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Autore: Finnick_    04/08/2012    5 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Mi chiamo Rue Mellark. Ho sedici anni. Vivo nel Distretto 12. Sono ricoverata in un ospedale del Distretto Madre da un giorno. Mio padre è stato colpito da un proiettile. Mio fratello è stato rapito da Capitol City. Probabilmente è morto.
Fisso il soffitto e lancio in aria la pallina di stoffa. La riprendo con un gesto breve e lascio cadere il braccio sul letto di ospedale.
Forse è meglio che sia morto. Chays nelle mani di Capitol City, un’immagine orrenda. Ancora più orrendo è il fatto che io non abbia potuto fare nulla per impedirlo. E’ decisamente meglio che sia morto, sarebbe quasi un sollievo. Penso ad Annie Cresta e al fatto che tutti la ritengono pazza perché è stata la Capitale a renderla così, prima con gli Hunger Games, poi con le torture che le hanno regalato nel suo periodo di prigionia. Mi ritrovo a sperare con un nodo alla gola che Chays non abbia retto e sia morto quasi subito, oppure che si sia tolto la vita dalla disperazione. Mi metto a sedere, appoggio la schiena al cuscino sollevato e guardo mio padre che dorme. Lui è la prova vivente che Capitol City usa chi ami per distruggerti e che non ti renderà le cose più facili semplicemente uccidendo. No.. tu devi logorarti l’anima al pensiero di tuo fratello chiuso da qualche parte, umiliato e fustigato, mentre tu sei bloccata in un letto d’ospedale per aver preso due cazzotti. Faccio fatica a ricomporre in ordine tutti gli eventi accaduti sull’Overcraft. Ricordo poco, solo le cose importanti. Non ricordo come mai Robby sia nella mia stanza d’ospedale, non ricordo i particolari.
Sono solo due giorni che siamo fuori dal Distretto 12 eppure.. mi manca. Già. Penso a Jymith e un’altra idea terribile mi passa per la mente. Che cosa sarà successo al Distretto 12, nel frattempo? Mentre noi eravamo attaccati sull’Overcraft? L’hanno bombardato di nuovo, per eliminare ogni traccia di ciò che era mio, oppure hanno giustiziato solo quei due o tre che potevano ancora essere legati alla nostra famiglia? Se solo hanno toccato Jymith.. Cosa, Rue? Cosa faresti? Mi rimprovero. Sei in un ospedale del Distretto Madre, tuo padre lotta tra la vita e la morte, di nuovo. Ti hanno quasi distrutto su quell’Overcraft e hanno fatto in tempo a portarti via tuo fratello. Non puoi fare niente, contro di loro. Se non seguire il dannatissimo piano che mi è ostile fin dall’inizio. Un odio ancora più profondo verso la Parata della Memoria mi pervade da capo a piedi e mi fremono le mani. Se non fosse per l’idea geniale della Paylor a quest’ora saremmo tutti a casa, a cacciare, allenarsi per le manifestazioni pubbliche, studiare, lavorare. Avremmo continuato la nostra vita, come sempre e io avrei insistito ancora perché Chays ascoltasse gli alberi e sentisse la linfa scorrere.
Adesso ascolto il respiro interrotto di Finnick, accanto me. E’ tutta la notte che si rigira nel letto. Non sono l’unica quindi. Ad avere degli incubi. Guardo l’ora che un orologio a muro proietta sul soffitto: le 2 del mattino. Mi rimetto giù e mi costringo a chiudere gli occhi. Robby l’ha fatto, dopo che abbiamo parlato, è riuscito a riaddormentarsi. Devo farlo anch’io. Stare qui a pensare a cosa potrei fare e non poterlo fare mi fa sentire la persona più inutile del mondo.
Chiudo gli occhi e mi assopisco.
Mi sveglio al tocco di una mano che mi sfiora il braccio. Mia madre è a sedere accanto a me, alza la testa e mi sorride:
-Rue- mi dice stringendomi la mano. Mi volto un attimo a guardare l’ora: le 7 del mattino. Avrei giurato di aver dormito solo pochi minuti.
-Come sta papà?- chiedo prima che lei mi faccia qualsiasi tipo di domanda.
-dorme ancora. I medici dicono che è fuori pericolo, ma ha bisogno di riposo-
Tiro un sospiro di sollievo. Almeno lui è al sicuro. Salvo.
-tu come ti senti?- mi chiede poi. Volevo evitare.
-bene- dico e basta. Non mi aspetto che indaghi, né che se ne vada così da un momento all’altro. Infatti rimane, mi lascia la mano e mi spiega finalmente tutto ciò che è successo sull’Overcraft. Mi dice che siamo stati attaccati da Capitol City e che nell’attacco finale Gale e Robby sono stati feriti nella cabina di comando. Poi spiega che io, lei e papà abbiamo combattuto dalla cabina di vetro i Pacificatori. La nostra postazione è poi esplosa, lanciandoci all’interno dell’Overcraft. Ora si spiega perché ho la caviglia fasciata.
