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Più di
tre anni e nonostante tutto ho ancora la faccia tosta di
ripresentarmi... XD
Inizio ufficiale direi, anzi re-inizio!
Conto
di ripartire con una certa regolarità di ritorno dalle ferie dopo il 20
agosto, intanto l'ostacolo più difficile è stato superato, quello di
ricominciare e riprendere le fila di una storia che ho amato tanto
scrivere e che amo ancora. Spero proprio di essere riuscita a mantenere
lo stile precedente e che il capitolo non sembri troppo distaccato dal
resto sia come narrativa che come contenuti, incrocio le dita, mi
raccomando, fatemi sapere.
Come sempre devo tutto a voi che mi avete incoraggiata e che continuate
a leggermi a dispetto di tutto il tempo che ci metto.
Grazie soprattutto a bombottosa
che non ha mai smesso di punzecchiarmi per leggere il finale e che ha
ricreato la precedente fanlisting di questa storia con una nuova
immagine assolutamente adorabile <3 potete trovarla a questo
indirizzo: THOE
Fanlisting e naturalmente iscrivervi, se vi fa
piacere ^^
Che
rimane da dire...
...buona lettura!
Mel
Kaine
The Heart of Everything
19 - /
The rose beneath the truth /
“Ed avremo bisogno di rimodernare almeno tutto il primo piano, Remus”.
Il licantropo sorrise, accondiscendente.
“Certamente, Sirius, quando starai meglio”.
“Ah, per le palle di Merlino! Non sono infermo e mi annoio, posso
sistemare questa casa anche subito”.
“Come
no, e dimmi, nelle tue attuali, emaciate condizioni dove pensi di
trovare la forza di tenere in mano anche soltanto un rotolo di carta da
parati?”
“Ma ho una bacchetta!!”
“Sì, certo, ma non la forza magica per usarla”.
Black sbuffò indispettito, ma tacque.
E Remus aggiunse un’altra ‘x’ sulla sua personale colonna mentale delle
vittorie-contro-le-follie-dovute-alla-noia-di-Sirius.
In
fondo sperava soltanto di rimetterlo in sesto per quando Albus avrebbe
richiesto la loro presenza per l’affidamento dell’unico figlio di James
e Lily.
Il piccolo Harry ci pensò seriamente. Molto, molto seriamente.
Non
ricordava con precisione quando, ma quasi per caso, dopo aver parlato
al suo uomo-Sevreus del polipo enorme, aveva pensato a come da
tantissimo tempo non aveva più fantasie da immaginare, a come,
sorprendentemente, non ne avesse bisogno. E questo perché ogni sera,
quando il suo uomo-Sevreus tornava il piccolo Harry non veniva chiuso
in cantina, non veniva picchiato vicino alle scale e gettato nel
sottoscala, non veniva lasciato senza mangiare e non aveva alcuna
ragione al mondo per avere paura. Davvero, si disse, allora era quello
che la gente grande chiamava ‘essere felici’. Come sentirsi sempre bene
e avere voglia di sorridere così, dal nulla. Anche se in realtà, se
doveva essere sincero, lo sapeva bene il perché. E sapeva che era
grazie al suo uomo-Sevreus.
Perché il suo uomo-Sevreus aveva fatto quello che nessun altro aveva
mai fatto e che mai avrebbe potuto fare.
Gli
aveva donato un mondo nuovo fatto di luci e gioia, un mondo di palle di
vetro e gufi e penne di piccione e letti e coperte e camini e burro.
Un mondo dove era permesso essere, finalmente, felici.
E
quindi il piccolo Harry sollevò gli occhi verdi e guardò il suo
signore-Sevreus con tutto l’affetto che provava, un sorriso radioso sul
volto.
Severus alzò gli occhi dai temi che stava correggendo.
Scetticamente scrutò il bambino-Potter.
Era lì sul tappeto, quieto, la palla in mano, vicino al fuoco,
un’espressione concentrata sul visino.
Come perso in un ragionamento complicato e affascinante.
Fino a quando non parve giungere ad un’illuminante conclusione ed alzò
gli occhi, un sorriso puro e felice sulle piccola labbra.
Perplesso Snape si disse che, con ogni probabilità, non era un sorriso
per lui.
Nel suo studio, in piedi davanti alla finestra Albus osservava il
desolato bianco senza fine.
Non riusciva a portarsi verso il compimento di quanto aveva promesso.
Avrebbe
dovuto chiamarli da tempo. Così come aveva detto, ma qualcosa lo
tratteneva e sentiva che in parte stava pagando un debito vecchio e
nuovo insieme. Ma quanto ancora avrebbe potuto evitare la calamità?
Scosse la testa ed uscì dal suo studio.
Nei momenti bui vedere Minerva e stringerle una mano gli alleggeriva
sempre il cuore.
“Ah… s…”
“Chiedi pure, Harry, sai che è permesso, sempre”.
“Uh.
Sì, signore Sevreus – la testolina s’inclinò di lato, quasi
irriverente. – Solo le tue ginocchia, signore Sevreus, sono così calde?”
Il giovane uomo scosse la testa, lievemente esasperato da quella
sciocchezza.
“No, Harry, quelle di tutti”.
‘Ma le tue lo sono di più, signore-Sevreus’ lo pensò con convinzione,
ma non lo disse.
E di nuovo gli sorrise.
