Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: flors99    31/07/2012    24 recensioni
- Sono incinta. – specificò a quel punto Hermione, dissipando ogni suo dubbio e facendola strozzare con la sua stessa saliva.
Ginny spalancò gli occhi, incapace di credere che quello non fosse uno scherzo.
- Cos… eh?! C-come? Quando? Ma… ma… tu... – borbottò, pronunciando frasi sconnesse per quasi un minuto intero. – Non… non è divertente, Hermione. – disse alla fine, con la gola che bruciava per lo sforzo di parlare.
- Già. – mormorò Hermione, in un ansito di tristezza. – A chi lo dici. […]
- Ma… – la giovane Weasley cercò di mettere ordine nella sua testa, ancora sconcertata dalle parole della strega più grande. – Io… cioè tu… con chi…cioè… è Ron? – domandò, allucinata. – Io non sapevo neanche che vi frequentaste! Perché non mi hai detto niente? […]
- Ronnonèilpadre. – chiarì Hermione, pronunciando quelle parole nel modo più veloce possibile, scacciando dalla sua testa i cattivi pensieri.
- Che?
- Ronnonèilpadre! – ribadì, più in fretta di prima.
- Hermione, non capisco… cosa stai dicendo… - mormorò la giovane Weasley, non consapevole di quali parole usare.
Via il dente, via il dolore.
- Ho detto che Ron non è il padre! – esclamò tutto d’un fiato.
Via il dente, via il dolore. Sì, un cavolo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
- Ti piace! Ti piace, ti piace, ti piace! Lo sapevo, ne ero sicura, d’altronde io sono un genio ed era ovvio che andasse così e non potevo certo sbagliarmi su una cosa simile! Io lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!!! – esclamò, per la diecimillesima volta, con tono stridulo.
Da circa tutta la mattina Pansy ripeteva quelle adorabili parole che Daphne amava ascoltare. Neanche l’arrivo della professoressa riuscì a fermare la sua lingua irrefrenabile, che continuò a ripetere quelle parole sottovoce per tutta la durata dello svolgimento delle lezioni. Neppure la comparsa di Blaise sul banco accanto al suo, le fece pensare che se avesse continuato, avrebbe sia messo in imbarazzo Daphne, sia fatto sospettare qualcosa all’amico. Fu per questo che ad un certo punto la bionda perse definitivamente la pazienza.
- BASTA! – esclamò. La voce risuonò forte e chiara, per sua sfortuna.
Il leggero brusio nell’aula cessò immediatamente e decine di paia di occhi furono tutte puntate su di lei, mentre Pansy, nel banco dietro al suo, sfoderava un ghigno serpentesco che avrebbe fatto concorrenza a Draco.
- La lezione non è di suo gradimento, signorina Greengrass? – gli occhi della McGranitt la trapassarono da parte a parte.
Pansy non riuscì a reprimere il ghigno formatosi sulla sua faccia, che, anzi, si accentuò ancora di più.
- Pansy, dopo ti uccido. – le sibilò la bionda in modo glaciale, voltandosi nella sua direzione, per poi rivolgersi alla professoressa. – Mi scusi, non volevo disturbare.
- Se mi facesse il piacere di zittirsi, io potrei continuare la mia lezione. – proseguì la McGranitt, alla quale non era sfuggito lo scambio di battute tra lei e Pansy.

Brutta stronza.

Questo fu il pensiero di Daphne, anche se non era sicura se indirizzarlo a Pansy o al docente di fronte a lei.
D’un tratto tutti i presenti nell’aula strizzarono gli occhi, stranamente interessati alla parete dietro di lei. La McGranitt, sbigottita, la fissava come se fosse un alieno.
- C-come? – borbottò la professoressa, improvvisamente sbiancata.
- L’ho detto ad… alta voce? – chiese Daphne, sperando che qualcuno negasse le sue parole. Cosa che nessuno fece. – Porco paiolo… – mormorò la bionda.
La McGranitt, il cui viso era passato dalla tonalità più cerea a una rosso cremisi, la fissò come un cane randagio fissa un pezzo di carne fresca. Era uno sguardo quasi benevolo. Cosa ancora più spaventosa.
- Credo che sia meglio per lei e per noi, se esce dalla mia aula, adesso!
Con uno scricchiolio proveniente dal banco, la Serpeverde si alzò con eleganza, per nulla scalfita dalle sue parole.
- E 50 punti in meno a Serpeverde! – concluse il docente, prima che la ragazza uscisse dall’aula, borbottando qualcosa sulla maleducazione degli adolescenti.
- Daphne ti vuole parlare, Blaise. – sussurrò Pansy all’orecchio del moro.
Gli occhi blu del ragazzo si drizzarono all’istante, fissando la ragazza, sorpreso.
- Non so cosa voglia dirti, però. – aggiunse la Serpeverde, alzando le spalle, dichiarando così la sua assoluta e innegabile innocenza. Il ragazzo non sembrava molto convinto delle sue parole, ma dopo qualche attimo, alzò la mano.
- Sì, signor Zabini?
- Potrei andare in Infermeria, professoressa? Non mi sento molto bene…
- D’accordo. – acconsentì la McGranitt. – Hai bisogno di qualcuno? – aggiunse poi, lievemente preoccupata.
- No, grazie.
Una volta uscito anche lui dall’aula, Pansy si accomodò meglio sulla sedia, sorridendo.
 
Piccola serpe.
 
 

 
Quando Daphne era uscita dalla classe, non aveva ben compreso il perché del comportamento di Pansy. Sembrava essere stata molto decisa a portarla all’esasperazione, cosa facile a dire il vero, e non riusciva a spiegarsene il motivo. O almeno non lo comprese, finché non si ritrovo davanti Blaise, appoggiato al muro, come se la stesse aspettando.
 
Piccola serpe.
 
