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Autore: CaptainKonny    10/08/2012    1 recensioni
[Questa è una fanfiction dedicata ad una serie televisiva terminata nel 2005 "Il tocco di un Angelo".. Tengo a precisare che non sono una fanatica di film religiosi, ma questo telefilm era particolare, sapeva prenderti fino alla fine.. e siccome ho saputo che l'anno scorso è morto il mio personaggio preferito (John Dye che interpretava Andrew l'angelo della morte) ho deciso di dedicargli questa storia, una puntata in più di una delle sue migliori serie, anche se il titolo è preso da una delle loro puntate la storia è differente].. La famiglia Potter è una delle famiglie più felici che esistano: genitori perfetti, figli adorabili, ma come ogni pace che si rispetti qualcosa deve turbare la tranquillità di questa famiglia.. la figlia più grande soffre di uno scompenso cardiaco, ma si guarda bene dal dirlo alla famiglia e al suo ragazzo. Toccherà ai nostri angeli portare un pò di sollievo alla famiglia e aiutarli in questa triste avventura.. . Spero vi possa piacere questo mio piccolo capriccio di storia. Un bacione!! ;) :)
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ore 07:00

 

Le chiavi tintinnavano nella borsa, così come i tacchi davano il ritmo picchiando sul marciapiede. Lily inserì le chiavi nella serratura della porta a vetri, per scoprire che era già aperta. Stranita, entrò. Chi poteva essere arrivata prima di lei? Di solito non c’era nessuno a quell’ora. A parte lei ovviamente, forse per questo che suo marito la definiva una stacanovista. L’edificio era apparentemente vuoto. Un rumore dalla sala stampa le informò che avrebbe trovato qualcuno. Infatti.. Monica se ne stava in piedi vicino alla fotocopiatrice, con uno strano sorriso in faccia, che la direttrice avrebbe definito: angelico.

-Monica!- esclamò, sorpresa.

-Oh, ciao Lily!- la salutò questa calorosamente.

-Come mai qui così presto?-

-Potrei chiederti la stessa cosa.- le fece notare la giovane, senza malizia.

-Io arrivo sempre presto al lavoro. Mi piace dare il buon esempio. Della serie: se il capo è bravo anche i dipendenti lo sono. Per il momento non ho ancora avuto problemi.-

-Ti capisco. È un’ottima cosa, dare l’esempio. Per tutto quello che facciamo dovremmo avere qualcuno da imitare. Anche se personalmente penso che l’unico da imitare sia Dio.- nel momento in cui pronunciò l’ultima frase il suo tono si era fatto improvvisamente più serio.

-Tu credi in Dio?- Lily fu colta di sorpresa.

-Sì, direi di sì. Ovviamente non posso avere la certezza che esista, ma credo di sì.-

-E’ una cosa importante. Essenziale oserei dire.-

-Mi sembri molto convinta di questo, sbaglio?- domandò Lily.

-No, hai ragione. Io credo in Dio con tutta me stessa e non mi ha mai deluso. Comprendo che ci sono momenti disperati, in cui sembra che nessuno ci ascolti, ma non è mai così.- rispose con un sorriso. Lily le sorrise a sua volta.

-Senti, è presto. Che ne dici di andare a berci un caffè?-

-Oh, io adoro il caffè.- rispose Monica, con un sorriso a trentadue denti.

 

Ore 13.00

 

-Andrew!- Will si catapultò tra le braccia del suo babysitter, mentre questo ricambiava il suo abbraccio.

-Allora campione, com’è andata la scuola?- gli chiese l’altro.

-Mmh, abbastanza bene!-

-Andavano bene i compiti di matematica.-

-Perfetti. Dovresti esserci tu al posto della prof.- Andrew rise.

Tornarono a casa e pranzarono. Ellie era in biblioteca e aveva mangiato prima di uscire. Né la televisione, né una passeggiata al parco esaudirono i loro bisogni. Andrew stava lavando i piatti in cucina, mentre Will se ne stava seduto sullo sgabello dove settimane prima Ellie aveva scambiato le prime parole con il tutor.

