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Autore: xlairef    26/08/2012    3 recensioni
“Lascialo andare! Ha pagato a sufficienza!”
“Secondo i termini della nostra scommessa, la sua anima mi appartiene.” Replicò il dio della morte in tono cattedratico.
“Meg! Salvami!”
“Ti supplico… Farò qualunque cosa, qualsiasi cosa…” Sussurrò Meg, piangendo.
Ade alzò la mano, e l’avvoltoio si fermò.
“Qualunque? Specifica.” Chiese.
La ragazza trattenne il respiro, poi disse, con voce ferma: “Prendi me al suo posto.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                    When the world's crashing down                                      
                                                                                                                                    When I fall and hit the ground
 
 
Meg aprì gli occhi, e si ritrovò a Corinto, nella piazza del mercato, mentre sorgeva l’alba. Sbatté le palpebre, confusa. Per un istante, credette di aver sognato, che fosse stato tutto un  frutto della sua immaginazione, ma poi sentì, accanto a sé, il calore di un corpo.  Si girò: Hyperion era lì con lei, steso a terra, ad occhi chiusi, ma il suo petto si alzava e si abbassava ritmicamente. Era di nuovo vivo.
Senza poter più contenere la gioia, Meg lo abbracciò e baciò con passione. “Hyperion!”
Al suono della sua voce, lui si svegliò. “Meg!” La strinse contro di sé. “Mi hai salvato…”
“Non parlare.” Meg si rannicchiò contro di lui, felice nonostante tutto. Percepiva dentro al suo corpo una morsa di fuoco, il marchio di Ade, ma in quel momento non aveva importanza, perché Hyperion era vivo.
“Meg…” Hyperion la scostò dolcemente da sé. “Non saprò mai come ringraziarti.”
“Non preoccuparti.” Sussurrò Meg. “Mi basterà saperti vivo.”
Hyperion sembrò sul punto di dire qualcosa, ma all’ultimo si fermò. Guardò Meg negli occhi, e, senza poter dire altro, l’abbraccio nuovamente.
“Dei immortali! Hyperion è tornato!” Uno dei cittadini di Corinto, più mattiniero degli altri, fissò incredulo la coppia immobile al centro della piazza. “Accorrete, gente, è un miracolo!”
In meno di un attimo la piazza si colmò di uomini e donne acclamanti: ognuno di loro voleva vedere, toccare, parlare con Hyperion, l’eroe che aveva sconfitto la morte. Meg venne lasciata in disparte, come era normale che fosse, per le donne. Sentendo le ore scorrere dentro di sé, e decisa a non sprecarne nemmeno un minuto, incurante delle buone maniere Meg si incuneò tra la folla, raggiungendo Hyperion.
“Hyperion!” Lo chiamò. “Resta con me, oggi.” Non era una richiesta, bensì la supplica di un condannato a morte.
Lui però non udì la sua voce, e, portato in spalla dal resto della città, si allontanò verso la sua casa.
 