Poi c’è stato una sorta di arrembaggio e diversi Pacificatori sono entrati nel nostro Overcraft, sparando a mio padre, ferendo me e Finnick e portando via Chays. Ora capisco anche il dolore alle costole e il labbro spaccato. Comincio a ricordare tutto. Più fulgida che mai è l’immagine del sangue che scorre sul pavimento dell’Overcraft, sangue di persone che ho ucciso io, che ha ucciso mia madre. Oppure sangue di mio padre e di Finnick.
-il Distretto 13 è dalla parte di Capitol. E’ per questo che uccidesti la Coin, non è così?- chiedo a Katniss –non ti fidavi già allora-
-e avevo ragione- aggiunge mia madre –sappiamo con certezza che il 13 ha conservato armi e uomini della Capitale. Ne avevamo il sospetto, ma non potevamo accusarli senza prove-
-adesso possiamo- le faccio notare. Lei annuisce:
-prima però dobbiamo far vedere che siamo vivi. Questo è ciò che vuole la Paylor-
Ecco che ritorna. L’idea della parata. La detesto, ma è necessaria, ora più che mai. Mia madre mi informa che c’è un cambio di programma: non faremo il giro dei Distretti, un rischio troppo alto per tutti. Rimarremo qui e ci mostreranno a tutti tramite le riprese e i grandi schermi.
-è odiosa come cosa- mia madre fa eco ai miei pensieri –ma dobbiamo farla. Non possiamo precipitare di nuovo in una guerra contro Capitol City-
Rimango immobile:
-loro vogliono mettere a tacere noi. Noi troveremo il modo di mettere a tacere loro.- dico, fissando mio padre. Per lui, per riavere Chays, per Finnick ed Annie. Dobbiamo reagire.
-domani verranno a prepararci- spiega mia madre dopo qualche secondo di silenzio. –oggi dimettono Robby, Finnick e te. Siamo alloggiati ..- si ferma.
Qualcosa la blocca dal dirmi che siamo alloggiati.. negli appartamenti dove soggiornarono prima dei due Hunger Games.
-è una tortura!- esclamo –non possono farlo! Con tutti gli appartamenti che esistono in questo posto-
-calmati- dice secca lei –non sono gli stessi. Il palazzo è il solito, ma gli appartamenti sono due piani sotto ai nostri-
-è lo stesso, non lo capisci? E’ una questione di principio- affermo sicura. Però mi calmo. Forse vuole solo dimenticare, andare oltre. Capire che gli Hunger Games non esistono più, fare questa parata e escogitare un piano per riavere Chays. Vivo o morto. Non ha mai nominato mio fratello durante il nostro dialogo. E non sarò io a farlo. Fa male tanto a me quanto a lei. In quel momento entrano Annie e un medico.
Il medico ci dice che possiamo trasferirci ai nostri appartamenti, mio padre sarà dimesso soltanto in serata. Cioè: gli danno il misero tempo di aprire gli occhi e già lo scaraventano nell’appartamento, pronto per essere truccato e vestito per la parata.
Annie si accosta a Finnick e lo sveglia dolcemente. Si abbracciano così forte che mi sento terribilmente in colpa di non aver fatto lo stesso con mia madre. Ma lo sguardo che mi manda mi fa capire che non importa. Che rimedieremo presto, quando tutta la famiglia sarà di nuovo unita. Loro sono certi della presenza l’uno dell’atra, la loro famiglia è quella. Sono uniti, sono vivi, gli basta. Mio fratello invece è lontano, vorrei fargli capire che non è solo. Così come Jymith, distante, troppo distante. Forse più in pericolo di me.
Mia madre mi lascia i vestiti puliti sul letto e mi dice che mi aspetta in corridoio. Mi infilo nel bagno, faccio una doccia e mi cambio. Quando sono pronta Finnick mi guarda e sorride:
-è un piacere averti tra noi, Rue-
Non posso non sorridere di rimando. Quel ragazzo ha qualcosa di particolare, qualcosa che non possiede nessuno nel Distretto 12. Ha una voglia di vivere che spiazza chiunque lo guardi negli occhi.
-il piacere è mio Finnick- Poi lo guardo meglio –hai intenzione di uscire così?-
Si mette in una posa da modello –secondo te mi serve una maglietta?-
Ridendo indico una maglia nera sul suo letto –è lì apposta per te-
Apro la porta e gli dico –ci vediamo alla parata-
Lui si gira mentre si infila la maglietta –così tardi? Nah.. Credo che verrò a farti visita prima di stasera. Altrimenti mi annoio tutto il giorno- poi si volta di scatto, raccoglie una pallina di stoffa per terra con il braccio sano e me la lancia.
