Ore 07:00
Le chiavi tintinnavano nella
borsa, così come i tacchi davano il ritmo picchiando sul marciapiede. Lily
inserì le chiavi nella serratura della porta a vetri, per scoprire che era già
aperta. Stranita, entrò. Chi poteva essere arrivata prima di lei? Di solito non
c’era nessuno a quell’ora. A parte lei ovviamente, forse per questo che suo
marito la definiva una stacanovista. L’edificio era apparentemente vuoto. Un
rumore dalla sala stampa le informò che avrebbe trovato qualcuno. Infatti.. Monica
se ne stava in piedi vicino alla fotocopiatrice, con uno strano sorriso in
faccia, che la direttrice avrebbe definito: angelico.
-Monica!- esclamò, sorpresa.
-Oh, ciao Lily!- la salutò
questa calorosamente.
-Come mai qui così presto?-
-Potrei chiederti la stessa
cosa.- le fece notare la giovane, senza malizia.
-Io arrivo sempre presto al
lavoro. Mi piace dare il buon esempio. Della serie: se il capo è bravo anche i
dipendenti lo sono. Per il momento non ho ancora avuto problemi.-
-Ti capisco. È un’ottima
cosa, dare l’esempio. Per tutto quello che facciamo dovremmo avere qualcuno da
imitare. Anche se personalmente penso che l’unico da imitare sia Dio.- nel
momento in cui pronunciò l’ultima frase il suo tono si era fatto
improvvisamente più serio.
-Tu credi in Dio?- Lily fu
colta di sorpresa.
-Sì, direi di sì. Ovviamente
non posso avere la certezza che esista, ma credo di sì.-
-E’ una cosa importante.
Essenziale oserei dire.-
-Mi sembri molto convinta di
questo, sbaglio?- domandò Lily.
-No, hai ragione. Io credo in
Dio con tutta me stessa e non mi ha mai deluso. Comprendo che ci sono momenti
disperati, in cui sembra che nessuno ci ascolti, ma non è mai così.- rispose
con un sorriso. Lily le sorrise a sua volta.
-Senti, è presto. Che ne dici
di andare a berci un caffè?-
-Oh, io adoro il caffè.-
rispose Monica, con un sorriso a trentadue denti.
Ore 13.00
-Andrew!- Will si catapultò
tra le braccia del suo babysitter, mentre questo ricambiava il suo abbraccio.
-Allora campione, com’è
andata la scuola?- gli chiese l’altro.
-Mmh, abbastanza bene!-
-Andavano bene i compiti di
matematica.-
-Perfetti. Dovresti esserci
tu al posto della prof.- Andrew rise.
Tornarono a casa e
pranzarono. Ellie era in biblioteca e aveva mangiato prima di uscire. Né la
televisione, né una passeggiata al parco esaudirono i loro bisogni. Andrew
stava lavando i piatti in cucina, mentre Will se ne stava seduto sullo sgabello
dove settimane prima Ellie aveva scambiato le prime parole con il tutor.
-Ehi, che hai? Sembri tua
sorella con quel muso.- gli disse Andrew, notando che il bambino sembrava
pensieroso.
-Non so cosa fare.-
-Non hai niente da
ripassare?-
-Basta Andrew, sembri la
mamma e Ellie.- sbuffò Will. L’altro rise.
-Non hai proprio voglia di
fare niente?-
-Non lo so, mi piacerebbe fare
qualcosa di divertente. Tu cosa hai voglia di fare?-
-Oh, io me ne starei
comodamente seduto sul divano a leggere il giornale.-
-Non ti facevo così vecchio
sai.- lo prese in giro il babino.
-Sei in cerca di guai?- lo
minacciò Andrew.
-Allora?- Will sorrise
mascalzone.
-Che ne dici: di un bel
pupazzo di neve?- gli propose Andrew.
-Ottima idea.- sorrise felice
il bambino.
Il cielo era azzurro e l’aria
era piacevolmente fresca. Ovviamente pretendere serietà da un bambino di undici
anni era troppo. Andrew non ebbe il tempo di abbassarsi che una palla di neve
lo colpì sulla spalla. Will rise a crepapelle.
-Ascolta, lo vuoi fare questo
pupazzo oppure no?- gli chiese retoricamente l’altro, sorridendo. Will smise di
ridere prima di acconsentire.
-Okay okay, non te le tiro
più.- ovviamente non era vero.
