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Autore: Reaper_Hel    15/08/2012    0 recensioni
La storia è ambientata tra i nativi americani, dove il Grande Spirito, Wakan Tanka o Manitù, chiamatelo come volete, ha fatto il dono alla tribù dei tsunka-kokipapi (se vi intendete di nativo-americani saprete anche che questi NON erano una tribù, ma era il nome di un indiano: Uomo Teme i suoi Cavalli, letteralmente) della boh, per fare figo, chiamiamola "transustanziazione" in centauri.
Tutto comincia alle pendici degli Appalachi, ma finirà molto, molto lontano da lì. L'avvento della Compagnia delle Indie è l'inizio di una nuova era, dove forse non c'è spazio...
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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«Cercate di star calme, signore! Calme! Ogni cosa verrà a suo tempo, e così questa. Ho speso molto tempo per mettere assieme una festa che fosse adeguata a ciò a cui eravate abituate. Siete meravigliose debuttanti, ma chi di voi sarà la prediletta? Chi di voi sarà scelta, questa notte, per accompagnare il pregevole delfino dello Statolder?»
L’uomo in livrea fece una lunga pausa teatrale, scrutando con un sorriso beffardo in quel tripudio di fianchi angolosi, scollature procaci ed enormi gonne vaporose. Taffetà e crinoline come se piovesse, in quell’intrigante gorgo di plissettature sconvenienti.
Un risolino eccitato ruppe quell’attimo di grande attesa.
«Alcune di voi già lo conoscono, il delfino. E sicuramente le litografie non si sprecano qui a Nuova Amsterdam, dove abbiamo il piacere di vivere una delle serate più incantevoli della nostra permanenza. La Compagnia Olandese delle Indie Occidentali non ringrazierà mai abbastanza lo Statolder, Cornelis de Vries, per questa possibilità incantevole. Ed ora, mie care, siate liete! La musica ha inizio e ben presto conoscerete il de Vries che vi sta facendo girare la testa»
Un nuovo risolino e tutto fu pronto per il grande ballo.
Non era nuovo a quel genere di faccende, ma Phineas Elmore trovava l’evento semplicemente insopportabile. Non fosse stato per quello che c’era in gioco, il delfino che a lungo si era dileggiato in discorsi di sperpero e disprezzo non avrebbe meritato il tempo che si stava portando via.
Sorseggiando un bicchiere di spumante italiano confiscato a chissà quale risma di contrabbandieri, l’uomo dava le spalle al salone che si stava riempiendo di coppie e dame solitarie. La musica si librò intessendo nell’aria complesse ragnatele di suoni ed echi, i quali si smarrivano nella lucentezza dei lampadari a gocce di cristallo.
«Nuova Amsterdam risplende, stanotte. Non pensi?»
Una voce parlò alle sue spalle, rivolta a qualcun altro.
La Nova Belgica era un agglomerato di territori rubati a tutto ciò che era giusto e sacro. Un moto di sano disprezzo danzò sulle labbra del navigatore, il quale si passò una mano tra i capelli impomatati. Una rete di cicatrici gli segnava il viso, rendendolo spregevole a molte delle benpensanti che si riunivano in quel genere di posti.
Non era il benvenuto: era semplicemente uno degli uomini più ricchi che la Compagnia delle Indie avesse mai arruolato tra le sue fila. Possedeva molte navi, molte delle quali non erano incrociatori europei ma tecnologia autoctona, requisita o conquistata nelle zone dei Caraibi, rubata a pirati senza Dio.
«Ah! Elmore, il diavolo ti porti!»
Un giovane timbro vocale indirizzò un commento inconfutabilmente rivolto a lui. Tra il tintinnare dei calici e la melodia ricercata, Phineas si sentì battere vigorosamente su una spalla. Un così spiccato distacco dalle buone maniere vigenti in simili occasioni poteva solo essere frutto della mente perversa ed estrosa di Jan Corneliszoon de Vries, il delfino per cui la serata era stata indetta. La sua condotta l’aveva spesso tratto in situazioni sconvenienti, e si diceva che molte donne di Nuova Amsterdam – non necessariamente rispettabili - portassero in grembo il frutto del suo seme. Così il padre, Cornelis, aveva deciso di porre una volta per tutte fine a quella sua vita di incalcolabili scelleratezze. C’era niente di meglio che ammogliarlo ad una frigida nobildonna?
