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Autore: MelKaine    03/08/2012    32 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of Everything 19
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Più di tre anni e nonostante tutto ho ancora la faccia tosta di ripresentarmi... XD
Inizio ufficiale direi, anzi re-inizio!
Conto di ripartire con una certa regolarità di ritorno dalle ferie dopo il 20 agosto, intanto l'ostacolo più difficile è stato superato, quello di ricominciare e riprendere le fila di una storia che ho amato tanto scrivere e che amo ancora. Spero proprio di essere riuscita a mantenere lo stile precedente e che il capitolo non sembri troppo distaccato dal resto sia come narrativa che come contenuti, incrocio le dita, mi raccomando, fatemi sapere.
Come sempre devo tutto a voi che mi avete incoraggiata e che continuate a leggermi a dispetto di tutto il tempo che ci metto.
Grazie soprattutto a bombottosa che non ha mai smesso di punzecchiarmi per leggere il finale e che ha ricreato la precedente fanlisting di questa storia con una nuova immagine assolutamente adorabile <3 potete trovarla a questo indirizzo: THOE Fanlisting  e naturalmente iscrivervi, se vi fa piacere ^^

Che rimane da dire...
...buona lettura!

Mel Kaine

 

 

 
 



The Heart of Everything

 

 

 

 19 - / The rose beneath the truth /


 




“Ed avremo bisogno di rimodernare almeno tutto il primo piano, Remus”.

Il licantropo sorrise, accondiscendente.
“Certamente, Sirius, quando starai meglio”.

“Ah, per le palle di Merlino! Non sono infermo e mi annoio, posso sistemare questa casa anche subito”.

“Come no, e dimmi, nelle tue attuali, emaciate condizioni dove pensi di trovare la forza di tenere in mano anche soltanto un rotolo di carta da parati?”

“Ma ho una bacchetta!!”

“Sì, certo, ma non la forza magica per usarla”.

Black sbuffò indispettito, ma tacque.
E Remus aggiunse un’altra ‘x’ sulla sua personale colonna mentale delle vittorie-contro-le-follie-dovute-alla-noia-di-Sirius.

In fondo sperava soltanto di rimetterlo in sesto per quando Albus avrebbe richiesto la loro presenza per l’affidamento dell’unico figlio di James e Lily.




Il piccolo Harry ci pensò seriamente. Molto, molto seriamente.
Non ricordava con precisione quando, ma quasi per caso, dopo aver parlato al suo uomo-Sevreus del polipo enorme, aveva pensato a come da tantissimo tempo non aveva più fantasie da immaginare, a come, sorprendentemente, non ne avesse bisogno. E questo perché ogni sera, quando il suo uomo-Sevreus tornava il piccolo Harry non veniva chiuso in cantina, non veniva picchiato vicino alle scale e gettato nel sottoscala, non veniva lasciato senza mangiare e non aveva alcuna ragione al mondo per avere paura. Davvero, si disse, allora era quello che la gente grande chiamava ‘essere felici’. Come sentirsi sempre bene e avere voglia di sorridere così, dal nulla. Anche se in realtà, se doveva essere sincero, lo sapeva bene il perché. E sapeva che era grazie al suo uomo-Sevreus.

Perché il suo uomo-Sevreus aveva fatto quello che nessun altro aveva mai fatto e che mai avrebbe potuto fare.

Gli aveva donato un mondo nuovo fatto di luci e gioia, un mondo di palle di vetro e gufi e penne di piccione e letti e coperte e camini e burro.

Un mondo dove era permesso essere, finalmente, felici.

E quindi il piccolo Harry sollevò gli occhi verdi e guardò il suo signore-Sevreus con tutto l’affetto che provava, un sorriso radioso sul volto.



Severus alzò gli occhi dai temi che stava correggendo.
Scetticamente scrutò il bambino-Potter.
Era lì sul tappeto, quieto, la palla in mano, vicino al fuoco, un’espressione concentrata sul visino.
Come perso in un ragionamento complicato e affascinante.
Fino a quando non parve giungere ad un’illuminante conclusione ed alzò gli occhi, un sorriso puro e felice sulle piccola labbra.
Perplesso Snape si disse che, con ogni probabilità, non era un sorriso per lui.



Nel suo studio, in piedi davanti alla finestra Albus osservava il desolato bianco senza fine.
Non riusciva a portarsi verso il compimento di quanto aveva promesso.
Avrebbe dovuto chiamarli da tempo. Così come aveva detto, ma qualcosa lo tratteneva e sentiva che in parte stava pagando un debito vecchio e nuovo insieme. Ma quanto ancora avrebbe potuto evitare la calamità?
Scosse la testa ed uscì dal suo studio.
Nei momenti bui vedere Minerva e stringerle una mano gli alleggeriva sempre il cuore.



“Ah… s…”

“Chiedi pure, Harry, sai che è permesso, sempre”.

“Uh. Sì, signore Sevreus – la testolina s’inclinò di lato, quasi irriverente. – Solo le tue ginocchia, signore Sevreus, sono così calde?”

Il giovane uomo scosse la testa, lievemente esasperato da quella sciocchezza.
“No, Harry, quelle di tutti”.

‘Ma le tue lo sono di più, signore-Sevreus’ lo pensò con convinzione, ma non lo disse.
E di nuovo gli sorrise.