Seduti
davanti al fuoco, le braccia dell’uomo abbandonate lascamente attorno
al corpicino. Era una sera tranquilla. Il bambino-Potter aveva finito i
suoi compiti e Severus aveva corretto gli ultimi temi. In realtà, per
quella sera, era in programma l’ennesimo meeting fra Capi Casa, ma
Snape non aveva ritenuto indispensabile la propria presenza
dopo
aver appreso che l’ordine del giorno era rappresentato da qualcosa come
‘L’organizzazione del comitato decorazioni per l’avvento della
possibile festa di primavera’. Senz’altro Madam Sprout poteva elargire
consigli sulla scelta dei fiori molto meglio di lui, Filius poteva
occuparsi degli incantesimi e Minerva poteva proporre i suoi studenti
per il lavoro di addobbo. La sua presenza sarebbe stata senz’altro
superflua e certamente Severus non aveva tre ore libere da dedicare
all’appassionata difesa di se stesso e delle sue serpi contro qualche
ignominiosa proposta, quali per esempio spargere rose e mimose nella
Great Hall.
Sopprimendo un tremito disgustato per quelle
terribili eventualità il giovane professore lanciò uno sguardo al
bambino. Il piccolo Potter si era assopito e adesso riposava placido
con la testolina sul suo petto. Era ancora presto, ma Severus non se ne
sorprese. Il bambino, da qualche tempo, era in piedi ad ore
incomprensibili, alle volte anche prima del sorgere del sole.
Prima
o poi avrebbe dovuto indagare anche su quello, ma desiderava attendere.
Aveva sconvolto la routine del piccolo Potter, gli aveva dato una casa
nuova, delle regole nuove, un’intera vita nuova. Probabilmente il
totale cambiamento era all’origine di quel chiaro disturbo del sonno.
Aspettare, per il momento, sembrava la scelta migliore.
Se
le cose non fossero cambiate in un tempo ragionevole allora sarebbe
intervenuto, intanto era meglio lasciare che si abituasse naturalmente,
senza pozioni.
Avrebbe dovuto metterlo a letto, ma quella sera era
troppo tranquilla e rilassante per lasciarla finire subito. Il giovane
Maestro di Pozioni non aveva mai avuto sere così prima dell’arrivo del
piccolo Potter.
Ad Hogwarts doveri e frenetiche attività avevano
sconvolto per mesi la sua mente, lasciandolo quasi incapace di
concedersi del tempo per riposare.
I suoi anni come Death Eaters,
poi, avevano visto le sue notti riempirsi di interminabili riunioni in
cui folli progetti venivano presentati come piani perfettamente logici
o di estenuanti cacce ai Muggle, ore di tortura, omicidi, depravazione
e qualsiasi altra forma in cui il suo stupido odio si potesse
concretizzare.
E forse all’inizio potersi sfogare di anni di
soprusi e crudeltà e venire apprezzati per questo era sembrata la più
dolce delle vendette, la migliore carriera. Ma una parte del suo animo
era rimasta immune, intonsa, protetta dalla luce splendente di quei
ricordi buoni, di quei ricordi meravigliosi.
La luce di Lily.
In
attesa di venire scoperta, di lasciar esaurire l’odio per poi
riaffiorare, più forte di prima, il suo grido di giustizia che lo
avrebbe tormentato costringendolo a capire che dopo il dolore, il
disprezzo e la violenza quello che rimaneva era la parte più difficile
da accettare.
Aveva cambiato direzione, sì, ma non si illudeva.
Si era scrollato di dosso il giogo di Voldemort solo per accettare
quello ben più pesante di Albus.
Le sue tribolazioni non erano finite, lo sapeva bene.
Il
Signore Oscuro sarebbe tornato, oh sì, ne era certo, aveva visto di
quale feroce, immortale ambizione i suoi occhi bruciavano, niente lo
avrebbe fermato se non la completa distruzione.
Non era più ‘se’ la domanda, ma ‘quando’.
E quel momento avrebbe segnato la fine della sua impasse.
La
misera speranza che il mondo poteva ancora provare era rappresentata
dal fagottino di disperazione e stracci che gli era stato affidato e
che adesso riposava beato sul suo petto.
Il bambino Potter sarebbe
stato la chiave degli anni a venire, questo Severus lo sapeva con
certezza e se ne rammaricava come mai prima.
Impossibile concepire
come una creatura così piccola, già piena di sofferenza e dolore,
potesse avere davanti un simile ingrato, travagliato cammino.
Involontariamente
lo strinse a sé, ma le sue patetiche reazioni inconsce non lo avrebbero
salvato quando il Signore Oscuro sarebbe venuto a cercarlo per
estinguere con lui tutta la sua fastidiosa stirpe.
Quando quel
giorno sarebbe arrivato il piccolo Harry, il suo Harry, avrebbe avuto
bisogno di tutto l’aiuto, la diplomazia, l’astuzia e la conoscenza che
Severus sarebbe stato in grado di dargli.
Questo Severus era disposto a fare per il suo bambino-Potter e questo
avrebbe fatto.
Risolutamente
guardava di fronte a sé, aveva il piccolo fra le braccia adesso, e lo
avrebbe tenuto con sé fin quando poteva, a qualsiasi prezzo.
Le
carte erano arrivate al Ministero, di questo era certo, ma non aveva
modo di controllare che fossero state approvate completamente. Era
impensabile avventurarsi là per informarsene. Non solo avrebbe destato
i sospetti di chi, solo qualche tempo prima, aveva cercato di farlo
imprigionare ad Azkaban, ma era noto a tutti come il Ministero stesso
brulicasse di ancor più che fedeli seguaci del Signore Oscuro, primo
fra tutti Lucius Malfoy.
Oltretutto non desiderava creare tutta questa pubblicità attorno al
bambino, era troppo pericoloso.
Si sarebbe avvalso di Albus, come sempre era costretto a fare.
Sbuffò,
esasperato dalla propria incapacità di far fronte a quegli
inconvenienti da solo e si alzò, lentamente, con il bambino in braccio.
Si era fatto tardi e per quanto piacevole anche quel momento
di rilassatezza era giunto al termine.
Senza
fare alcun rumore portò il bambino in camera e lo pose delicatamente
sotto le coperte. Si perse un istante in contemplazione del suo piccolo
viso e poi, riscuotendosi da quell’attimo di debole sentimentalismo,
uscì.