«Quanto tempo è passato dall’ultima volta a Terranova? Vecchia canaglia, non ti smentisci mai. Dove c’è maretta tu ti ci ficchi! Eccoti qua, infatti. Come te la passi, vecchio amico mio?»
Phineas scrutò attentamente il delfino dello Statolder. Un bell’uomo in un vestito plissettato, le scarpe lucide ed il sorriso brillante. Se normalmente Jan era uno sciupa femmine a suo agio col mondo, quel giorno sudava. Sulla sua fronte incipriata si addensavano goccioline che assimilavano la polvere cosmetica prima di piovere giù. E in quell’amichevole gesto non era riscontrabile nessun rapporto che i due avessero vissuto in precedenza.
«Jan, che piacere» disse Phineas senza nessun tipo d’entusiasmo «Tutte queste donne ti mettono forse a disagio? O forse si tratta del fatto che ne hai già conosciute metà?»
Il delfino non rise subito. Scrutò l’uomo che aveva davanti finché un sorriso non si aprì sul viso martoriato dalle cicatrici, e cogliendo lo scherzo solo in quel momento si lasciò andare ad un nervoso scroscio di sorrisi.
«La solita canaglia! La metà, oh! Mi fai più abile di quello che sono, buon vecchio amico mio» esclamò servendosi «Magari una decina, ma con garbo. Voglio dire: le ho baciate, prima!»
Phineas sapeva che questo era il massimo dello spirito umoristico che il delfino riusciva a contemplare: battute sessiste e spoglie, prive di ogni tipo di verve. Tirò le labbra a mo’ di espressione divertita.
«Mio padre si sta mettendo in un bel guaio, ad impilare tutto questo sangue blu in un’unica stanza. Sento che saranno guai, se nell’euforia generale salterà fuori qualcosa di… Poco edificante sul mio conto»
«Non è un problema che devi porti, caro Jan» disse Phineas senza scomporsi «Questa è una festa in tuo onore. Sarai osannato e ricoperto di gloria. Non della sudicia realtà, per quanto sia essa vicina.»
«Ma quello che mi preoccupa è il dover sposare una di queste vuote ballerine. Non ho nemmeno venticinque anni, e già mio padre vuole zavorrarmi l’esistenza. Sono tutte uguali. Non mi permetterebbero di mollare gli ormeggi. Non potrei portarmele appresso, perché sverrebbero solo a toccare il cibo di cambusa. Non vedrei più l’Europa, se mi ammogliassi con una di queste svenevoli sgualdrine!»
Nonostante il tono fosse cautamente basso, Phineas ebbe un sussulto per quell’esecrabile carognata.
«Ma ce n’è una diversa. Una che ha tutte le carte in regola. Però non è qui, e dovrebbe. Con lei, son certo, non abbandonerei mai i miei sogni. Mi seguirebbe in capo al mondo. Ed io, son certo che sarebbe perfetta. Ma è presto per parlare. Tua sorella, dov’è tua sorella? Doveva esser già qui, e non la vedo. Desidero farlo, ho bisogno di guardarla!»
«Mia sorella!» sussultò Phineas, incrinando il vetro del bicchiere senza rendersi conto.
«Lei, Elmore. Dov’è Beatrice? Lei mi rischiarerebbe questa cupa serata, da cui non vedo uscita.»
Phineas dovette trattenere la sua irruenza come non era più abituato a fare. Le lunghe settimane trascorse in mare, dove le leggi dell’uomo erano fiacche ed inconsistenti, l’avevano reso una belva feroce. I combattimenti con i pirati del Borneo l’avevano completamente trasformato, ed ora bastava un damerino a farlo scattare come un ghepardo. Picchiando forte il pugno contro al tavolo, lasciò che ancora una volta il disprezzo gli incendiasse lo sguardo.