Seduti davanti al fuoco, le braccia dell’uomo abbandonate lascamente attorno al corpicino. Era una sera tranquilla. Il bambino-Potter aveva finito i suoi compiti e Severus aveva corretto gli ultimi temi. In realtà, per quella sera, era in programma l’ennesimo meeting fra Capi Casa, ma Snape non aveva  ritenuto indispensabile la propria presenza dopo aver appreso che l’ordine del giorno era rappresentato da qualcosa come ‘L’organizzazione del comitato decorazioni per l’avvento della possibile festa di primavera’. Senz’altro Madam Sprout poteva elargire consigli sulla scelta dei fiori molto meglio di lui, Filius poteva occuparsi degli incantesimi e Minerva poteva proporre i suoi studenti per il lavoro di addobbo. La sua presenza sarebbe stata senz’altro superflua e certamente Severus non aveva tre ore libere da dedicare all’appassionata difesa di se stesso e delle sue serpi contro qualche ignominiosa proposta, quali per esempio spargere rose e mimose nella Great Hall.

Sopprimendo un tremito disgustato per quelle terribili eventualità il giovane professore lanciò uno sguardo al bambino. Il piccolo Potter si era assopito e adesso riposava placido con la testolina sul suo petto. Era ancora presto, ma Severus non se ne sorprese. Il bambino, da qualche tempo, era in piedi ad ore incomprensibili, alle volte anche prima del sorgere del sole.
Prima o poi avrebbe dovuto indagare anche su quello, ma desiderava attendere. Aveva sconvolto la routine del piccolo Potter, gli aveva dato una casa nuova, delle regole nuove, un’intera vita nuova. Probabilmente il totale cambiamento era all’origine di quel chiaro disturbo del sonno.
Aspettare, per il momento, sembrava la scelta migliore.
Se le cose non fossero cambiate in un tempo ragionevole allora sarebbe intervenuto, intanto era meglio lasciare che si abituasse naturalmente, senza pozioni.
Avrebbe dovuto metterlo a letto, ma quella sera era troppo tranquilla e rilassante per lasciarla finire subito. Il giovane Maestro di Pozioni non aveva mai avuto sere così prima dell’arrivo del piccolo Potter.
Ad Hogwarts doveri e frenetiche attività avevano sconvolto per mesi la sua mente, lasciandolo quasi incapace di concedersi del tempo per riposare.
I suoi anni come Death Eaters, poi, avevano visto le sue notti riempirsi di interminabili riunioni in cui folli progetti venivano presentati come piani perfettamente logici o di estenuanti cacce ai Muggle, ore di tortura, omicidi, depravazione e qualsiasi altra forma in cui il suo stupido odio si potesse concretizzare.
E forse all’inizio potersi sfogare di anni di soprusi e crudeltà e venire apprezzati per questo era sembrata la più dolce delle vendette, la migliore carriera. Ma una parte del suo animo era rimasta immune, intonsa, protetta dalla luce splendente di quei ricordi buoni, di quei ricordi meravigliosi.
La luce di Lily.
In attesa di venire scoperta, di lasciar esaurire l’odio per poi riaffiorare, più forte di prima, il suo grido di giustizia che lo avrebbe tormentato costringendolo a capire che dopo il dolore, il disprezzo e la violenza quello che rimaneva era la parte più difficile da accettare.
Aveva cambiato direzione, sì, ma non si illudeva.
Si era scrollato di dosso il giogo di Voldemort solo per accettare quello ben più pesante di Albus.
Le sue tribolazioni non erano finite, lo sapeva bene.
Il Signore Oscuro sarebbe tornato, oh sì, ne era certo, aveva visto di quale feroce, immortale ambizione i suoi occhi bruciavano, niente lo avrebbe fermato se non la completa distruzione.
Non era più ‘se’ la domanda, ma ‘quando’.
E quel momento avrebbe segnato la fine della sua impasse.
La misera speranza che il mondo poteva ancora provare era rappresentata dal fagottino di disperazione e stracci che gli era stato affidato e che adesso riposava beato sul suo petto.
Il bambino Potter sarebbe stato la chiave degli anni a venire, questo Severus lo sapeva con certezza e se ne rammaricava come mai prima.
Impossibile concepire come una creatura così piccola, già piena di sofferenza e dolore, potesse avere davanti un simile ingrato, travagliato cammino.
Involontariamente lo strinse a sé, ma le sue patetiche reazioni inconsce non lo avrebbero salvato quando il Signore Oscuro sarebbe venuto a cercarlo per estinguere con lui tutta la sua fastidiosa stirpe.
Quando quel giorno sarebbe arrivato il piccolo Harry, il suo Harry, avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto, la diplomazia, l’astuzia e la conoscenza che Severus sarebbe stato in grado di dargli.
Questo Severus era disposto a fare per il suo bambino-Potter e questo avrebbe fatto.