Nella sala raccolse i tomi che stava leggendo dal tavolino
accanto alle poltrone e fece per dirigersi verso le proprie stanze
quando un suono lo fermò accanto alla porta della camera del bimbo.
Come una sorta di basso, lamentoso mugolio.
Pensò
che il piccolo Harry si fosse svegliato e si affacciò per offrirgli la
consueta buonanotte. Quello che vide fu il bambino-Potter agitarsi nel
letto, gli occhi chiusi, la fronte corrugata, le manine che strozzavano
la coperta quasi come se da quella stretta dipendesse la sua piccola
vita.
Sognava, dunque.
E, ad occhio e croce, non sembrava un sogno piacevole.
Severus
aveva un’intima, approfondita conoscenza degli incubi. Ne aveva avuti
fin da quando aveva memoria e le impervie strade della sua vita non
avevano certo contribuito a lasciarlo scevro di orrori da rivivere
quando calavano le tenebre.
Vedere il bambino-Potter soffrire anche
quando avrebbe dovuto godere finalmente del sonno dei giusti lo riempì
di una sorta d’indignazione.
Rapidamente si avvicinò e, scartando
l’idea di svegliarlo per non provocare una reazione isterica, lo prese
in braccio e lo cullò, camminando lentamente per la stanza, una mano
sulla sua piccola schiena, un braccio sotto le sue gambette raccolte.
Gli
accarezzò la testolina arruffata e ancora camminò su e giù per la
stanza, come sempre faceva quando una delle terribili memorie degli
abusi subiti riaffiorava durante le ore di veglia.
Il tempo scorreva
nel silenzio, occasionalmente interrotto da qualche ‘Ssh’ sussurrato da
Severus, le sue mani incessanti nel cercare di confortare quella
piccola, disperata creatura.
Il movimento costante e la familiarità
delle sue braccia riuscirono nel loro scopo e quando Snape lasciò
quella stanza il bambino riposava tranquillo, l’espressione distesa.
Come volevasi dimostrare niente era mai semplice con il povero figlio
dei Potter.
Severus
aveva desiderato ardentemente di potersi dimenticare di quella notte,
sperando di poterla classificare come un caso isolato, invece,
naturalmente, divenne una tremenda costante.
Notte dopo notte dopo notte.
Le
giornate scorrevano agitate, il bambino era irrequieto durante le ore
di veglia. Copie di inquieti giorni tutti uguali. All’alba trovava il
bambino davanti alla porta, nel centro perfetto del tappeto, facevano
colazione insieme, il bambino lo accompagnava alla porta e Severus
sapeva che lì lo avrebbe trovato al suo ritorno, immobile come un
perfetto soldatino. L’immagine iniziava a turbarlo ogni giorno più del
precedente. Quando rimaneva nei suoi quartieri il bambino-Potter era
sempre attorno a lui, Snape lo guardava fare i compiti, purtroppo
costretto a constatare come la mancanza del giusto riposo avesse
peggiorato la sua capacità di concentrarsi. Talvolta lo vedeva
assopirsi sopra la pergamena e, anche se la vena di intransigente
insegnante che aveva dentro pulsava dal desiderio di svegliarlo, si
controllava perché niente di tutto quello era colpa di Harry. I
continui incubi notturni lasciavano il piccolo spossato e nervoso,
incerto e circospetto nei modi quasi come quando era arrivato. La sera
crollava subito dopo cena, ma passate poche ore ecco che si agitava,
preda dell’ennesimo sogno malvagio, talvolta si dimenava talmente tanto
da scoprirsi, si lamentava, piccoli, pietosi guaiti che negli ultimi
tempi erano diventati quasi grida.
Incapace di tenere a bada persino
i propri, di incubi, Snape non si sentiva certo la persona più adatta e
l’impotenza dei suoi futili tentativi lo frustrava..
Aveva provato
a leggergli storie sul mondo magico e sulla fauna e sulla flora ogni
sera, cercando di trasmettergli calma e serenità, aveva speziato il
latte del dopocena con erbe rilassanti per favorire un sonno sereno,
aveva tentato la strada del dialogo, ma l’atterrita reticenza del
bambino lo aveva fatto desistere. Tutto inutile, tutto quanto.
Lasciava
le porte delle loro stanze aperte, stendendosi in silenzioso ascolto
sul proprio letto, contando i secondi, i minuti, le ore fra un orrore e
l’altro.
E quando accadeva si alzava e faceva del suo meglio per consolare il
suo piccolo Harry, ma nulla sembrava mai abbastanza.
Probabilmente
avrebbe dovuto discutere di questo con Albus, pensò, adesso che sedeva
nello studio di quest’ultimo in cerca di una conferma sulle carte
inviate al ministero.
Certamente Albus avrebbe consigliato di
chiamare Madam Pomfrey o di somministrare al bambino una delle sue
pozioni Dreamless Sleep .
E certamente sarebbe stato inutile.
Madam
Pomfrey e la sua scienza medica non potevano niente contro cinque anni
di vessazioni e abusi mentali ed il bambino aveva preso fin troppe
pozioni da quando era arrivato ad Hogwarts, senza contare che
l’utilizzo su un bimbo così piccolo di una pozione potente come la
Dreamless Sleep era sconsigliato su quasi tutti gli autorevoli tomi di
pozioni che Snape possedeva.
Severus sospirò profondamente.
Era stata una giornata pesante, una delle tante ormai.
Quella
mattina, al suo arrivo in sala, l’assenza del bambino-Potter davanti
alla porta lo aveva stupito e preoccupato nello stesso istante.
Immediatamente
era andato a cercarlo in camera. Probabilmente, nella foga di
assicurarsi della sua presenza, era entrato con troppo impeto,
spaventando il piccolo che in quel momento usciva dal bagno.
