Grazie a chi ha avuto il coraggio e
la pazienza di betare questi capitoli: ElleSinclaire.
The (he)art of the streap.
UNO.
Mi
guardava come se fossi un alieno, di quelli verdi con tre occhi e
settordici mani, come potevo parlare e confidare i miei più
intimi
segreti a questo tizio che continuava a fissarmi in questo modo?
-E
quindi perché ha scelto questo lavoro se ha una laurea?-
Fissò la
sua cartellina -In cosa ha detto di averla poi?
-Economia
e gestione delle imprese- Gli risposi poco convinta; avevo come
l'impressione che mi stesse giudicando e la cosa non mi piaceva per
niente. -Tra quanto scade il tempo?
-Ancora
dieci minuti. Vuole andare via prima?- Negai, in fondo quelle sedute
le pagavo profumatamente; non volevo buttare del tempo prezioso solo
perché quell'idiota pensava che avessi preso una laurea
inutilmente
e avessi un lavoro altrettanto inutile. -Vuole continuare signorina?
-Sì
sì certo- Odiavo i suoi occhiali tondi, sembrava Maurizio
Costanzo.
-Il punto è che mi piace il mio lavoro, davvero, ma credo mi
abbia
rovinato la vita e abbia deluso tutte le mie aspettative sull'amore.
Voglio dire, guardo tutte queste coppie che vogliono sposarsi e
stanno per farlo e mi chiedo-
-Tempo
scaduto.
-Ma
non ho finito.
-Me
lo dirà la prossima volta- Cercai di contenermi per non
picchiarlo
mentre mi alzavo dal lettino dove mi distendevo ogni qualvolta
parlavo con lui, e gli lasciai la modica cifra di 350 euro e me ne
andai.
Una
volta a settimana era sempre la stessa storia: da via Paolo Ferrari
dovevo arrivare in Piazza Euclide, quello che mi scocciava di
più
non era camminare a piedi, prendere la metro, arrivare a Piazzale
Flaminio, aspettare il trenino, prenderlo per dieci minuti e arrivare
finalmente a destinazione. Quel maledetto studio era in uno dei
quartieri che più odiavo, il famoso e prestigiosissimo
quartiere
Prati ed io ovviamente mi ero andata a trovare l'analista proprio in
quella zona. In realtà erano state quelle due pazze di
colleghe che
mi ritrovavo a consigliarmi quel tizio, ma aver accettato era solo
colpa mia.
Erano
appena le undici del mattino ed io ero già stanca e
stressata:
quell'uomo panzone, invece di calmarmi e sciogliere l'enorme matassa
che avevo al posto del cervello, peggiorava le cose. Lui
rappresentava la borsa e io le cuffiette dell' I-pod.
Realizzai
il concetto appena pensato fermandomi di botto in mezzo al
marciapiede; una signora mi venne addosso, imprecando e urlandomi di
stare più attenta, ma non l'ascoltai. Il mio unico pensiero
era di
essermi paragonata a un paio di cuffie: ero impazzita, non c'era
dubbio.
Mi
accorsi di essere arrivata e sospirai sollevata; per quanto il mio
lavoro mi stesse facendo impazzire e per quanto credessi mi stesse
rovinando la vita, in quel luogo mi sentivo a casa, mi sentivo
protetta. Accelerai quindi il passo, per non rischiare di perdere
l'ascensore che mi portasse fino al sesto piano e riuscii a entrare
senza rischiare di rimanere schiacciata e che il sangue
schizz…
-Buongiorno.
Eccolo.
Il mio stalker.
-A
te- Cercai di essere abbastanza cortese e allo stesso tempo
distaccata da fargli capire di lasciarmi in pace e non torturarmi
ogni mattina o nella pausa pranzo e ancora nel pomeriggio.
-Tutto
bene?
-Sì
grazie- Non riuscivo a capire il perché lui si trovasse
nell'ascensore ogni volta che entrassi io -Tu?