L’aggettivo migliore che si potesse trovare per Pansy.
Sentì le mani formicolarle pericolosamente, ma s’impose di non mostrare alcuna emozione. Con un cipiglio innervosito scrutò l’amico nel modo peggiore che ci potesse essere. Blaise da parte sua, si limitò a fissarla come si osserva il nulla, con sguardo impassibile e indifferente.
- Beh? – proruppe alla fine la ragazza, stufa di quello scambio di sguardi. – Cosa vuoi?
- Parlarti. – rispose lui, con calma.
- Come sapevi che sarei venuta qui? – cambiò discorso, più innervosita di prima.
Blaise si guardò un po’ intorno, soffermando sull’aula al suo fianco, chiusa a chiave, ma facilmente apribile con un incantesimo elementare.
- Ti conosco. – proferì, ancora più calmo, sapendo che Daphne soleva rifugiarsi all’interno di quell’aula al terzo piano, quando desiderava stare da sola.
- Bene, se mi conosci, saprai anche che non ti voglio tra piedi. Vattene!
- No. – rispose Blaise, infilando le mani nelle tasche della divisa e squadrandola da capo a piedi.
- No?
- No.
- Credo di aver capito male. – sbottò allora Daphne, che non si spiegava per quale motivo il ragazzo fosse lì e, soprattutto, di cosa volesse parlare.
- Hai capito benissimo invece, Da. – rispose lui, scostandosi dal muro e facendosi più vicino.
- Cosa vuoi, Zabini? – chiese, innervosita dal suo progressivo avvicinamento.
- Perché mi chiami per cognome?
- Perché non dovrei farlo? – replicò, spiazzata da quella domanda.
- Mi chiami in quel modo solo quando sei arrabbiata.
- Infatti lo sono! – replicò la ragazza stizzita. Si accorse troppo tardi che aveva ammesso più di quanto avrebbe dovuto.
- Con me? – indagò Blaise, confuso.
- Esattamente!
- E perché?
- Perché… Perché, sì, no, cioè… Io non sono arrabbiata! Io sono calmissima, chiaro? – blaterò, incrociando le braccia e fissandolo con il nasetto per aria, in modo arrogante.
- No, non lo sei. – la contraddisse Blaise.
- Sì, lo sono.
- Sei arrabbiata.
- No.
- Sì.
- No!
- Hai detto di essere arrabbiata con me un secondo fa.
- Mi sono sbagliata!
- No, non credo tu ti sia sbagliata.
- Invece sì!
- No.
- Ho detto di sì, porca puttana!
- E io ho detto di no. – le rispose Blaise fissandola, con quegli strani occhi che rimanevano sempre imperturbabili di fronte a tutto. – Sei arrabbiata con me e non capisco perché. È da ieri sera che hai cominciato a comportarti in modo strano e adesso mi spiegherai il perché. – alle parole di Blaise, un innaturale rossore si fece strada sulle guance di Daphne, che piuttosto che arrossire davanti a lui, avrebbe preferito morire assiderata.
- Io non devo spiegarti nulla! – replicò con veemenza, cercando di nascondere il suo rosa colorito. Invano.
- Perché sei arrossita?
- Io non sono arrossita!
- Sì.
- No!
- Sì!
- NO!
- Se non ti conoscessi bene, direi che il tuo rossore è dovuto al fatto che hai ripensato a quello che è successo ie…
- Sono rossa per rabbia, non per imbarazzo! – mentì, tentando di salvare il salvabile.
- Allora è vero.
- Vero, cosa?
- Che sei arrabbiata.
A questo punto della conversazione, ritengo necessaria una piccola parentesi.
Esistono tanti tipi di pazienza e ognuno era stato attribuito ad una precisa casa di Hogwarts. C’era quella dei Tassorosso. Una pazienza ingenua e innocente, che derivava dalla speranza di vedere i frutti della loro fatica. Non era il tipo di pazienza che poteva essere attribuita a Daphne. C’era quella dei Corvonero, meno ingenua, ma sempre molto controllata: aspettavano con calma il risultato del loro studio e della loro meditazione. Neanche questa poteva essere attribuita alla ragazza. C’era quella dei Serpeverde. Una pazienza dettata dai loro subdoli scopi, persone in grado di attendere anche una vita per una vendetta ben congegnata. Eppure neanche con questo tipo di pazienza si poteva descrivere Daphne. La ragazza non lo avrebbe mai ammesso, ma la sua pazienza era in tutto e per tutto uguale a quella dei Grifondoro, che vantava un’unica, ineguagliabile caratteristica.
La sua assoluta, innegabile, totale… inesistenza.
- SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO VUOI, ZABINI?!? TU E LE DANNATE DOMANDE MI STATE FACENDO IMPAZZIRE! SE QUESTO ERA IL TUO SCOPO, COMPLIMENTI, CI SEI RIUSCITO!
Il fiume di parole sarebbe continuato imperterrito per ancora un bel po’ se Blaise, non si fosse avvicinato quel tanto che bastava per farla indietreggiare. L’aria le morì in gola, quando vide la distanza tra lei e lui diminuire sempre di più.
- Volevi sapere se ero arrabbiata? Bene! Sì, ora grazie a te, sono incazzata nera, Zabini! – continuò Daphne, anche se con un tono meno alto rispetto a prima.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, come a voler capire qualcosa, continuando ad avvicinarsi. Daphne da parte sua indietreggiò ancora, decisa più che mai a mantenere distanza tra loro due.
- Perché?
- Beh?! Ricominciamo?! – esclamò, con il sangue che le ribolliva nelle vene e con agitazione crescente nel petto, dovuta sia al viso del ragazzo, ormai vicino al suo e allo sfioramento che c’era stato tra le loro braccia e che lei poi, di scatto, aveva allontanato per non venire a contatto con la sua pelle. – Vattene via, lasciami in pace! Non sono dell’umore per mettermi a litigare. – concluse Daphne, incrociando le braccia al petto, mettendo una specie di barriera tra loro.
- No.
- No?
- No.
- Aaaaargh! Io ti schianto, Zabini! Se non la finisci subito…
- Io non me ne vado… – replicò il ragazzo con decisione, incastrandola tra lui e il muro, interrompendo le sue minacce. – …finché non mi spieghi il motivo per cui sei così arrabbiata con me.
La vicinanza improvvisa la destabilizzò: le sue scarpe erano premute contro quelle di Blaise e i loro corpi aderivano per la troppa poca vicinanza. Cercò di schiacciarsi sempre di più contro il muro, desiderando con tutte le sue forze che si aprisse un varco, che la inghiottisse, ma non successe. Anzi, servì solo per avvicinarli di più.
- Finalmente ti sei zittita. – nonostante Blaise Zabini fosse noto per la sua stranissima calma, adesso il comportamento dell’amica lo irritava parecchio. Non gli piaceva che qualcuno ce l’avesse con lui per un motivo ignoto ed era ben più che propenso a scoprirlo. – Dimmi cos’hai, Da. – le tirò su il viso prendendole il mento, dato che la ragazza si ostinava a negargli lo sguardo.
- Niente. – mormorò in risposta, mantenendo gli occhi verdi incollati ai suoi.
Frustato, perché aveva capito che non avrebbe ottenuto altro, il ragazzo per poco non tirò un pugno al muro di fronte a lui.
- Non prendermi in giro! Lo capisco benissimo che ce l’hai con me, credi che sia così stupido?
- Perché, non lo sei? – chiese la bionda, con ritrovata ironia.
- Non sto scherzando, Daphne. – rispose il Serpeverde con rabbia appena trapelata, ma che stava progressivamente aumentando.
- Neanche io. – sibilò la ragazza, puntando i piedi.
- Ti comporti come una bambina.
Quelle parole rimasero appese tra loro per dei lunghi istanti, finché il rumore di uno schiaffo non risuonò forte e chiaro, propagandosi tra i muri del corridoio. Blaise si toccò la guancia arrossata, con una strana luce negli occhi.
- Non sono una bambina.
Il sibilo di Daphne fu appena udito dal ragazzo e lei approfittò della sua distrazione per sgusciare fuori dalla sua presa e incamminarsi nella direzione opposta.
 