Risolutamente guardava di fronte a sé, aveva il piccolo fra le braccia adesso, e lo avrebbe tenuto con sé fin quando poteva, a qualsiasi prezzo.
Le carte erano arrivate al Ministero, di questo era certo, ma non aveva modo di controllare che fossero state approvate completamente. Era impensabile avventurarsi là per informarsene. Non solo avrebbe destato i sospetti di chi, solo qualche tempo prima, aveva cercato di farlo imprigionare ad Azkaban, ma era noto a tutti come il Ministero stesso brulicasse di ancor più che fedeli seguaci del Signore Oscuro, primo fra tutti Lucius Malfoy.
Oltretutto non desiderava creare tutta questa pubblicità attorno al bambino, era troppo pericoloso.
Si sarebbe avvalso di Albus, come sempre era costretto a fare.
Sbuffò, esasperato dalla propria incapacità di far fronte a quegli inconvenienti da solo e si alzò, lentamente, con il bambino in braccio.
Si era fatto tardi  e per quanto piacevole anche quel momento di rilassatezza era giunto al termine.
Senza fare alcun rumore portò il bambino in camera e lo pose delicatamente sotto le coperte. Si perse un istante in contemplazione del suo piccolo viso e poi, riscuotendosi da quell’attimo di debole sentimentalismo, uscì.
Nella sala raccolse i tomi che stava leggendo dal tavolino accanto alle poltrone e fece per dirigersi verso le proprie stanze quando un suono lo fermò accanto alla porta della camera del bimbo.
Come una sorta di basso, lamentoso mugolio.
Pensò che il piccolo Harry si fosse svegliato e si affacciò per offrirgli la consueta buonanotte. Quello che vide fu il bambino-Potter agitarsi nel letto, gli occhi chiusi, la fronte corrugata, le manine che strozzavano la coperta quasi come se da quella stretta dipendesse la sua piccola vita.
Sognava, dunque.
E, ad occhio e croce, non sembrava un sogno piacevole.
Severus aveva un’intima, approfondita conoscenza degli incubi. Ne aveva avuti fin da quando aveva memoria e le impervie strade della sua vita non avevano certo contribuito a lasciarlo scevro di orrori da rivivere quando calavano le tenebre.
Vedere il bambino-Potter soffrire anche quando avrebbe dovuto godere finalmente del sonno dei giusti lo riempì di una sorta d’indignazione.
Rapidamente si avvicinò e, scartando l’idea di svegliarlo per non provocare una reazione isterica, lo prese in braccio e lo cullò, camminando lentamente per la stanza, una mano sulla sua piccola schiena, un braccio sotto le sue gambette raccolte.
Gli accarezzò la testolina arruffata e ancora camminò su e giù per la stanza, come sempre faceva quando una delle terribili memorie degli abusi subiti riaffiorava durante le ore di veglia.
Il tempo scorreva nel silenzio, occasionalmente interrotto da qualche ‘Ssh’ sussurrato da Severus, le sue mani incessanti nel cercare di confortare quella piccola, disperata creatura.
Il movimento costante e la familiarità delle sue braccia riuscirono nel loro scopo e quando Snape lasciò quella stanza il bambino riposava tranquillo, l’espressione distesa.


Come volevasi dimostrare niente era mai semplice con il povero figlio dei Potter.
Severus aveva desiderato ardentemente di potersi dimenticare di quella notte, sperando di poterla classificare come un caso isolato, invece, naturalmente, divenne una tremenda costante.
Notte dopo notte dopo notte.
 
Le giornate scorrevano agitate, il bambino era irrequieto durante le ore di veglia. Copie di inquieti giorni tutti uguali. All’alba trovava il bambino davanti alla porta, nel centro perfetto del tappeto, facevano colazione insieme, il bambino lo accompagnava alla porta e Severus sapeva che lì lo avrebbe trovato al suo ritorno, immobile come un perfetto soldatino. L’immagine iniziava a turbarlo ogni giorno più del precedente. Quando rimaneva nei suoi quartieri il bambino-Potter era sempre attorno a lui, Snape lo guardava fare i compiti, purtroppo costretto a constatare come la mancanza del giusto riposo avesse peggiorato la sua capacità di concentrarsi. Talvolta lo vedeva assopirsi sopra la pergamena e, anche se la vena di intransigente insegnante che aveva dentro pulsava dal desiderio di svegliarlo, si controllava perché niente di tutto quello era colpa di Harry. I continui incubi notturni lasciavano il piccolo spossato e nervoso, incerto e circospetto nei modi quasi come quando era arrivato. La sera crollava subito dopo cena, ma passate poche ore ecco che si agitava, preda dell’ennesimo sogno malvagio, talvolta si dimenava talmente tanto da scoprirsi, si lamentava, piccoli, pietosi guaiti che negli ultimi tempi erano diventati quasi grida.
Incapace di tenere a bada persino i propri, di incubi, Snape non si sentiva certo la persona più adatta e l’impotenza dei suoi futili tentativi lo frustrava..
Aveva provato a leggergli storie sul mondo magico e sulla fauna e sulla flora ogni sera, cercando di trasmettergli calma e serenità, aveva speziato il latte del dopocena con erbe rilassanti per favorire un sonno sereno, aveva tentato la strada del dialogo, ma l’atterrita reticenza del bambino lo aveva fatto desistere. Tutto inutile, tutto quanto.
Lasciava le porte delle loro stanze aperte, stendendosi in silenzioso ascolto sul proprio letto, contando i secondi, i minuti, le ore fra un orrore e l’altro.
E quando accadeva si alzava e faceva del suo meglio per consolare il suo piccolo Harry, ma nulla sembrava mai abbastanza.


Probabilmente avrebbe dovuto discutere di questo con Albus, pensò, adesso che sedeva nello studio di quest’ultimo in cerca di una conferma sulle carte inviate al ministero.
Certamente Albus  avrebbe consigliato di chiamare Madam Pomfrey o di somministrare al bambino una delle sue pozioni Dreamless Sleep .
E certamente sarebbe stato inutile.
Madam Pomfrey e la sua scienza medica non potevano niente contro cinque anni di vessazioni e abusi mentali ed il bambino aveva preso fin troppe pozioni da quando era arrivato ad Hogwarts, senza contare che l’utilizzo su un bimbo così piccolo di una pozione potente come la Dreamless Sleep era sconsigliato su quasi tutti gli autorevoli tomi di pozioni che Snape possedeva.
Severus sospirò profondamente.
Era stata una giornata pesante, una delle tante ormai.
Quella mattina, al suo arrivo in sala, l’assenza del bambino-Potter davanti alla porta lo aveva stupito e preoccupato nello stesso istante.
Immediatamente era andato a cercarlo in camera. Probabilmente, nella foga di assicurarsi della sua presenza, era entrato con troppo impeto, spaventando il piccolo che in quel momento usciva dal bagno.
Convinto di essere tremendamente in ritardo, e quindi punibile per questo, Harry era scoppiato in lacrime alla sua vista e niente era stato in grado di consolarlo.
Gli incubi gli lasciavano addosso un malessere in grado di cancellare persino il ricordo delle buone promesse di Snape, come quella di non picchiarlo mai.
Così Severus aveva dovuto calmarlo, lentamente, spiegandogli che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che era suo diritto alzarsi ad un orario ragionevole se lo desiderava, senza il bisogno di salutare Snape sulla porta.
Resosi conto della situazione un po’ alla volta e smesso di piangere per la paura, il bambino-Potter aveva iniziato a scusarsi per il proprio comportamento, si era coperto la bocca con una manina cercando di frenare i singhiozzi e, di nuovo in lacrime, adesso piangeva perché stava piangendo.