-Ehi, che hai? Sembri tua sorella con quel muso.- gli disse Andrew, notando che il bambino sembrava pensieroso.

-Non so cosa fare.-

-Non hai niente da ripassare?-

-Basta Andrew, sembri la mamma e Ellie.- sbuffò Will. L’altro rise.

-Non hai proprio voglia di fare niente?-

-Non lo so, mi piacerebbe fare qualcosa di divertente. Tu cosa hai voglia di fare?-

-Oh, io me ne starei comodamente seduto sul divano a leggere il giornale.-

-Non ti facevo così vecchio sai.- lo prese in giro il babino.

-Sei in cerca di guai?- lo minacciò Andrew.

-Allora?- Will sorrise mascalzone.

-Che ne dici: di un bel pupazzo di neve?- gli propose Andrew.

-Ottima idea.- sorrise felice il bambino.

Il cielo era azzurro e l’aria era piacevolmente fresca. Ovviamente pretendere serietà da un bambino di undici anni era troppo. Andrew non ebbe il tempo di abbassarsi che una palla di neve lo colpì sulla spalla. Will rise a crepapelle.

-Ascolta, lo vuoi fare questo pupazzo oppure no?- gli chiese retoricamente l’altro, sorridendo. Will smise di ridere prima di acconsentire.

-Okay okay, non te le tiro più.- ovviamente non era vero.

Incominciarono con il fare la base, Will scappò in casa per prendere due grossi bottoni neri che sarebbero serviti per fare gli occhi. Andrew andò a rimediare in uno sgabuzzino una scopa e un pezzo di legno per il naso. Will prese dal guardaroba del padre una sciarpa rossa ormai finita nel dimenticatorio e un cappello alla londinese. Nel mentre volavano palle di neve e schizzi dentro le giacche. Il lavoro di un’ora venne completato nel giro di due ore.

 

“Pupazzo di neve”

 

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Nel mentre un flash li colse di sorpresa.

-Al ladro! Al ladro! Stanno cercando di rubarci le nostre scoperte!- disse Will, caricando una palla di neve in direzione della sorella, munita si macchina fotografica e sorriso.

-Forza agente Will, non possiamo lasciarla scappare!- lo incitò divertito Andrew.

Ellie sgusciò fuori dal giardino indenne, infilando la macchina nello zaino e prendendo le chiavi per aprire l’auto.

-Non questa volta agente Will. Andrew guarda che vado un attimo a scuola a prendere un paio di cose.- disse lei.

-Va bene.-

 

Ore 13.30

 

Monica e Lily se ne stavano comodamente sedute in una tavola calda, mentre aspettavano finisse la loro pausa pranzo.

-Avanti Monica, parlami un po’ di te.-

-Cosa vuoi sapere esattamente?- domandò la segretaria.

-Non so, quello che vuoi. Hai famiglia?-

-Oh, sì beh.. la mia famiglia è grande. Tutti sono la mia famiglia.- disse in tono saggio.

-Sai, al giorno d’oggi non ci sono più persone che hanno un senso così ampio di famiglia. Ed ammetto che nemmeno io faccio eccezione, però mi fa piacere che tu la pensi così. Aiutare il prossimo è importante. Ad ogni modo mi riferivo alla tua famiglia. Sei sposata?-

-Oh, no. Io non sono sposata. Anche se tante volte ho immaginato come dovrebbe essere voler bene ad una singola persona con tutta la propria anima e tanti bambini che ti saltellano attorno.- rispose con un sorriso.

-Certo le fortune sono molte, ma ci sono anche i problemi.- fece con fare serio Lily.

-Che intedi?- domandò Monica, lei ovviamente non poteva sapere a cosa si riferisse.