Incominciarono con il fare la
base, Will scappò in casa per prendere due grossi bottoni neri che sarebbero
serviti per fare gli occhi. Andrew andò a rimediare in uno sgabuzzino una scopa
e un pezzo di legno per il naso. Will prese dal guardaroba del padre una
sciarpa rossa ormai finita nel dimenticatorio e un cappello alla londinese. Nel
mentre volavano palle di neve e schizzi dentro le giacche. Il lavoro di un’ora
venne completato nel giro di due ore.
“Pupazzo di neve”
Nel mentre un flash li colse
di sorpresa.
-Al ladro! Al ladro! Stanno
cercando di rubarci le nostre scoperte!- disse Will, caricando una palla di
neve in direzione della sorella, munita si macchina fotografica e sorriso.
-Forza agente Will, non
possiamo lasciarla scappare!- lo incitò divertito Andrew.
Ellie sgusciò fuori dal
giardino indenne, infilando la macchina nello zaino e prendendo le chiavi per
aprire l’auto.
-Non questa volta agente
Will. Andrew guarda che vado un attimo a scuola a prendere un paio di cose.-
disse lei.
-Va bene.-
Ore 13.30
Monica e Lily se ne stavano
comodamente sedute in una tavola calda, mentre aspettavano finisse la loro
pausa pranzo.
-Avanti Monica, parlami un
po’ di te.-
-Cosa vuoi sapere
esattamente?- domandò la segretaria.
-Non so, quello che vuoi. Hai
famiglia?-
-Oh, sì beh.. la mia famiglia
è grande. Tutti sono la mia famiglia.- disse in tono saggio.
-Sai, al giorno d’oggi non ci
sono più persone che hanno un senso così ampio di famiglia. Ed ammetto che
nemmeno io faccio eccezione, però mi fa piacere che tu la pensi così. Aiutare
il prossimo è importante. Ad ogni modo mi riferivo alla tua famiglia. Sei
sposata?-
-Oh, no. Io non sono sposata.
Anche se tante volte ho immaginato come dovrebbe essere voler bene ad una
singola persona con tutta la propria anima e tanti bambini che ti saltellano attorno.-
rispose con un sorriso.
-Certo le fortune sono molte,
ma ci sono anche i problemi.- fece con fare serio Lily.
-Che intedi?- domandò Monica,
lei ovviamente non poteva sapere a cosa si riferisse.
-I bambini e i mariti sono
una benedizione, ma non sempre tutto va come previsto. Le notti in bianco che
si passa quando non stanno bene, quando si ammalano e nessuno sa che cosa
abbiano, e lì tu speri che ci sia qualcuno che lo aiuti a superare la malattia;
quando hai delle discussioni con loro e non sai se poi ci tornerai a parlare.
Quando non ti vogliono ascoltare. Quando non tornano a casa in orario e ti
preoccupi che possa essergli successo qualcosa. I problemi a scuola, sul
lavoro, le domande a cui non hai risposta, al fatto che tu ti renda conto che non
puoi dargli tutto quello di cui hanno bisogno.-
-Sì, ma Dio può.-
-Già, ma certe volte è anche
difficile udire
-Ricorda Lily che le strade
del Signore sono infinite.- disse dolce Monica, prendendola per mano. Lily
sorrire a tanta dolcezza.
-Dobbiamo essergli grati per
tutto l’amore che possiamo provare e donare.-
-Hai lavorato ancora per
agenzie del genere?- cambiò dicorso.
-A dire il vero no. Però ho
due amici che hanno sempre dei buoni consigli da darmi.-
-Ah sì? Perché non me li fai
conoscere? Chissà che non abbiamo qualche buon consiglio anche per me.- disse
ironica Lily.
-Oh, ne avrebbero di sicuro.
Ad ogni modo Andrew lo conosci, no?- disse Monica.
-Andrew? Il mio babysitter?-
-Certo. È una persona
formidabile, garantito.-
-Vi conoscete da molto?-
-Da anni. Ricordo che la
prima volta che lo vidi ne rimasi affascinata, vestito con quegli abiti chiari,
la faccia seria ma gli occhi dolci. Sembrava un cucciolone. Ma sta attenta a
non lasciarti ingannare, sa essere serissimo quando vuole.-
-Ne parli parecchio bene.
Allora posso stare sicura.- concluse Lily.
-Affiderei ad Andrew la mia
stessa vita.-
-Ti piace?- domandò a
bruciapelo Lily, senza malizia o ironia nella voce, era seria.