Snape era arrivato a lezione con due ore di ritardo e con, fra i denti, una sequela di maledizioni impronunciabili per qualsiasi mago rispettabile.
Da quel momento la giornata era stata devastante e adesso Albus aggiungeva il suo carico, dicendo che non aveva ricevuto risposta al gufo inviato al Ministero giorni prima.
Senza troppi convenevoli Snape si era congedato per fare, finalmente, ritorno nei suoi quartieri.

Il bambino-Potter gli sorrise timidamente dal centro del tappeto.
Severus sospirò con estrema lentezza e, prima di qualsiasi altra cosa, prese dalla propria personale scorta la miglior pozione calmante che riuscì a trovare.
‘Sì – disse fra sé e sé ingoiandola in un unico sorso –  l’annata precedente è un’ottima annata.’


Il piccolo Harry non sapeva spiegarsi bene nemmeno con se stesso, eppure aveva provato a parlarsi di questa cosa che stava succedendo, ma non sapeva come incastrare tutti i pensieri. Quando era sveglio era felice, della sua nuova stanza, della palla di vetro, di stare a casa dell’uomo-Sevreus, di stare bene, di mangiare, eppure… tutte le volte che andava a dormire la sua testa gli faceva vedere sempre la stessa brutta cosa.
Il sogno era sempre uguale ed Harry non ricordava mai tutti i particolari, ma si svegliava sempre di colpo con una sensazione bruttissima.
Quella di non essere più con il suo uomo-Sevreus.
Qualcosa o qualcuno lo portava via e gridare non serviva a niente, così come non era mai servito con Zio Vernon, ma Harry non poteva fare a meno di farlo.
Voleva rimanere con il signore-Sevreus, voleva stare con lui per sempre.
E allora, appena sveglio, correva in sala e aspettava di veder passare il suo uomo-Sevreus.
Non importava che ore erano, lui aspettava ed aspettava, in piedi, in silenzio, sperando di non veder mai arrivare il giorno in cui il signore-Sevreus non sarebbe passato.
Ma adesso non riusciva più a farlo. I sogni brutti lo tenevano sveglio per tanto tempo e non riusciva più ad alzarsi presto la mattina. Anche se sapeva che il suo uomo-Sevreus era buono e correva sempre da lui durante la notte, Harry si sentiva in colpa, non solo era stupido tanto da non riuscire a svegliarsi presto, ma dava molta noia tutte le notti al povero signore-Sevreus. Al suo posto Zio Vernon lo avrebbe picchiato tantissimo e gli avrebbe intimato di non ‘mettere più un solo suono’. Invece il suo uomo-Sevreus si alzava sempre senza dire niente e non lo sgridava mai e lo teneva fra le braccia. Tutte le sere gli leggeva delle storie bellissime.
Il piccolo Harry adorava la voce del suo uomo-Sevreus, era una voce calda, bassa, sicura. Sembrava avvolgerlo tutto e riscaldarlo ben prima di venir messo sotto le sue coperte nuove.
Harry non conosceva tanti altri grandi a parte i suoi zii, la sua maestra della scuola ed il nonnino strambo, ma di una cosa era sicuro.
Se anche li avesse conosciuti tutti il suo uomo-Sevreus era di certo l’unico in grado di accarezzarlo con la voce.
Non esisteva nessuno come lui e questo era tutto il perché dei suoi sogni brutti.



Il bambino-Potter sembrava assorto in un altro dei suoi lunghi, enigmatici ragionamenti. Snape non lo disturbò, ma continuò a leggere anche se era chiaro che il piccolo non lo stesse affatto ascoltando. La pozione aveva fatto fin troppo bene il suo dovere, subito dopo il latte della sera Severus fece appena in tempo a pensare di dover mettere il bambino a letto, dato che ormai s’era addormentato, che si assopì a sua volta, semidisteso sul divanetto per due che aveva trasfigurato in occasione delle sue letture serali al bambino.


Se i suoi quartieri si fossero trovati in alto il classico raggio di sole lo avrebbe destato, ma anche senza la luce solare, quando aprì gli occhi, Snape già sapeva che l’alba era passata.
Si sollevò su di un gomito, maledicendo l’ottima annata precedente ed il suo devastante effetto su un uomo a sua volta già troppo devastato. Un sinistro scricchiolio del collo gli ricordò perché il genere umano avesse inventato i letti e Severus si rimproverò aspramente per essersi addormentato sul divano come un ragazzino, anche se, doveva ammettere, si sentiva piuttosto ben riposato. Probabilmente un’intera notte…
La sua mente lasciò incompiuto quel pensiero ed il suo corpo s’irrigidì.

Il bambino-Potter!

