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Autore: Silvar tales    07/08/2012    6 recensioni
CAPITOLO 10 pronto al 25 %
[Thor/Loki] [Contesto: post Avengers]
Era sempre andata così, fin dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già da tempo.
Invece continuava a tramare, ad inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo non vedeva margini di vittoria.
La sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa alta.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Violenza
Capitoli:
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Riverbero

L'imponente porta di ebano vibrò sotto rintocchi affrettati e calcati, l'apparente quiete della camera venne spezzata come un ramoscello secco. Thor si alzò circospetto e posò l'orecchio sul legno, invaso tutto d'un tratto dai timori. La sua inquietudine era giustificabile: aveva la coscienza tutt'altro che pulita.
«Chi è?» Per un attimo pensò persino di richiamare Mjöllnir, tutte quelle storie di complotti a Vanaheimr l'avevano messo in allerta; per quanto ne sapeva, un sicario avrebbe potuto bussare alla sua porta da un momento all'altro.
«Si tratta di vostro fratello, Sire!»
Si diede dello stupido, erano solamente le due guardie cui aveva affidato Loki. Lo stress psicologico di quei giorni lo stava facendo impazzire.
«Entrate! Spero non sia nulla di grave».
Si affrettò ad aprire la porta per poi richiuderla con un certo nervosismo.
Sif udì il tonfo dal giardino e acuì l'udito, come una cerbiatta alza le orecchie allarmata dell'arrivo dei cacciatori. Thor aveva ricevuto visite.
Era preoccupata per lui, temeva che potesse fare qualcosa di azzardato se consigliato dalla voce sbagliata. Ma dopotutto egli era forse il guerriero più temibile dei Nove Mondi, non aveva nulla da temere per la sua incolumità, piuttosto, per quella di Asgard.