Convinto
di essere tremendamente in ritardo, e quindi punibile per questo, Harry
era scoppiato in lacrime alla sua vista e niente era stato in grado di
consolarlo.
Gli incubi gli lasciavano addosso un malessere in grado
di cancellare persino il ricordo delle buone promesse di Snape, come
quella di non picchiarlo mai.
Così Severus aveva dovuto calmarlo,
lentamente, spiegandogli che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che
era suo diritto alzarsi ad un orario ragionevole se lo desiderava,
senza il bisogno di salutare Snape sulla porta.
Resosi conto della
situazione un po’ alla volta e smesso di piangere per la paura, il
bambino-Potter aveva iniziato a scusarsi per il proprio comportamento,
si era coperto la bocca con una manina cercando di frenare i singhiozzi
e, di nuovo in lacrime, adesso piangeva perché stava piangendo.
Snape
era arrivato a lezione con due ore di ritardo e con, fra i denti, una
sequela di maledizioni impronunciabili per qualsiasi mago rispettabile.
Da
quel momento la giornata era stata devastante e adesso Albus aggiungeva
il suo carico, dicendo che non aveva ricevuto risposta al gufo inviato
al Ministero giorni prima.
Senza troppi convenevoli Snape si era congedato per fare, finalmente,
ritorno nei suoi quartieri.
Il bambino-Potter gli sorrise timidamente dal centro del tappeto.
Severus
sospirò con estrema lentezza e, prima di qualsiasi altra cosa, prese
dalla propria personale scorta la miglior pozione calmante che riuscì a
trovare.
‘Sì –
disse fra sé e sé ingoiandola in un unico sorso – l’annata precedente è un’ottima
annata.’
Il
piccolo Harry non sapeva spiegarsi bene nemmeno con se stesso, eppure
aveva provato a parlarsi di questa cosa che stava succedendo, ma non
sapeva come incastrare tutti i pensieri. Quando era sveglio era felice,
della sua nuova stanza, della palla di vetro, di stare a casa
dell’uomo-Sevreus, di stare bene, di mangiare, eppure… tutte le volte
che andava a dormire la sua testa gli faceva vedere sempre la stessa
brutta cosa.
Il sogno era sempre uguale ed Harry non ricordava mai
tutti i particolari, ma si svegliava sempre di colpo con una sensazione
bruttissima.
Quella di non essere più con il suo uomo-Sevreus.
Qualcosa
o qualcuno lo portava via e gridare non serviva a niente, così come non
era mai servito con Zio Vernon, ma Harry non poteva fare a meno di
farlo.
Voleva rimanere con il signore-Sevreus, voleva stare con lui per sempre.
E allora, appena sveglio, correva in sala e aspettava di veder passare
il suo uomo-Sevreus.
Non
importava che ore erano, lui aspettava ed aspettava, in piedi, in
silenzio, sperando di non veder mai arrivare il giorno in cui il
signore-Sevreus non sarebbe passato.
Ma adesso non riusciva più a
farlo. I sogni brutti lo tenevano sveglio per tanto tempo e non
riusciva più ad alzarsi presto la mattina. Anche se sapeva che il suo
uomo-Sevreus era buono e correva sempre da lui durante la notte, Harry
si sentiva in colpa, non solo era stupido tanto da non riuscire a
svegliarsi presto, ma dava molta noia tutte le notti al povero
signore-Sevreus. Al suo posto Zio Vernon lo avrebbe picchiato
tantissimo e gli avrebbe intimato di non ‘mettere più un solo suono’.
Invece il suo uomo-Sevreus si alzava sempre senza dire niente e non lo
sgridava mai e lo teneva fra le braccia. Tutte le sere gli leggeva
delle storie bellissime.
Il piccolo Harry adorava la voce del suo
uomo-Sevreus, era una voce calda, bassa, sicura. Sembrava avvolgerlo
tutto e riscaldarlo ben prima di venir messo sotto le sue coperte nuove.
Harry
non conosceva tanti altri grandi a parte i suoi zii, la sua maestra
della scuola ed il nonnino strambo, ma di una cosa era sicuro.
Se anche li avesse conosciuti tutti il suo uomo-Sevreus era di certo
l’unico in grado di accarezzarlo con la voce.
Non esisteva nessuno come lui e questo era tutto il perché dei suoi
sogni brutti.
Il
bambino-Potter sembrava assorto in un altro dei suoi lunghi, enigmatici
ragionamenti. Snape non lo disturbò, ma continuò a leggere anche se era
chiaro che il piccolo non lo stesse affatto ascoltando. La pozione
aveva fatto fin troppo bene il suo dovere, subito dopo il latte della
sera Severus fece appena in tempo a pensare di dover mettere il bambino
a letto, dato che ormai s’era addormentato, che si assopì a sua volta,
semidisteso sul divanetto per due che aveva trasfigurato in occasione
delle sue letture serali al bambino.
Se i suoi quartieri si
fossero trovati in alto il classico raggio di sole lo avrebbe destato,
ma anche senza la luce solare, quando aprì gli occhi, Snape già sapeva
che l’alba era passata.
Si sollevò su di un gomito, maledicendo
l’ottima annata precedente ed il suo devastante effetto su un uomo a
sua volta già troppo devastato. Un sinistro scricchiolio del collo gli
ricordò perché il genere umano avesse inventato i letti e Severus si
rimproverò aspramente per essersi addormentato sul divano come un
ragazzino, anche se, doveva ammettere, si sentiva piuttosto ben
riposato. Probabilmente un’intera notte…
La sua mente lasciò incompiuto quel pensiero ed il suo corpo s’irrigidì.
Il bambino-Potter!
