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Autore: Sylphs    25/07/2012    5 recensioni
I Lawrence, antica, ricchissima e corrotta famiglia svedese, si sono macchiati di innumerevoli peccati, il peggiore dei quali è stato l'imprigionamento del figlio quartogenito Raphael, trasformato in un mostro da un patto stretto dal padre e per questo nascosto al mondo. Quindici anni dopo che ha ucciso il genitore e il terzo fratello, fa ritorno alla dimora di famiglia per vendicarsi definitivamente e pretendere di essere riconosciuto e, a questo scopo, rapisce la fidanzata dell'unico fratello rimasto in vita, Jesper, ricattandolo con la vita di lei. Ma Jesper, alleatosi con la cognata Christine, ha bisogno della ragazza per motivi ben più oscuri di un semplice matrimonio, motivi legati al passato, ed è deciso a riprendersela, mentre lei e Raphael si scoprono più complici di quanto credessero e una bambina coraggiosa decide di indagare.
Sequel della mia storia "Follia d'amore e d'oscurità", ispirata al celebre romanzo "Il Fantasma dell'Opera" di Gaston Leroux.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore di sangue'
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Capitolo 2
 

 
 
 
 
 
“Non capisco perché mai dobbiate sempre propinarmi la carne. Quante volte devo dirvelo che sono diventata vegetariana?”
L’ampia sala centrale del castello dei Lawrence era immersa in una penombra rarefatta. Il silenzio era rotto soltanto dai passi dei domestici che andavano e venivano, recando sontuose portate e sostituendo bottiglie vuote con altre piene che spargevano tutt’intorno fragranze di fragole e d’uva. I commensali, costretti per l’ennesima volta ad una cena cui partecipavano controvoglia, somigliavano ad una grottesca accozzaglia di individui totalmente diversi e incompatibili l’uno con l’altro che si ostinavano, per rispettare l’educazione, a dividere il loro tempo insieme pur non facendo nulla per riempirlo in maniera costruttiva. Le posate in argento sterling urtavano contro la fine porcellana dei piatti e i pezzi del pollo arrosto che era stato appena servito venivano masticati con esasperante lentezza e innaffiati con sorsi di vino e acqua fresca.
Hannah Ullmann, la sorella minore di Harriet, un’adolescente in gonna corta con un taglio scalato di capelli castano chiari e una smorfia scontenta sul viso brufoloso e poco interessante, piluccava nel piatto con aria disgustata e spingeva ai margini la carne, gli occhi malamente bistrati di matita nera che parevano aver preso un violento pugno e le unghie smaltate di un verde aggressivo: “Mi viene da vomitare” bofonchiò melodrammatica, afferrandosi il ventre rotondo ed esibendo una smorfia di ripugnanza: “Come fate a voler mangiare un cadavere?”
“Hannah, smettila” sibilò la madre, Lisbeth, a voce bassa e minacciosa, fulminandola con una delle sue famose occhiate assassine e, nel contempo, rivolgendo un sorriso falso e amabile a Jesper e Christine, così colmo di ruffiano calore da far venire il latte alle ginocchia d Harriet, che sedeva rigida alla destra del suo fidanzato. Odiava quei pasti, quei silenzi e quell’astio inespresso che aleggiava costantemente sopra al tavolo, odiava le lagne infantili di sua sorella e gli sguardi di avvertimento della madre, e odiava dover recitare la parte di quella brava e zitta che non dava problemi e che mangiava la sua cena senza disturbare nessuno, per poi andarsene a capo chino. Per fortuna almeno Erin non sottostava alla tortura, lei consumava i suoi pasti nelle cucine un’ora prima di loro perché Christine non sopportava la sua vocetta penetrante.