«Cosa avete detto?»
Pallido e spaventato, una condizione che non si addiceva al dio del tuono.
Non poteva dar credito alle parole dei due esecutori, non poteva dar credito alle parole di Loki, che per tirarsi fuori dai guai avrebbe escogitato qualsivoglia menzogna. Eppure, il timore che avvertiva, come un formicolio fastidioso all'altezza del petto, significava che quello che aveva appena sentito poteva essere vero.
«Sono ovviamente delle bugie, mio Signore».
Nel frattempo, Sif s'era affacciata sulla porta della camera, e alla vista delle due guardie si era affrettata ad aggiustarsi la veste.
«Cosa succede?»
«Taci Sif», si affrettò a zittirla Thor, «questa non è una faccenda che ti riguardi».
Ignorando completamente la guerriera, il re uscì dalla stanza seguito dalle due guardie, deciso a voler chiarire la faccenda di persona.
«Le bugie di Loki non vi tormenteranno ancora a lungo mio re».
«È vero, il giorno della sua condanna non si farà attendere molto!»
«Silenzio, silenzio!» Intimò Thor alle due guardie moleste. Capiva che i loro tentativi di tranquillizzarlo rientrassero nei loro doveri, ma vi leggeva dietro anche un odio insito verso Loki che mal tollerava. «Siete fin troppo loquaci. Spetta a me il compito di giudicare se quel che dice mio fratello è o no menzogna, e se non è di mio diritto decidere le sorti di Loki, posso quantomeno deciderne i tempi».
Si lasciò condurre fino alla cella in cui Loki abitava ormai da un mese, nascosta tra gli umidi cunicoli scavati sotto il balcone delle Cascate Spioventi, un precipizio immenso di oltre ottocento metri dal quale la grossa mole d'acqua del Fridsam saltava nel Grande Lago Imut. I corridoi erano illuminati da una tetra luce verde, l'aria era stagnante e pregna d'umidità. Era un luogo in cui persino i topi e i pipistrelli disdegnavano di vivere.
Trovarono Loki ben sveglio, rannicchiato come al solito contro la parete, con una sola coperta strappata a coprirlo. I suoi occhi erano stanchi ma vigili.
«Eccolo qui, il menzognero più talentuoso dei Nove Mondi», iniziò spavaldo Thor, deciso a recitare la propria parte fino in fondo.
Loki non seppe da quale angolo del suo cuore trovò la forza di un simile gesto, ma piegò le labbra in un sorriso beffardo; nonostante riversasse in una palese condizione di debolezza, riacquistò la sua abituale posizione di superiorità e parlò in tono ironico e beffeggiatorio.
«È curioso che sia proprio tu a conferirmi questo titolo, mio re», disse, caricando di disprezzo le ultime due parole.
Lo sguardo di Thor si fece sfuggente, riluttante ad incontrare quello del fratellastro, anche se il pericolo che egli riuscisse a far valere le proprie ragioni era pressoché inesistente.
Ora c'era invece un altra cosa da verificare.
«Che fantasiosa storiella hai raccontato alle guardie! Come potevi anche solo sperare di essere creduto?»
Il prigioniero inarcò le sopracciglia e il suo sguardo si fece freddo, freddo e adirato nello stesso tempo.
«La tua ottusità ha raggiunto livelli inimmaginabili, è evidente che avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia. Casomai non te ne fossi ancora accorto, io non sono un asgardiano, sono uno Jotun! Sai che significa?»
Dannazione, quello sarebbe stato il momento adatto per acquistare sembianze femminili. Loki digrignò i denti, proteggendo istintivamente la pancia con una mano. La paura di non essere creduto cominciò ad invaderlo. Un dolore lancinante lo investì all'improvviso, diramandosi dall'addome in tutto il corpo, obbligandolo a piegarsi a terra.
«Thor, non sto mentendo!»
Il dio del tuono, impietosito, si rivolse allora alle guardie che fino a quel momento erano rimaste in religioso silenzio.
«Non c'è modo di verificare s'egli stia o no dicendo la verità?»
«L'unico modo è aspettare».
«No, è impossibile», Thor si affrettò a declinare l'idea e si avvicinò cauto al fratellastro, ancora dilaniato da forti dolori. Loki si lasciò sfuggire una lacrima, tramortito dall'eccessiva violenza di quel male che l'aveva sorpreso senza preavviso.
Senza che se ne accorse, Thor gli posò una mano sul ventre credendo di cogliere un segno, un rigonfiamento, un fremito, qualcosa che gli provasse l'esistenza effettiva di quella creatura. Il giovane Jotun colse l'occasione di quella vicinanza per catturare lo sguardo dell'altro, svelando il suo privo di ombre menzognere, e per parlargli a mezza voce senza essere udito dalle guardie. «Thor, ti sto dicendo il vero. Ricordi la seconda notte che mi portasti in camera? Il bambino è tuo, è nostro. Non è una bugia per evitare la condanna, come potrei sostenere a lungo una menzogna del genere? Permettigli di nascere e uccidimi dopo, se ciò ti soddisfa!»
Lo sguardo di Thor mutò, da adirato e autoritario a spaventato e freddo. Ritrasse d'improvviso la mano, come se si fosse scottato: aveva sentito qualcosa, forse nulla più che un sussulto, uno spasmo, ma unito a ciò che Loki gli aveva appena detto lo convinse della veridicità delle sue parole. Si alzò in piedi e arretrò di alcuni passi, puntandogli un dito contro. La pazzia sembrava essersi impadronita nuovamente di lui, come era accaduto pochi giorni addietro.
«T-tu... era un tuo piano fin dall'inizio, non è così? Mi hai sedotto per... contaminare con la tua sporca origine la pura e incorrotta linea di discendenza di Asgard! Ma sappi che io non riconoscerò questo figlio bastardo! Io non lo voglio, e anzi, mi hai presentato un motivo in più per giustiziarti a breve!»
La sua voce vibrò insicura e rabbiosa nell'aria stagnante. Loki accolse quella sentenza delirante abbassando la testa, sconfitto. Le insinuazioni di Thor erano così assurde che persino i carcerieri lo guardarono turbati, non c'era un briciolo di lucidità in quelle parole.
«Andiamo, vi ordino di cessare le torture. Tra due giorni egli morrà».
Con le lacrime che gli imperlavano gli angoli degli occhi, Thor voltò le spalle al fratellastro, incapace di sostenerne oltre lo sguardo affranto; il suo ampio mantello dorato ondeggiò imperioso, piegandosi in morbide curve. Le guardie lo seguirono, evidentemente deluse da come il loro re aveva deciso di risolvere la questione. Due giorni in meno di tortura significavano due giorni in meno di divertimento.
Loki rimase nel buio della sua cella. Un orribile sentimento prese velocemente forma dentro di lui, la paura, la frustrazione, la rabbia. Le mani e le gambe gli tremavano, anche se le fitte l'avevano abbandonato. Era tramortito di fronte a una tale mancanza di pietà. Ormai non c'era più speranza di salvezza, né per sé né per il suo secondo figlio, a meno che Thor non ritornasse a fare appello alla sua umanità.
Con un immane peso nel cuore, Loki si drizzò nuovamente a sedere e respirò affannosamente. Era madido di sudore, e perpetui brividi freddi lo tormentavano.
Stavolta nemmeno il dio degli inganni avrebbe potuto trovare una via d'uscita.



