Questa è un'opera di pura fantasia,
il riferimento a fatti, persone od associazioni realmente esistenti, è
puramente casuale.
PROLOGO.
Galerians. Un semplice parola,
formata solamente da nove lettere, eppure, nella sua brevità, nasconde tanti
segreti. Tante cose incoffessabili, che non si conoscono nemmeno nei recessi
dell'anima più profonda. Galerians, una parola che incute terrore anche
all'uomo più coraggioso. La parola che la legge vieta di dire, tale è la sua
pericolosità. Alcuni la conoscono, altri non sanno della sua esistenza...ma, in
fondo, è molto meglio così.
Quella sembrava una notte come
un'altra, semplice e fresca, come ogni oscura sera di primavera. Inue si era
attardato molto, a causa del suo lavoro, e l'idea di attraversare tutti quegli
isolati per raggiungere la metropolitana, non lo rassicurava affatto. Odiava
Michelangelo City, come odiava tutti coloro che vi abitavano. Lui era del sud,
proveniva da una calda e luminosa cittadina, dove conosceva tutti quanti, dove
non c'era bisogno di avere paura. Era stato costretto a trasferirsi a causa del
suo nuovo impiego che lo occupava, delle volte, notte e giorno.
La fermata 127 si trovava a sette
isolati da lui, ed erano già le 23.00. Camminava a testa bassa, evitando di
lanciare sguardi a chi si trovava vicino a lui. C'erano per lo più bande di
teppisti, spacciatori, ragazze che battevano in strada. Il quartiere di Custlee
era malfamato, come molte zone in periferia. Vide alcuni stranieri che
parlottavano tra di loro, giocando con un coltello; corse ancora più forte. Scacciò
i brutti pensieri, cercando di ricordare le parole di una canzone che gli
piaceva. Si isolò dal mondo che lo circondava, si sentì subito meglio, più
leggero.
Scese le scale della metropolitana
stringendo la valigetta. Non vide nessuno, il che gli pareva decisamente
strano. Aspettò che arrivasse il vagone seduto su una poltroncina, vicino alle
rotaie. Quel silenzio di tomba lo rendeva irrequieto, il suo cuore cominciò a
palpitare molto velocemente, come se fosse vicino al collasso. Non era mai buon
segno quando succedeva, significava che c'erano dei guai in vista. Anche il suo
sesto senso si era svegliato e, nel frattempo, una voce dentro di lui urlava
"Vattene Inue, non restare in questo posto!".
Si svegliò da quello stato di trance
quando udì, in lontananza, un fischio. La metropolitana stava arrivando. Si
alzò, pulendo con una mano i pantaloni raggrinziti. Si avvicinò alla porta,
respirando profondamente. Chiuse un attimo gli occhi ed entrò.
Non c'era nessuno all'interno,
nessuno a parte una ragazza. Indossava un lungo giaccone, blu come il cielo al
crepuscolo, che copriva in modo aggraziato le sue forme. Il suo viso era
inespressivo ma, al tempo stesso, molto bello e delicato. I suoi occhi di
ghiaccio scrutavano attentamente il pavimento, muovendosi lentamente e
dolcemente. I capelli neri le ricadevano distrattamente sulla fronte e le
accarezzavano le spalle. Se l'avesse incontrata in un'altra occasione,
l'avrebbe scambiata sicuramente per una modella. Sotto al cappotto primaverile
indossava un top nero e un paio di elegantissimi pantaloni, come quelli da
cerimonia.
Inue si era incantato a guardarla ma,
quando lei lo fissò con i suoi occhi gelidi, si voltò dall'altra parte, un po'
imbarazzato.
Quella ragazza non aveva fatto una
piega. Si era girata di nuovo e, in quel momento, guardava il muro che scorreva
dal finestrino. Abbassò un attimo la testa e frugò in una tasca, tirando fuori
una sigaretta. Si tirò indietro i capelli con una rapida mossa e l'accese. Sospirò
un attimo e poi guardò l'orologio, infine si volse di nuovo verso il ragazzo,
guardandolo.