«Beatrice farà tardi» disse quindi, dopo essersi calmato a stento.
«Ah, peccato! Peccato! Georgette! Sublime visione, permettetemi di essere il vostro umile servo per qualche momento. Che cosa vi porto?»
Una risatina e passi che s’allontanavano. La festa era appena cominciata e già Phineas voleva divincolarsi da quell’insopportabile cappio che era il suo colletto.
Desiderò inoltre che Beatrice mancasse l’ultima carrozza.
Nonostante non si vedessero da otto mesi, nonostante avesse fatto recapitare le cavalle al suo domicilio per recuperare le due rimanenti, l’idea che Jan Corneliszoon de Vries potesse chiederla in sposa gli dava il voltastomaco.
Quando i suoi pensieri furono abbastanza densi da assomigliare al fumo, una voce lo richiamò alla realtà.

«Eccoci qua, fanciulla! Eccoci qua»
«èccocee quà!»
«Eccocee! Come sei buffa!»
«Grazie»
«No, no, ah! Non dire grazie, no! Quando ti dicono che sei buffa, non ringraziare! E’ molto indelicato.»
«In-indee…Lycato.»
«Precisamente! Poco bello! Ah, mia cara, siamo arrivate. L’abbiamo fatto aspettare così tanto che sarà infuriato, ma non importa»
La ragazza dalla parlata fluente spiccava tra la folla come se una luce intensa la tenesse al suo centro. Sprigionando armonia come gli angeli irradiano splendore, ella non era solita rispettare canoni estetici o basarsi sulla convenzionale moda in vigore.
Amava gli animali. Li venerava, e desiderava imitarli.
Quel giorno, Beatrice era un pavone. I capelli rossi, adorni delle piume dell’animale, ricadevano in ampi vezzi e cuffiette slacciate, apparentemente dimenticate nel tripudio di boccoli. Nel suo sguardo c’era il mattino e nei suoi movimenti si dibatteva un cigno. Con aria sognante la ragazza poggiava lo sguardo sulle donne e si capiva da come le sue labbra si storcevano appena che le apprezzava, profondamente, restando incantata dai lustrini e dalle loro adorne parrucche.
A braccetto stringeva una donna dall’incarnato mulatto e lo sguardo allucinato. Vestita come una dama di compagnia, ella continuava ad inciampare in stivaletti di una misura forse più piccola, ed il suo petto esplodeva in un corpetto di buon gusto, ma misura errata. Il suo naso, prominente, scendeva sul viso come la gobba della luna. Nella complessità di elementi che dominavano la sua espressione, la curiosità impaurita spiccava, rendendola sparuto leoncino. O forse, sparuta cavalla.
Ma cavalla non era. Non ora.
Phineas corse loro incontro, affrontando sin dal primo istante la questione mentre il sangue gli si gelava nelle vene. Così tuonò, ammonendo con gravità la sorella Beatrice. «Che ci fa lei qui! Chi ti ha dato il permesso di vestirla in questo modo
La rossa portò le mani ai fianchi e poi spiccò un poco formale balzello per saltare la collo del consanguineo. Un sorriso dipinse un’alba formidabile in quei lineamenti che abbagliavano, e Phineas temette con rinnovato vigore le malie del delfino.
«Fratello! Mio bel fratello, mi siete mancato da spezzare il fiato, non c’è stato giorno in cui non rivolgessi una preghiera per la vostra flotta. Lasciate perdere Pioggia sulla Faccia, lasciate che viva un po’ di esperienze nuove. Mi ha promesso che mi farà vedere il suo villaggio, e così saremo bell’e pari.»
Phineas non poté che lasciarsi scappare un breve gemito. «Il suo villaggio? Non penso…»
Beatrice lo fissò, incuriosita. Nella sua beata ignoranza, anche Pioggia sulla Faccia rivolse un’occhiata incuriosita a Phineas.