*


Thor non poté tenere a bada ancora per molto la curiosità di Sif. Non appena mise piede nella Sala del trono, ella era già lì ad aspettarlo, esigente di spiegazioni.
«Se devo essere la tua regina, allora non puoi tenermi all'oscuro di tutto!»
Il dio del tuono raggiunse con immenso sforzo il seggio, e una volta sedutovi fece un profondo respiro, solo allora poté dare orecchio alla calda voce della ragazza. Poggiò la fronte su una mano, come un vecchio stanco della vita.
«Hai ragione Sif, ma non puoi aspettare che riordini le idee? Non credo neanch'io a ciò che sto per dirti!»
La guerriera lo guardò confusa, poche volte aveva visto Thor così sconvolto e insicuro.
«Riordinare le idee? Ma certo. Con la sua lingua biforcuta Loki riuscirebbe a confonderle anche al più erudito dei saggi».
A quelle parole, Thor scattò in piedi e si erse in tutta la sua altezza. I suoi occhi fiammeggiavano, il suo sguardo ricordava quello di suo padre. Era temibile, incuteva soggezione e rispetto.
«Ora basta Sif! Tieni a freno la lingua!» Sbraitò adirato, tanto che la ragazza indietreggiò al suo cospetto. «Non voglio più udire maldicenze gratuite su mio fratello».
Sif trattenne il respiro, intimorita, poi abbassò la testa in segno di scusa e deglutì, mortificata.
«M-mi spiace di averti offeso, mio signore».
«Non è me che hai offeso, ma Loki. Loki è condannato a morte. Credo che sia sufficiente».
Thor si sedette nuovamente, fece un lungo respiro e cercò di riacquistare la calma. Era inutile arrabbiarsi con Sif, se ella ora gli stava appresso e lo assillava più del solito la colpa era unicamente sua. Sua e delle sue promesse di carta.
«Se posso, mio signore, volevo dirvi che è stato profondamente ingiusto scegliere di uccidere quel bambino. Dopotutto, egli era anche figlio di lady Sygin, e lei ha dato la vita per metterlo al mondo».
Thor ascoltò le parole di Sif come fossero un'eco distante, e si perse a fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle.
«So che era ingiusto. Per questo ho deciso di salvarlo».
«Cosa?»
«È così. Non ti dirò nulla più».
«E non mi dici nemmeno il motivo del tuo turbamento?»
Sif lo guardò speranzosa e implorante, cercando un segno, un indizio, qualcosa che l'assicurasse di godere della sua fiducia. Ma in quell'attimo, le grandi porte della Sala reale si aprirono, e sulla soglia comparve Frigga, la vecchia regina. Come il proprio figlio, sembrava mossa da inquietudine e tormento, come se un'ombra oscurasse la luminosità del suo viso.
«Madre, non dovresti essere a pranzo?»
«E tu, dove dovresti essere? Quando inizi a saltare i pasti, Thor, allora sì che devo preoccuparmi». La donna si avvicinò al trono a grandi passi, volendo guardare in viso il figlio.
«Suppongo sia normale, madre», fece Thor scostante. Suo padre era morto e suo fratello avrebbe fatto la stessa fine tra due giorni, come poteva pensare allo stomaco!
«Thor, è stata presa una decisione. Il compito di giustiziare Loki spetta a te».
A quella notizia, il ragazzo sentì il cuore saltargli in gola e la testa girargli, come se improvvisamente venisse pervaso dalle vertigini e rischiasse di cadere a terra. Sif, indignata, non riuscì a non esprimere il proprio disappunto. «Ma è crudele, crudele e insensato! Regina, perché avete
approvato una decisione del genere?»
«Perché è stata una mia decisione», rispose Frigga con severità. Sif si zittì all'istante e guardò preoccupata Thor, ch'era diventato pallido e tremante.
«Come puoi chiedermi questo, madre?»
La donna lo guardò dispiaciuta, cercando di fargli capire il suo profondo rammarico. Gli prese le mani con forza, stringendole nel tentativo di rassicurarlo.
«Ti sei già sporcato le mani del sangue di suo figlio, credo che così sia meglio per tutti. Anche per Loki».
«Ma...» Sif tentò nuovamente di controbattere, ma venne zittita all'istante dalle sommesse parole di Thor.
«E sia, lo farò io. Ma ora voglio che mi lasciate solo, tutti quanti».
Le due donne non osarono proferir parola, preoccupate e nervose guardarono Thor alzarsi dal seggio e dirigersi verso i propri appartamenti, in cerca di solitudine.
Il peso che portava e che avrebbe dovuto portare sulle spalle era immane, e non era nemmeno la minima parte di quello che loro immaginavano.