 
 
  
Quando quella mattina Ginny uscì dall’aula si sentì più distrutta di quando era entrata. Il che era tutto da dire. Il mal di testa non l’aveva abbandonata neanche un secondo e aveva seguito la lezione con il braccio costantemente a sorreggere la testa, mentre il professore la richiamava e la rimproverava per la sua scarsa attenzione, facendo perdere preziosi punti alla sua casa.
- Tutto a posto, Ginny? – una sua compagna di casa al suo stesso anno, la guardò preoccupata, avendo notato lo stato in cui era ridotta quella mattina.
- Sì. – mormorò la giovane Weasley flebilmente, lo sguardo basso.
Poi, fece la cosa più coraggiosa del mondo.
 
Sorrise.
 
Sorrise semplicemente, muovendo appena le labbra e alzando gli occhi.
 
Un sorriso che annaspava agli angoli della bocca e che non arrivava agli occhi.
 
- Tutto a posto, Miriam.
La moretta davanti a lei sorrise a quella risposta, in modo molto più sincero rispetto al suo.
Ginny scrollò i capelli rossi e raccolse tutti i suoi libri, per dirigersi alla lezione successiva, stendo ben attenta a dove metteva i piedi: nello stato di confusione in cui si trovava avrebbe potuto benissimo sbattere contro qualcuno.
E, infatti, fu quello che successe.
Ricevette una forte spallata appena fuori dall’aula, troppo potente per poter essere stata casuale. Si guardò intorno con lo sguardo, pronta a incenerire con gli occhi lo spiritoso che aveva scelto decisamente il giorno sbagliato per fare questo tipo di scherzi.  L’unica persona che riconobbe come familiare tra gli studenti fu Neville, che stava attraversando il corridoio in quel momento, ma conoscendo il carattere pacifico e gentile dell’amico dubitava fortemente che potesse essere stato lui a compiere un simile gesto. Solo dopo un esame più approfondito si accorse della chioma fulva appoggiata alla colonna, che la osservava malevola. Ginny la fissò con gli occhi assottigliati, indecisa se lanciarsi in una lunga discussione o se lasciar perdere fin dal principio. Proprio quando stava per andarsene, avendo scelto la seconda opzione, la sua voce la fermò.
- Sembri distrutta, Ginny. Come mai?
- Non è giornata, Brown. – sbottò, consapevole di quanto poco importasse a quella stupida oca bionda del suo stato di salute. Detto questo fece per voltarsi nuovamente, ma Lavanda le bloccò il passo prima che Ginny fuggisse.
- Come siamo scontrose, eh? Non è che mi nascondi qualcosa? – insinuò con voce dolce. Finta.
- Cosa vuoi, Brown? Non è giornata, te l’ho detto. – ripeté, sistemandosi la borsa sulla spalla e lanciandole un’occhiata poco interessata. Comprendendo che la rossa era restia a qualunque tipo di conversazione, Lavanda andò subito al nocciolo della questione.
- Sai, la tua amica non era a lezione nemmeno oggi. – disse, avvicinandosi alla giovane Weasley, che era rimasta a fissarla a braccia conserte.
- Non so di chi parli. – replicò Ginny con sguardo impassibile, combattendo contro la voglia di andarsene e voltarle le spalle.
- Ma come? Parlo di Hermione! – rispose con tono ancora più dolce. Ancora più finto.
Ginny assottigliò lo sguardo, sentendo la rabbia crescere dentro di lei. Cosa Merlino voleva da Hermione la Brown? La sua migliore amica aveva già abbastanza problemi per conto suo, senza bisogno che ci si mettesse anche quella bionda ossigenata con i suoi capricci. La sua voglia di fuggire si era trasformata in desiderio di insultarla, istinto a dir la verità che aveva quasi sempre, non appena la incrociava nei corridoi. – Sono così preoccupata per lei… –  aggiunse Lavanda con tono così smielato che Ginny storse il naso, con una smorfia disgustata.
- Te lo ripeto per l’ultima volta, Brown: che vuoi? – il tono della rossa ero freddo, impenetrabile, ma non fu sufficiente a far tacere la Grifondoro più grande di lei di un anno.
- Non è strano che la nostra famosa so-tutto-io perda così tante lezioni, soprattutto quando tutti sanno che verrebbe in aula anche con la febbre a 40°? – insinuò, con una punta di malizia nello sguardo.
Ginny non rispose, continuando a fissarla malamente e chiedendosi intanto dove volesse andare a colpire con quelle sue stupide insinuazioni.
- E non è strano che ultimamente sia sempre così stanca, come se stesse male? – Ginny ancora una volta non rispose. Strinse i pugni, mentre le unghie si conficcavano nella carne già segnata dei suoi palmi, facendo riaprire quelle ferite che sanguinavano copiose. – Ma non è ancora più strano che in questi mesi l’abbia vista spesso andare in bagno, a vomitare? – continuò Lavanda, imperterrita, mentre a Ginny stava per venire un esaurimento nervoso, o più probabilmente una crisi isterica.  – Come se avesse la nausea… – concluse la dolce Grifondoro, con un’occhiata così perfida da far raggelare Ginny.
- Piantala con i giochetti, Brown. – rispose, cercando di rimanere impassibile e di non mostrare niente del tumulto che si agitava dentro di lei.
- Non sto giocando, rossa. – il tono era cambiato.
 