«Non penso che… Sia il posto giusto per te.»
Come dirlo? Come spiegare a Pioggia sulla Faccia che il suo villaggio non c’era più, che nessuno era sopravvissuto a parte quelle otto donne ed un piccolo assortimento di uomini? Come spiegare ad una nativa americana travestita da damigella – così buffa! – che la sua stirpe era stata spezzata per sempre?
Lui aveva fatto quello che poteva. E quella, certamente, non era la sede giusta per discuterne.
«Siete il solito prammatico. E’ una parola molto importante, sapete, fratello. Significa che non badate mai ai principi teorici ma all’applicazione dei fatti.»
«E’ forse errato?»
«No, ma è deprimente. E voi non siete deprimente. Siete il fratello che mi porta a casa le stelle marine, le conchiglie esotiche. Siete il fratello che mi ha donato quello splendido barbagianni! Mi becca sempre»
«Non è un animale da compagnia, e dovrebbe stare in un’uccelliera» mormorò Phineas, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
«Pioggia sulla Faccia dice che l’uccelliera è una prigione. Io sono d’accordo con lei, non possiamo tenerlo in gabbia. Io, in gabbia, non vorrei viverci affatto. Vero Pioggia?»
«Grazie»
Beatrice scoppiò a ridere. «E’ un caso disperato! Ma è dolce che mi commuove sempre, quando la vedo guardare dalla finestra con quegli occhi densi.»
Phineas non si scompose. «Oggi stai bene?»
«Benissimo. Il medico dice che sono i salassi. Ma io non ci credo molto, Fratello. Penso che beva il mio sangue di nascosto»
Phineas rise forte. «Che sciocchezza è questa!»
«Nessuno può volere così intensamente come il dottor Hamilton che qualcun altro si levi tutto quel sangue. Mi gira la testa anche adesso. O forse è il vino?»
«Non ne hai ancora bevuto»
Breve pausa. «Ah, è molto vero. Pioggia sulla Faccia, dobbiamo ri-»
Fu interrotta dall’incedere irruento sulla scena di Jan de Vries, il quale accalappiò la mano di Beatrice Elmore come si afferrano le cose di poco valore.
«Beatrice! Mi concedete l’onore di questo ballo?»
La ragazza fissò Phineas, la rabbia del quale svaporò in un sospiro. «Ti tengo d’occhio, Jan»
«Sarò un signore» mormorò il delfino gonfiando il petto.
«Perché? Adesso siete forse una signora?» domandò Beatrice, lasciandosi portare.
Jan restò perplesso, e poi un sorriso mandrillo gli dipinse il volto.
«Simili constatazioni si fanno solo dopo un’accurata ispezione»
«Canaglia spregevole!» ringhiò Phineas, ma s’erano già allontanati. Pioggia sulla Faccia si stringeva nelle spalle, fissando l’unico appiglio in quella balorda realtà che s’allontanava lasciandola sola.

Il carosello di gonne variopinte che volteggiava nella sala ipnotizzò la mente elementare di Pioggia sulla Faccia. Nei suoi occhi una meraviglia artificiale si addensava piena di domande che non poteva esprimere nella lingua corrente. Un culminare di sensazioni, tra cui un mal di piedi da manuale, la fece infine rabbrividire, e cercare l’uscita con l’occhi.
Phineas notò questo suo disagio, e le si avvicinò offrendole un bicchiere.
«Mi dispiace che tu sia stata vittima dell’estro di Beatrice. Ti direi d’andare a casa, ma non sapresti come fare. Mi capisci quando parlo?»
«Grazie.»
«Ah!» esclamò Phineas trattenendo a stento un sorriso. La donna-centauro rise di rimando, senza nessun motivo preciso. Era bella, ma non come Beatrice. Il suo aspetto era selvaggio ed i vestiti stonavano con la natura libera che sprigionavano i suoi lineamenti, ma nessuno poteva indugiare su quel viso considerandolo meno di splendido. Senza pensarci due volte, Elmore tese la mano in direzione di Pioggia sulla Faccia.