Ovviamente Hannah non smise. Harriet non capiva se quella storia del vegetarianismo fosse una tecnica per attirare l’attenzione o una delle morbose fissazioni della sorella dopo “Lost”, “Twilight” e i tatuaggi, destinata a sparire nel giro di poco tempo: “No, mamma, il mio è un discorso molto serio. E facendo così tu non fai altro che incoraggiare la morte degli animali, chiudi gli occhi su una realtà fin troppo grave e vivi consapevolmente nella beata ignoranza. Ma chi non vuole vedere è colpevole quanto chi uccide! Lo sai come allevano i polli e a cosa li sottopongono? Su youtube ho visto un video che…”
“Hannah, non a tavola” sussurrò Harriet con tono pacato, bevendo un sorso d’acqua dal suo bicchiere. L’ultima volta che la ragazzina si era lanciata in una delle sue truculente descrizioni degli abusi subiti dagli animali, Christine aveva vomitato e l’aveva accusa violentemente di averle rovinato la salute (in realtà la giovane sospettava che la vera causa fosse stata la bottiglia di bourbon che la moglie di Jonas si era scolata nel pomeriggio), e pur ammettendo che a volte sua sorella riusciva ad essere davvero esasperante, non sopportava di vederla sgridata da quella donna orribile. Come prevedevasi Hannah si girò di scatto a guardarla con un lampo di collera negli occhi marrone muschiato e spinse via il suo piatto pieno: “Non a tavola cosa? Guarda che è una realtà! Esattamente come lo sono l’olocausto e l’omosessualità e le guerre…dovete sapere a cosa acconsentite mangiando questo schifoso pollo!”
“Una parola di più e ti sbatto in camera tua!” esclamò Lisbeth stringendo la forchetta tanto forte da sbiancarsi le nocche. Lanciò uno sguardo languido al giovanotto seduto a capotavola: “Scusala davvero, Jesper. Ma sai, alla sua età…”
Harriet si stupiva che il suo fidanzato non si innervosisse o non pretendesse il silenzio come faceva di solito. A dire la verità, non sembrava neppure accorgersi del diverbio delle Ullmann. Se ne stava con aria beata e assorta a fissare ora il soffitto, ora Christine che aveva preso posto di fronte a lui e si era messa tutta in ghingheri, con un camicetta bordeaux dalla vertiginosa scollatura e un paio di leggins aderentissimi. Il sogno di ogni sporcaccione, pensò Harriet disgustata passando poi ad osservare Jesper, bellissimo e ben consapevole di esserlo con la sua carnagione candida, i lineamenti regolari, i pettorali scolpiti e i vispi occhi celesti che brillavano da sotto la chioma biondo scura. La prima volta che aveva posato gli occhi su di lui era rimasta incantata dalla sua prestanza e aveva pensato che sarebbe riuscita ad amarlo… ma aveva una luce strana nello sguardo, un che di triviale nel sorriso che le sollecitava brividi.  Sembrava sempre nascondere qualcosa, celare marciume e insania dietro al suo viso da bravo ragazzo. Eppure era incredibile l’effetto che faceva alle donne: sua madre lo fissava come un cucciolo che vuole farsi benvolere, Christine si leccava letteralmente le labbra e persino Hannah assumeva tutto un altro atteggiamento in sua presenza, gesticolando, alzando la voce e tirando spesso in dentro la pancia pienotta per apparire più magra. Persino lei si sentiva obbligata a sfiorarlo quando le passava accanto, a guardarlo, a seguire la sua scia.
Aveva qualcosa di demoniaco in sé, e il sentimento che Harriet nutriva per lui poteva essere descritto con le parole odio-amore. Del resto, essendo opposti si completavano a vicenda, ed erano due emozioni altrettanto forti e divoranti. Sicuramente non riusciva ad essergli indifferente come avrebbe voluto, altrimenti non avrebbe avvertito l’impulso di ucciderlo non appena lo vedeva amoreggiare con altre ragazze. Ne era gelosa e allo stesso tempo il pensiero che potesse metterle le mani addosso la disgustava…che cosa provava veramente?
“Vuoi mandarmi in camera mia come se avessi tre anni?” intanto il litigio tra Hannah e Lisbeth proseguiva: “Per quanto ancora mi terrai rinchiusa in questa tomba? Non c’è nemmeno uno straccio di pub ad un miglio di distanza!” la ragazzina afferrò rabbiosamente il proprio iPhone e mostrò lo schermo vuoto: “Non ricevo sms da cinque giorni! Cinque giorni! Si dimenticheranno tutti di me, rimarrò sola come un cane!”