Le
stanze erano appena al di là della sala, sicuramente avrebbe dovuto
sentirlo durante la notte. Il timore di non essere riuscito a destarsi
per salvarlo dai suoi incubi lo colpì come un Petrificus Totalus.
Sicuramente il piccolo aveva avuto paura e Snape lo aveva tradito,
seppur distrutto dalla fatica abbandonarlo ai suoi orrori era stata
un’imperdonabile mancanza con la quale rischiava seriamente di
compromettere tutto quello che aveva fatto.
Fece per alzarsi di scatto per sincerarsi del grado del suo fallimento
quando qualcosa si strinse alla sua tunica.
Una manina che, esclusa l’impensabile follia di un elfo domestico,
poteva essere solo del suo bambino-Potter.
Ricordava
di aver pensato di doverlo mettere a letto, ma evidentemente non era
riuscito a concretizzare quell’azione e, adesso, appariva chiaro come
si fossero addormentati insieme.
Il giovane maestro abbassò lo
sguardo sul visino del bimbo e, mentre tirava un mentale sospiro di
sollievo per lo scampato insuccesso, la sua perspicacia lo pose di
fronte ad una scoperta dai risvolti straordinari, ma potenzialmente
terribili.
Per tutto il tempo il bambino non aveva avuto alcun incubo.
Questa
facile deduzione era avallata dalla notte d’indisturbato riposo che
Severus aveva sperimentato. Era positivamente impossibile credere che
il bambino avesse avuto degli incubi e che Snape non si fosse
svegliato, erano praticamente distesi sullo stesso rettangolo di stoffa
nera e questo portava alla ben più difficile da accettare conclusione
iniziale, la quale prevedeva di offrire come unica, lucente spiegazione
la presenza di Severus prima e durante il suddetto sonno condiviso.
Come
sempre, quando era richiesto alla sua mente acuta di venire a patti con
una verità inconsulta, la sua più grande necessità risiedeva nel
trovare al più presto uno studente qualsiasi sul quale riversare un
commento crudele, preferibilmente proprio fuori dalla porta, se
possibile.
Senza spostare il bambino e facendo attenzione a coprirlo
in modo che potesse, finalmente, recuperare parte del sonno perso,
Snape uscì in un minaccioso svolazzio di nero tessuto.
Remus sospirò.
Sirius era chiaramente agitato.
Passeggiava nervosamente nello studio dove avevano appena preso il tè,
la sua tazza intonsa sul tavolino basso.
Camminava
furiosamente avanti e indietro nel centro della stanza, per poi
ricordarsi all’improvviso di essere ancora piuttosto debole, allora
sedeva per qualche minuto con un’espressione perduta ed infastidita
solo per alzarsi nuovamente nel giro di poco e cominciare tutto
daccapo.
Remus sapeva bene cosa angustiasse il suo amico, ma aveva
già espresso il proprio parere molteplici volte e sapeva che, a questo
punto, era inutile continuare a parlargli.
Sicuramente
quest’inspiegabile attesa doveva avere una giustificazione. Conosceva
Albus e la sua propensione all’attendere il momento propizio secondo le
sue strane macchinazioni, ma non si preoccupava. Si fidava di lui e del
suo giudizio. Probabilmente non era ancora arrivato il momento giusto,
bisognava solo attendere ancora un po’.
Ma il problema era come farlo capire anche a Sirius…
Il brusio alle sue spalle era talmente lieve che Snape non si girò
neppure.
“Trenta punti in meno per Gryffindor ed è tutta colpa sua, signor
Holdan”.
Severus
terminò di scrivere le istruzioni per la pozione del giorno della sua
classe del quinto anno Gryffindor-Slytherin, beandosi dei sospiri
disperati di quei piccoli pusillanimi chiacchieroni.
Poi sedette
alla sua scrivania e, mentre tutta la classe iniziava a creare la
pozione richiesta in perfetto, meraviglioso silenzio, Snape poté
finalmente provare ad affrontare le conseguenze della sua mattutina
illuminazione.
Che tutto fosse tremendamente chiaro e semplice non l’aiutava quanto
avrebbe dovuto.
Naturalmente
in quei mesi il bambino-Potter si era affezionato a lui ed il fatto che
il motivo di questo incommensurabile affetto derivasse tutto dal
ricevere cibo, coperte e nessuno schiaffo poteva essere causa di
sconfinata ilarità se non fosse stata una cosa così terribile.
Il
bambino si sentiva sicuro in sua compagnia perché, come era stato
dimostrato dagli sfortunati avvenimenti di qualche tempo prima, Severus
era ben in grado di difendere se stesso e gli altri in situazioni di
pericolo.
Era, quindi, solo una deduzione logica concepire che il
bambino, tormentato dagli incubi la notte, potesse trovare sollievo da
essi restando accanto all’unico uomo che lo aveva saputo difendere
senza abusarlo.
Peccato che tutto questo si scontrasse profondamente con ciò in cui
Severus credeva.
Severus Snape non era un uomo buono, né un uomo compassionevole o
giusto o prono agli affetti e alle smancerie.
Credeva
nell’educazione portata avanti con disciplina come unica salvezza per
le scalmanate generazioni a venire e predicava come il sapere potesse
rendere potenti le persone, perché la vita gli aveva insegnato fin
troppo presto che il potere era tutto ciò che serviva per essere
rispettati, per sopravvivere senza inginocchiarsi ora di fronte ad un
signore ora di fronte ad un altro.
Ormai asservito, a causa dei suoi
errori, cercava la libertà nella conoscenza, si applicava nella
sperimentazione, l’unica àncora di salvezza alla quale poteva
aggrapparsi per sperare, un giorno, di vivere soltanto per se stesso.
