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Autore: Emrys    24/08/2012    3 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce calò d’intensità, fino a dissolversi nel nulla, Ilaria sbatté le palpebre e allora fissò con timore crescente la propria mano destra. Lo aveva fatto lei? Come? E soprattutto cosa aveva appena fatto ? Non lo sapeva né lo capiva, tuttavia non ebbe il tempo materiale per rimuginarci troppo: il loro assalitore era ancora in piedi, nascosto dietro un paio d’ali grigio fumo. Quando poi Suriel dischiuse le ali, lei era riuscita a malapena a venire a patti con l’essere perseguitata da un angelo. Quest’ultimo ora era scarmigliato, ringhiante e con diverse ferite fresche lungo il corpo muscoloso. Ilaria non riusciva a muoversi dalla paura e allo scatto di lui fu colta di sorpresa dalle mosse inaspettate del gatto, che le saltò in grembo e con gli artigli in bella mostra si frappose fra lei e l’angelo. Suriel lo considerò appena, forse con una divertita perplessità, e dopo un momento lo allontanò con un calcio indispettito. “Scimmia, non riesci a muoverti ? Già finito il tuo coraggio?” Ilaria sentì gelare il sangue nelle vene, era a un palmo da lei e quando il riflesso di un pugnale tagliò l’aria per raggiungere la sua giugulare chiuse gli occhi con una sola certezza. Sarebbe morta e non avrebbe mai più visto le persone che amava. 

Trascorsero i secondi e il suono di un pallido applauso fu il primo inaspettato segno di vita che raggiunse le orecchie della ragazza. Ilaria si fece coraggio e aprì gli occhi, trovandosi a fissare un paio di jeans logori, una schiena snella sormontata da un paio di ali nere e dei corti capelli scuri. “Ed io che pensavo di dover salvare una fanciulla in pericolo, trovi sempre il modo per sorprendermi.” Si era voltato verso di lei e le aveva fatto l’occhiolino così, anche se per pochi secondi, la ragazza era riuscita a vederlo in faccia. La forma del suo viso le era rimasta in presso, anche se erano i suoi occhi color del mare in tempesta ad averla colpita di più. Aveva sognato il suo sguardo dalla notte dell’aggressione e in quel momento le era addirittura sembrato che riflettessero pagliuzze dorate. L’emozione era tale che riusciva soltanto a respirare: lui era l’angelo, il suo angelo. L’avvolse una sensazione di calore e per la prima volta dall’entrata in scena di Suriel non ebbe più paura. L’angelo era con lei, quindi sia lei che Maxwell sarebbero sopravvissuti, ne era certa.

“Ecco l’ospite d’onore. Non sei stanco di insozzarti con questi senza ali?” Sogghignava con atteggiamento tronfio e tra le sue mani il coltello si trasformò in una daga purpurea. Accorciò le distanze con un movimento sovrumano e tempestò Eric di affondi. Lui però non si lasciò sorprendere: scansò i colpi con la grazia di un ballerino, scartò con un movimento laterale e gli afferrò il polso, per poi storcerglielo dietro la schiena.
Solo al tintinnio della daga che cadeva a sul pavimento si permise un piccolo sorriso di compiacimento: “Non riesco a capacitarmi di come abbiano fatto a  scegliere un sadico del tuo stampo, Sihel pensa sul serio che tu sia in grado di sostituirmi ?” Suriel ringhiò e lui aumentò la pressione sul braccio. “O forse gli Anziani sono troppo concentrati nei loro giochi politici per starmi dietro?” Suriel ansimava, era una tigre in gabbia, tuttavia trovò la forza per contrastare la presa di Eric e non si fermò neanche al suono del proprio braccio che si spezzava. “Io sono sempre stato migliore di te ! Dopo che avrò preso la tua testa nessuno oserà più dubitarne!” Il suo volto era deformato dalla rabbia, ma Eric non si curò di rispondergli: la daga caduta a terra era rimasta tra loro e nel riflesso della sua lama scorse tre, quattro, cinque stiletti affilati che fluttuavano alle sue spalle. Nonostante i discorsi altisonanti Suriel non sarebbe mai cambiato. “Io non voglio il tuo sangue, puoi ancora tornare indietro.” Per tutta risposta l’angelo gli sorrise in modo sprezzante e fece partire gli stiletti, Eric riuscì ad evitarli con un semplice spostamento laterale ed era ancora di spalle quando sentì il rumore prodotto dalle lame mentre affondavano nel petto del loro padrone. Odiava spengere le vite dei suoi fratelli, anche se si trattava di sadici bastardi quanto Suriel. Ilaria era sgomenta, mentre si spostava verso Maxwell era appena riuscita a raccattare da terra il micio e adesso che lo teneva tra le braccia poteva sentire che muoveva la coda impercettibilmente. Per fortuna Maxwell sembrava essere ridotto meglio, per quanto dalla sua espressione allibita era chiaro che dubitasse di essere ancora sveglio. Per dargliene la prova, appena gli fu accanto, Ilaria gli dette un grosso pizzicotto su una natica. Davanti al sogghigno che ricevette in risposta si ripeté ancora una volta che sarebbe andato tutto bene.