Gli occhi opachi della madre promettevano percosse e sfoghi non appena fossero state lontane dai due Lawrence persi in un universo a parte, ma Harriet decise di intervenire per placare le acque, come faceva sempre. Hannah apparteneva a quella categoria di adolescenti ossessionati dalla popolarità, dall’approvazione altrui e dalle esperienze sconsiderate, troppo insicuri e sperduti per costruirsi una propria identità e alla deriva in un mare la cui corrente veniva decisa dai media e dalla moda, e avendo amato anche lei, all’epoca, divertirsi così (anche se con meno foga), capiva che non doveva essere facile per la sorella adattarsi a quella nuova e assurda situazione, ad una sorella ventiduenne in procinto di sposarsi e ad un maniero cupo e solitario.
“Klaus ti ha chiamata?” le domandò cambiando argomento, riferendosi al ragazzo con cui l’altra era uscita negli ultimi tempi.
“No!” sibilò Hannah mordendosi forte le labbra: “Che ti aspettavi?” Jesper pareva completamente fra le nuvole, per cui osò: “Dopo questa storia mi considerano tutti una sfigata! E figurati se rimane con me, grassa come sono…”
“Tu non sei affatto grassa” la consolò Harriet con fermezza, convinta di ciò che diceva. La corporatura morbida di Hannah le si addiceva, la rendeva addirittura più bella. Era proprio come doveva essere…ma sua madre, attaccata ai cliché, glielo aveva fatto pesare fin da quando era piccola ed ecco qui i risultati. Capiva fin troppo bene perché Lisbeth andasse tanto d’accordo con i Lawrence: come loro era una maniaca della bellezza classica e asettica. Figurarsi che con finta ironia soprannominava lei “totem” a causa della sua alta statura.  
“Non verrà nemmeno alla festa di Halloween!” proseguì la ragazzina, affranta: “Ed io avevo comprato un costume stupendo apposta per farmi vedere da lui!”
Jesper emise un lieve gemito. Aveva rovesciato la testa leggermente all’indietro e un sorriso appagato gli si era impresso sulle labbra, mentre Christine, lì di fronte, era sempre più protesa in avanti, tanto che le si vedevano i seni attraverso la scollatura.
Harriet venne assalita improvvisamente da un sospetto fortissimo. Fece cadere ad arte una posata e si chinò a raccoglierla, con una sensazione sgradevole nel petto. E lì vide quel che si aspettava: il piede nudo di Christine stava massaggiando, dall’altra parte del tavolo, le intimità del suo fidanzato. Un indescrivibile gelo le scese nel cuore e strinse forte le labbra, costringendosi a rialzarsi come se niente fosse e a riprendere il suo posto. Si allungò per pescare dal cestino posato al centro del tavolo un pezzo di pane, e si accorse rabbiosamente che le tremavano le mani mentre se lo accostava alla bocca. Si obbligò a respirare profondamente per riprendere la calma, strinse e rilasciò i pugni più volte, resistendo al folle impulso di tirar via di scatto la tovaglia di purissimo lino bianco e di fracassare a terra l’argenteria e le porcellane di famiglia, palesando a tutti la beffa che stava avendo luogo sotto il suo stesso naso. Davvero la credevano così stupida? Davvero pensavano di burlarsi di lei in quella maniera, sbattendole in faccia l’infelicità della sua situazione?
Quella sgualdrina e quel bastardo non sapevano nulla di lei, dei suoi sogni, dei suoi sentimenti, delle sue aspirazioni. Soddisfavano la reciproca lussuria lì, accanto a lei, al suo stesso tavolo, e per salvare la sua famiglia doveva fingere di non vedere, fare buon viso a cattivo gioco, sorridere e consumare il suo pollo come se tutto andasse bene e non potesse desiderare altro dalla vita. Oh, se solo avesse potuto agguantare il coltello e castrare quello stronzo così ingiustamente bello…o prendere per i capelli la futura cognata e ficcarle la faccia nella scodella del purè…le prudevano le mani dal desiderio di farlo, ma si dominò.  
Un giorno, le disse la sua parte calcolatrice, un giorno, quando ti sarai assicurata la tua parte di patrimonio, ti rifarai. Non dimenticare che a breve tornerà il marito di quella puttana e che avrai un’ottima arma da usare contro di lei.