-Oh, no! Non penserei mai ad
Andrew in quel senso. È una persona formidabile, dolce e sensibile. Un vero
amico. Penso che chiunque dovrebbe avere un amico così.-
-Capisco. Non fraintendermi,
chiedevo soltanto. Non ci sarebbe stato di certo nulla di male. È un bell’uomo
e se tu mi dici che è così tanto una brava persona, e anche tu lo sembri.. non
vedevo perché no.. – spiegò docilmente Lily.
-Sì, tranquilla. Lo so che tu
non sei una che dà giudizi giusto per fare qualcosa.- rise Monica. Il cellulare
di Lily squillò.
-Scusami un attimo.-
-Fai pure.-
-Pronto?- nel mentre
pronunciava quella domanda il suo viso cambiò espressione. Le sopracciglia si
alzarono e il sorriso divenne una smorfia di terrore, gli occhi si
spalancarono.
-Dove?- disse con voce
tremante.
-Arrivo subito.- dichiarò
fredda.
-Che è successo?- domandò Monica
preoccupatissima.
-Monica vieni con me. Non so
se sarò in condizioni di guidare.-
“Monica”
http://www.touched.com/episodeguide/seasonsix/616ConcernedMonica-04BIG.jpg
Ore 13. 35
‘Halo’ usciva dalle casse
della radio, il piede premuto sull’accelleratore, le mani sul volante e il
piede del freno in riposo. Era una delle canzoni che preferiva. Continuava a
canticchiarla, guardando davanti a sé, la strada sgombra. Fortunatamente non le
ci era voluto molto per trovare il libro, ma si sa, quando si incontrano dei
vecchi amici non ci si può fermare a parlare, e si era fatto tardi. Aveva
mandato un messaggio a Andrew per avvertirlo che non ci sarebbe stata per pranzo.
Il sedile era bollente quando era salita in macchina, purtroppo il parcheggio
non aveva posti all’ombra.
Procedeva tranquilla, mentre
l’asfalto scivolava dolcemente sotto le ruote, fu un attimo. Fu come essere
sugli autoscontri, quando qualcuno picchia violentemente contro di te. Ma
questa volta non era il suono attutito delle gomme. Un rumore di metallo contro
metallo, che faceva male ai timpani. Sentì qualcosa premere lievemente contro
il braccio sinistro, la strada che strisciava via, mentre la macchina veniva
sospinta verso destra, oltre la carreggiata. Grazie al cielo non c’erano
macchine in giro a quell’ora. La testa che picchiava violentemente prima contro
airbag del volante e poi contro la testiera del sedile. Quando tornò a vedere
la strada di fronte sé era immobile, nessun rumore; solo la voce della cantate
usciva ancora dall’autoradio come se nulla fosse, ignara di tutto. Alla sua
sinistra c’era una macchina. Parte del muso davanti era contro la sua portiera,
ecco perché si era sentita picchiare contro il braccio, parte di essa era
piegata. L’altra macchina sembrava non essersi fatta nulla a parte il motore
fumante, e l’autista svenuto sul volante. Con la mano destra estrasse il
cellulare dalla tasca e chiamò l’ambulanza.
-Pronto qui è l’ambulanza.-
-Avrei bisogno di
un’ambulanza.- disse con la voce spezzata, come se si fosse riempita di
polvere.
-Come si chiama?-
-Mi chiamo Ellie Potter. Ho
appena avuto un incidente. Non posso scendere dalla macchina e l’altro autista
mi sembra svenuto. Per favore fate presto.- iniziarono a lacrimarle gli occhi a
causa del forte spavento.
-Si calmi. Arriviamo subito.
Mi dica dove si trova.-
-All’incrocio di St. Avenue.-
-Stiamo arrivando.- la
chiamata terminò velocemente.
L’unica cosa che poteva fare
era pregare che andasse tutto bene. Che arrivassero presto. Che non ci fosse
nessuna fuga di benzina. Che anche l’altro autista stesse bene. L’unica cosa
che non riusciva a spiegarsi era: perché?
Vide le luci dell’ambulanza e
della polizia dallo specchietto retrovisore, avvicinarsi. C’era anche la
macchina grigia di sua madre. Trasse un sospiro di sollievo. Forse quel giorno
non sarebbe morta. paramedici e agenti di polizia analizzarono la situazione,
alla ricerca di un modo per poter tirar fuori entrambi i feriti. Il guidatore
ubriaco fu il primo ad essere estratto dall’auto. Dopo aver appurato che non
c’erano perdite di benzina, un agente mise in moto la macchina, così che in
retromarcia potesse liberare la portiera della ragazza. Nel frattempo un
paramedico si era fatto strada dall’altra portiera e si era avvicinato alla
ragazza, assicurandole che andava tutto bene e che presto sarebbe stata fuori.