Mi
annuì, sorridendo -Benissimo. Hai da fare più
tardi? Intendo
durante la pausa pranzo
Dovetti
sbattere più volte le palpebre per non fulminarlo con lo
sguardo.
-In realtà sì, devo recuperare il lavoro di
questa
mattina.
-Capisco.
Non
esistevano ascensori più lenti di quello di quell'edificio.
-Mi
dispiace.
-Sarà
per un'altra volta.
Perché
gli uomini non capivano le frasi ironiche, quelle sarcastiche e
quelle di circostanza?
Per
fortuna le porte si aprirono al quinto piano e lui uscì
sorridente e
salutandomi con la mano. Sembrava un bambino tonto davanti alla sua
prima cotta alle elementari. Mi poggiai a una delle pareti,
colpendomi la fronte con una mano. Perché
tutte a me?
Il
mio ufficio, o meglio l'ufficio dove lavoravo, altro non era che un
enorme appartamento con quattro stanze. Una sala d'aspetto, una
stanza enorme con tavoli e manichini dove normalmente lavoravamo
tutte insieme, una stanza più piccola che ospitava 'l'angolo
personale' del nostro capo e il bagno.
Le
nostre scrivanie erano nella stanza più grande, dove regnava
il caos
più totale e dove, per fortuna, non dovevamo ricevere i
clienti, o
avremmo chiuso i battenti ancora prima di aprire.
-Alla
buon ora.
Era
il suo modo di salutarmi ogni venerdì mattina; non era un
rimprovero, solo un modo per ricordarmi che secondo lei stavo
sbagliando ad andare alle sedute del dottor Rossi e che lavorare per
lei era lo scopo della mia vita. -Le altre ti stanno
aspettando
Carla
Solari era una donna molto particolare, sia fisicamente sia di
carattere: taglio di capelli molto corto, occhiali da vista stile
anni '60, laccetto al collo e abiti stravaganti ma di classe allo
stesso tempo.
-Come
è andata?
-Perché
glielo chiedi, non lo noti dalla sua faccia? E' sconvolta.
Lanciai
la borsa sulla mia scrivania per abbandonarmi sulla sedia girevole di
tessuto blu. Non risposi a nessuna di quelle due pazze, che non
smettevano di parlottare sulla mia vita, ma sbuffai disperata.
-Tutto
bene gioia?
-Giù,
sei proprio testarda.
-E
tu sei una rompipalle. Guarda com'è ridotta, è
normale
chiederglielo.
Ero
sicura che il mio cervello sarebbe scoppiato da un momento all'altro
sentendole litigare, quindi mi decisi a parlare. -Sto bene, grazie
per avermelo chiesto Giulia- Mi sorrise felice -E tu, sei proprio
un'ingrata, sappi che ti ho appena messo sulla lista nera.
Si
finse indignata. -Oh che tragedia, dimmi che mi inviterai ugualmente
al tuo matrimonio con Henry-
-Certo
che no. Adesso chiamo il palazzo per dire di ritirare il tuo
invito.
Scoppiammo
a ridere evitando così i discorsi seri.
Giulia
e Mina erano le mie due uniche colleghe: le incontrai e conobbi il
primo giorno di lavoro e fu amore a prima vista. L'una totalmente
diversa dall'altra, forse fu proprio per questo motivo che andammo
subito d'accordo e instaurammo un solido legame d'amicizia.
Giulia
era l'unica nata a Roma delle tre, ma non aveva nulla del carattere
del tipico romano. Era molto timida, dolce e sensibile. Mina invece
era il suo opposto: nata a Milano, aveva vissuto nel suo paese natale
fino alla maggiore età per poi trasferirsi nella
città eterna per
seguire il suo vero amore, l'alcol. Voleva infatti aprire un bar
nella capitale, ma il suo sogno fu stroncato dal suo ex ragazzo, che
la lasciò per... un altro ragazzo. Spesso mi chiedevo cosa
l'avesse
spinta a lavorare in un'agenzia matrimoniale, ma chiederglielo era
troppo pericoloso.