Una volta immerso nella semioscurità della sua stanza, chiuse la porta a chiave e si lasciò andare alle lacrime. Un pianto amaro, una gola nera senza uscita, un tunnel, un enigma senza soluzioni. Non era da lui, stava sperimentando una debolezza che non gli era concessa, che non aveva mai provato in modo tanto devastante. Si trovava a un bivio, ora più che mai era costretto a scegliere una strada.
Strinse il lenzuolo nei pugni fino a lacerarlo, e soffocò i gemiti premendo il viso contro il materasso. In quel momento più di ogni altro avrebbe avuto bisogno di una guida, di un consiglio valido.
Tra gli occhi lucidi e lo sconforto, scorse la vecchia libreria di Loki, dov'erano riposte con cura favole da bambini, leggende, ma anche formulari e vecchi libri di magia, zeppi di appunti e scritte a matita, nonché intere monografie dedicate alla geografia dell'universo, alla fauna e flora di Asgard, ai sapienti di Midgard, al popolo Jotun...
D'un tratto gli tornarono alla mente le parole di Loki: avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia.
Spinto dalla curiosità, si asciugò le lacrime indegne con il dorso della mano e afferrò la monografia dedicata ai Giganti di ghiaccio. Era un volume grosso e consumato, costellato di appunti, con le orecchie sulle pagine e la copertina spellata. Era stato sfogliato tante volte.
Con il cuore in gola iniziò a leggere, conoscendo per la prima volta le usanze, la struttura fisica, le caratteristiche di quel popolo che aveva sempre disprezzato.
L'idea che nel grembo di Loki stesse davvero crescendo un bambino, il suo primo bambino, cominciava a prendere forma nella sua mente, e lo sconvolgeva. Dunque era possibile; pagina dopo pagina, in quel libro ne trovava la conferma.
Avrebbe dovuto essere più prudente, ma perché mai Loki non gli aveva detto una cosa così importante? Forse per vincolarlo in futuro, per ricattarlo, per avere una controffensiva. Eppure, qualcosa gli diceva che le cose non erano andate così. Il fratellastro sembrava avere un debole per i bambini, per la loro innocenza e ingenuità. L'aveva dimostrato con Liar, e anche ora sembrava disposto a qualunque cosa pur di salvare la vita di quella nuova creatura, persino a costo di compromettere se stesso. Forse era a causa del (lesse dal libro pilotando la riga con il dito) famoso istinto di sopravvivenza Jotun e del loro innato spirito materno. Era scritto nel loro corredo genetico, anche involontariamente Loki aveva il primordiale scopo di prolungare la propria specie, per cui inconsciamente, durante un atto sessuale di qualsivoglia natura, ricercava con ingordigia ogni più piccola goccia di vita, impiantandola subdolo nel proprio ventre per dare così inizio a una gravidanza. Era un istinto che sarebbe stato opportuno saper controllare, e Thor poteva giurare (a giudicare dagli imbarazzanti appunti presi a bordo pagina) che Loki aveva cercato il modo di tenerlo a bada.
Come fosse stato colpito da una folgore, l'asgardiano richiuse velocemente il volume alzando uno sbuffo di polvere dalle sue pagine ingiallite. La realtà lo investì come un fiume in piena.
Due giorni ancora, e Loki sarebbe morto.
Due giorni, e avrebbe commesso la più grande vigliaccheria, il più grande errore della sua vita.