La finta dolcezza era sparita.
 
E quella finzione, mescolata alla perfidia, aveva sul suo viso l’effetto desiderato.
 
Era spaventosa.
 
Ginny non si mosse quando la ragazza si avvicinò a lei, tanto quanto bastava perché si fronteggiassero occhi negli occhi.
Lealtà contro perfidia.
Sincerità contro slealtà.
Fiducia contro cattiveria.
- So che sei abbastanza tarda quando si tratta di capire, ma non credevo così tanto, Brown. Cosa. Cavolo. Vuoi?
 
Lingua velenosa.
 
Ginny sarebbe stata un’ottima Serpeverde.
 
- Da te niente, rossa. Ma stai attenta. – rispose semplicemente la Brown, sorridendo in modo così finto da far venire la nausea.
- Attenta a cosa? A te? – Ginny sputò il pronome finale come se fosse un insulto, intollerante alla sua presenza più che mai. Voleva semplicemente andarsene e mandarla a quel paiolo, in modo da poter riordinare le idee e cercare di capire quanto Lavanda fosse riuscita a comprendere della gravidanza di Hermione. Merlino, la Brown aveva sempre avuto il cervello grosso quanto una nocciolina, come cavolo aveva fatto a cogliere tutti quei segnali?
- No. – si spiegò. – Dì a Hermione, di stare attenta.
Il respiro le si mozzò, quando con la coda dell’occhio lo vide.
- Sai, Hermione a volte è disordinata… – sussurrò Lavanda. Ginny corrugò la fronte, cercando di mantenersi impassibile, mentre pregava di aver visto male. – Lascia in giro le cose… – quell’ultimo mormorio di Lavanda fu accompagnato dalla mano che le porgeva un piccolo oggetto bianco.
Ginny sentì le viscere contrarsi.
Con sguardo tremante osservò la natura del suo malessere.
La Brown le fece dare solo uno sguardo a ciò che teneva in mano, prima di rimetterselo in tasca. Ma quell’occhiata fu più che sufficiente e Ginny si chiese come fosse possibile che il test di gravidanza di Hermione fosse finito nelle mani di quella stupida oca.
- Ridammelo! – sbottò, cercando di agguantarlo, senza riuscirci.
- Ah, no, no, Weasley… Questo piccolo oggetto mi serve.
La Brown scoppiò a ridere per qualcosa che evidentemente trovava divertente, mentre Ginny percepì l’ansia salirle alla gola, quando si rese conto dell’impossibilità di recuperare lo stick.
- Quell’oggetto non ti appartiene. – sibilò, sperando di convincerla a restituirglielo.
- Certo che no! – convenne la Brown. – Non sono mica io quella che è incinta e che verrà definita come una ragazza facile quando si saprà, in tutta la scuola.
- Hermione è una persona cento volte migliore di quello che potrai mai essere tu. – sputò Ginny, anche se la voce le tremava.
Lavanda sorrise, senza scomporsi minimamente.
- Può darsi. – convenne di nuovo, senza alcuna vergogna.
- Mi chiedo come tu possa appartenere alla casa dei Grifondoro. Hai minacciato anche il Cappello Parlante, per caso? – ironizzò, con pesante sarcasmo. – Non meriti quella divisa. – sentenziò Ginny, con voce dura. – E se tu valessi anche solo la metà di Hermione, capiresti quanto quello che stai facendo sia meschino e assurdo.
Alle sue parole, Lavanda assottigliò lo sguardo.
- Oh, certo. Hermione è sempre quella buona, giusta e leale con tutti, vero? Lei è quella popolare, lei ha sconfitto Tu-sai-chi insieme a Harry, è lei e sempre lei che tutti adorano! – urlò la bionda, improvvisamente imbufalita. – Lei è quella che preferiscono. – sibilò, con voce irriconoscibile. – Persino… persino… – la Brown s’interruppe, quando si rese effettivamente conto di chi avesse davanti.
Ginny sbatté le palpebre, sorpresa di quello sfogo probabilmente involontario, e aggrottò lo sguardo. Si schiarì la voce, riflettendo bene su ciò che stava per dire. Forse, se avesse trovato le giuste parole, la Brown le avrebbe restituito quel dannato stick e l’avrebbe lasciata in pace.
- Se sei gelosa di Hermione, per ciò che è e per ciò che rappresenta, non dovresti darti tanto da fare per riuscire a umiliarla, quanto piuttosto per cercare di migliorarti. Non dovresti vederla come una rivale, ma come un esempio. – replicò, modulando il tono di voce.
- Stai zitta, Weasley.
- Puoi essere migliore di così, Lavanda. – sbottò Ginny, innervosendosi. – E potresti cominciare a renderti tale, restituendomi il test di gravidanza.
La Brown la fissò a lungo, con un’espressione corrucciata.
- Potrei. – rispose semplicemente. Si avvicinò alla rossa, arrivando a meno di un palmo da lei. Proprio quando Ginny credeva che le avrebbe dato lo stick e se ne sarebbe andata, potendo così sospirare di sollievo, avvertì un sibilo al suo orecchio. – Salutami la mammina. – fu tutto quello che le rispose Lavanda, prima di volatilizzarsi, mentre Ginny s’impietrì.
Ripensando a quel momento Ginny non sa dire dove trovò la forza, la volontà, di ordinare ai suoi piedi di camminare, alla sua mente di concentrarsi, al suo corpo di reagire. Sa solo cosa fu quell’istinto che le permise di muoversi.
 