-Abbiamo
dei clienti.
-Io
sono occupata, ho il matrimonio della Levi- Mina rispose senza
neanche voltarsi, continuando a sfogliare i cataloghi in cerca di un
qualcosa.
-Idem-
Carla guardò Giulia perplessa. -Non che mi stia occupando
dello
stesso matrimonio, ma sono impegnata.
Mi
alzai dalla mia amata sedia girevole di tessuto blu e raggiunsi il
mio capo, prima di uscire mimai un vaffanculo alle mie care amiche e
chiusi, gentilmente, la porta.
Nell'ufficio
di Carla c'erano sedute due figure alquanto bizzarre, ovviamente
erano due donne, talmente bionde da fare invidia al sole; ebbi il
timore di rimanere cieca di fronte a cotanto bagliore.
-Emily,
ti presento la signora Castelli.- Le strinsi la mano -Questa
è sua
figlia e ha bisogno del nostro aiuto per il suo
matrimonio.
-Chiamami
Virginia.
Ma
io non la volevo chiamare in nessun modo, avrei voluto rifiutare
l'incarico, ma sembravano ricchi e ciò significava
guadagnare il
doppio del solito.
-Avevate
in mente già qualcosa?- Chiesi ignorando gli urletti
isterici di
tale Virginia rivolti alla madre.
-Sinceramente
no. Mi hanno consigliato di venire qui perché siete le
migliori.
-Avete
fatto benissimo- Carla si intromise –E avete avuto la fortuna
di
avere Emily.
Odiavo
quando mi elogiava in quel modo solo per ottenere la fiducia dei
clienti.
Le
due strane scope bionde, intanto, mi guardavano adoranti e super
sorridenti; temevo per una paralisi facciale.
-Vado
a prendere qualche catalogo.- Mi dileguai in fretta con la scusa dei
dépliant, anche se avevo già in mente il
matrimonio adatto a quel
genere di ragazza: un’enorme Chiesa addobbata con fiori e
fiocchi
bianchi e color pesca, con qualche petalo di rosa rossa sparsi sul
pavimento, e veli lungo gli archi e le navate. Insomma, una cosa
molto pomposa.
Sfogliarono
i cataloghi scegliendo una Chiesa né troppo grande, ma
neanche
troppo piccola; quella che doveva essere maestosa era la sala per il
ricevimento; volevano un parco, meglio ancora se fosse stata una
villa antica.
-Hai
presente il matrimonio di Edward e Bella?
-Chi
scusa?- Avevo sentito quello di William e Kate e dei reali di Spagna,
ma non avevo idea di chi fossero questi due.
-Edward
e Bella. Il vampiro e l'umana.- Sbarrai gli occhi e trattenni
l'impulso di darle un pugno in pieno viso quando prese il suo I-phone
di ultima generazione per farmi vedere il video. -Ecco vorrei che il
parco fosse allestito così.
Non
sapevo se ridere, piangere o urlare. -Mi dispiace, ma temo sia
impossibile avere dei tronchi di albero come panchine, oltre a tutto
il resto.
-Avevo
immaginato.- Era abbastanza delusa.
-Però
potremmo fare qualcosa che gli si avvicini se proprio vuoi questo
genere.- Il sorriso che mi rivolse mi abbagliò, insieme ai
capelli
colpiti da un raggio di sole proprio in quel momento. Ero diventata
ufficialmente cieca.
Mina
e Giulia mi fissavano dalle loro scrivanie; lo sapevo perché
sentivo
i loro occhi puntati addosso e i loro bisbigli.
-D'accordo,
basta. Che volete?
-Chi,
cosa, dove?
-Come
e perché- Sembrava che Mina avesse il ciclo, era
così
acida.
-Tieni,
ingoia un po' di zucchero e smettila di mangiare yogurt al mattino.-
Giulia le rispose mentre si veniva a sedere sulla mia scrivania.