-I bambini e i mariti sono una benedizione, ma non sempre tutto va come previsto. Le notti in bianco che si passa quando non stanno bene, quando si ammalano e nessuno sa che cosa abbiano, e lì tu speri che ci sia qualcuno che lo aiuti a superare la malattia; quando hai delle discussioni con loro e non sai se poi ci tornerai a parlare. Quando non ti vogliono ascoltare. Quando non tornano a casa in orario e ti preoccupi che possa essergli successo qualcosa. I problemi a scuola, sul lavoro, le domande a cui non hai risposta, al fatto che tu ti renda conto che non puoi dargli tutto quello di cui hanno bisogno.-

-Sì, ma Dio può.-

-Già, ma certe volte è anche difficile udire la Sua risposta.-

-Ricorda Lily che le strade del Signore sono infinite.- disse dolce Monica, prendendola per mano. Lily sorrire a tanta dolcezza.

-Dobbiamo essergli grati per tutto l’amore che possiamo provare e donare.-

-Hai lavorato ancora per agenzie del genere?- cambiò dicorso.

-A dire il vero no. Però ho due amici che hanno sempre dei buoni consigli da darmi.-

-Ah sì? Perché non me li fai conoscere? Chissà che non abbiamo qualche buon consiglio anche per me.- disse ironica Lily.

-Oh, ne avrebbero di sicuro. Ad ogni modo Andrew lo conosci, no?- disse Monica.

-Andrew? Il mio babysitter?-

-Certo. È una persona formidabile, garantito.-

-Vi conoscete da molto?-

-Da anni. Ricordo che la prima volta che lo vidi ne rimasi affascinata, vestito con quegli abiti chiari, la faccia seria ma gli occhi dolci. Sembrava un cucciolone. Ma sta attenta a non lasciarti ingannare, sa essere serissimo quando vuole.-

-Ne parli parecchio bene. Allora posso stare sicura.- concluse Lily.

-Affiderei ad Andrew la mia stessa vita.-

-Ti piace?- domandò a bruciapelo Lily, senza malizia o ironia nella voce, era seria.

-Oh, no! Non penserei mai ad Andrew in quel senso. È una persona formidabile, dolce e sensibile. Un vero amico. Penso che chiunque dovrebbe avere un amico così.-

-Capisco. Non fraintendermi, chiedevo soltanto. Non ci sarebbe stato di certo nulla di male. È un bell’uomo e se tu mi dici che è così tanto una brava persona, e anche tu lo sembri.. non vedevo perché no.. – spiegò docilmente Lily.

-Sì, tranquilla. Lo so che tu non sei una che dà giudizi giusto per fare qualcosa.- rise Monica. Il cellulare di Lily squillò.

-Scusami un attimo.-

-Fai pure.-

-Pronto?- nel mentre pronunciava quella domanda il suo viso cambiò espressione. Le sopracciglia si alzarono e il sorriso divenne una smorfia di terrore, gli occhi si spalancarono.

-Dove?- disse con voce tremante.

-Arrivo subito.- dichiarò fredda.

-Che è successo?- domandò Monica preoccupatissima.

-Monica vieni con me. Non so se sarò in condizioni di guidare.-

 

“Monica”

 

http://www.touched.com/episodeguide/seasonsix/616ConcernedMonica-04BIG.jpg

 

Ore 13. 35

 

‘Halo’ usciva dalle casse della radio, il piede premuto sull’accelleratore, le mani sul volante e il piede del freno in riposo. Era una delle canzoni che preferiva. Continuava a canticchiarla, guardando davanti a sé, la strada sgombra. Fortunatamente non le ci era voluto molto per trovare il libro, ma si sa, quando si incontrano dei vecchi amici non ci si può fermare a parlare, e si era fatto tardi. Aveva mandato un messaggio a Andrew per avvertirlo che non ci sarebbe stata per pranzo. Il sedile era bollente quando era salita in macchina, purtroppo il parcheggio non aveva posti all’ombra.