Il
figlio dei Potter, in tutto questo, era arrivato dal niente portando
scompiglio e rabbia. I ricordi, il dolore, la costrizione di vedersi
affidare un esserino arrogante e fastidioso che alla fine si era
rivelato essere un’altra, innocente, vittima delle decisioni di chi,
fra loro, poteva esercitare quel potere che a lui sembrava ogni giorno
più irraggiungibile.
Non c’era spazio nella vita di un uomo come
Severus per quel tipo di sentimenti, in privato, nei propri pensieri,
sentiva di non esserne in grado e anche se aveva giurato di tenere con
sé il bambino e costretto Albus a firmare per l’adozione non credeva
sarebbero dovuti arrivare a quel punto.
Il confine fra l’assoluzione
che il bambino-Potter rappresentava e la pericolosità di un vincolo
sentimentale praticamente paterno.
Snape era anche un uomo che detestava per natura i legami, di qualsiasi
genere.
I
legami blandivano il potere degli uomini, lo soggiogavano ancor più
subdolamente e rappresentavano un punto debole, una breccia in un
bastione altrimenti inespugnabile.
Voldemort non aveva legami, così come non li aveva Albus.
La loro strada di volontà e predominio li aveva certo condotti alla
solitudine, ma quali grandezze avevano raggiunto?
Seppur con scopi diversi erano stati in grado di conquistare poteri
sconfinati, con i quali dominavano la vita di tutti loro.
Severus si frenò dal nascondersi il viso fra le mani davanti alla sua
classe, ma desiderava intensamente farlo.
Che avesse compiuto un immenso errore di valutazione?
Che
il dolore accecante della Legilimens e dei ricordi della dolce Lily lo
avesse momentaneamente annebbiato tanto da fargli intraprendere quella
strada così palesemente inadatta?
Era in grado, ora che veniva
chiamato ad esplicare i propri doveri di tutore e figura di
riferimento, di abbandonare definitivamente il proprio credo, di vivere
anche per qualcun altro, per un bambino, per il suo bambino?
Era pronto ad averlo come punto debole, come perfetta occasione di
ricatto in ogni possibile circostanza?
Rimase
come stordito da questi dubbi, ora redarguendosi aspramente di aver
sempre saputo a cosa andava in contro, ora rifiutandosi di accettare la
propria scelta pienamente.
Raccolse senza dire niente tutte le
pozioni dei suoi studenti e non si alzò, neppure quando la classe si fu
completamente svuotata.
Quando sentì il rumore soffocato
dei passi il piccolo Harry si assicurò di stare ben diritto con la
schiena e di non fare alcun rumore. Sapeva perfettamente che dopo il
lavoro i grandi erano sempre stanchi e arrabbiati ed anche un po’ per
questo non è che desiderasse così tanto crescere.
Però, d’altra
parte, un po’ lo desiderava lo stesso, si rendeva conto di essere
piccolo e basso e poco forte e così non poteva aiutare il
signore-Sevreus in niente. Non poteva portare le pentole del
signore-Sevreus né sistemare i suoi libri né pulire in alto. Avrebbe
voluto tanto aiutare il suo signore-Sevreus e forse un giorno, da
grande, Harry avrebbe imparato a cucinare come l’uomo-Sevreus, tutte
quelle cose che sembrava sempre preparare e che Harry pensava di
mangiare a cena, anche se il maestro non diceva mai che erano cose
fatte da lui Harry lo credeva perché erano sempre buone come era buono
il signore-Sevreus.
Harry avrebbe fatto qualunque cosa per lui e anche se non sarebbe mai
stato abbastanza doveva, voleva ringraziarlo.
Il
solo stare nella stessa stanza scacciava tutte le sue paure e tutti i
sogni brutti, così come era successo la notte prima, ed il piccolo
Harry non sapeva bene come rendere chiaro che questa era una cosa
incredibilmente bella, anche se non si aspettava certo di vederla
ricapitare…
‘Oh, eccolo,
eccolo, sssh’ si disse e quando lo vide rientrare illuminò
la stanza con il suo piccolo sorriso.
Senza
nemmeno avere il tempo di pensare a cosa faceva Snape si chinò e prese
il bambino in braccio, rapido come un serpente. Immediatamente si rese
conto di aver commesso un errore, ricordava molto bene a cosa i
movimenti improvvisi corrispondevano per il bambino, considerata la
violenta educazione impartita dai Dursley.
Dopo un iniziale momento
di rigidità Snape si stupì della rilassatezza con la quale il figlio di
Lily lo guardava adesso. La piena fiducia, che Severus non sapeva più
se desiderare o meno, scritta a chiare lettere nei suoi occhi verdi.
Incredibile come le cose stessero cambiando, si disse il giovane
maestro, forse non tutto era stato inutile.
Le sere a leggere, il cullarlo, le lezioni, le pozioni, le regole, la
Legilimens.
Eppure, si chiese, come spiegare quegli incubi?
Perché era stato incapace di troncare quel legame malsano con il
passato?
Forse non era stato così bravo, così pronto come credeva…
Si
sedette con il bambino in braccio e lo guardò negli occhi, ancora
sconcertato dalla sua mancanza di paura e dal piccolo sorriso
che
tuttora gli piegava le labbra.
“Harry, devo chiedertelo. E’ molto importante per me sapere o non ti
potrò aiutare…”
Intendeva
davvero farlo o in realtà lo avrebbe abbandonato una volta saputa la
verità? Quella verità che avrebbe rivelato la sua incapacità, la sua
inadeguatezza. Non sarebbe mai riuscito a redimersi salvandolo perché
era troppo tardi e nessuno avrebbe mai sigillato il dolore in lui,
immutabile in tutte le notti a venire. Un altro fallimento nella vita
di Severus Snape. Lo aveva illuso di poter riscattare entrambi, di
recuperare le loro vite e adesso sarebbe fuggito di fronte alla prova
che i Dursley non se ne sarebbero mai andati dalla sua piccola mente
piena di cicatrici.