*


Dunque tra due giorni avrebbe conosciuto la morte. Cosa misteriosa era l'oltrevita, anche per gli stregoni più potenti. Alcuni avevano sperimentato misticamente il viaggio nell'aldilà, ritornandone poi con ricordi confusi, non veritieri ed estremamente scivolosi.
Erano ore che Loki cercava di trovare una via d'uscita, senza tuttavia farsi prendere dal panico quando le strade gli si presentavano tutte impercorribili.
Forse, utilizzando in un sol colpo tutte le energie di cui disponeva, che su punto di morte aumentavano esponenzialmente, sarebbe riuscito ad aprire un varco spaziale e a fuggire attraverso di esso. Ma innanzitutto non aveva modo di eliminare la costrizione che gli impediva di mettere piede nello spazio aperto, inoltre non avrebbe mai disposto di sufficiente potenziale magico.
Loki strinse i pugni e digrignò i denti, cercando con tutte le sue forze di ignorare quella povera creatura che reclamava disperatamente altro nutrimento. Erano cessate le torture, ma anche le razioni di cibo giornaliere. Il pasto della sera non era ancora arrivato e ormai il cielo, nelle parti lasciate scoperte dalle nuvole, si macchiava di stelle e polveri. Loki sbirciò la volta scura dell'universo che s'intravedeva attraverso uno squarcio nel soffitto, danneggiato dalle infiltrazioni d'acqua e prontamente riparato da uno scudo trasparente d'energia.
Non c'era niente di meglio che osservare il cielo prima di morire, tenendo una mano ben premuta sull'addome in ascolto del più piccolo singhiozzo. Come fosse uno scherzo della sorte, gli capitò sotto gli occhi il baluginio di un pianeta che ben conosceva: Jötunheimr, la sua amata e odiata patria.
Fu inevitabile per Loki paragonarsi a Fenan Fin, l'infelice bestia di Niflheimr esiliata ad Asgard. Eppure la sua di permanenza ad Ásaheimr non sarebbe stata infelice, se gli Asi e tutti gli abitanti della Città Eterna l'avessero accolto come uno di loro. Da adulto tali discriminazioni grezze e ignoranti lo facevano solamente sorridere, ma la sua infanzia così come la sua adolescenza erano state difficili e sofferte.
«Anche le creature della notte hanno un nome, ma il tuo rievocherà la luce di Asgard, giacché morirai sotto le sue leggi. Si ricorderanno di aver ucciso non solo uno Jotun, ma un Asi. Uno di loro».
Era prorompente a tal punto la rabbia che sentiva in corpo che avrebbe potuto sfondare le pareti della cella con la sola forza di volontà. Era un mago, uno dei più potenti dei Nove Mondi, e non poteva fare niente. Non aveva la forza di salvare un bambino in fasce né il feto che nuotava nel suo ventre.