Procedeva tranquilla, mentre l’asfalto scivolava dolcemente sotto le ruote, fu un attimo. Fu come essere sugli autoscontri, quando qualcuno picchia violentemente contro di te. Ma questa volta non era il suono attutito delle gomme. Un rumore di metallo contro metallo, che faceva male ai timpani. Sentì qualcosa premere lievemente contro il braccio sinistro, la strada che strisciava via, mentre la macchina veniva sospinta verso destra, oltre la carreggiata. Grazie al cielo non c’erano macchine in giro a quell’ora. La testa che picchiava violentemente prima contro airbag del volante e poi contro la testiera del sedile. Quando tornò a vedere la strada di fronte sé era immobile, nessun rumore; solo la voce della cantate usciva ancora dall’autoradio come se nulla fosse, ignara di tutto. Alla sua sinistra c’era una macchina. Parte del muso davanti era contro la sua portiera, ecco perché si era sentita picchiare contro il braccio, parte di essa era piegata. L’altra macchina sembrava non essersi fatta nulla a parte il motore fumante, e l’autista svenuto sul volante. Con la mano destra estrasse il cellulare dalla tasca e chiamò l’ambulanza.

-Pronto qui è l’ambulanza.-

-Avrei bisogno di un’ambulanza.- disse con la voce spezzata, come se si fosse riempita di polvere.

-Come si chiama?-

-Mi chiamo Ellie Potter. Ho appena avuto un incidente. Non posso scendere dalla macchina e l’altro autista mi sembra svenuto. Per favore fate presto.- iniziarono a lacrimarle gli occhi a causa del forte spavento.

-Si calmi. Arriviamo subito. Mi dica dove si trova.-

-All’incrocio di St. Avenue.-

-Stiamo arrivando.- la chiamata terminò velocemente.

L’unica cosa che poteva fare era pregare che andasse tutto bene. Che arrivassero presto. Che non ci fosse nessuna fuga di benzina. Che anche l’altro autista stesse bene. L’unica cosa che non riusciva a spiegarsi era: perché?

Vide le luci dell’ambulanza e della polizia dallo specchietto retrovisore, avvicinarsi. C’era anche la macchina grigia di sua madre. Trasse un sospiro di sollievo. Forse quel giorno non sarebbe morta. paramedici e agenti di polizia analizzarono la situazione, alla ricerca di un modo per poter tirar fuori entrambi i feriti. Il guidatore ubriaco fu il primo ad essere estratto dall’auto. Dopo aver appurato che non c’erano perdite di benzina, un agente mise in moto la macchina, così che in retromarcia potesse liberare la portiera della ragazza. Nel frattempo un paramedico si era fatto strada dall’altra portiera e si era avvicinato alla ragazza, assicurandole che andava tutto bene e che presto sarebbe stata fuori. Ellie ne era certa. Sua madre la guardava dal parabrezza, lo sguardo preoccupato e umido, le mani davanti alla bocca, nervosa e in ansia. Dopo un’ora e mezza fu fuori. Il volante le aveva bloccato le gambe e lo sportello le aveva causato solo una forte botta al braccio sinistro; sulla fronte un piccolo taglietto; tutto sommato non si era fatta niente. Era un miracolo. O almeno questo è quello che pensò Lily.

-Oh, Ellie!- la donna abbracciò stretta la figlia, mentre la sua assistente, di fianco a lei, le accarezzava i capelli e con lo sguardo vagò tra i paramedici, finchè non trovò chi stava cercando. Una donna di colore, dai capelli neri e grigi raccolti sulla nuca, sui sessanta, dall’espressione seria e rigida. Tess. Le due donne si guardarono in un’occhiata di intesa. Era stato davvero un miracolo. Ma le cose non si mettevano bene in ogni caso. Monica annuì di fronte all’espressione triste e impotente di Tess.