Le stanze erano appena al di là della sala, sicuramente avrebbe dovuto sentirlo durante la notte. Il timore di non essere riuscito a destarsi per salvarlo dai suoi incubi lo colpì come un Petrificus Totalus. Sicuramente il piccolo aveva avuto paura e Snape lo aveva tradito, seppur distrutto dalla fatica abbandonarlo ai suoi orrori era stata un’imperdonabile mancanza con la quale rischiava seriamente di compromettere tutto quello che aveva fatto.

Fece per alzarsi di scatto per sincerarsi del grado del suo fallimento quando qualcosa si strinse alla sua tunica.

Una manina che, esclusa l’impensabile follia di un elfo domestico, poteva essere solo del suo bambino-Potter.

Ricordava di aver pensato di doverlo mettere a letto, ma evidentemente non era riuscito a concretizzare quell’azione e, adesso, appariva chiaro come si fossero addormentati insieme.
Il giovane maestro abbassò lo sguardo sul visino del bimbo e, mentre tirava un mentale sospiro di sollievo per lo scampato insuccesso, la sua perspicacia lo pose di fronte ad una scoperta dai risvolti straordinari, ma potenzialmente terribili.

Per tutto il tempo il bambino non aveva avuto alcun incubo.

Questa facile deduzione era avallata dalla notte d’indisturbato riposo che Severus aveva sperimentato. Era positivamente impossibile credere che il bambino avesse avuto degli incubi e che Snape non si fosse svegliato, erano praticamente distesi sullo stesso rettangolo di stoffa nera e questo portava alla ben più difficile da accettare conclusione iniziale, la quale prevedeva di offrire come unica, lucente spiegazione la presenza di Severus prima e durante il suddetto sonno condiviso.

Come sempre, quando era richiesto alla sua mente acuta di venire a patti con una verità inconsulta, la sua più grande necessità risiedeva nel trovare al più presto uno studente qualsiasi sul quale riversare un commento crudele, preferibilmente proprio fuori dalla porta, se possibile.
Senza spostare il bambino e facendo attenzione a coprirlo in modo che potesse, finalmente, recuperare parte del sonno perso, Snape uscì in un minaccioso svolazzio di nero tessuto.




Remus sospirò.
Sirius era chiaramente agitato.
Passeggiava nervosamente nello studio dove avevano appena preso il tè, la sua tazza intonsa sul tavolino basso.
Camminava furiosamente avanti e indietro nel centro della stanza, per poi ricordarsi all’improvviso di essere ancora piuttosto debole, allora sedeva per qualche minuto con un’espressione perduta ed infastidita solo per alzarsi nuovamente nel giro di poco e cominciare tutto daccapo.
Remus sapeva bene cosa angustiasse il suo amico, ma aveva già espresso il proprio parere molteplici volte e sapeva che, a questo punto, era inutile continuare a parlargli.
Sicuramente quest’inspiegabile attesa doveva avere una giustificazione. Conosceva Albus e la sua propensione all’attendere il momento propizio secondo le sue strane macchinazioni, ma non si preoccupava. Si fidava di lui e del suo giudizio. Probabilmente non era ancora arrivato il momento giusto, bisognava solo attendere ancora un po’.
Ma il problema era come farlo capire anche a Sirius…



Il brusio alle sue spalle era talmente lieve che Snape non si girò neppure.
“Trenta punti in meno per Gryffindor ed è tutta colpa sua, signor Holdan”.
Severus terminò di scrivere le istruzioni per la pozione del giorno della sua classe del quinto anno Gryffindor-Slytherin, beandosi dei sospiri disperati di quei piccoli pusillanimi chiacchieroni.
Poi sedette alla sua scrivania e, mentre tutta la classe iniziava a creare la pozione richiesta in perfetto, meraviglioso silenzio, Snape poté finalmente provare ad affrontare le conseguenze della sua mattutina illuminazione.
Che tutto fosse tremendamente chiaro e semplice non l’aiutava quanto avrebbe dovuto.
Naturalmente in quei mesi il bambino-Potter si era affezionato a lui ed il fatto che il motivo di questo incommensurabile affetto derivasse tutto dal ricevere cibo, coperte e nessuno schiaffo poteva essere causa di sconfinata ilarità se non fosse stata una cosa così terribile.
Il bambino si sentiva sicuro in sua compagnia perché, come era stato dimostrato dagli sfortunati avvenimenti di qualche tempo prima, Severus era ben in grado di difendere se stesso e gli altri in situazioni di pericolo.
Era, quindi, solo una deduzione logica concepire che il bambino, tormentato dagli incubi la notte, potesse trovare sollievo da essi restando accanto all’unico uomo che lo aveva saputo difendere senza abusarlo.
Peccato che tutto questo si scontrasse profondamente con ciò in cui Severus credeva.
Severus Snape non era un uomo buono, né un uomo compassionevole o giusto o prono agli affetti e alle smancerie.
Credeva nell’educazione portata avanti con disciplina come unica salvezza per le scalmanate generazioni a venire e predicava come il sapere potesse rendere potenti le persone, perché la vita gli aveva insegnato fin troppo presto che il potere era tutto ciò che serviva per essere rispettati, per sopravvivere senza inginocchiarsi ora di fronte ad un signore ora di fronte ad un altro.
Ormai asservito, a causa dei suoi errori, cercava la libertà nella conoscenza, si applicava nella sperimentazione, l’unica àncora di salvezza alla quale poteva aggrapparsi per sperare, un giorno, di vivere soltanto per se stesso.
Il figlio dei Potter, in tutto questo, era arrivato dal niente portando scompiglio e rabbia. I ricordi, il dolore, la costrizione di vedersi affidare un esserino arrogante e fastidioso che alla fine si era rivelato essere un’altra, innocente, vittima delle decisioni di chi, fra loro, poteva esercitare quel potere che a lui sembrava ogni giorno più irraggiungibile.
Non c’era spazio nella vita di un uomo come Severus per quel tipo di sentimenti, in privato, nei propri pensieri, sentiva di non esserne in grado e anche se aveva giurato di tenere con sé il bambino e costretto Albus a firmare per l’adozione non credeva sarebbero dovuti arrivare a quel punto.
Il confine fra l’assoluzione che il bambino-Potter rappresentava e la pericolosità di un vincolo sentimentale praticamente paterno.
Snape era anche un uomo che detestava per natura i legami, di qualsiasi genere.
I legami blandivano il potere degli uomini, lo soggiogavano ancor più subdolamente e rappresentavano un punto debole, una breccia in un bastione altrimenti inespugnabile.
Voldemort non aveva legami, così come non li aveva Albus.
La loro strada di volontà e predominio li aveva certo condotti alla solitudine, ma quali grandezze avevano raggiunto?
Seppur con scopi diversi erano stati in grado di conquistare poteri sconfinati, con i quali dominavano la vita di tutti loro.
Severus si frenò dal nascondersi il viso fra le mani davanti alla sua classe, ma desiderava intensamente farlo.
Che avesse compiuto un immenso errore di valutazione?
Che il dolore accecante della Legilimens e dei ricordi della dolce Lily lo avesse momentaneamente annebbiato tanto da fargli intraprendere quella strada così palesemente inadatta?
Era in grado, ora che veniva chiamato ad esplicare i propri doveri di tutore e figura di riferimento, di abbandonare definitivamente il proprio credo, di vivere anche per qualcun altro, per un bambino, per il suo bambino?
Era pronto ad averlo come punto debole, come perfetta occasione di ricatto in ogni possibile circostanza?
Rimase come stordito da questi dubbi, ora redarguendosi aspramente di aver sempre saputo a cosa andava in contro, ora rifiutandosi di accettare la propria scelta pienamente.
Raccolse senza dire niente tutte le pozioni dei suoi studenti e non si alzò, neppure quando la classe si fu completamente svuotata.