D'improvviso, sentì la serratura della porta blindata scattare, e il suo filo di pensieri s'interruppe bruscamente. Immaginava che sulla soglia comparisse una guardia con del cibo o con degli strumenti di tortura, immaginava di vedere sua madre con le solite lacrime finte, avrebbe potuto immaginare di veder comparire persino Odino redivivo, ma mai avrebbe detto che a fargli visita fosse il suo fratellastro, Thor.
Era sicuro che egli temesse di parlare direttamente con lui, data la sua indecorosa vigliaccheria e irresponsabilità.
«Cosa ci fai qui?» Sibilò velenoso il dio degli inganni, alzandosi con uno sforzo immane a mezzo busto. Nell'atto improvviso fu pervaso da un forte dolore all'addome, e dovette sfruttare nuovamente il sostegno della parete retrostante.
Thor ignorò il tono ostile del fratello ed avanzò imperterrito verso di lui con aria severa e minacciosa.
«Non parlare Loki».
S'inginocchiò al suo fianco ed estrasse un coltello affilato dalla cintola. Loki si ritrasse d'istinto, spaventato e convinto che il fratellastro volesse ucciderlo quella notte, lontano da occhi indiscreti e testimoni.
«C-cosa vuoi fare?»
Thor cercò con tutto il cuore di ignorare quell'acuta nota di terrore che aveva colto nelle parole dell'altro, e diresse la lama verso la sua spalla, cercando di non spaventarlo ulteriormente.
«Cerca di stare fermo», disse soltanto, mentre apriva un taglio sulla cute pallida del fratellastro fendendo con precisione i tessuti, spingendo il coltello in profondità finché, a un certo punto, non toccò una placca in metallo. Dunque si fermò.
Loki non emise un gemito, si limitò a guardare sospettoso la ferita che gli si apriva sulla spalla sinistra e il sangue che gli colava lungo il braccio, raccogliendosi sul gomito per poi gocciolare a terra. La macchia scura che andava formandosi sul pavimento si amalgamava indistintamente alle altre.
Thor prese dall'armamentario lasciato a terra uno strumento che rassomigliava a una piccola tenaglia, che Loki aveva sperimentato a lungo sulla sua stessa pelle. Si avvicinò con gli occhi alla lesione e allargò con le dita i due lembi di pelle lacerata, per vedere meglio in profondità. Una volta scorto, afferrò con le tenaglie quel dischetto di metallo incassato tra le due masse muscolari e tirò.
Loki strinse i denti, tuttavia continuando ad osservare con attenzione i movimenti del fratello.
«Che cos'è?» chiese, una volta che Thor riuscì ad estrarre quella piccola placca metallica, sporca del suo sangue.
«Ricordi la costrizione che ti venne applicata? Non fu una modifica al tuo dna, tutto consisteva in questo dischetto che ti venne impiantato nel corpo mentre non eri cosciente. Non ti abbiamo detto la verità perché non volevamo che tu cercassi di estrarlo, conoscendo la tua testardaggine ti saresti dissanguato pur di ottenere la libertà».
Loki lo guardò storto, cercando nel frattempo di tamponare l'emorragia con una mano. Se era vero che la placca era la costrizione spaziale che l'aveva impedito fino a quel momento, perché quello stolto gliene aveva privato? Forse non tutto era perduto.
«Perché hai fatto questo?»
Thor tenne basso lo sguardo e s'impegnò con tutte le sue forze di non guardarlo negli occhi. La bugia che stava per dire era grossa, ed era sicuro che Loki non sarebbe stato così stupido da cascarci.
«Il compito di ucciderti è stato destinato a me. Lo farò colpendoti con un fulmine richiamato da Mjöllnir, e temo che il campo magnetico emanato da quest'affare possa interferire con la mia scarica elettrica».
Loki cercò le iridi del fratello, chiare come stelle nell'oscurità. Gli alzò il viso con una mano e fece una cosa che mai e poi mai si sarebbe aspettato di fare. Lo baciò, toccandogli delicatamente le labbra con le proprie, a tentoni, cercando di risvegliare in lui l'attrazione che li univa. Lo scopo era uno solo: inganno e compassione.
Lo faccio per te, Vald. Per la tua salvezza, per la tua vita.
Si toccò il ventre caldo e si fece coraggio, ma proprio in quell'attimo Thor lo respinse, non cedette alla morbosità di quel gesto.
«Tu non riusciresti ad uccidermi fratello! Hai intenzione di liberarmi, non è forse così?»
Thor si alzò in piedi e gli diede le spalle, tremava. Era un debole, ed era corroso dall'indecisione, lo si capiva solo guardandolo negli occhi.
«Continua a sperarlo Loki».
Sulle labbra sentiva ancora il sapore salato e ferroso di quel bacio, un sapore elegante e focoso allo stesso tempo, una fusione di raffinatezza ed eros di cui solo il dio degli inganni in persona poteva essere capace. Il suo cuore era spaccato a metà, fremeva e sanguinava, e presto una delle due parti avrebbe prevalso sull'altra, se non con la riflessione, con il tempo. L'amore per Loki, o l'amore per la propria vita?
«Si chiama Vald».
Le parole ferme e impassibili del giovane Jotun sferzarono l'aria come un giavellotto scagliato, e congelarono Thor sulla soglia della prigione. Il bambino.
Quasi se n'era dimenticato, tanto la cosa gli sembrava assurda e costruita per doppi fini.
Il dio del tuono chiuse le dita in una morsa, stringendo i pugni all'inverosimile. Maledetto.
Come avrebbe potuto prendere una decisione usando la ragione, ora?
«Volevo che tu lo sapessi, Thor, prima di dirci addio. Sarebbe diventato un asgardiano migliore di quello che sei tu...»
Non voleva suscitare compassione stavolta, non aveva dimenticato il suo obiettivo: finire la sua storia a testa alta.
Gemette, cercando di tamponare con un lembo di stoffa il sangue che continuava a sgorgare dalla ferita aperta sulla spalla. Nei suoi occhi verdi e stanchi guizzò un'ultima ombra canzonatoria.
«...perché avrebbe avuto il mio cervello».
Ma Thor se n'era già andato.