Affetto.
 
Cominciò a correre, incurante delle lezioni a cui doveva presentarsi, degli sguardi che nei corridoi le lanciavano, incurante di tutto, perfino di lei stessa.
 
 

 
Draco Malfoy non era mai stato un ragazzo che si sarebbe potuto definire gentile. C’erano mille aggettivi che potevano essere accostati a lui, ma quello era uno dei pochi che insieme al suo nome non andava per niente d’accordo, per la semplice spiegazione che erano incompatibili. Draco Malfoy non era neanche un ragazzo che si sarebbe potuto definire comprensivo, non molto ecco. Eppure quella volta, quella sola e unica volta, si sforzò di essere tale.
Umiliare ancora di più Weasley era una tentazione davvero grande, ma le sue parole cattive rimasero incollate in quel ghigno disegnato sulla sua faccia, senza permettersi di lasciarle andare. Si allontanò dalla ragazza, rimasta immobile e rigida, e nonostante tutte le emozioni che affollavano nella sua mente in quel momento, si tirò indietro.
- Non gli hai detto niente? – gli occhi erano chiarissimi, pieni di qualcosa che la ragazza non riuscì a comprendere. Sorpresa?
- No. – sussurrò.
Un sussurro che faceva male.
- Ne riparliamo dopo, Granger.
Furono queste le uniche parole che pronunciò prima di andarsene, per poterli far chiarire.
Furono queste le parole che sorpresero Hermione così tanto da farle spalancare gli occhi, mentre osservava il suo passo che si allontanava con la silenziosità di un gatto. Si era allontanato pur di farla chiarire con Ron. Avrebbe potuto umiliare, disprezzare entrambi, aveva non uno, ma più di cento coltelli dalla parte del manico e Draco aveva deciso di non utilizzarli.
 
Perché? Perché devi essere così, Draco?
 
Perché mi ferisci, mi disprezzi, m’insulti e poi... poi fai qualcosa che mi fa perdere la scommessa con me stessa e mi fa capire che tu sei molto di più di ciò che fai credere a tutti?
 
- C-cos’è? U-uno scherzo? È uno scherzo, vero? D-dai tu e Harry avete voluto farmi uno scherzo e… e Harry ha ingoiato la pozione Polisucco e…. – continuava a mormorare Ron, da ormai parecchi minuti, mentre scivolava a terra contro il muro e sentiva le forze che lo abbandonavano. Hermione gli rivolse la sua più totale attenzione, non appena il Serpeverde sparì dalla sua vista, e avvertì il suo cuore stringersi in una morsa.
 
Incredibile quante cose inventa la nostra mente per non vedere la realtà.
 
La Grifondoro si avvicinò a lui con cautela, come ad aver paura di arrecargli ulteriore dolore. Gli si posizionò accanto, scivolando a terra a sua volta, ma lasciando tra loro la distanza che impediva lo sfioramento, temendo che il contatto tra loro potesse disgustarlo.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ne aveva bisogno. Un bisogno impellente, vitale quasi.
 
Ma aveva paura di essere respinta.
 
Paura. Una fottutissima, gigantesca, maledetta paura.
 
La paura era la causa dei suoi danni.
 
Quella stessa paura che ora le toglieva il respiro e la costringeva a tenere lo sguardo basso, non osando osare.
Il suo orgoglio era stato seppellito da qualche parte dentro di sé, troppo debole di fronte ai sentimenti di Ron e dei suoi. Quanto faceva male osservare silenziosa quegli occhi sbarrati pieni di dolore, quanto faceva male sentire quel grosso squarcio aprirsi nel suo petto e inghiottire il poco che era rimasto di bello dentro di lei. Quanto era orribile pensare che tutto questo era causa sua.
Non tentò neppure di giustificarsi, di inventare una qualche scusa.
Non aveva il diritto di mentirgli ancora. Sapeva che avrebbe dovuto semplicemente provare a raccontare, per una volta, la verità, ma le parole non uscivano, non volevano formare i suoni e l’aria continuava a mancare.
Voltò lentamente lo sguardo verso Ron, tentando di incrociare i suoi occhi senza successo, poiché il Grifondoro li teneva bassi, fissando il pavimento come un cucciolo di cane che ha appena perso il suo padrone. Hermione ci mise un po’ per accorgersene.
 
Un tremore.
 
Un tremore incontrollato scuoteva il ragazzo, come se fosse in preda alle convulsioni.
 
Tremava.
 
- R-ron… – il nome pronunciato dalle sue labbra, sembrò scottare nella sua stessa bocca. Le faceva quasi male chiamarlo così: Ron era una delle poche persone buone, che conosceva al mondo. Lei no. Lei si sentiva… cattiva… un mostro. E non meritava di sporcare la sua bontà con quella crudeltà che lei stava esercitando su di lui, in modo così codardo.
 
Non aveva ancora avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
 
Non avrebbe dovuto violare così la purezza del suo nome, con la sporcizia che sentiva su di sé. Però voleva anche porre fine a quell’agonia che vedeva percorrere il corpo del suo migliore amico.
 