Quando sentì il rumore soffocato dei passi il piccolo Harry si assicurò di stare ben diritto con la schiena e di non fare alcun rumore. Sapeva perfettamente che dopo il lavoro i grandi erano sempre stanchi e arrabbiati ed anche un po’ per questo non è che desiderasse così tanto crescere.
Però, d’altra parte, un po’ lo desiderava lo stesso, si rendeva conto di essere piccolo e basso e poco forte e così non poteva aiutare il signore-Sevreus in niente. Non poteva portare le pentole del signore-Sevreus né sistemare i suoi libri né pulire in alto. Avrebbe voluto tanto aiutare il suo signore-Sevreus e forse un giorno, da grande, Harry avrebbe imparato a cucinare come l’uomo-Sevreus, tutte quelle cose che sembrava sempre preparare e che Harry pensava di mangiare a cena, anche se il maestro non diceva mai che erano cose fatte da lui Harry lo credeva perché erano sempre buone come era buono il signore-Sevreus.
Harry avrebbe fatto qualunque cosa per lui e anche se non sarebbe mai stato abbastanza doveva, voleva ringraziarlo.
Il solo stare nella stessa stanza scacciava tutte le sue paure e tutti i sogni brutti, così come era successo la notte prima, ed il piccolo Harry non sapeva bene come rendere chiaro che questa era una cosa incredibilmente bella, anche se non si aspettava certo di vederla ricapitare…
‘Oh, eccolo, eccolo, sssh’ si disse e quando lo vide rientrare illuminò la stanza con il suo piccolo sorriso.
 

Senza nemmeno avere il tempo di pensare a cosa faceva Snape si chinò e prese il bambino in braccio, rapido come un serpente. Immediatamente si rese conto di aver commesso un errore, ricordava molto bene a cosa i movimenti improvvisi corrispondevano per il bambino, considerata la violenta educazione impartita dai Dursley.
Dopo un iniziale momento di rigidità Snape si stupì della rilassatezza con la quale il figlio di Lily lo guardava adesso. La piena fiducia, che Severus non sapeva più se desiderare o meno, scritta a chiare lettere nei suoi occhi verdi.
Incredibile come le cose stessero cambiando, si disse il giovane maestro, forse non tutto era stato inutile.
Le sere a leggere, il cullarlo, le lezioni, le pozioni, le regole, la Legilimens.
Eppure, si chiese, come spiegare quegli incubi?
Perché era stato incapace di troncare quel legame malsano con il passato?
Forse non era stato così bravo, così pronto come credeva…

Si sedette con il bambino in braccio e lo guardò negli occhi, ancora sconcertato dalla sua mancanza di paura  e dal piccolo sorriso che tuttora gli piegava le labbra.

“Harry, devo chiedertelo. E’ molto importante per me sapere o non ti potrò aiutare…”

Intendeva davvero farlo o in realtà lo avrebbe abbandonato una volta saputa la verità? Quella verità che avrebbe rivelato la sua incapacità, la sua inadeguatezza. Non sarebbe mai riuscito a redimersi salvandolo perché era troppo tardi e nessuno avrebbe mai sigillato il dolore in lui, immutabile in tutte le notti a venire. Un altro fallimento nella vita di Severus Snape. Lo aveva illuso di poter riscattare entrambi, di recuperare le loro vite e adesso sarebbe fuggito di fronte alla prova che i Dursley non se ne sarebbero mai andati dalla sua piccola mente piena di cicatrici.