*

L'ultima notte.
Quella notte nessun componente della famiglia reale avrebbe chiuso occhio.
Frigga si aggirava inquieta tra le sue stanze, cercando di affogare le innumerevoli lacrime in un fazzoletto di seta premuto contro la bocca, ormai inzuppato all'inverosimile.
Il dio del tuono continuava a rigirarsi tra le dita quella placca metallica nera di sangue, come se in essa vi fosse la soluzione di quell'orrendo enigma. Era sdraiato sull'ampio letto della loro camera e guardava le stelle, attraverso l'enorme squarcio nel soffitto.
Sif non aveva nemmeno provato a cercarlo, probabilmente intimorita dalla severità del suo ultimo ordine. Inoltre doveva aver preso coscienza del fatto che non gli sarebbe potuta essere d'aiuto.
Ancora non capiva perché la madre gli avesse affidato un compito così gravoso. Che sospettasse di lui?
Cercando di ignorare quei pressanti timori, si affrettò a scacciare dalla mente questi pensieri inopportuni, soprattutto a quell'ora di notte. Scosse forte la testa come per risvegliarsi da un incubo.
L'indomani avrebbe compiuto il suo dovere. Avrebbe fatto ciò che gli asgardiani si aspettavano dal loro re, null'altro.


Loki invece, chiuso nel poco spazio che gli era concesso, dormiva. Forse per la prima volta dopo settimane era caduto in un sonno profondo e sereno, libero da lontane rimembranze o da inquietudini e tormenti, limpido come l'acqua di torrente. Era insolito, la notte prima della sua condanna a morte.
Ma l'alba sorse puntuale la mattina seguente, sorse gialla e radiosa. Non vi erano nuvole in cielo e le bestie uscivano dalle tane, affamate di luce. Era, per così dire, una bella giornata.
Loki era stato svegliato da un paio di guardie corpulente che non aveva mai visto prima d'ora ad Asgard, forse erano appartenute al corpo di guardia speciale di Odino.
L'avevano messo in piedi senza troppi complimenti, scuotendogli di dosso le ultime briciole di sonno. Lui non le aveva neppure degnate di un'occhiata sprezzante, tale era ormai il suo disgusto per qualsiasi asgardiano - eccetto Sygin ovviamente, ma ella era appartenuta ad un'altra epoca.
Un ultimo, folle pensiero gli attraversò la mente come un lampo mentre veniva trascinato fuori da quei corridoi ammuffiti: la fuga. Se non per sé, almeno per riuscire a donare la vita a quella povera creatura che portava in grembo.
Ma benché le sue ginocchia fossero già pronte a scattare e le braccia a dimenarsi, l'ipotesi sfumò immediatamente, rimanendo ad aleggiare nella sua testa come un velo di nebbia. Impossibile.
Non vi era possibilità di fuga, non vi era possibilità di salvezza all'infuori della clemenza di Thor.
Con lo sconforto nel cuore, Loki si lasciò condurre fin sul patibolo, sulle distese verdeggianti della riva del fiume Fridsam, lì dov'era stato sepolto quel povero bambino al posto di Liar.
All'interno di una conca gommosa di muschio ed erbe era stata posta una scarna piattaforma di ferro, ottimale per condurre al meglio l'elettricità. Thor stava ritto in piedi di fronte ad essa, vestito di nuovo e congelato come una statua di sale.
Alle sue spalle, una folla astante di asgardiani si accalcava per assistere all'esecuzione.
Frigga si ergeva livida al fianco di lady Sif e delle sue ancelle, timorosa di incontrare anche solo per un momento lo sguardo del figlio adottivo. Loki, che odiava questo genere di vigliaccherie, cercò in tutti i modi di catturare gli occhi della madre, ma ella continuava imperterrita a guardare terra, piangendo fiumi di lacrime finte.
Non gli aveva nemmeno detto addio, non era venuta a porgergli un saluto.
L'amarezza e la tristezza pesarono come macigni insostenibili nel suo cuore, pesarono più che mai di fronte all'indifferenza della regina.
Fandral, Volstagg e Hogun stavano ritti in piedi uno a fianco dell'altro, con un'espressione neutra in volto. Loki avrebbe potuto giurare che, nel silenzio e nel profondo dei loro cuori, gioivano, così come gran parte degli spettatori. Era sempre stato malvisto nel gruppo, la sua era sempre stata una figura nefasta e inaffidabile agli occhi degli Asi. Le sue scarse abilità militari e il suo modo di combattere ingannando e sfuggendo l'avversario, invece di affrontarlo a viso aperto, suscitavano diffidenza e antipatia nei suoi compagni. I rapporti si erano poi definitivamente deteriorati quando essi vennero a conoscenza delle sue vere origini. Il leggendario odio degli Asgardiani verso gli Jotun riemergeva sempre, soprattutto nelle menti più grossolane, quelle più facili da soggiogare.
Ma ormai questi pensieri perdevano di importanza, sfumavano ad ogni passo, si assottigliavano sempre di più.
Le guardie che lo scortavano strinsero con forza la sua veste di pelle nera, posizionandolo con sgarbo sul suo punto d'arrivo.
In un baleno Loki si trovò con i piedi che poggiavano sulla piattaforma, il forte sole del mattino gli pungeva gli occhi chiari. Dalla bolgia si alzavano male parole, insulti, sporadiche acclamazioni, e il bisbiglio cresceva come una brezza si tramuta in uragano.
Thor era solo di fronte a Loki, nella mano destra stringeva Mjöllnir, ma la sua presa non era salda, tremava ancora.
Così non va
, sorrise il dio degli inganni, inclinando la testa. Hai ucciso tanti Jotun senza nemmeno pensarci un attimo, Thor. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?
Chiuse gli occhi, cancellò la folla, Frigga, Thor dalla sua visuale, e cercò di immaginare per un momento Liar e Vald assieme, grandi, cresciuti. L'ultimo suo desiderio era che almeno Liar, figlio di Sygin, venisse salvato.
Era consapevole che da quell'attimo in poi ogni suo respiro poteva essere l'ultimo.
Il chiacchiericcio e l'aspettativa si fecero più incalzanti; Loki riaprì gli occhi e li rivolse al cielo, colto all'improvviso da una punta di panico.
Thor gli aveva rivolto Mjöllnir contro, il pubblico scalpitava.
«Loki, tu sarai sempre mio fratello», disse semplicemente il neo re di Asgard, con voce rotta da un pianto silenzioso.
Loki gli restituì uno sguardo irritato e terrorizzato allo stesso tempo. Aveva pochi secondi di vita, e lui si dava ai sentimentalismi? Ormai le parole erano vane, erano polvere nel vento, erano foschia nel cielo. Ora il poco spazio rimasto era destinato ad altre cose, a cose più importanti.
«Thor, salva l'altro». Le parole gli uscirono involontarie, sfuggirono dal suo controllo.
Salva Liar, ti prego, risparmialo
.
Se solo avesse avuto abbastanza forza per attuare un contatto psichico...