“Posso aver accumulato meno esperienza della maggior parte di noi, in fondo a una spada non servono altro che bersagli, tuttavia io sto cambiando. Sono cambiato. Non riuscirete a fermarmi.” Eric era sprezzante, ma soprattutto arrabbiato: si era lasciato trasportare dai sentimenti, ancora una volta ! Quando si trattava di quella ragazza perdeva completamente il controllo ! Suriel si accasciò sul pavimento e fu investito da una gabbia di fulmini azzurri, poi scomparve come se non fosse mai esistito. “Diciamo che i pochi dubbi che potevo avere sono più che dissipati: amica mia, hai agganci davvero importanti con le alte sfere !” Il tono di Maxwell produsse in Ilaria una risata nervosa e lei gli dette una leggera pacca sulla spalla, sperando che la smettesse di blaterale. Nello stesso momento, Eric si volse verso di loro con un’espressione stanca e cominciò ad avvicinarsi con una lenta camminata.

§§§

Il corpo di Orsi fu percorso dall’ennesima ondata di sofferenza e quando provò a rimettersi in piedi, Sihel gli dette un poderoso calcio al ventre, facendogli fare un volo di quasi tre metri. “Sai, per quanto apprezzi quel vostro popolare sport, inizi a stancarmi.” Quella creatura gongolava e si stava godendo ogni istante, Orsi suppose stesse parlando del football e all’idea di essere paragonato a una palla sulla sua bocca si disegnò un sorriso. “Sei solo una scimmia senza peli, eppure hai neutralizzato il mio migliore persuasore e hai osato interferire anche con i piani di Simon. Come hai fatto ? Che trucco hai usato ?” Gli si era avvicinato e lo stringeva per il collo, spingendolo contro un muro del vicolo. “Preferisci forse continuare? Alla fine parlerai, non esiste altra possibilità: devi solo decidere quanto vuoi soffrire. Tutti parlano.” Da quel petulante pel di carota trasparivano freddezza e calcolo, in qualche modo Orsi era abbastanza certo che la sua esperienza in fatto di torture andasse ben oltre il piano teorico. Il pennuto che aveva abbrustolito nel salotto gli aveva parlato di tutti loro, classificando Sihel come lo stratega degli Anziani, ma il suo comportamento gli sembrava tutt’altro che stabile: reagiva come un bambino che non voleva ammettere di aver torto, ma aveva la forza per radere al suolo ben più di una città. Era una combinazione pericolosamente esplosiva. I colpi di tosse lo colsero all’improvviso, però Sihel ignorò le gocce di sangue che sputava e non smise di fissarlo. Aveva serrato ulteriormente la presa, forse era sul serio uno dei migliori cervelloni a disposizione dei pennuti, comunque a Orsi sembrava troppo fissato con la questione dell’aver o meno le ali e delle scimmie senza peli (razzista), orgoglioso e supponente. Lo sottovalutava, come l’altro che aveva cercato di ricattarlo nella sua stessa casa e lui era abituato a sfruttare questo modo di pensare.
Aveva smesso di attaccarlo ed era tanto concentrato nello studiare le sue reazioni che Orsi fu certo di potergli fare una sorpresa: radunò le sue ultime energie, ignorando i deliri di onnipotenza dell’altro e si strappo quel che restava della sua camicia preferita. Davanti al suo petto straziato, su cui aveva personalmente inciso l’ultimo sigillo cuneiforme, Sihel parve scosso da un brivido premonitore: lo lasciò subito andare  e spalancate le ali vermiglie fece per allontanarsi. Orsi cadde al suolo, producendo un tonfo atono, era