Un’agonia che lo torturava a fuoco lento, crudele e letale.
 
-  Non… non è possibile. – bisbigliò Ron, con voce bassissima, forse più a se stesso che a lei.
A Hermione si spezzò il cuore per la seconda volta e quando capì che dalla sua bocca non sarebbe uscito un bel niente, gli sfiorò una mano con le dita. Il Grifondoro sussultò.
La fissò come un cucciolo di cerbiatto guarda un cacciatore con un fucile in mano. Con trepida attesa, paura, ma con una piccola scaglia di speranza, che a volte viene distrutta, ma a volte è efficace.
 
Aspettava come se fosse un’esecuzione.
 
La sua esecuzione.
 
Con coraggio e forza di volontà la ragazza strinse la mano di Ron e con delicatezza la condusse vicino a lei, finché non gli fece sfiorare il ventre. Appoggiò la mano del ragazzo su di lei, in modo da fargli percepire ciò che portava dentro e la verità di quel segreto ormai troppo ingombrante per rimanere tale. Era ormai a più di tre mesi della sua gravidanza e la protuberanza della pancia si poteva già avvertire a contatto con le dita, anche se con i vestiti addosso non si scorgeva nulla.
- Aspetto un bambino. O forse una bambina. N-non lo so. Credo che sarà una bambina, ma può benissimo darsi che non lo sarà, perché non ci azzecco m-mai in queste c-cose. – parlare a macchinetta era la sua autodifesa. I suoi ragionamenti apparvero talmente privi di logica a Ron e a Hermione stessa, che se non fosse stato per la situazione avrebbero sorriso entrambi.
Le dita di Ron si contrassero e Hermione lo avvertì sulla sua pelle, chiedendosi quando quella ferita che sentiva nel petto avrebbe smesso di sanguinare. Ma fu quando Ronald ritirò la mano, deglutendo rumorosamente, che Hermione si sentì male. Ma fu soltanto quando lui, di scatto, alzò gli occhi su di lei, che Hermione provò il dolore vero, quello totale.
Gli occhi di Ron erano come un oceano. Così li aveva sempre definiti Hermione; quegli occhi erano casa. Erano sicurezza, protezione, un luogo in cui rifugiarsi durante una tempesta. Quando voleva vedere il mare, le bastava guardare quegli occhi, il suo oceano personale. E adesso quell’oceano le sembrava sul punto di straripare. 
- No. – sussurrò, in una disperata preghiera. – No, non è vero.
Hermione si morse le labbra, disperata, pregando che terminasse presto quel dolore immenso dentro di sé.
- Mi dispiace. – singhiozzò la Grifondoro, la voce rotta da lacrime che non scesero.
- No! – ripeté Ron, scuotendo la testa.
- Ron, ascolta, io…
Hermione s’interruppe.
Spalancò gli occhi, avvertendo uno squarcio dentro di sé. Ron aveva rialzato gli occhi su di lei e una lacrima, una singola e timida lacrima era scesa dai suoi occhi azzurri, percorrendo poi tutto il suo viso. Una piccola perla salata che scivolò via in modo velocissimo e alla quale non ne seguirono altre.
 
Una sola. Una sola lacrima uscì.
 
La fitta al petto che Hermione percepì fu così brutale, che per poco non svenne.
 
No, Ron.
 
Quella goccia salata, caduta sul pavimento, era una goccia di sangue che pulsava dal suo cuore e che scivolava via da lei.
 
No, Ron. Ti prego…
 
Quanto può soffrire un essere umano prima di morire?
 
Tanto, forse troppo. Più di quanto dovrebbero permettere.
 
Vedere Ron piangere, fosse stata anche solo una singola lacrima, era qualcosa che non aveva mai premeditato. Non aveva mai pensato di poterlo vedere.
 
Era il colpo più duro che il suo cuore, ormai già rotto, potesse ricevere.
 
- Ron… – non riuscì a fare a meno di ripetere quel nome, come se potesse diventare  innocente lei stessa nel pronunciarlo. – Ti prego…
Lo pregò di reagire. Di non soffrire per colpa sua.
 
Perché lei non si meritava niente, neanche il suo dolore.
 
Lo pregò, perché nonostante le lacrime e gli occhi appannati, quelle iridi rimanevano sempre le più pure e innocenti che Hermione avesse mai incontrato.
 
E la sua purezza lei non se la meritava, perché la faceva sentire sporca.
 
Non si era mai sentita così sporca in vita sua.
Sentiva che le barriere che aveva imposto ai suoi occhi stavano cedendo.
- Ron dì qualcosa! – singhiozzò, con voce rotta per le lacrime trattenute, il tono più alto e acuto per la disperazione. La disperazione di averlo perso e rovinato.
Guardandolo ancora allungò la mano verso di lui, tentando almeno di curare quella distanza che la feriva, che la distruggeva e che, sapeva, distruggeva anche lui.
Quando toccò la sua pelle percepì che scottava.
Scottava come il fuoco, il dolore che feriva.
 
 
 
 
Nonostante i suoi sforzi, nonostante i suoi ripetuti tentativi di costringere le bolle d’aria a contrarsi e a formare un suono, Ron non riusciva a spiccicare parola, si sentiva talmente vuoto da non avere niente, niente da tirare fuori. Strinse la mano, quella stessa mano testimone della verità, per impedire, almeno a quella piccola parte del corpo, di tremare, ma dopo pochi secondi rinunciò all’impresa, aprendo le dita, sentendo il tremore, il dolore, diffondersi per tutto il suo petto.
 
Tremava.
 
Tremava alle sue parole. Tremava perché aveva capito. E nonostante tutto questo, cercava un’alternativa, qualunque altra soluzione, piuttosto che la verità.
 
Perché la verità fa male.

Più male di una bugia.
 
Quel tremore incontrollato che era la sua unica forma di difesa contro quel dolore.
 
Il dolore letale e viscido di un’emozione strappata via.
 