-Dunque, tesoro, cosa ti turba?
Scrollai
le spalle e tornai a guardare il computer: dovevo trovare una villa
disponibile per la data scelta dalla sposa e che rientrasse nei suoi
canoni.
-Ti
ricordo che so leggere nella mente.- Anche Mina era passata
all'attacco. Non mi avrebbero lasciata in pace fin quando non avessi
detto tutto.
-Quella
tizia vuole il matrimonio come quello di Edward e Bella.
-Figo.-
Giulia sembrava entusiasta.
-Li
conosci?
-Certo
che li conosciamo. Em, ma dove vivi? Quei libri e quei film hanno
infettato la mente delle ragazze di tutto il mondo.- Mina
addentò il
suo panino. -Una sera di queste potremmo fare la Twilight maratona,
così prendi appunti per il matrimonio.
-Uh
sì. Che ne dite di giovedì?- Giulia era
così entusiasta da farmi
paura.
-Quanti
film sono?
Per
poco non urlai nel sentire la loro risposta ma accettai, ero disposta
a tutto pur di una serata tranquilla tra amiche.
La
maratona era andata abbastanza bene: ero rimasta sconvolta nel vedere
Edward brillare, mi ero addormentata durante la visione del secondo
dvd, avevo preso in giro i capelli e i dialoghi finali del terzo e
avevo urlato di voler spaccare anche io il letto in quel modo
nell'ultimo. C'erano stati dei lati positivi in quella serata: avevo
mangiato tantissime schifezze insieme alle mie più care
amiche e
avevo le idee più chiare per il matrimonio Castelli.
-Ciao,
sei arrivata finalmente.
Avevo
detto a Virginia che avevamo bisogno di incontrarci per decidere le
ultime cose e poter prenotare e lei aveva deciso di vederci in un bar
al centro dove un caffè costava quasi quanto un kebab dal
tizio
sotto casa mia.
-Sì,
scusa il ritardo ma c'era traffico.
I
suoi sorrisi mi irritavano.
-Sai
Emily, c'è una cosa che non capisco. Di solito ci vuole un
anno
circa per organizzare un matrimonio, per prenotare la Chiesa e il
resto... com'è possibile che io mi sposi tra quasi due mesi?
Sorrisi
rassicurandola -Perché essendo un'agenzia matrimoniale
abbiamo la
precedenza.
-Capisco.
-Stai
tranquilla, riusciremo a fare tutto in tempo.
La
parte che preferivo di più nell'organizzare i matrimoni era
la
scelta dell'abito. Quel giorno la sposa era se stessa, nessuna
maschera, nessuna paura, ma solo la gioia di provare quegli abiti
maestosi e la consapevolezza di diventare donna.
Virginia
scelse l'abito più principesco che quel negozio potesse
avere,
pretese un lunghissimo velo, guanti e altri mille accessori per me
inutili.
Avevamo
organizzato e prenotato tutto, ero riuscita anche a trovare un
falegname che intagliasse in delle tavole di legno il menù
per il
pranzo, da mettere poi su ogni tavolo.
Gli
sposi si sarebbero seduti più in alto rispetto agli ospiti,
su delle
sedie di legno e totalmente immersi nella natura. Con il fioraio
avevamo infatti trovato il modo di far sembrare il tavolo degli sposi
una mini ricostruzione del matrimonio del vampiro, proprio come aveva
desiderato Virginia.
-Tu
sei un mito.
-Ti
ringrazio, ma è solo il mio lavoro.
-Non
posso crederci che domani mi sposerò.
Non
potevo crederci neanche io, ero davvero felice di concludere quel
matrimonio così estenuante. Aveva assorbito tutte le mie
forze e la
mia energia vitale, non che ne avessi già molta.
-Ho
avuto un'idea grandiosa.- Era tornata la Virginia di sempre, quella
che avevo visto il primo giorno nell'ufficio di Carla. -Devi
assolutamente venire questa sera.