sfinito e con un movimento disperato accostò il palmo insanguinato al petto. Il contatto agì come la chiave di accensione di un’automobile e nel tempo di un respiro furono entrambi inghiottiti da un arcano bagliore: il sangue dell’umano si accese, quasi avesse vita propria, collegandosi in tutto il vicolo con sottili filamenti vermigli. Una gabbia ottagonale apparve dal nulla e si chiuse intorno a loro con un inquietante rumore metallico. Sihel ringhiava, sbatteva le ali in modo frenetico e il suo volto d’adolescente era devastato dalla furia. “Non è possibile ! Sei solo umano, non dovresti essere in grado di creare una gabbia… Le indicazioni per tradurli nel modo corretto dovevano essersi perse nel tempo !” Orsi si sentì particolarmente orgoglioso: era sempre stato bravo con le lingue, però le considerazioni di quel cosiddetto anziano classificavano la sua abilità a un livello bizzarramente leggendario. “Non c’è niente che non possa essere scoperto di nuovo, basta un pizzico di passione e altrettanta testardaggine.” Dopo ci fu soltanto silenzio. Nella vicolo tornò la penombra naturale e le macchie di sangue secco rimasero le sole testimonianze sulla lotta appena svolta.

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 I volti di Ilaria e del suo amico erano colmi di meraviglia, rappresentavano un’immagine buffa, ma Eric fu estremamente felice per lei: trovare amici disposti ad affrontare qualcuno come Suriel non era cosa facile. Eric si chinò ad accarezzarle una guancia, era calda e il tocco umido delle sue lacrime gli rubò un ansito. “Mi dispiace averti spaventato, però adesso è tutto finito.” Si sforzava di mantenere un tono rassicurante e dopo uno sguardo alle loro condizioni posò la mano destra sul gatto e la sinistra sull’uomo. “Sei sorprendente.” Ilaria arrossì, abbassando lo sguardo, e un calore azzurro avvolse i corpi di Maxwell e del micio: le loro ferite si chiusero senza lasciare la più piccola cicatrice e il miagolio perplesso che accarezzò le orecchie della ragazza fu la testimonianza della buona salute del felino. “Porco cane! Questa si che è bella !” L’imprecazione di Maxwell le fece tirare un sospiro di sollievo. “Come hai...” Quando Eric le passò l’indice sulle labbra, in un gesto inaspettato quanto intimo, la timida domanda le morì sul nascere. Forse erano le troppe emozioni, o magari l’adrenalina, tuttavia a quel contatto Ilaria percepì il battito del proprio cuore accelerare come un treno. “Noi per natura siamo guaritori, può darsi che tu abbia incontrato qualcuno della mia razza nel periodo in cui hai conosciuto gli orrori delle vostre guerre.” Aveva allontanato la mano dal volto di lei e, prima che Maxwell gli rispondesse, si alzò in piedi. “Ti ringrazio per averla protetta, senza di te non sarei mai arrivato in tempo.” Max gli fece un impacciato saluto e un sorriso sghembo. “Dovere, amico.” Per Ilaria il cameratismo maschile restava uno dei misteri dell’universo: sembrava capace di superare ogni genere di barriera. “Prendete il primo treno e tornate a casa. Penserò io a tuo padre e cercherò anche di rimettere a posto la casa della tua infanzia.” “Io non…” “Al momento giusto risponderò a ogni domanda, ora vai. Ti prego.” Lei si morse il labbro inferiore, soffocando una replica tagliente, si chinò per afferrare il micio e quando alzò la testa, il suo angelo senza nome non c’era più.