Thor esitò un momento, poi capì, e fece un breve cenno.
Non scorsero più lacrime sul suo viso, quando arrivò il momento. Le trombe di morte squillarono, fenderono l'aria limpida come un fulmine nero, il vento cessò, l'aria si fece stagnante.
Loki era pronto a chiudere gli occhi sul mondo, ora che si era assicurato che Liar sarebbe rimasto in vita.
Gli parve di sentire Vald singhiozzare. Che storia triste sarebbe stata la sua, ucciso dal suo stesso padre, senza il piacere di assaggiare la vita.
Liar invece sarebbe sopravvissuto, avrebbe conservato la tenacia di Sygin, la freddezza e la bellezza di Loki, il loro amore per le storie, i racconti, i libri. Chissà in quale terra cresceva ora, ignaro di essere di sangue reale, di sangue Jotun.
Questi ultimi pensieri invasero la sua testa come un'ultima bellissima ed impetuosa esplosione, il poco tempo che gli rimaneva non gli bastava neppure per rimembrare a dovere la dolcezza del viso di Sygin.
Passarono uno, due, tre secondi interminabili.
Il tempo era impossibile da giudicare, fuggiva via o restava immobile?
Loki aprì gli occhi con immane sforzo, abbassò la testa e guardò nuovamente davanti a sé.
Non appena il riverbero accecante gli lasciò tregua, riuscì a focalizzare la figura imponente di Thor.
Si era fermato.
Sussultava, corroso dai brividi, ed era più pallido che mai, come se si trovasse di fronte ad una spaventosa fiera che non riusciva a fronteggiare.

Mjöllnir giaceva ai suoi piedi, abbandonato tra l'erba.


   
 
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