-Venire
dove, scusa.
-Ti
sto invitando al mio addio al nubilato di questa sera per
ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me in questi mesi.
-È
appunto per questo che esistono i soldi.
-No
no no. Non accetto nessun no.- Quella ragazza mi metteva davvero
paura. -Ci vediamo alle 22 al 'Ladies Night'.
-Al
cosa?
-Ragazza,
a volte mi sembra che tu viva in un altro pianeta. Viale dei Parioli
200, ore 22. Sii puntuale, e metti qualcosa di normale. Non
così
seria ma qualcosa di più...
-Normale.-
Conclusi al posto suo con tono ironico che sembrò non notare.
Mi
salutò ancora una volta e salì sulla sua auto;
avevo due ore di
tempo per prepararmi e andare alla festa di addio al nubilato.
Il
motivo per cui mi spostavo con i mezzi era perché la mia
auto non
era molto affidabile: era una vecchia FIAT Panda bianca, acquistata
di seconda mano non appena avevo compiuto la maggiore età
con i
soldi guadagnati dai vari lavori estivi. Quella sera però,
non
potevo permettermi di perdere tutto quel tempo nel cambiare trenini e
prendere la metro e soprattutto di camminare a piedi, sola e vestita
in quel modo. Mi feci coraggio e pregai la mia auto di fare la brava
bimba.
Parcheggiai
proprio di fronte al locale e mi diressi, dubbiosa, verso quei due
enormi uomini vestiti di nero accanto all'ingresso.
-Emh,
buonasera.- Non mi risposero. -Io, sarei stata invitata ad un addio
al nubilato...
-Senti
novellina, non ci importa. Se vuoi entrare prego... altrimenti risali
sul tuo catorcio e vattene.
Indignata,
li superai e aprii la porta nera.
Per
poco non inciampai nella tenda di velluto rosso, la scostai e...
scale, davanti a me c'erano delle scale che scendevano per un bel po'
e sui muri dei quadri con foto di uomini mezzi nudi.
Che
squallore.
Scesi
le scale di corsa, stando attenta a non cadere, e mi bloccai non
appena entrai nel locale vero e proprio. Mi guardai intorno: una
decina di tavoli riempivano quell'enorme sala, insieme al bancone e a
un palco.
-Emily!
Virginia
era ovviamente seduta al tavolo più vicino al palco e si
sbracciava
per farsi notare.
-Scusa
il ritardo.
-Non
ti preoccupare. Loro sono le mie cugine e lei la conosci già
Salutai
tutto il resto della combriccola e mi sedetti un po' in disparte; non
volevo assistere troppo da vicino allo spettacolo. Il momento
più
imbarazzante della serata arrivò quando, Sonia, la migliore
amica di
Virginia e sua testimone, tirò fuori dalla borsa dei
cerchietti
bizzarri che fummo costrette a indossare, cerchietti con dei mini
peni, adatti per gli addii al nubilato. La sposa ne indossò
uno con
mezzo velo, per farsi distinguere da noi altre.
Che
imbarazzo.
-Signore:
IT'S GETTING HOT, HERE. E' arrivato il momento più atteso
della
serata...
Le
urla delle donne di tutta la sala mi fecero sobbalzare e non riuscii
neanche più a sentire quello che aveva da dire il tizio al
microfono. Le luci si abbassarono e ne apparirono due di diverso
colore sul palco.
Il
fumo mi fece tossire e quelle maledette urla mi stavano facendo
venire il mal di testa.
Comparirono
due ragazzi, vestiti in divisa della marina militare, con tanto di
cappello ed io cercai di guardarli, ma le ragazze davanti a me erano
in piedi e non si vedeva nulla.
-Signore,
dovete sedervi per favore. E' contro il regolamento.
-Ci
scusi è l'addio al nubilato della mia amica e siamo
euforiche...
Il
resto del dialogo non riuscii a sentirlo, ma Sonia rideva con
quell'armadio e, alla fine, i due si strinsero la mano.