Lui era stato colto un po' di
sorpresa. Ma, ad ogni modo, non voleva assolutamente sprecare un'occasione del
genere. Infondo, la serata non era finita così male come credeva. Si alzò e si
mise seduto vicino a lei, sorridendole.
"Senti, avresti una sigaretta
anche per me?" Chiese, in seguito. Stava cercando di instaurare una
conversazione. I suoi occhi ritornarono inespressivi.
Non lo guardò, non rispose. Fissò per
un secondo il vuoto poi, guardando le sue mani, fece cenno di sì con la testa. Con
infinita calma, tirò fuori un pacchetto di "Loucura" e gliene porse
una. In seguito, fece comparire come dal nulla un accendino completamente nero,
che dava l'idea di essere in netto contrasto con la luce gialla del piccolo
fuoco.
Passarono istanti infiniti, come se
il tempo si fosse fermato d'improvviso. Inue si sentiva avvampare ma allo
stesso tempo gelare, provava un senso di paura-attrazione per quella ragazza,
come se una forza misteriosa lo stesse attirando a lei. Si sentiva a disagio,
il collo della sua camicia sembrava stringersi sempre di più. Fumavano in
silenzio, come due lupi solitari, ognuno immerso nei proprio pensieri. Poi,
d'improvviso, lei si voltò con uno scatto. Il ragazzo, colto alla sprovvista,
sussultò.
"Lavori al CrV?" Chiese,
con voce bassa e fredda. Il suo tono era incolore, niente traspariva attraverso
le sue labbra.
"Eh?" Rispose lui,
decisamente spiazzato. Non si aspettava una reazione del genere. Era assorto
nel sentire le ruote che battevano nel freddo acciaio delle rotaie, provocando
un rumore sordo e rimbombante.
"Ti ho chiesto se lavori alla
CrV."
"S-si. Come mai me lo hai
chiesto?" Chiese, titubante.
"Dai tuoi occhi. Sono arrossati
e stanchi, segno che lavori molto stando davanti ad un computer."
"Caspita, che spirito
d'osservazione!" La lusingò.
Lei fece un sorrisetto di
circostanza, poi si voltò nel verso opposto, fissando la porta che univa i due
scompartimenti. Si alzò in piedi e fece schioccare il collo, girandolo prima a
destra e poi a sinistra.
"Sei un programmatore,
sbaglio?" Azzardò, mettendo le mani in tasca.
"Esatto. Inue Colin, dipendente
n° 36 della CrV." Fece un ampio sorriso, nella speranza di riuscire a
rompere quell'aria pesante che si era venuta a creare. "Beh, visto che ora
mi sono presentato, potresti dirmi qual è il tuo nome, non ti pare?"
La ragazza si voltò, lanciandogli uno
sguardo di ghiaccio. Come se niente fosse, cominciò a camminare su e giù per il
piccolo corridoio, con passi lenti e felpati. Lui fu un po' risentito della
mancata risposta, tanto che si girò e cominciò a fischiettare. D'un tratto, la
voce roca di lei inondò l'aria.
"Ci sono delle voci che parlano
di un nuovo virus, molto potente, che dovrebbe ditruggere definitivamente Nova.
E' una notizia molto interessante, non credi? Mi hanno detto che lo stanno
progettando alla CrV, che strana coincidenza...tu ne sai qualcosa?" Si
mise a sedere di fronte a Colin, sfoderando un sorriso che non lasciava
presagire niente di buono.
Il ragazzo sentì un brivido che gli
correva lungo tutta la schiena. Istintivamente, prese tra le braccia la sua
valigetta.
"Queste non sono cose che vado a
dire alla prima bella ragazza che incontro. Ho l'obbligo del segreto
professionale..." Rispose, un po' inviperito. Vide il suo volto
aggrottarsi in una smorfia, sembrava quasi arrabbiata.
"Potrei ucciderti per molto
meno, vedi di portarmi rispetto." Tuonò con voce che non ammetteva
repliche.