- R-ron… 
Non credeva che udire il suo nome da lei, facesse tanto male.
La sua voce dolce, tentennante, piena di un’insicurezza che non la caratterizzava, lo stava chiamando. Quella voce che lo aveva chiamato tante volte in passato, che lo aveva rimproverato, sgridato, ma che nonostante tutto lui aveva imparato ad amare. E gli bastò alzare lo sguardo. Si meravigliò di come guardando la sua migliore amica, le emozioni ricominciarono a impazzire nel petto, neanche fossero state dentro una centrifuga.
Si meravigliò di quanto la odiasse in quel momento.
 
E si meravigliò di tutto l’amore che provò per lei.
 
Capì di avere perso.
D’altronde, lui aveva sempre perso con lei.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto lei quando ogni volta che aveva provato rabbia nei suoi confronti, lei gli aveva sorriso con il suo sorriso speciale, il sorriso luminoso che riservava solo a lui, e lui l’aveva perdonata all’istante.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto lei quando lo fissava con quelle pozze scure, che gli sondavano l’anima e dentro alle quali ogni volta sprofondava dentro.
 
Aveva sempre vinto lei.
 
Aveva vinto anche in quel momento, perché era bastato un istante.
Era bastato guardare i suoi occhi marroni, per capire che qualunque cosa le avesse detto di cattivo o di crudele, sarebbero state parole false.
 
Aveva vinto lei che non gli lasciava neanche il sapore dell’odio.

Perché lui non avrebbe mai potuto odiarla.
 
- Ron, dì qualcosa!
Non si meravigliò di udire la voce della ragazza, che lo pregava di parlare. Sapeva quanto Hermione temesse il silenzio, quel sibilo che adesso si aleggiava intorno a loro, avvolgendoli.
 
Lui, invece, aveva sempre avuto paura del suono del dolore.
 
La sofferenza, a dir la verità, non aveva un suono, eraa solo una voce silenziosa.
 
Silenziosa, ma più forte di qualunque rumore, che risuonava 
immobile, senza fiato né battito né suono .

 
Il dolore lo spaventava perché aveva un inizio, ma spesso non una fine.
Il suono del dolore era pericoloso, perché rimaneva in statica attesa, per colpire la preda al momento meno opportuno e per farla precipitare nell’abisso più buio.
 
Grida di silenzio
che non arrivavano e restavano racchiuse
lasciando il suo corpo soffocato, senza respiro.
 
Neanche si accorse, Ron, della lacrima che percorse il suo viso.
Quando se ne rese conto, lui la lasciò scorrere senza provare a nasconderla; non gli importava che quella lacrima potesse mettere in dubbio la sua virilità.
Una goccia che se ne andò in punta di piedi…
 
…per non disturbare.
 
Una lacrima incurante dell’orgoglio, dell’educazione e di qualunque altra cosa che non fosse il cuore dolorante, imperterrita proseguì la sua avanzata, raggiungendo finalmente la sua agognata meta.
 
Un luogo in cui morire.
 
Quando lei gli prese la mano la sua pelle scottò contro la sua. No.
Non era abbastanza forte per sopportare anche quello. Si ritrasse ed ebbe la chiara percezione del suono di un cuore che cadeva a pezzi. Non avrebbe saputo dire di chi dei due fosse, il cuore.
Non seppe neppure con quale forza trovò le parole.
- Hermione… – la sua voce era stentata, il suo respiro era spezzato, e lui… si sentiva… vuoto. Vuoto e devastato allo stesso tempo. La propria disperazione lo stava soffocando, la percepiva nell’aria e non era altro che un’ulteriore fonte di affanno. - Non m’importa di cosa mi dirai. – bisbigliò, ad occhi bassi. – Ti chiedo solo questo: dimmi che non è vero. – sussurrò Ron. – D-dammi una spiegazione. Dimmi una bugia, qualunque cosa mi dirai i-io ti crederò, ma ti prego… – i suoi occhi azzurri furono oscurati ancora una volta dal tormento. – …dimmi che non è… vero. Non… non Malfoy.
- Ron. – il sussurro della ragazza si perse tra le lacrime. – Ron, mi dispiace… – i singhiozzi aumentarono.
- Qualunque cosa dirai io ti crederò. – ripeté Ron, non volendo affrontare la realtà. – Ti crederò, Hermione, qualunque cosa dirai.
 
Dimmi una bugia.
 
La pregò di mentire.
La pregò di mentire perché la verità faceva male. Faceva troppo male. E non gli era importato niente che lei gli avesse mentito per tutto questo tempo, lui l’aveva già perdonata.
 
Qualunque cosa dirai, io ti crederò.
 
Le donava la sua fiducia, una fiducia incontrollata che non sarebbe mai stata spazzata via da niente. L’unica cosa che le chiedeva in cambio era che quella non fosse la verità.
 
Dimmi una bugia.
 
Una bugia a cui lui avrebbe creduto perché l’amava. L’amava così tanto da annullarsi per lei, da rinunciare addirittura alla sua innocenza e da farsi macchiare dall’inganno. L’unica cosa che chiedeva in cambio, però, era ciò che Hermione non avrebbe mai potuto dargli.
- Io… mi dispiace. – un singhiozzo disperato, che lo portò davanti alla situazione dei fatti.
La ragazza gli si avvicinò e lo strinse con tutta la forza che aveva; seppellì la testa nel suo petto e si aggrappò alla sua maglia.
 
Aveva bisogno di lui.
 
- Ron… Merlino, Ron, scusami. – il suo nome si perse tra le lacrime, che ormai avevano superato l’argine che Hermione si era imposta ed erano fuoriuscite come un fiume in piena.
 
Mostro.
 
Un mostro
 
Perché non voleva lasciarlo andare.
 
Un mostro
 
Perché se avesse potuto lo avrebbe voluto accanto a lei.
 
Si sentiva un mostro
 
Per il solo desiderio malsano, malato, che anche lui la stringesse.
 
Aveva bisogno delle sue parole scherzose, della sua voce giocosa e rassicurante.
 
Egoista.
 