Il bambino annuì, sembrava capire l’importanza di quel momento. Forse era stata l’azione improvvisa di Snape, di solito così calmo e composto, o forse il tono concitato della sua richiesta, non sapeva. Sapeva solo che voleva sapere.

“Bisogna che tu mi dica che cosa sogni tutte le notti, che cosa ti spaventa… Harry, dimmelo, per favore”.

Severus vide chiaramente nelle iridi del piccolo Harry come la richiesta lo addolorasse. Non sapeva perché, ma quasi si pentì d’averlo domandato, anche se ormai era troppo tardi.

Il bambino-Potter prese fiato, era chiaro che non desiderasse affatto rivelare quella parte di sé, ma poi qualcosa in lui cambiò, sul suo piccolo viso comparve una risoluzione nuova e Severus lo sentì prendere fiato di nuovo, come un adulto che si rassegna alla decisione presa.

“Harry… Harry sa che si può fidare del maestro Sevreus, Harry…”

“Harry” disse Snape, guardandolo con una punta di rimprovero.

“Ah, scusi maestro, non Harry, io” comprese al volo il bambino.

Era sveglio, ma questo Severus lo sapeva già

“Dicevi, Harry?”
Non poteva lasciar correre, ormai erano giunti fin là insieme…

“H… Io so che posso fidarmi del maestro Sevreus, io so che il maestro Sevreus non mi chiede questo per prendere in giro Ha… per prendermi in giro o per far succedere quello che sogno, vero, maestro?”

La certezza delle sue parole cancellata dal tono di domanda, ma questo Snape poteva capirlo, fino a qualche mese fa per lui Severus non era altro che un estraneo dal naso brutto e l’aspetto spaventoso.

“Naturalmente Harry, non è mia intenzione fare ciò, puoi credermi”.

“Ma Harry ti crede, cioè… io ti credo, maestro – la forma di cortesia dimenticata nella fretta di rassicurarlo, Snape lo notò, ma non disse niente – e sono molto felice di stare qui con te, maestro, ed è per questo che ho paura e che faccio sempre lo stesso sogno brutto…”

Un attimo di silenzio.
Sembrò lungo ore, ma parve non esserci mai stato quando il bambino parlò di nuovo.
“…un sogno dove quella porta si apre – indicò la porta d’ingresso dei loro quartieri – mentre sono qui a giocare con la palla che il maestro mi ha regalato ed il maestro è lì al tavolo e d’improvviso qualcuno entra e mi afferra e mi porta via, lontano, Harry grida, maestro, ma non può fare niente ed il maestro è sempre più lontano attraverso la porta che diventa piccola piccola e tutto si fa sempre più nero e buio, Harry grida, ma nessuno può salvarlo, perché lo sa, questa cosa così bella di vivere con il maestro deve finire come tutte le cose belle che sono sempre finite per Harry…”

Piangeva, piangeva adesso, ma non smise di parlare, di raccontare una verità che Severus non poteva nemmeno immaginare.


“…perché Harry non vuole più andare via, Harry vuole stare qui con il maestro e allora sogna che presto qualcuno lo porterà via, perché così è sempre stato con le cose belle ed il maestro è la cosa più bella che adesso Harry ha…  –  si fermò, il piccolo viso così serio, così determinato –  … la cosa più bella che io ho”.


E poi non disse altro.


C’era talmente tanta profondità e dignità nelle parole di quel bambino di sei anni che per un attimo Severus Snape non riuscì a pensare a niente.


Ecco qui la verità che pensava lo avrebbe liberato da tutto, che lo avrebbe messo di fronte al fallimento, pronto a battere in ritirata, come sempre nella sua vita, da Voldemort o da Albus che differenza faceva? Invece no, non questa volta.
Questa volta la vittoria scorreva copiosa sul viso del suo piccolo Harry.
Nessun Dursley, nessun ricordo concreto.
Il bambino aveva voltato pagina e poco importava se adesso altre paure lo afferravano.
Erano paure nuove.
Severus aveva effettivamente spezzato quella catena di dolore, nulla sarebbe stato semplice, ma tutto era diverso.
La maturazione del bambino aveva portato a lui la sua e non v’erano più dubbi.
L’occasione di essere liberi insieme era ancora là, intonsa.
E Severus Snape non avrebbe esitato mai più.


Accarezzò la testa del bambino, consolandolo senza inutili frasi di circostanza e si alzò, sentendosi più forte, più potente.



Era dunque questo che si provava nel vincere?



La sera arrivò come un ladro nella notte. Il bambino si era calmato e giocava sul tappeto con la sua palla di vetro. Le tazze vuote del tè e del latte della sera erano già state portate via dagli elfi.
Era l’ora di andare a letto.
Il bambino lo sapeva bene, Snape lo poteva intuire dalla sua postura rassegnata, le piccole spalle abbassate sotto il peso del pensiero per la notte insonne che lo attendeva.

“Andiamo a letto, Harry”.

Pronto ed ubbidiente il bimbo si alzò subito, senza dire niente.
Non che Severus lo avesse mai sentito protestare o fare i capricci, immaginava bene come Vernon Dursley aveva punito simili comportamenti…

Snape spense tutte le luci con un gesto nervoso della bacchetta e si diresse lungo il corridoio, si girò in tempo per vedere il bambino fermarsi di fronte alla propria camera, una manina alzata per aprire la porta.

“No, Harry. Da questa parte” disse il maestro di Pozioni, proseguendo.

Sapeva bene che il bambino-Potter non avrebbe fatto domande, ma immaginava lo stesso quell’espressione di sorpresa, confusione ed incertezza così tipicamente sua.