-Monica, grazie di avermi accompagnata.-

-Figurati Lily, è stato un piacere.- rispose l’altra con un sorriso.

-Ti farebbe niente guardare tu oggi l’ufficio, vorrei andare a casa con mia figlia.-

-Certamente. Stai tranquilla.-

Lily, che teneva ancora stretta la figlia per le braccia, condusse Ellie alla macchina, l’aiutò a sedersi, sebbene non ce ne fosse bisogno, e andarono a casa.

 

Ore 18.15

 

James era appena tornato dal lavoro e Will gli corse incontro; avevano tutti visto il notiziario.

-Ellie, tutto okay?- domandò il padre.

-Sto bene papà. È stato più lo spavento che tutto il resto.- rispose fioca Ellie.

-Tesoro sei sicura di sentirti bene? Hai un’espressione…. – disse la madre.

-Sto bene, davvero. Sono solo stanca: la giornata, lo spavento, l’attesa.. e poi ho un gran mal di testa.-

-Stai bene Ellie?- domandò Will, abbracciandola stretta. Ellie sorrise, era la migliore amica di suo fratello e lo sapeva.

-Certo che sto bene campione.- poi si rivolse ai genitori –Vi fa niente se per stasera non mangio? Ho sonno.- domandò.

-Ma certo, vai pure su a riposarti.- Will lasciò Ellie, che se ne andò di sopra, si mise il pigiama e andò sotto le coperte.

Eppure non prese sonno. Passarono le ore, sentiva i movimenti di quelli di sotto, i discorsi; ma lei non riusciva a dormire.

Verso le nove e mezza vide qualcuno passare davanti alla sua porta: Andrew con in braccio suo fratello addormentato. Si accorse solo allora che lui era l’unico che non aveva ancora visto. Lui si voltò a guardarla.

-Tutto bene?- era una domanda, eppure per un attimo lei non seppe a cosa di preciso lui si riferisse, se nell’insieme o all’incidente.

-Sì, tutto bene.- rispose lei.

-Allora buona notte. Se hai bisogno di me, sai dove trovarsi.- le sorrise lui, dolce.

Ellie annuì. Rimanendo a guardare il posto dove se ne era appena andato.

 

“Andrew e Will”

 

http://www.photos.onthisside.net/jabbgallery/tbaa/tildeathandrewassign5.jpg

 

Ore 10.00

 

Era la terza volta quella settimana che andava lì, saliva le scale, prendeva l’ascensore e poi si fermava di fronte a quel corridoio, senza mai però percorrerlo. L’ultima volta era stato molto tempo fa, per un controllo preventivo.

-Ehi bellezza, ti sei persa?- le domandò una donna di colore, con un sorriso smagliante.

Tess si era avvicinata alla ragazza e le aveva messo una mano sulla spalla, aveva una faccia spaurita, quasi stesse vivendo un incubo.

-No, è il piano giusto.- rispose a mezza voce Ellie.

-Sicura? A meno che tu non sei venuta a trovare qualcuno malato di cuore penso proprio che tu abbia sbagliato reparto.- disse l’altra.

-A dire il vero sono io che devo fare una visita al cuore.- ammise, guardando il corridoio come se fosse una sfida. Tess lo sapeva, ma non poteva fare a meno di dispiacersi.

-Beh, allora penso che non ti rimanga altro da fare che percorrere questo corridoio ed entrare nell’ultima porta a sinistra.- disse Tess.

Eppure sembrava proprio che Ellie non volesse andarci.

-Sa, forse è meglio che ci torni un’altra volta.- cercò di tornare sui suoi passi, per l’ennesima volta.

-Ascoltami piccola, non negherò che è ben tre volte che ti vedo venir qui con una faccia cadaverica, spaventata e demoralizzata alla sola idea di entrare in quella stanza. Ma se non l’affronti adesso non l’affronterai mai.-

-Lo so. È che non ce la faccio.- disse, con voce spezzata, guardando il pavimento.