Era egoista perché non riusciva a rinunciare a lui.
 
Lui avrebbe rinunciato a tutto per lei, per il suo bene. Avrebbe rinunciato anche alla verità, sarebbe stato disposto anche a quello.
 
E lei, lei, sciocca ragazzina viziata, non riusciva a lasciarlo andare, perché aveva bisogno di lui.
 
Mostro.
 
Ma nonostante la ragione le urlasse di staccarsi dal suo petto, il suo cuore sanguinante la costrinse a tenersi stretta, in una presa ferrea. Con la testa nell’incavo della sua spalla pianse tutte le lacrime che poteva, aspettando di essere respinta e guardata con disgusto.
Si sarebbe tenuta stretta per l’ultima volta.
 
Per ricordarsi e imprimere dentro di sé, il calore di quell’abbraccio, anche se finto.
 
Se solo nei mesi precedenti non gli fosse stata così vicina, se solo avesse avuto la forza di lasciarlo andare per evitare di arrecargli ulteriore dolore, forse… sarebbe stato più facile.
 
Mostro.
 
Non ne era stata capace, aveva preso tutto quello che poteva, finché poteva.
 
Mostro.
 
Solo un mostro può sperare di ottenere tanto dalla vita.
 
Mostro, mostro, mostro!
 
- Hermione… io… – sentì le sue braccia far forza per allontanarla da lui, e Hermione avvertì quel distacco come una vera e propria definitiva separazione. Ma, contrariamente a quanto aveva ritenuto, le mani di Ron non la spinsero via con brutalità, bensì con delicatezza, mentre lui fissava un punto indefinito dietro di lei, con uno sguardo così perso e vuoto, da farle venire la nausea.
 
E, nonostante ciò, i suoi occhi erano sempre i più puri che avesse mai visto.
 
Continuando a fissare qualcosa di indefinito, sempre con sguardo incolore e smarrito come un cucciolo abbandonato, pronunciò quelle parole, che erano rimaste sepolte dentro di lui per tanto tempo.
- Quando mi sono innamorato di te, Hermione…
 
Un colpo al cuore, forte come un pugnale.
 
- …io ho cominciato a vedere il mondo a colori…
 
Un colpo ancora più forte, affilato, veloce come una spada.
 
- … e non… non voglio più tornare nel grigio.
L’ultima sillaba si perse nel rumore di un ansito mal trattenuto e nascosto dietro un colpo di tosse.
Una vera e propria uccisione.
 
Un’esecuzione.
 
Stavolta, però, era quella di Hermione.
Quel lontano giorno d’inverno, durante quella conversazione, tra quei mormorii, in mezzo a tutti quei sospiri e quelle lacrime limpide come il cielo azzurro, due giovani ragazzi avevano appena perso una parte fondamentale di loro stessi.
 
Un pezzo del loro cuore.
 
In quell’istante, dentro quegli occhi gonfi e ormai troppo deboli, tra quelle parole sussurrate, troppo stanche per poter trasmettere qualcosa, vi era celato un sentimento troppo profondo per essere descritto. Quel giorno, i muri di Hogwarts furono testimoni di un dolore troppo grande da poter essere sopportato.
 
Erano morti entrambi.
 
 

 
 
 


















Angolo Autrice
Salve a tutti!!!
Sono in orario! Cioè…è una cosa spettacolare, non era mai capitata prima d’ora! Caspita…Mi sento potente! XD Sarà che sabato scorso sono andata al concerto dei Duran Duran, e le loro bellissime canzoni mi hanno dato la carica giusta per finire in tempo il capitolo!!! Comunque, passiamo a commentare questo capitoletto.
1. Forse non ci crederete, ma questo capitolo mi piace. Vi sembrerà strano, perché io per prima non sono mai convinta di quello che scrivo, ma la parte finale, quella tra Ron e Hermione è una scena a cui tengo particolarmente e che ho amato scrivere e la amo tutt’ora. Per questo spero che questo capitolo lo recensiate, perché è uno di quelli che preferisco, anche se ce ne sono anche altri….:)
2. Finalmente si è scoperto chi ha trovato il test! Non ve ne eravate mica dimenticate? ;) Non credo di avervi sorpreso più di tanto dato che molte di voi avevano avanzato l’ipotesi che fosse Lavanda…
3. Non ho ancora finito di rispondere a tutte le recensioni e mi dispiace, il problema è che volevo aggiornare entro oggi perché domani vado al mare e rimango lì per 15 giorni. Non ho idea di che tipo di connessione ci sia, quindi per evitare di lasciarvi a bocca asciutta per troppo tempo ho postato oggi il capitolo.
4. Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite/seguite/ricordate o anche a chi ha solo letto il capitolo e basta! Vedere il numero delle visite che aumenta è sempre un motivo di gioia per me, anche perché aumenta la mia autostima sempre perennemente bassa! XD
Ma un GRAZIE speciale a quelle 13 dolcissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e alle 2 ragazze che hanno recensito il primo: Black_Yumi, Harry Potterish, blair_87, suckerforlove, chiaram, cocis, Virus14, MadamaBumb, Slytherin_Ss, cranium, Simi462, Stella94, elisa80, Alepotterhead e Kattiva_Kome_poke. Grazie ragazze, grazie davvero. Queste parole mi sembrano così misere per esprimere la mia gratitudine, ma sono sincere.
E ringrazio anche di cuore quelle splendide creature che hanno segnalato la mia storia all’amministrazione per le scelte: Uraniasloanus, Slytherin_Ss, Felpick93, Darleen, Draco_Matty_Malfoy, Sasoriza98 e  aranciata. Grazie per aver anche solo pensato che potessi meritare un posto simile :D
Detto questo passo e chiudo, mie lettrici, premettendovi che nel prossimo capitolo o forse tra due, ci sarà una scena PARTICOLARE tra Draco e Hermione. Avete compreso? Se sì, acqua in bocca, se no…lo scoprirete! xD
Al prossimo capitolo,
flors99
  
Leggi le 24 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: flors99