A
quei due ragazzi se ne aggiunse un terzo: anche lui indossava una
divisa della marina militare ma diversa rispetto alle altre.
-Loro
sono 'i tre dell'Ave Maria'.- Disse a un certo punto Sonia
rivolgendosi a tutte. -Giovanni, Riccardo e...
-Geremia?-
Chiesi io, proponendo l'unico nome che facesse rima.
-No.
MAMMA MIA!- Urlò una delle amiche di Virginia.
Iniziarono
a spogliarsi e ripresero le urla.
Non
era un brutto spettacolo, anzi, si muovevano abbastanza bene e
avevano un corpo da lasciare senza fiato, ma quel posto non era per
me.
-Ragazze
mi dispiace ma mi sento poco bene, vado a casa adesso prima di
peggiorare.
-Oh
sì sì... grazie ciao-
Per
fortuna erano troppo impegnate a guardare i tre caballeros sul palco
per prestarmi troppa attenzione.
-EHI
TU.- Continuai a camminare. -Biondina, dico a te.- Mi bloccai prima
di salire le scale che mi dividevano dall'uscita del locale e mi
voltai verso quella voce. Geremia, o come si chiamava realmente, mi
stava indicando. -Non lasci il locale mentre mi esibisco-
Incrociai
le braccia sotto il seno. -Si dia il caso che lo spettacolo non mi
abbia soddisfatta, ergo me ne vado.
Scese
dal palco per venirmi incontro, me lo ritrovai di fronte a petto nudo
e mezzo sudato. Deglutii per restare calma e non mostrarmi
nervosa.
-Non
ti ha soddisfatta?- Ripeté al microfono ed io negai con il
capo; lui
fece una strana smorfia con le labbra. -Bene. Vediamo se questo ti
soddisfa.
*****
Me
si nasconde dietro qualsiasi cosa perché si vergogna.
SALVE!
Sì,
ho un problema molto grave, non riesco a mantenere alcune promesse;
avevo detto, da qualche parte, che mi sarei presa una bella vacanza
da EFP e invece eccomi qua a “pubblicare” (non
trovo mai un verbo
adatto) questa COSA. La verità è che ero troppo
curiosa di sapere i
vostri pareri e volevo farvi conoscere i protagonisti (che amo e
adoro come la pasta col pomodoro) e quindi niente, eccola qua...
ZANZANZAN.
Prima di passare ai ringraziamenti, vorrei dire qualche
cosuccia:
se siete arrivati fino a qui, avete letto questo
capitolo e spero voi abbiate letto la trama nell'introduzione; ecco,
vorrei precisare che NON ho preso spunto da NESSUN libro né
film.
Molto tempo fa, quando sul mio gruppo facebook avevo accennato alla
bozza della trama, mi avevano fatto notare una somiglianza con il
film “Prima o poi mi sposo” con J. Lopez e un altro
(di cui non
so il titolo) con J. Aniston; bene, la mia storia è frutto
della mia
malsana e malata immaginazione, e non ha nulla a che vedere con il
primo film. Non so di che parla il secondo, non l'ho mai visto e non
ho intenzione di farlo perché Jennifer Aniston mi sta sulle
palle.
Prima che qualcuno mi accusi di aver “rubato” la
trama di un
film, me ne lavo le mani e tanti saluti.
BENE.
Ringrazio la
bellerrima Elle per l'immagine che avete visto su e per aver avuto la
pazienza e il coraggio di leggere questo capitolo in anteprima e
togliere gli o/errori. La ringrazio anche il bullismo/terrorismo
psicologico con cui mi ha obbligato a scrivere, MUAHAHAHA, ti lovvo
Ellina bellina.
Se siete arrivate fino a qui siete davvero
coraggiose; ringraziate, come me, Roberta, per avermi
“convinta”
a pubblicare questo primo capitolo.
Ho finalmente finito.
Alla
prossima.