-Vuoi che ti accompagni?- Ellie guardò l’infermiera, e annuì.

Percorsero insieme il corridoio e stette con lei finchè non bussò alla porta. Quando una voce all’interno le disse di entrare Tess la lasciò.

-Adesso tocca a te.-

Trasse un profondo respiro ed entrò.

Era una grossa stanza bianca e grigia, con odore di medicinali e disinfettante. Il dottore non la degnò nemmeno di uno sguardo inizialmente, finchè non alzò gli occhi sopra i suoi enormi occhiali alla Einstein.

-Cosa posso fare per lei?- domandò, con voce professionale.

-Vorrei fare una visita.- disse Ellie.

-Che genere di visita?-

-Un controllo.. del mio cuore.-

-Lei vuole sapere se il suo cuore funziona regolarmente, eh? Ha parlato prima con il suo medico di base?-

-Non ne ho uno.-

-Ha manifestato sintomi per cui ritiene che il suo cuore non debba funzionare?-

-Sono già stata qui tempo fa a fare un controllo e adesso… sento la necessità di doverne fare un altro.- disse tutto d’un fiato.

Il dottore la guardò attentamente, valutandone la situazione.

-Molto bene, si accomodi.-

Passò un’ora e mezza, se non di più. I risultati vennero dati subito, non c’era motivo di perdersi in chiacchiere la situazione era chiara. E Ellie non dovette faticare per capire che aveva ragione, ormai da tempo. L’espressione del dottore era tutt’altro che serena o menefreghista. La guardava con pietà, come si guarda un cane bastonato che non chiede altro ‘perché il mio padrone mi ha picchiato?’. Ellie ingoiò un blocco di saliva.

-Allora?- sapeva che se non avesse chiesto lui probabilmente avrebbe speso ancora  tempo a cercare le parole giuste.

-Signorina. La sua situazione è questa… - si fermò. Ellie non ce la faceva più dalla rabbia e la frustrazione, le lacrime agli occhi, ma nessuna che andasse oltre la sua barriera.

-Dottore. Che. Cos’ho?- scandì bene le parole, ritmicamente, lo sguardo duro.

-Signorina, lei ha un’insufficienza cardiaca.- disse rassegnato.

-Che cosa vuol dire?- il suo cuore non funziona bene. Dalle sue carte ho notato che in passato lei è stata qui per uno scompenso cardiaco dico bene?- Ellie annuì –Voglio essere sincero con lei. Alcune volte capita che da certe malattie, specialmente in parti delicate come il cuore e il cervello, non guariscano del tutto. Dopo la malattia lei sarà stata sicuramente bene e in forma, ma questa potrebbe aver alterato il funzionamento del cuore e, a lungo andare, questo ha causato nel suo caso uno scompenso.- tacque, Ellie si sentì come avesse appena fatto una doccia gelata –Mi dispiace.-

-Non c’è una cura?- domandò, le ultime speranze vacillanti.

Lui la guardò fisso e questo bastò per darle la risposta che stava cercando.

-Quando mi rimane?- domandò.

-Stando a questi esami, non più di qualche mese. Ma per esserne sicuri dovremmo fare altre analisi più appronfondite.-

-No, grazie così. Tanto, sapere il giorno non fa la differenza. Mi basta sapere.. che non supererò quest’anno. Arrivederci dottore.- il medico non ebbe nemmeno la forza di ricambiare il saluto, mentre lei gli voltava le spalle e usciva.

Tanta fatica per percorrere quel corridoio e adesso non riusciva nemmeno più a uscirne. Fuori dallo studio si era seduta sulla sedia bianca di fronte alla porta, vicino agli altri posti vuoti, nessuno in attesa. Tess apparve dal nulla, e andò a sedersi in parte a lei.

-Com’è andata?- le domandò, nessuna nota di divertimento o felicità nella sua voce.