“Vuoi del vino, Christine?” la ragazza riuscì addirittura a dare alla propria voce un’intonazione gentile, prendendo la bottiglia e inclinandola sopra al calice della donna. L’altra si riscosse appena, staccò con estrema fatica gli occhi dal volto di Jesper e le gettò un’occhiata a metà tra l’infastidito e il distratto: “Scusa?” le domandò sgarbatamente. Harriet continuò a sorridere come se niente fosse: “Ti domandavo se volevi del vino”.
E se cordialmente bevendolo potresti strozzarti e crepare.
“Sì, sì, cazzo!” sbraitò la donna con rabbia. A giudicare dalla sua espressione stizzita e da come Jesper stava tornando presente a se stesso, doveva averla interrotta. Meglio così. Le versò il liquido rosso scuro con generosità e la osservò afferrarlo, portarselo alla bocca con uno scatto nervoso e tracannarne il contenuto in un sol sorso.
Una vera signora, non c’è che dire!
Jesper le sorrise, dedicandole finalmente la sua preziosa attenzione, e appoggiò la mano aperta sul tavolo, facendola scivolare nella sua direzione. Un chiaro invito a prenderla. L’orgoglio le ordinava di ignorare il gesto e di fulminarlo con lo sguardo, ma c’era quel qualcosa in lui…quel qualcosa di non umano…come se il suo fascino gli fosse stato donato da forze malvagie… che la attirava inesorabilmente, e si ritrovò, con sincera umiliazione, ad intrecciare le dita alle sue, pelle contro pelle, e a fremere a quel contatto, di un misto di desiderio e repulsione.
“Harriet, Harriet” sussurrò, portandosi la palma della giovane alle labbra e depositandoci un bacio lungo e intenso, mentre gli occhi azzurri, identici a quelli del padre, non abbandonavano neppure un istante il suo viso: “Sempre così generosa e disponibile”.
Lei ritrasse bruscamente la mano e se la strofinò, non sapeva se per cancellare il ricordo del bacio di lui o per mantenerlo vivo. Era convinto di farsela buona in quella maniera, di poterla sedurre come faceva con tutte le altre sue conquiste? Si sbagliava di grosso. Forse lo desiderava, del resto tutte lo desideravano ed opporsi a quel comando era pressoché impossibile, ma non gli avrebbe concesso il suo amore. Non sarebbe caduta così in basso. Non sarebbe divenuta un fantasma pallido e servizievole come Ingrid, pronto ad accorrere ad ogni cenno del marito.
Si alzò bruscamente dal tavolo e borbottò: “Non mi sento molto bene. Scusatemi”.
 
“Perché proprio lei, Jesper? Perché non un’altra?”
Christine era mezza distesa sul letto del giovane Lawrence, le gambe nude sensualmente accavallate e i lunghi capelli rossi sparsi sui guanciali di seta come una colata di fiamme, vestita unicamente della sua camicia da notte di raso e con le lunghe dita curate strette intorno ad un bicchiere di cognac. Drappi di velluto color porpora e pregiati tappeti persiani donavano alla stanza del giovane un che di esotico e lussurioso, e dinnanzi all’ampio letto a baldacchino era appeso un ritratto di famiglia, in cui Hugo e Ingrid, circondati da Jonas, Jesper e Viktor, scrutavano il vuoto con visi fermi e inespressivi. Il loro secondogenito emerse dal bagno con i capelli umidi per il bagno e l’accappatoio che lasciava intravedere i muscoli del petto.