Il bambino annuì, sembrava capire
l’importanza di quel momento. Forse era stata l’azione improvvisa di
Snape, di solito così calmo e composto, o forse il tono concitato della
sua richiesta, non sapeva. Sapeva solo che voleva sapere.
“Bisogna che tu mi dica che cosa sogni tutte le notti, che cosa ti
spaventa… Harry, dimmelo, per favore”.
Severus
vide chiaramente nelle iridi del piccolo Harry come la richiesta lo
addolorasse. Non sapeva perché, ma quasi si pentì d’averlo domandato,
anche se ormai era troppo tardi.
Il bambino-Potter prese fiato,
era chiaro che non desiderasse affatto rivelare quella parte di sé, ma
poi qualcosa in lui cambiò, sul suo piccolo viso comparve una
risoluzione nuova e Severus lo sentì prendere fiato di nuovo, come un
adulto che si rassegna alla decisione presa.
“Harry… Harry sa che si può fidare del maestro Sevreus, Harry…”
“Harry” disse Snape, guardandolo con una punta di rimprovero.
“Ah, scusi maestro, non Harry, io” comprese al volo il bambino.
Era sveglio, ma questo Severus lo sapeva già
“Dicevi, Harry?”
Non poteva lasciar correre, ormai erano giunti fin là insieme…
“H…
Io so che posso fidarmi del maestro Sevreus, io so che il maestro
Sevreus non mi chiede questo per prendere in giro Ha… per prendermi in
giro o per far succedere quello che sogno, vero, maestro?”
La
certezza delle sue parole cancellata dal tono di domanda, ma questo
Snape poteva capirlo, fino a qualche mese fa per lui Severus non era
altro che un estraneo dal naso brutto e l’aspetto spaventoso.
“Naturalmente Harry, non è mia intenzione fare ciò, puoi credermi”.
“Ma
Harry ti crede, cioè… io ti credo, maestro – la forma di cortesia
dimenticata nella fretta di rassicurarlo, Snape lo notò, ma non disse
niente – e sono molto felice di stare qui con te, maestro, ed è per
questo che ho paura e che faccio sempre lo stesso sogno brutto…”
Un attimo di silenzio.
Sembrò lungo ore, ma parve non esserci mai stato quando il bambino
parlò di nuovo.
“…un
sogno dove quella porta si apre – indicò la porta d’ingresso dei loro
quartieri – mentre sono qui a giocare con la palla che il maestro mi ha
regalato ed il maestro è lì al tavolo e d’improvviso qualcuno entra e
mi afferra e mi porta via, lontano, Harry grida, maestro, ma non può
fare niente ed il maestro è sempre più lontano attraverso la porta che
diventa piccola piccola e tutto si fa sempre più nero e buio, Harry
grida, ma nessuno può salvarlo, perché lo sa, questa cosa così bella di
vivere con il maestro deve finire come tutte le cose belle che sono
sempre finite per Harry…”
Piangeva, piangeva adesso, ma non smise di parlare, di raccontare una
verità che Severus non poteva nemmeno immaginare.
“…perché
Harry non vuole più andare via, Harry vuole stare qui con il maestro e
allora sogna che presto qualcuno lo porterà via, perché così è sempre
stato con le cose belle ed il maestro è la cosa più bella che adesso
Harry ha… – si fermò, il piccolo viso così serio,
così
determinato – … la cosa più bella che io ho”.
E poi non disse altro.
C’era
talmente tanta profondità e dignità nelle parole di quel bambino di sei
anni che per un attimo Severus Snape non riuscì a pensare a niente.
Ecco
qui la verità che pensava lo avrebbe liberato da tutto, che lo avrebbe
messo di fronte al fallimento, pronto a battere in ritirata, come
sempre nella sua vita, da Voldemort o da Albus che differenza faceva?
Invece no, non questa volta.
Questa volta la vittoria scorreva copiosa sul viso del suo piccolo
Harry.
Nessun Dursley, nessun ricordo concreto.
Il bambino aveva voltato pagina e poco importava se adesso altre paure
lo afferravano.
Erano paure nuove.
Severus aveva effettivamente spezzato quella catena di dolore, nulla
sarebbe stato semplice, ma tutto era diverso.
La maturazione del bambino aveva portato a lui la sua e non v’erano più
dubbi.
L’occasione di essere liberi insieme era ancora là, intonsa.
E Severus Snape non avrebbe esitato mai più.
Accarezzò la testa del bambino, consolandolo senza inutili frasi di
circostanza e si alzò, sentendosi più forte, più potente.
Era dunque questo che si provava nel vincere?
La
sera arrivò come un ladro nella notte. Il bambino si era calmato e
giocava sul tappeto con la sua palla di vetro. Le tazze vuote del tè e
del latte della sera erano già state portate via dagli elfi.
Era l’ora di andare a letto.
Il
bambino lo sapeva bene, Snape lo poteva intuire dalla sua postura
rassegnata, le piccole spalle abbassate sotto il peso del pensiero per
la notte insonne che lo attendeva.
“Andiamo a letto, Harry”.
Pronto ed ubbidiente il bimbo si alzò subito, senza dire niente.
Non
che Severus lo avesse mai sentito protestare o fare i capricci,
immaginava bene come Vernon Dursley aveva punito simili comportamenti…
Snape
spense tutte le luci con un gesto nervoso della bacchetta e si diresse
lungo il corridoio, si girò in tempo per vedere il bambino fermarsi di
fronte alla propria camera, una manina alzata per aprire la porta.
“No, Harry. Da questa parte” disse il maestro di Pozioni, proseguendo.
Sapeva
bene che il bambino-Potter non avrebbe fatto domande, ma immaginava lo
stesso quell’espressione di sorpresa, confusione ed incertezza così
tipicamente sua.