Ellie ne era certa. Sua madre la guardava dal parabrezza, lo sguardo
preoccupato e umido, le mani davanti alla bocca, nervosa e in ansia. Dopo
un’ora e mezza fu fuori. Il volante le aveva bloccato le gambe e lo sportello
le aveva causato solo una forte botta al braccio sinistro; sulla fronte un
piccolo taglietto; tutto sommato non si era fatta niente. Era un miracolo. O
almeno questo è quello che pensò Lily.
-Oh, Ellie!- la donna
abbracciò stretta la figlia, mentre la sua assistente, di fianco a lei, le
accarezzava i capelli e con lo sguardo vagò tra i paramedici, finchè non trovò
chi stava cercando. Una donna di colore, dai capelli neri e grigi raccolti
sulla nuca, sui sessanta, dall’espressione seria e rigida. Tess. Le due donne
si guardarono in un’occhiata di intesa. Era stato davvero un miracolo. Ma le
cose non si mettevano bene in ogni caso. Monica annuì di fronte all’espressione
triste e impotente di Tess.
-Monica, grazie di avermi
accompagnata.-
-Figurati Lily, è stato un
piacere.- rispose l’altra con un sorriso.
-Ti farebbe niente guardare
tu oggi l’ufficio, vorrei andare a casa con mia figlia.-
-Certamente. Stai tranquilla.-
Lily, che teneva ancora
stretta la figlia per le braccia, condusse Ellie alla macchina, l’aiutò a
sedersi, sebbene non ce ne fosse bisogno, e andarono a casa.
Ore 18.15
James era appena tornato dal
lavoro e Will gli corse incontro; avevano tutti visto il notiziario.
-Ellie, tutto okay?- domandò
il padre.
-Sto bene papà. È stato più
lo spavento che tutto il resto.- rispose fioca Ellie.
-Tesoro sei sicura di
sentirti bene? Hai un’espressione…. – disse la madre.
-Sto bene, davvero. Sono solo
stanca: la giornata, lo spavento, l’attesa.. e poi ho un gran mal di testa.-
-Stai bene Ellie?- domandò
Will, abbracciandola stretta. Ellie sorrise, era la migliore amica di suo
fratello e lo sapeva.
-Certo che sto bene
campione.- poi si rivolse ai genitori –Vi fa niente se per stasera non mangio?
Ho sonno.- domandò.
-Ma certo, vai pure su a
riposarti.- Will lasciò Ellie, che se ne andò di sopra, si mise il pigiama e
andò sotto le coperte.
Eppure non prese sonno.
Passarono le ore, sentiva i movimenti di quelli di sotto, i discorsi; ma lei
non riusciva a dormire.
Verso le nove e mezza vide
qualcuno passare davanti alla sua porta: Andrew con in braccio suo fratello
addormentato. Si accorse solo allora che lui era l’unico che non aveva ancora
visto. Lui si voltò a guardarla.
-Tutto bene?- era una
domanda, eppure per un attimo lei non seppe a cosa di preciso lui si riferisse,
se nell’insieme o all’incidente.
-Sì, tutto bene.- rispose
lei.
-Allora buona notte. Se hai
bisogno di me, sai dove trovarsi.- le sorrise lui, dolce.
Ellie annuì. Rimanendo a
guardare il posto dove se ne era appena andato.
“Andrew e Will”
http://www.photos.onthisside.net/jabbgallery/tbaa/tildeathandrewassign5.jpg
Ore 10.00
Era la terza volta quella
settimana che andava lì, saliva le scale, prendeva l’ascensore e poi si fermava
di fronte a quel corridoio, senza mai però percorrerlo. L’ultima volta era
stato molto tempo fa, per un controllo preventivo.
-Ehi bellezza, ti sei persa?-
le domandò una donna di colore, con un sorriso smagliante.
Tess si era avvicinata alla
ragazza e le aveva messo una mano sulla spalla, aveva una faccia spaurita,
quasi stesse vivendo un incubo.
-No, è il piano giusto.-
rispose a mezza voce Ellie.
-Sicura? A meno che tu non
sei venuta a trovare qualcuno malato di cuore penso proprio che tu abbia
sbagliato reparto.- disse l’altra.
