicibile, per quanto non sembrasse intenzionato a far nulla. Al capì. Non poteva. Sembrava un sacco vuoto su quella sedia.
“Sta morendo.” Mormorò Tom indovinando i suoi pensieri.
“Questo non lo salverà dalla prigione.” Si intromise suo padre, tenendo il mago sotto tiro.  
“È così Thomas?” Lo apostrofò con gelido disprezzo. Ad Al non sfuggì l’intensificarsi della presa sul suo polso. La sciolse e gli afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue. “Alla fine ti sei rivelato un debole. Ti sei fatto convincere dalle parole di un ragazzino.”
Tom inaspettatamente inarcò le sopracciglia. Guardo lui e poi guardò l’uomo che diceva di essere suo padre. Al non aveva mai visto nessuno più lontano da quel concetto.

“Non sono debole.” Replicò pacato. “Sono un essere umano.”
Quella frase fece scattare qualcosa nel volto dell’uomo. Si incendiò, letteralmente, di furia. Con un urlo disumano si gettò sulla bacchetta posata sul tavolo.
No!
Suo padre però non era un ragazzino paralizzato dalla sorpresa e dalla paura. Afferrò la bacchetta e si frappose tra loro e il mago.
“Expelliarmus!”
Il suo marchio di fabbrica, il suo incantesimo preferito. Un lampo di luce attraversò la stanza e colpì Von Hohenheim in pieno petto, sbalzandolo un metro più indietro. Questo, con espressione dolorante e sorpresa incespicò senza equilibro. Incespicò verso la finestra aperta dietro di sé.
A volte le morti avvenivano a rallentatore, o almeno questa era la percezione di alcuni. A volte invece in un battito di ciglia.
Fu in un battito di ciglia che l’uomo, il mago, lo stregone e il capofila della Thule attraversò la finestra e precipitò nel vuoto.
Al vide suo padre tentare di andare in suo soccorso e quasi cadere lui stesso, prima di afferrarsi alla ringhiera e frenarsi. Corsero anche loro verso il parapetto.
Alberich Von Hohenheim giaceva parecchi metri più sotto, scomposto come un burattino, sul tetto, morto.
Si voltò verso Tom e gli prese il braccio, senza dire niente. L’espressione dell’altro era indecifrabile. Era dentro che gli si stava scatenando una bufera.
Fu suo padre a rompere il silenzio. Senza una parola gli passò un braccio attorno alle spalle e se lo tirò contro. “È finita.” Disse, e con quel tono lo era, finalmente. “È morto Tom. È finita.”
L’espressione del Ragazzo Che Era Nato Due Volte ebbe un fremito e poi si ruppe in un singhiozzo. Forse era la prima volta che suo padre vedeva Tom piangere. Non diede adito alla minima sorpresa però, e strinse solo l’abbraccio.
Dopotutto, era quello che faceva un vero padre.
 
 
****
 
Note:

Gente, ci siamo. Questo era l’ultimo capitolo. Ultimo sul serio.
(Cioè, poi ci sarà l’Epilogo. Ci sono ancora due o tre cosette da spiegare. ;D)

Questa la canzone che fa da leitmotiv al capitolo. Direi che è perfetta, specialmente il testo che vi invito a guardare. Un grazie a Blankette_Girl e alla sua cultura musicale, sempre impeccabile, per avermela suggerita.
1.Verso della poesia “Se” (If) di Rudyard Kipling, più conosciuto per aver scritto ‘Il Libro della Giungla’ e ‘Capitani Coraggiosi’.
2.“È un violino, un semplice violino!” letteralmente, la traduzione.
  
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