-fatti trovare con questa-
Sorrido ed esco. Non so nemmeno se mi farò trovare, oggi. Non sono dell’umore giusto per giocare con una pallina con Finnick Odair. Ho troppe cose a cui pensare e tutto quello che voglio è solo passare una giornata sul letto che mi aspetta all’appartamento, pensare, pensare e ancora pensare. Non sono un tipo molto attivo, in questi casi. L’unica cosa che mi farebbe davvero bene sarebbe andare a caccia nei boschi. Da sola. E poi portare il mio bottino a Jymith. Suo padre rivende sempre metà della selvaggina che gli porto nel suo negozio e di questo ne vado particolarmente fiera.
Nel corridoio ma madre mi ricompone una treccia prima di avviarci fuori dall’ospedale.
Quando io, mia madre e la Paylor siamo fuori lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è immenso: il sole si riflette sui grattaceli della città. Hanno le forme più disparate, triangoli, rettangoli, cilindri sospesi in aria come per magia. Le strade sono immense, le macchine grigio metallizzate sfrecciano a tutta velocità. L’ospedale è situato su una lieve altura, da qui si vede veramente tutto. La cosa che mi affascina di più è il fiume che attraversa la città. Largo e brillante sembra voler comunicare che la natura c’è anche lì. In mezzo a tutto quel ferro. Vorrei anche solo sfiorare quell’acqua per sentire un lieve senso di sollievo.
Avevo solo intravisto il Distretto Madre dalla televisione e mi ero accorta che aveva conservato la struttura di Capitol City. Indubbiamente affascinante, l’impero del terrore. Adesso che ce l’ho davanti ogni sensazione di stupore è fortemente accentuata, ma i miei occhi non si staccano dal fiume che luccica al sole. Una macchina dai finestrini oscurati si ferma proprio davanti a noi. Montiamo e quando scendiamo siamo nella zona Ovest della città, di fronte ad un palazzo alto.. conto veloce: dodici piani. Sento un brivido. Dodici distretti. Un piano per ogni distretto. Questo era lo scopo del palazzo ai tempi d’oro di Snow, adesso è solo un edificio a dodici piani. E’ enorme, l’ingresso. Ci sono miriadi di porte e la gente corre veloce da un angolo all’altro, fogli alla mano, auricolari all’orecchio. Un corridoio si allunga verso il fondo dell’ingresso. Vedo mia madre voltare bruscamente:
-Rue, l’ascensore è da questa parte- dice secca, notando che sto andando dritta verso il corridoio.  
L’ascensore sfreccia ad una velocità mostruosa e ci lascia al decimo piano, direttamente all’interno dell’appartamento che ci è destinato.
E’ grande. Veramente grande. Mi stupisce per ogni sua forma, le sedie, i tavolini, le finestre, tutto.
E pensare che io sono cresciuta in una casa che è tranquillamente il triplo di quella in cui crebbe mia madre. A lei dovette fare veramente effetto entrare in un posto tanto grande e tecnologico.
La Paylor ci spiega velocemente la struttura dell’appartamento e dice che oggi è il nostro solo giorno di riposo prima della preparazione. Preparazione che consisterà in trucco e parrucco, lezioni di lessico per parlare bene in tv, lezioni di comportamento e altre buffonate varie che ci imprimeranno nella mente e letteralmente sul corpo per fare colpo alla nazione.
Tutto questo mi ostruisce indelebilmente la mente e mentre mi dirigo a passo svelto verso quella che sarà la mia stanza ripeto il richiamo mentale. Entro e mi chiudo la porta alle spalle. C’è un letto matrimoniale qualche scalino sotto di me, una toeletta appena fuori dal bagno sormontata da un grande specchio. Scendo gli scalini e perlustro la camera. Una finestra quadrata grande come tutte le finestre di casa mia messe insieme da sulla città in movimento, ma soprattutto sul fiume. Appoggio una mano al vetro e cerco di capire cosa sia realmente cambiato in venticinque anni, se neppure la forma della città è mutata. Il fiume però non c’era, non a quanto mi ha detto mia madre. Proprio sotto il nostro palazzo c’è uno spiazzo di erba verde, che fa da spiaggia al fiume. L’unico punto in cui, si direbbe, il fiume si è scavato il letto e ci ha fatto crescere vegetazione. Improvvisamente mi viene voglia di andarci. Da sola. Ma no, non credo che lo farò. Piuttosto andrò sul tetto, so che esiste dalle repliche di mia madre e mio padre che condannati agli Hunger Games parlano al vento della notte. Sì, è deciso. Depressione per depressione, preferisco piangermi addosso dove nessuno, presumibilmente, mi vede.
Quando apro la porta mi ritrovo davanti Finnick.
 
  
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