-A dire il vero sono io che
devo fare una visita al cuore.- ammise, guardando il corridoio come se fosse
una sfida. Tess lo sapeva, ma non poteva fare a meno di dispiacersi.
-Beh, allora penso che non ti
rimanga altro da fare che percorrere questo corridoio ed entrare nell’ultima
porta a sinistra.- disse Tess.
Eppure sembrava proprio che
Ellie non volesse andarci.
-Sa, forse è meglio che ci
torni un’altra volta.- cercò di tornare sui suoi passi, per l’ennesima volta.
-Ascoltami piccola, non
negherò che è ben tre volte che ti vedo venir qui con una faccia cadaverica,
spaventata e demoralizzata alla sola idea di entrare in quella stanza. Ma se
non l’affronti adesso non l’affronterai mai.-
-Lo so. È che non ce la
faccio.- disse, con voce spezzata, guardando il pavimento.
-Vuoi che ti accompagni?-
Ellie guardò l’infermiera, e annuì.
Percorsero insieme il
corridoio e stette con lei finchè non bussò alla porta. Quando una voce
all’interno le disse di entrare Tess la lasciò.
-Adesso tocca a te.-
Trasse un profondo respiro ed
entrò.
Era una grossa stanza bianca
e grigia, con odore di medicinali e disinfettante. Il dottore non la degnò
nemmeno di uno sguardo inizialmente, finchè non alzò gli occhi sopra i suoi
enormi occhiali alla Einstein.
-Cosa posso fare per lei?-
domandò, con voce professionale.
-Vorrei fare una visita.-
disse Ellie.
-Che genere di visita?-
-Un controllo.. del mio
cuore.-
-Lei vuole sapere se il suo
cuore funziona regolarmente, eh? Ha parlato prima con il suo medico di base?-
-Non ne ho uno.-
-Ha manifestato sintomi per
cui ritiene che il suo cuore non debba funzionare?-
-Sono già stata qui tempo fa
a fare un controllo e adesso… sento la necessità di doverne fare un altro.-
disse tutto d’un fiato.
Il dottore la guardò
attentamente, valutandone la situazione.
-Molto bene, si accomodi.-
Passò un’ora e mezza, se non
di più. I risultati vennero dati subito, non c’era motivo di perdersi in
chiacchiere la situazione era chiara. E Ellie non dovette faticare per capire
che aveva ragione, ormai da tempo. L’espressione del dottore era tutt’altro che
serena o menefreghista. La guardava con pietà, come si guarda un cane bastonato
che non chiede altro ‘perché il mio padrone mi ha picchiato?’. Ellie ingoiò un
blocco di saliva.
-Allora?- sapeva che se non
avesse chiesto lui probabilmente avrebbe speso ancora tempo a cercare le parole giuste.
-Signorina. La sua situazione
è questa… - si fermò. Ellie non ce la faceva più dalla rabbia e la
frustrazione, le lacrime agli occhi, ma nessuna che andasse oltre la sua
barriera.
-Dottore. Che. Cos’ho?-
scandì bene le parole, ritmicamente, lo sguardo duro.
-Signorina, lei ha un’insufficienza
cardiaca.- disse rassegnato.
-Che cosa vuol dire?- il suo
cuore non funziona bene. Dalle sue carte ho notato che in passato lei è stata
qui per uno scompenso cardiaco dico bene?- Ellie annuì –Voglio essere sincero
con lei. Alcune volte capita che da certe malattie, specialmente in parti
delicate come il cuore e il cervello, non guariscano del tutto. Dopo la
malattia lei sarà stata sicuramente bene e in forma, ma questa potrebbe aver
alterato il funzionamento del cuore e, a lungo andare, questo ha causato nel
suo caso uno scompenso.- tacque, Ellie si sentì come avesse appena fatto una
doccia gelata –Mi dispiace.-
-Non c’è una cura?- domandò,
le ultime speranze vacillanti.
Lui la guardò fisso e questo
bastò per darle la risposta che stava cercando.
-Quando mi rimane?- domandò.
-Stando a questi esami, non
più di qualche mese. Ma per esserne sicuri dovremmo fare altre analisi più
appronfondite.-
-No, grazie così. Tanto,
sapere il giorno non fa la differenza. Mi basta sapere.. che non supererò
quest’anno. Arrivederci dottore.- il medico non ebbe nemmeno la forza di
ricambiare il saluto, mentre lei gli voltava le spalle e usciva.