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Ilaria si mosse come in sogno. Perfino il tanfo della stazione ora le sembrava un rilassante olezzo di gelsomino: già questo era un sintomo chiaro di quanto l’avesse colpita l’incontro con l’angelo. Max lo capiva, nonostante fosse lui stesso sotto shock, e la conduceva lungo i marciapiedi evitando che andasse a sbattere contro qualcosa. Il cellulare squillò all’improvviso, riportando Ilaria alla realtà, e riconoscendo la voce dall’altro capo temette di svenire. Maxwell le rivolse un’occhiata obliqua tuttavia, nel sentirla parlare, la sua espressione divenne improvvisamente dolce. “Papà?” Era incredula e sentì gli occhi farsi umidi. “Sono io, adesso sono sveglio e sto bene, non devi preoccuparti. Parti tranquilla e concentrati sullo studio. Scusami se negli ultimi tempi non ti sono stato molto vicino. Ti voglio bene, quando avrai bisogno ci sarò sempre.” Lei allontanò il cellulare nascondendo un gemito, lo salutò e, con il cuore infinitamente più leggero, raggiunse Maxwell in fondo alla carrozza del treno.

Frank attaccò e si mise in grembo il cellulare, per poi tornare a fissare il giovane che aspettava dall’altro lato della camera. Svegliandosi aveva riconosciuto l’odore asettico d’ospedale e le macchine cui era attaccato esplicavano con chiarezza quanto le sue condizioni fossero gravi. Nonostante ciò, si sentiva bene. Si mise a sedere con un piccolo sforzo, era confuso così fu Eric a rompere gli indugi. “Frank, vedo che ti ricordi di me. Eri molto giovane quando m’intrattenevo con Mary, mi dispiace per tua…” “Ho sempre pensato che fossi una sorta di lontano parente, un cugino di terzo o quarto grado. È passato oltre un decennio, però tu non sembri invecchiato di un giorno.” La meraviglia che leggeva nel suo sguardo gli provocò una certa tenerezza: quell’uomo aveva perso la compagna dopo pochi anni ed era appena uscito da un inferno in cui non si era neanche accorto di essersi infilato. “Non ho potuto aiutare Mary, ho fallito per la seconda volta, però non permetterò che a Ilaria accada qualcosa di male.” Per enfatizzare l’affermazione spalancò le ali nere e le sbatté per un paio di volte. “Niente è per me più importante di lei, la proteggerò.” Frank annuì senza riuscire a parlare e, nel tempo di un battito di ciglia, tornò ad essere il solo occupante della stanza. “Un angelo, la morfina non può essere tanto forte da provocarmi allucinazioni.” Si passò un panno sulla fronte e sorrise. “Era l’angelo che Ilaria insisteva di aver visto. La mia bambina.” Pianse, commosso, e all’arrivo dell’infermiera si trovò al centro del putiferio emotivo dei medici di turno: a quanto pareva, sul suo risveglio non avevano puntato in molti.
 

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L'estate è a fine e visto che ho un minimo di problemi internettiani, e per una volta sono riuscito a entrare, ho pensato che di lasciare un ricordino :-p Chissà se con l'autunno riappariranno anche i lettori dispersi ! Buona giornata a tutti ! (come al solito sono sempre ben accette e attese, critiche, domande risposte e quant'altro, solo così posso provare almeno un pelino a migliorarem bo ? bye bye

   
 
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