"Tu...chi sei?" Domandò,
spaventato. Vide il suo volto cambiare di nuovo, assumendo un'espressione
divertita.
"Già, chi sono? E' una bella
domanda...perchè non provi ad indovinare?" Si alzò e si avvicinò a lui,
dondolando.
"Non lo so, non mi interessa
nemmeno saperlo!"
Cercò di fuggire da un'altra parte,
provò ad aprire le porte ma erano chiuse, a chiave. Fu tentato di urlare
quando, dietro di lui, sentì un rumore metallico. Si voltò, lentamente, e si accorse
che quella ragazza gli stava puntando una pistola alla tempia. Rimase immobile,
sentendo il suo cuore battere all'impazzata dentro il suo petto. Se avesse
saputo che quella, probabilmente, sarebbe stata la sua tomba, avrebbe dato
ascolto al suo sesto senso.
"Tu sei un ragazzo molto
cattivo, non si fa male alla gente." Disse lei, con voce suadente e
cinica.
"Io...io non faccio male a
nessuno! Cerco soltanto di essere un onesto cittadino lavoratore." Replicò
lui, tremando.
"E' proprio questo il punto"
Si inginocchiò fino a quando non potè guardarlo dritto negli occhi. "E' il
tuo lavoro che reca disturbo, è il tuo lavoro che fa male a mia madre...nostra
madre...anche tua madre!" Si lasciò sfuggire una risata sadica.
"T-Ti prego, lasciami
andare!" Una lacrima gli solcava la guancia destra, lasciando dietro di sè
una scia salata e bagnata.
"Non se ne parla. Prima dammi il
virus poi vedrò cosa fare di te."
"Io non ho nessun virus!" Provò
a mentire.
"Non mi far arrabbiare!" Fece
leva con forza alla sua tempia. "Nel caso non lo sapessi, potrei cercarlo
anche nel tuo cadavere, a me non creerebbe alcun tipo di problema. Anzi, è
molto più facile e veloce." Urlò, facendo riecheggiare la sua voce
all'interno del vagone.
"N-No! Tienilo, prendilo, basta
che mi lasci andare!" Le porse un disco, con le mani tremanti.
Lei lo studiò per un po'. Le sua dita
lunghe ed affusolate lo stavano toccando, accarezzando. Lo portò vicino ad un
occhio e vi si specchiò, rimirando la sua figura. Il suo volto era teso ed
aveva un'espressione truce ed incredibilmente dura. Guardò un attimo davanti a
sè e vide che Inue non c'era. Era dall'altra parte, mentre cercava di
scassinare la serratura della porta. Lei sorrise poi, con la freddezza di un
killer, gli sparò ad una gamba. Lo vide urlare ed accasciarsi, mentre cercava
di arginare la quantità enorme di sangue che fuoriusciva, probabilmente, da una
grossa vena.
"Molto male, signor Colin."
Si avvicinò a lui, molto lentamente. "Mi avevano avvertita di questa
possibilità e sai che cosa mi hanno suggerito di fare?" Lo vide voltarsi
verso di lei, con gli occhi sbarrati. "Ucciderti"
Fu un colpo secco, preciso, in mezzo
alla fronte. Il sangue usciva a fiumi e aveva formato una grossa pozza sotto il
corpo inerte di Inue. Lei sorrise compiaciuta, mentre spostò il suo cadavere
con un calcio. Bussò energicamente tre volte. D'improvviso la metropolitana
cominciò a rallentare, fino a fermarsi del tutto. Un ragazzo alto, biondo,
venne ad aprirla. Fece per uscire quando, rivolgendosi all'uomo senza vita,
disse:
"E comunque mi chiamo Erian,
anche se adesso non te ne importa più nulla."
L'altro rise mentre, gentilmente, la
invitava a seguirlo. Salirono le scale nel più completo silenzio, cercando di
non farsi vedere. Udirono l'urlo di una donna in lontananza, non ci fecero
particolarmente caso. Arrivati in superficie, sospirarono.
"Siamo arrivati."
Erano proprio di fronte alla Mushroom
Tower.
CONTINUA...