Christine era più vecchia di lui di alcuni anni, ma si sentì immediatamente la gola arida e un crampo di desiderio le trafisse i seni. Buon Dio, quel giovane era un invito alla libidine, e ne aveva conosciuti di uomini nella sua vita! Era nata nel fango e si era sottoposta alle umiliazioni più terribili pur di sollevarsi da esso e scrollarselo di dosso, pur di non sentire più lo sguardo compassionevole della gente puntato addosso e la propria miseria, aveva venduto se stessa in tutti i modi possibili e aveva pensato unicamente al suo obiettivo, i soldi. L’unica cosa che davvero contasse, l’unica cosa che non necessitava di alcun coinvolgimento emotivo…i soldi e la bellezza. Se ripensava agli uomini vecchi e avidi a cui aveva abbandonato il suo corpo in cambio di favori, alle loro mani rugose addosso, provava soltanto un vago senso di repulsione. Sacrifici necessari, incidenti di percorso che le avevano permesso di evadere da una vita che odiava e di cui annegava il ricordo nell’alcol. Ora era diversa da quella Christine, era migliore. Aveva sposato un uomo che non amava e gli aveva dato una figlia a cui non poteva voler bene, ma viveva nel lusso e non doveva più patire la fame, non doveva più accapigliarsi per pretendere il suo posto nel mondo. Niente veniva regalato, tutto aveva un suo prezzo. E lei non aveva mai esitato a pagarlo. Non se ne pentiva. A volte la persona che scorgeva nello specchio la disgustava, ma non se ne pentiva.
Però stava invecchiando. Era una consapevolezza secca, fatale. Minuscole rughe incominciavano a segnarle la pelle di magnolia, i primi capelli grigi si annidavano in mezzo a quel vortice scarlatto. Senza la sua giovinezza, la sua merce di scambio, il premio che offriva, sarebbe tornata ad essere la vecchia Christine Andersson. Quella che a malapena sapeva leggere, quella che si ritirava dietro il muretto e accontentava le voglie di coetanei brufolosi per poi essere osteggiata e disprezzata da loro, quella che entrava in una casa puzzolente di alcol e di nicotina e che trovava la madre china a sniffare la sua dose, o talmente fatta da sfogarsi su di lei…e il solo pensiero la faceva strillare, le dava il sangue alla testa. La sua bellezza era tutto quello che aveva, e avrebbe venduto l’anima al diavolo pur di non perderla. Se fosse divenuta vecchia e brutta, Jonas l’avrebbe buttata via come uno straccio vecchio e sarebbe finita in un sudicio condominio pagato da lui, già fresco di seconde nozze, con quell’odiosa bambina a cui badare, quel fardello urlante che le era stato insinuato nel grembo e che le aveva deformato il corpo durante nove, orribili mesi. Cristo, avrebbe preferito ammazzarsi. O magari avrebbe ammazzato sua figlia per punire Jonas, si sarebbe presa la sua ultima terribile rivincita.
Ma non voleva arrivare a tanto. A finire in un condominio, ovviamente, non a liberarsi di Erin o addirittura di suo marito. Quella prospettiva non le faceva il minimo effetto. Aveva amato suo padre e il suo amore l’aveva distrutta, non intendeva concederlo a nessun’altro. Pedine. Ecco cosa dovevano essere gli altri, per lei. Finché te ne fregavi, non avevi nulla da perdere.
Si alzò sinuosamente dal materasso e raggiunse il giovane Lawrence, affondando le unghie smaltate nei suoi capelli bagnati e facendole scivolare fino al suo torace nudo: “Sei sicuro che quella puttanella ci sarà utile? Pensavo che volessi qualcosa di meglio”.
Lui, accigliato, non respinse la donna: “Tu non immagini neanche quanto sia preziosa ai fini del patto, Christine. Il tuo problema è che sei accecata dall’odio”.
“Dall’odio?” lei scoppiò in una risata sorpresa e si ritrasse, gli occhi bluastri che scintillavano nel viso affascinante e feroce: “Mi deludi molto, Jesper. Se proprio vuoi saperlo, non odio né quella ragazzina, né nessun’altro. Semplicemente penso a me stessa. È così terribile? Se non si ha un minimo di egoismo, si viene calpestati” una lieve smorfia le torse le labbra: “Ma non penso che persone come te possano capirlo”.
“Vorresti farmi credere di aver sofferto?” la mano di Jesper si mosse con velocità sconcertante e l’afferrò per la gola, sbattendola con forza contro il muro. L’espressione del giovane era divenuta feroce quanto quella di lei e la esaminava con freddo interesse, rafforzando la stretta sul suo collo e studiandola attentamente: “Vorresti davvero farmi credere che ci sia qualcosa di più di una sgualdrina che non vuole invecchiare, in te?”