-Sto morendo.- rispose pacata la ragazza. Non riusciva ad interiorizzare la cosa. Sapeva che doveva disperarsi, piangere, urlare, sfogarsi; ma non ci riusciva. Era come se ci fosse un blocco che impediva alla notiza di arrivare al cervello e comunicare la tragedia a tutto. Solo il suo cuore si sentiva irrimediabilmente diviso a metà.

-Oh, piccola.. non sai quanto mi dispiace sentirtelo dire.. –

-Non arriverò forse neanche a Luglio.. – disse più a sé stessa che all’infermiera.

Alzò gli occhi sulla donna.

-Ho paura.- lacrime le rigarono il viso.

-Oh.. piccola.. piccola.. – Tess l’abbracciò stretta, lasciando che si sfogasse.

-Lo so che hai paura. Ma credimi se ti dico che questa non è la fine.- sorrise con fare amorevole. Ellie la guardò senza capire.

-Che vuoi dire?-

-Tu credi in Dio, vero?- le chiese Tess, come se sapesse da sempre che lei ci credeva.

-Sì.-

-E allora non devi aver paura, Lui ti aiuterà.-

-Ma come farò a dirlo ai miei genitori, a.. mio fratello. Se dovesse saperlo.. li distruggerei tutti.-

-Purtroppo, non siamo noi a decidere bambina.-

-Non è giusto. Se solo sapessi che loro non soffriranno, che.. c’è veramente un’altra parte.-

-Oh, ma c’è! Certo che c’è!- fece Tess, leggermente indignata che la ragazza si domandasse se effettivamente il Paradiso esistesse.

-Come fai a saperlo?- la donna le sorrise, come mai nessuno le aveva sorriso.

-Fidati di me. Lo so.- Ellie a sentirglielo dire in quel modo si ritrovò confusa, quella donna era strana, eppure sapeva esserle molto di conforto.

-E se.. non ci dovessi andare?-

-E perché non dovessi andarci?-

-Magari non ne sono all’altezza. Mi sono comportata male o non ho fatto quello che Lui avrebbe voluto.-

-Abbi fede, Lui può tutto, solo Lui può aiutarti adesso.- Ellie sospirò.

-Sai, penso che aspetterò a dirlo alla famiglia. Non voglio ritrovarmi sguardi da funerale prima ancora che sia morta. Grazie Tess.- si alzò.

-Di niente piccola.- sussurrò la donna, guardandola tristemente mentre si allontanava dall’ospedale.

Il sole splendeva sereno nel cielo azzurro, la primavera si stava avvicinando; ‘E anche la mia fine.’ Pensò Ellie.

 

Erano tutti a casa di Andrew. Tess era appena entrata dalla porta con Monica al seguito che le aveva aperto; ansiosa.

-Allora Tess? Come sta?- Andrew non si voltò nemmeno a guardarla, seduto sul divano, pensieroso, ma con le orecchie ben attente.

-Non bene. Quel medico da strapazzo le ha dato pochi mesi.- rispose Tess, incavolata nera come se fosse colpa del medico.

-E lei come l’ha presa?- domandò Andrew.

-Abbastanza bene. Ovviamente era preoccupata per la sua famiglia. La sua Fede è sul filo di un rasoio, esattamente come la sua speranza e la sua vita. Dobbiamo starle vicino ora più che mai. Per non contare che ha deciso di non dire niente ai suoi per ora.-

-Conoscendola il suo per ora è un mai.- senteziò Andrew.

-Oh, Tess! Non c’è qualcosa che possiamo fare?-

-Ad esempio cosa miss Aureola? L’unica cosa che possiamo fare è cercare di non farle perdere la speranza. Purtroppo questo compito si sta rivelando più duro del previsto.- e rimasero lì così, tutti e tre. Uno sul divano, l’altra sul bracciolo e la più giovane in piedi con la schiana appoggiata allo schienale del divano su cui era seduto l’uomo. Tutti e tre provati dal loro incarico.

 

  
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