Lo condusse velocemente in fondo al corridoio, verso le proprie stanze
e lo fece entrare.
I vestiti del bambino per la notte erano ben sistemati sul letto.
Lo stesso letto dove Snape aveva temuto di vederlo morire quando il
bambino aveva mangiato per sbaglio la sua Wolfsbane.
Lo stesso letto nel quale, adesso, lo stava accogliendo per salvarlo
dal dolore e dagli incubi.
Harry guardava il suo maestro senza riuscire a pensare a nulla, senza
riuscire a parlare.
Harry non avrebbe sperato mai e poi mai, proprio mai-mai, di poter
dormire con il suo maestro Sevreus.
Non
si era fatto illusioni al riguardo, sapeva che i bambini come Harry non
solo erano troppo grandi per dormire nel letto degli adulti, ma anche
che ai bambini come Harry questa cosa non poteva essere offerta. Perché
era sudicio ed ingrato e avrebbe finito per dare fastidio a tutti.
Eppure sapeva quanto lo aveva desiderato. Lo aveva desiderato persino
in casa dei suoi zii quando, durante le lunghe notti in cui non
riusciva a dormire per la fame e per le botte, sentiva la porta di
camera di Dudley aprirsi e i suoi passi verso quella dei suoi genitori,
ma mai quelli di ritorno.
Aveva capito che Dudley poteva dormire con
i suoi genitori e che lui non avrebbe mai potuto sperarlo. E quella
cosa, più di tutte, gli mancava e lo faceva piangere.
Non avere due genitori dai quali poter dormire, non avere quella cosa
per lui aveva significato essere solo.
Completamente solo.
Questo
lo aveva fatto disperare per così tante notti, ma adesso, si disse con
una meraviglia senza fine, adesso il signore-Sevreus ( che sembrava
sapere perfettamente tutto, ma proprio tutto, quello che ad Harry
mancava ) lo avrebbe fatto dormire con sé ed Harry sarebbe stato come
gli altri bambini, come Dudley, forse di più, perché lui aveva
l’uomo-Sevreus accanto ed Harry sapeva, sentiva, che l’uomo-Sevreus era
forte e che lo poteva difendere. Nessuno Zio Vernon poteva picchiarlo
lì, perché l’uomo-Sevreus non l’avrebbe permesso.
I pensieri del bambino vennero interrotti dal maestro.
Snape
porse al bimbo il pigiama e gli indicò la sala da bagno, approfittando
della sua momentanea assenza per prepararsi a sua volta per la notte.
Quando
rientrò in stanza il bambino fu preso da un attimo di incertezza,
sembrava non credere fino in fondo a quello che stava succedendo e
certamente Snape non riusciva ad immaginare Vernon Dursley permettere
al figlio dei Potter di dormire assieme a lui, quindi poteva
comprendere. La situazione era già troppo… sentimentale… così com’era,
senza lunghi momenti d’esitazione, quindi Snape si sporse sulla sponda
del letto libera e allungando una mano invitò il bambino a salire. Non
si fidava della propria voce, avrebbe finito per dire cose che Albus
avrebbe trovato deliziose e che invece a lui avrebbero rovinato il
sonno. Coprì se stesso ed il bambino accanto a sé e poi rimase immobile.
Sapeva, dannazione, di dover comunque dire qualcosa o il bambino non si
sarebbe mai rilassato.
Dimostrare
affetto quando il piccolo Potter era emotivamente provato o in una
situazione di pericolo o necessità era una cosa, adesso, nel silenzio
della notte, nelle proprie stanze, Severus si rendeva conto di tutti i
propri limiti.
Avrebbe dovuto fare molto meglio di così, se voleva
sperare di salvare davvero entrambi, ma per il momento poteva solo
trovare qualcosa da dire, ma sorprendentemente venne anticipato.
“Grazie, maestro”.
Spezzato
il silenzio, liberato dai suoi vincoli, solo Harry sapeva come
sorprenderlo, forse lo aveva capito in quel momento, forse lo aveva
capito da subito, ma continuava a succedere.
“Non c’è bisogno di dire niente” rispose, forse un po’ bruscamente.
Ma Harry rise, un risolino divertito, innocente, puro.
Perché Harry sapeva che quando l’uomo-Sevreus usava quel tono non
diceva davvero quello che pensava, ma lo nascondeva.
Harry conosceva il suo uomo-Sevreus.
Prese fiato un’ultima volta, non voleva disturbare ancora il maestro,
ma era emozionato e non poteva stare zitto.
“Sono felice, maestro”.
Non ci fu modo di fermarsi.
“Anche io, Harry” disse, prima di poterci pensare.
Ma che importava?
Era la verità.
Tutta la bellezza della verità.
Sirius era calmo, troppo calmo.
Dopo giorni di agitazione e proteste e invettive e lettere e parole
irripetibili ora niente.
Piatto come la superficie di un lago.
Placido.
E Remus sapeva che questo era peggio di ogni altra cosa.
Così, quella mattina, lo seguì quando lo sentì uscire all’alba dalla
sua stanza.
Lungo il corridoio, giù per le scale, in sala da pranzo.
In tempo per vederlo prendere della Floo Powder e pronunciare
chiaramente “Hogsmeade”.
Senza
nemmeno aspettare che la nuvola della precedente polvere magica si
disperdesse Remus ne prese a sua volta e immediatamente lo seguì.
Continua…
La Dreamless Sleep è una pozione dal colore violetto usata per indurre
un sonno senza sogni in chi la beve.
Il
Petrificus Totalus è un incantesimo che rende la vittima completamente
immobile, spesso impiegato nel duello come incantesimo di difesa.
La Floo Powder è la metropolvere, la polvere magica che permette di
viaggiare da camino a camino.
Nota
grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi
propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi
con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che
così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia
del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di
chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
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