Un tempo quelle parole velenose le avrebbero fatto male. Ma ad ogni cosa si fa il callo, anche alle ingiurie, ed era stata così tante volte omaggiata di appellativi quali “troia”, “puttana” e altri simili da aver sviluppato una sorta di indifferenza assuefatta. Per gli uomini tutte le donne capaci di dominarli con la bellezza erano sgualdrine e tutte quelle che invece non ne erano in grado, stupide senza cervello…ma era un bene che Jesper non sapesse niente di lei, l’avrebbe tenuto meglio in pugno. Mai, mai mostrare ciò che c’è dietro alla superficie. Neanche al proprio alleato.  
Nessuno doveva sapere chi era davvero, soprattutto lui.
Si limitò a guardarlo a sua volta. Le aveva stretto la gola in una morsa ferrea, ma non tremò e non si lasciò sfuggire rantoli, rimase ben salda nella sua presa, il respiro appena un po’ ansimante, e sostenne il suo sguardo senza batter ciglio, circondata dalla sua chioma di fuoco. Non temeva le percosse degli uomini, i soprusi, le violenze. Anche quelle erano cose a cui aveva fatto l’abitudine, e di cui Harriet e tutte quelle come lei non sapevano nulla.
“Se davvero ritieni che vada bene” disse a voce bassa: “Allora continueremo per questa strada. Ma attento a non affezionarti troppo alla tua piccola promessa”.
Jesper grugnì e la spinse rudemente contro il tavolino da notte, strappando la camicia da lei indossata con pochi gesti violenti e scoprendole il busto dalla pelle candida e ancora liscia. Christine urtò contro la superficie dura con lo sterno e si piegò in avanti, i capelli rossi che le spiovevano sopra al viso e le mani che cercavano un sostegno, ma non oppose resistenza neanche quando lui le afferrò i seni voluminosi, stringendoli fino a farle male, e si premette su di lei, sfregandole i genitali sulle natiche. Affondò i denti nelle labbra, l’espressione gelida e imperscrutabile dietro ai capelli sciolti e arruffati, gli occhi blu che sfavillavano, e acconsentì al suo tocco che non le procurava nulla all’infuori di un mero piacere fisico. Presto, una volta ottenuto ciò che desiderava, si sarebbe potuta rivelare per quello che era e il suo “scambio” con Jesper sarebbe cessato.
Lui la penetrò senza delicatezza né amore, quasi con furia, e iniziò a muoversi freneticamente su di lei, tenendole la testa premuta contro il tavolino e affondando dolorosamente le dita nella lunga chioma. Christine chiuse gli occhi e accettò il tutto passivamente, senza gemere né ansimare, tirando il fiato di tanto in tanto.
Jesper si chinò sul suo orecchio: “A volte mi chiedo perché ti ho coinvolta. Tu non sei una Lawrence”.
Gli occhi di lei brillarono di uno scintillio inquietante: “Anch’io sono una Lawrence adesso”.
Fuori dal castello, nel buio della sera, una figura avvolta in uno spesso soprabito, con il volto celato da un cappello nero e una valigetta con su il nome di Jonas A. Lawrence, emerse dalle ombre notturne e alzò lievemente il capo, contemplando in silenzio l’enorme costruzione che le incombeva sopra.
Una voce rauca e bassa sussurrò piano: “Casa”.
 
Angolo autrice: Salve a tutti! Allora, come avrete notato ho alzato il raiting rispetto a “Follia d’amore e d’oscurità”, perché in questo sequel saranno presenti delle scene un po’ più forti. Del resto quando si tratta di intrighi di famiglie nobili, di matrimoni, tradimenti, odi e amori, io ci vedo sempre una componente erotica e ho deciso di inserirla…sperando che la cosa non infastidisca! A quanto pare Christine e Jesper hanno in mente qualcosa…questa ultima scena è un assaggio del loro rapporto, che in realtà è piuttosto controverso e complicato…ma si scoprirà in seguito JHarriet è coinvolta nei loro piani e immagino che abbiate capito tutte chi è la misteriosa sagoma che sopraggiunge alla fine ;)
Non ho altro da dire, ma voglio ringraziare tutti coloro che leggono e recensiscono, nella speranza che non mi abbandoniate in quest’esperienza nuova per me…scrivere il sequel di una storia!
Un saluto a tutti,
Elly  

  
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