Lo condusse velocemente in fondo al corridoio, verso le proprie stanze e lo fece entrare.
I vestiti del bambino per la notte erano ben sistemati sul letto.
Lo stesso letto dove Snape aveva temuto di vederlo morire quando il bambino aveva mangiato per sbaglio la sua Wolfsbane.
Lo stesso letto nel quale, adesso, lo stava accogliendo per salvarlo dal dolore e dagli incubi.


Harry guardava il suo maestro senza riuscire a pensare a nulla, senza riuscire a parlare.
Harry non avrebbe sperato mai e poi mai, proprio mai-mai, di poter dormire con il suo maestro Sevreus.
Non si era fatto illusioni al riguardo, sapeva che i bambini come Harry non solo erano troppo grandi per dormire nel letto degli adulti, ma anche che ai bambini come Harry questa cosa non poteva essere offerta. Perché era sudicio ed ingrato e avrebbe finito per dare fastidio a tutti. Eppure sapeva quanto lo aveva desiderato. Lo aveva desiderato persino in casa dei suoi zii quando, durante le lunghe notti in cui non riusciva a dormire per la fame e per le botte, sentiva la porta di camera di Dudley aprirsi e i suoi passi verso quella dei suoi genitori, ma mai quelli di ritorno.
Aveva capito che Dudley poteva dormire con i suoi genitori e che lui non avrebbe mai potuto sperarlo. E quella cosa, più di tutte, gli mancava e lo faceva piangere.
Non avere due genitori dai quali poter dormire, non avere quella cosa per lui aveva significato essere solo.
Completamente solo.
Questo lo aveva fatto disperare per così tante notti, ma adesso, si disse con una meraviglia senza fine, adesso il signore-Sevreus ( che sembrava sapere perfettamente tutto, ma proprio tutto, quello che ad Harry mancava ) lo avrebbe fatto dormire con sé ed Harry sarebbe stato come gli altri bambini, come Dudley, forse di più, perché lui aveva l’uomo-Sevreus accanto ed Harry sapeva, sentiva, che l’uomo-Sevreus era forte e che lo poteva difendere. Nessuno Zio Vernon poteva picchiarlo lì, perché l’uomo-Sevreus non l’avrebbe permesso.
I pensieri del bambino vennero interrotti dal maestro.
Snape porse al bimbo il pigiama e gli indicò la sala da bagno, approfittando della sua momentanea assenza per prepararsi a sua volta per la notte.

Quando rientrò in stanza il bambino fu preso da un attimo di incertezza, sembrava non credere fino in fondo a quello che stava succedendo e certamente Snape non riusciva ad immaginare Vernon Dursley permettere al figlio dei Potter di dormire assieme a lui, quindi poteva comprendere. La situazione era già troppo… sentimentale… così com’era, senza lunghi momenti d’esitazione, quindi Snape si sporse sulla sponda del letto libera e allungando una mano invitò il bambino a salire. Non si fidava della propria voce, avrebbe finito per dire cose che Albus avrebbe trovato deliziose e che invece a lui avrebbero rovinato il sonno. Coprì se stesso ed il bambino accanto a sé e poi rimase immobile.
Sapeva, dannazione, di dover comunque dire qualcosa o il bambino non si sarebbe mai rilassato.
Dimostrare affetto quando il piccolo Potter era emotivamente provato o in una situazione di pericolo o necessità era una cosa, adesso, nel silenzio della notte, nelle proprie stanze, Severus si rendeva conto di tutti i propri limiti.
Avrebbe dovuto fare molto meglio di così, se voleva sperare di salvare davvero entrambi, ma per il momento poteva solo trovare qualcosa da dire, ma sorprendentemente venne anticipato.

“Grazie, maestro”.

Spezzato il silenzio, liberato dai suoi vincoli, solo Harry sapeva come sorprenderlo, forse lo aveva capito in quel momento, forse lo aveva capito da subito, ma continuava a succedere.

“Non c’è bisogno di dire niente” rispose, forse un po’ bruscamente.

Ma Harry rise, un risolino divertito, innocente, puro.
Perché Harry sapeva che quando l’uomo-Sevreus usava quel tono non diceva davvero quello che pensava, ma lo nascondeva.
Harry conosceva il suo uomo-Sevreus.
Prese fiato un’ultima volta, non voleva disturbare ancora il maestro, ma era emozionato e non poteva stare zitto.

“Sono felice, maestro”.


Non ci fu modo di fermarsi.
“Anche io, Harry” disse, prima di poterci pensare.

Ma che importava?
Era la verità.
Tutta la bellezza della verità.





Sirius era calmo, troppo calmo.
Dopo giorni di agitazione e proteste e invettive e lettere e parole irripetibili ora niente.
Piatto come la superficie di un lago.
Placido.
E Remus sapeva che questo era peggio di ogni altra cosa.
Così, quella mattina, lo seguì quando lo sentì uscire all’alba dalla sua stanza.
Lungo il corridoio, giù per le scale, in sala da pranzo.
In tempo per vederlo prendere della Floo Powder e pronunciare chiaramente “Hogsmeade”.
Senza nemmeno aspettare che la nuvola della precedente polvere magica si disperdesse Remus ne prese a sua volta e immediatamente lo seguì.



Continua…








La Dreamless Sleep è una pozione dal colore violetto usata per indurre un sonno senza sogni in chi la beve.
Il Petrificus Totalus è un incantesimo che rende la vittima completamente immobile, spesso impiegato nel duello come incantesimo di difesa.
La Floo Powder è la metropolvere, la polvere magica che permette di viaggiare da camino a camino.


Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.





   
 
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