Tanta fatica per percorrere
quel corridoio e adesso non riusciva nemmeno più a uscirne. Fuori dallo studio
si era seduta sulla sedia bianca di fronte alla porta, vicino agli altri posti
vuoti, nessuno in attesa. Tess apparve dal nulla, e andò a sedersi in parte a
lei.
-Com’è andata?- le domandò,
nessuna nota di divertimento o felicità nella sua voce.
-Sto morendo.- rispose pacata
la ragazza. Non riusciva ad interiorizzare la cosa. Sapeva che doveva
disperarsi, piangere, urlare, sfogarsi; ma non ci riusciva. Era come se ci
fosse un blocco che impediva alla notiza di arrivare al cervello e comunicare
la tragedia a tutto. Solo il suo cuore si sentiva irrimediabilmente diviso a
metà.
-Oh, piccola.. non sai quanto
mi dispiace sentirtelo dire.. –
-Non arriverò forse neanche a
Luglio.. – disse più a sé stessa che all’infermiera.
Alzò gli occhi sulla donna.
-Ho paura.- lacrime le
rigarono il viso.
-Oh.. piccola.. piccola.. –
Tess l’abbracciò stretta, lasciando che si sfogasse.
-Lo so che hai paura. Ma
credimi se ti dico che questa non è la fine.- sorrise con fare amorevole. Ellie
la guardò senza capire.
-Che vuoi dire?-
-Tu credi in Dio, vero?- le
chiese Tess, come se sapesse da sempre che lei ci credeva.
-Sì.-
-E allora non devi aver
paura, Lui ti aiuterà.-
-Ma come farò a dirlo ai miei
genitori, a.. mio fratello. Se dovesse saperlo.. li distruggerei tutti.-
-Purtroppo, non siamo noi a
decidere bambina.-
-Non è giusto. Se solo
sapessi che loro non soffriranno, che.. c’è veramente un’altra parte.-
-Oh, ma c’è! Certo che c’è!-
fece Tess, leggermente indignata che la ragazza si domandasse se effettivamente
il Paradiso esistesse.
-Come fai a saperlo?- la
donna le sorrise, come mai nessuno le aveva sorriso.
-Fidati di me. Lo so.- Ellie
a sentirglielo dire in quel modo si ritrovò confusa, quella donna era strana,
eppure sapeva esserle molto di conforto.
-E se.. non ci dovessi
andare?-
-E perché non dovessi
andarci?-
-Magari non ne sono
all’altezza. Mi sono comportata male o non ho fatto quello che Lui avrebbe
voluto.-
-Abbi fede, Lui può tutto,
solo Lui può aiutarti adesso.- Ellie sospirò.
-Sai, penso che aspetterò a
dirlo alla famiglia. Non voglio ritrovarmi sguardi da funerale prima ancora che
sia morta. Grazie Tess.- si alzò.
-Di niente piccola.- sussurrò
la donna, guardandola tristemente mentre si allontanava dall’ospedale.
Il sole splendeva sereno nel
cielo azzurro, la primavera si stava avvicinando; ‘E anche la mia fine.’ Pensò
Ellie.
Erano tutti a casa di Andrew. Tess era appena entrata
dalla porta con Monica al seguito che le aveva aperto; ansiosa.
-Allora Tess? Come sta?- Andrew non si voltò nemmeno a
guardarla, seduto sul divano, pensieroso, ma con le orecchie ben attente.
-Non bene. Quel medico da strapazzo le ha dato pochi
mesi.- rispose Tess, incavolata nera come se fosse colpa del medico.
-E lei come l’ha presa?- domandò Andrew.
-Abbastanza bene. Ovviamente era preoccupata per la
sua famiglia. La sua Fede è sul filo di un rasoio, esattamente come la sua
speranza e la sua vita. Dobbiamo starle vicino ora più che mai. Per non contare
che ha deciso di non dire niente ai suoi per ora.-
-Conoscendola il suo per ora è un mai.- senteziò
Andrew.
-Oh, Tess! Non c’è qualcosa che possiamo fare?-
-Ad esempio cosa miss Aureola? L’unica cosa che
possiamo fare è cercare di non farle perdere la speranza. Purtroppo questo
compito si sta rivelando più duro del previsto.- e rimasero lì così, tutti e
tre. Uno sul divano, l’altra sul bracciolo e la più giovane in piedi con la
schiana appoggiata allo schienale del divano su cui era seduto l’uomo. Tutti e
tre provati dal loro incarico.