«Mi concede l’onore di questo ballo?» dichiarò Phineas, esibendo un piccolo inchino.
«Phineas Elmore!»
A quel punto davvero Phineas non poté trattenere un moto d’entusiasmo che spazzava via ogni turbamento, e determinato più che mai a seguire Beatrice, decise di afferrare il braccio di Pioggia sulla Faccia e tirarla a sé, aiutandola a sistemare la postura. Una mano sulla schiena per far sì che la mantenesse dritta, l’altra ben tesa in avanti, stendendo anche il braccio di lei. Con sguardo eloquente, la invitò a seguirlo.

Dal canto suo, la nativa americana non aveva mai ballato niente del genere. Il contatto era troppo, per i suoi gusti, ed immediatamente cercò di divincolarsi. Ma Phineas la trattenne.
«No! Calma. Ballare. Facile. Piano piano»
E così, ebbe inizio la piccola esibizione.
Nessuno era ovviamente interessato a loro se non per interesse morboso nei confronti di un sangue blu che danza con una schiava. Dal loro piccolo angolo di pista, passo dopo passo, sveltirono l’efficienza dei movimenti.
Nei piccoli attimi che precedevano un inciampo, Phineas la sorreggeva ed incoraggiava con un sorriso. Con aria assorta, Pioggia sulla Faccia cercò di imparare.
«Non era mia intenzione strapparvi alla vostra terra. Ho fatto quello che ritenevo giusto per la Compagnia delle Indie. Ma non posso dire di essere fiero di quello che è successo. Mio padre»
Era evidente che Pioggia sulla Faccia non riuscisse a capire. Ma che importanza aveva?
«Cerco sempre di scusarmi facendo scudo col suo corpo. E’ anche colpa mia, ma mi farò perdonare. Ti porterò nella Foresta Amazzonica. Non saranno gli Appalachi… »
«Appalachi?» mormorò lei, che in quei suoi monosillabi assomigliava sempre più ad una bambina.
«Sì, sì. Gli Appalachi. La Terra degli Irochesi. Ah, non è più vostra. Ma manterremo viva la tradizione, il buon Dio mi è testimone. Lotterò per quello che ho commesso»
Anche la musica tacque, allora, in testimonianza di queste ultime parole. Un sudario di pietose menzogne e futuro tradimento.
Quando essa riprese, riprese anche la danza. E Pioggia sulla Faccia parlò:
«Appalachi. Io.»
Musica.
«Presto» mentì, conducendola con gentilezza e maestria verso un angolo meno affollato.
«Presto» rispose lei, saltellando per evitare un ingombrante strascico.

Phineas si rabbuiò. «Grazie per aver passato del tempo con Beatrice. Non sai la lingua, ma avrai capito che è una ragazza un peculiare»
«Ha fegato da vendere. Ma la testa? Quella a volte si spegne come una candela, e lei raggiunge i suoi posti personali dove nessuno può arrivare a prenderla. Nessuno, neanche io. Allora chiamiamo il dottore, e speriamo che si sistemi tutto. A volte funziona»
«Ma perde il contatto con la realtà. Regredisce fino all’innocenza! E’ possibile? Lo è. Le accade. E io ho paura che un giorno vada in uno di quei posti»
I suoi occhi si fecero opachi. Pioggia sulla Faccia studiò attentamente questo evento.
«E non torni più»
Allora la nativa americana sollevò un braccio e deterse la lacrima di Elmore. Materna, lo accudì in un volteggio prima di marcare un sorriso sulle labbra d’ocra. Poi disse:
«Beatrice, meravigliosa! Wakan Tanka chiama meravigliosa, e lei andare. Ma torna»
«Sempre torna»
Phineas sospirò piano, lanciando uno sguardo alla sorella, oltre la folla. «Mia bella squaw… Chi ha rapito chi? Credo di averlo appena dimenticato!»
--------------------- Il fatto che il valzer sia nato tipo 200 anni dopo è un dettaglio. Ehm.
   
 
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