“Sei viva.” Una voce alle spalle della ragazza la fece voltare. “Sei riuscita a non farti ammazzare.” Euriclea avanzò lentamente verso di lei, accompagnata da Medamos. “Grazie.”
Senza rispondere Meg l’abbracciò forte.  Euriclea bofonchiò qualcosa, commossa. “Cerca di ricordare che le mie vecchie ossa non sono più quelle di una volta, mentre mi stritoli.”
“Anch’io sono contenta di rivederti.” Sorrise Meg, dimenticando per un momento il suo futuro.
Medamos la squadrò. “Ce l’hai fatta. Lo hai riportato dal mondo dei morti.”
“A quanto sembra.” Meg tornò a guardare la strada in cui era scomparso Hyperion assieme alla folla festante.
“Ma a che prezzo?” Medamos la fissò cupo: la ragazza sostenne il suo sguardo, seppur con fatica.
“Che cosa intendi dire?” Chiese Euriclea, senza capire.
Meg continuò a reggere lo sguardo color ghiaccio dell’altro. “Avrei dato qualsiasi cosa per farlo tornare.” Disse asciutta.
“Vedo. Credi ne sia valsa la pena, almeno?” Chiese irato Medamos. “Che Zeus sia dannato, ragazza, ti rendi conto di quello che hai fatto?”
“Ho salvato l’uomo che amo.”
Non si vive solo per amare gli altri!” Urlò Medamos, furioso. “Avresti dovuto pensare a te stessa!”
“Come hai sempre fatto tu?” Replicò Meg, sfidandolo con gli occhi. Medamos si bloccò.
Euriclea intervenne. “Meg, bambina mia, non sai quello che dici…” Sussurrò, conscia dell’ira repressa dell’uomo alla sua sinistra.
“So benissimo di che cosa sto parlando, Euriclea.” Meg scostò la vecchia, che le si era avvicinata come per farle da scudo. “E anche tu lo sai.”
Medamos le fissava entrambe. “Voi non sapete nulla. Nulla. Nessun umano può capire.”
“Ti sbagli. Questa è l’unica cosa che un umano è in grado di comprendere e gli dei no.” Meg incrociò le braccia, fieramente. “L’amore.”
“Taci.”
“Temi la verità, proprio tu?” La ragazza fissò beffarda l’uomo. “Rabbia, noia, piacere… Questi sentimenti li conoscete, li potete comprendere, sono ciò che muove le vostre esistenze, dopotutto. Ma l’amore? Non siete in grado di provarlo. Nessuno di voi può, altrimenti non sarebbe più uno di voi. Così fate pagare agli uomini la vostra mancanza, vi divertite ad aggrovigliare i nostri destini, ad interferire con le nostre vite, per vendicarvi.”
“Assurdità, dalla prima all’ultima parola.”
“Tuttavia, se per un caso incredibile, vi capita di provare qualcosa che non conoscete, una forza che non potete comprendere con le vostre brillanti menti… Allora vi rifiutate di accettarlo.”
“Non esiste nulla che la Ragione non possa comprendere.”
“Non è vero. L’amore esiste: ed è per questo che tu non potrai mai capire il motivo della mia scelta. Io non ho paura di amare.” Dichiarò Meg, e aggiunse, a bassa voce. “Tu  invece l’hai avuta.”
Per un istante, sembrò che Medamos volesse scattare in avanti per colpire la ragazza, ma, come ripensandoci, abbassò la mano e lo sguardo. “Non credo abbiamo più nulla da dirci.” Si voltò verso Euriclea. “E’ stato un piacere conoscerti, kyria.”
Euriclea, incapace di pronunciar parola, si limitò a fare un cenno con il capo. Proprio quando l’uomo stava per andarsene, Meg parlò. “Mentre ero laggiù, ho incontrato un uomo. Uno a cui piace ancora la retorica.”
 Medamos si fermò, senza girarsi.
Meg proseguì. “Abbiamo parlato assieme: conduce una vita tranquilla e serena. E ha trovato la felicità che cercava.”
Medamos riprese a camminare, con passo pesante.
“Ha un solo rimpianto: non poter rivedere quello che era il suo migliore amico. Eppure è certo che, un giorno, in qualche modo, riusciranno a incontrarsi di nuovo.”
“Ha detto questo?” Improvvisamente la voce di Medamos si era fatta più sottile, il timbro più alto.
“Sono state le sue esatte parole.”
Medamos guardò Meg. “Ti ringrazio.” Dopodiché, lentamente, mutò sembianze e si dissolse nell’aria.
Nonostante fosse impossibile, a Meg ed Euriclea sembrò di vedere delle lacrime negli occhi splendenti di Atena.
 
La dimora di Hyperion era stata presa d’assalto da centinaia di cittadini, i quali stavano intonando cori di lode agli dei per il suo ritorno tra i vivi. Per Meg fu un’impresa farsi largo tra la folla. “Scusate, vi prego, lasciatemi passare!” Disperata, decisa a non mollare, continuò a schiacciarsi tra le masse di persone incuranti di lei.
“Meg?” Una delle persone la riconobbe. “Sei proprio tu?” Meg fissò il volto della ragazza con aria assente, prima di riconoscerla. “Cleone?”
Cleone l’abbracciò, un’operazione faticosa quando si è immersi in una bolgia di uomini e donne esultanti. “Pensavano tutti che tu fossi scappata. Damocle ha riferito in consiglio che hai tentato di ucciderlo servendoti di magia nera.” Cleone scosse il capo. “Ovviamente il Consiglio ha finto di crederci, così adesso Damocle è l’erede legittimo di tutti i tuoi beni.”
“Spero venga colpito da una malattia venerea.” Meg strinse le braccia di Cleone. “Cleone, siamo state amiche per anni: ti prego, aiutami a raggiungere Hyperion.”
Cleone la osservò. “Tersicore direbbe che non vale la pena di aiutarti. Che ci hai abbandonate al primo soffio di Borea.”
“Tu cosa pensi?”
L’amica le sorrise. “Seguimi.”
 
Hyperion era seduto su uno sgabello imbottito, impegnato a ridere e a bere con i suoi compagni di battaglione.
“Hyperion!” Udendo la voce di Meg, si alzò in piedi. La ragazza era sulla soglia, i capelli in disordine, ansante, la tunica ancora sporca per il viaggio compiuto nell’aldilà. Di colpo Hyperion si sentì in imbarazzo, a vederla comparire tra i suoi amici e tra i membri del Consiglio in quelle condizioni, nonostante sapesse a cosa fossero dovute. Sentiva accanto a sé le voci dei suoi compagni borbottare sconcertati. Rosso in volto le si avvicinò. “Meg!” La prese per un braccio. “Perché non sei tornata a casa?” Fu l’unica cosa che gli venne in mente di dire.
“Volevo vederti, prima di…” Provò a replicare Meg, ma lui la interruppe velocemente.
“Non dovresti farti vedere qui, così, adesso che io… Cioè, avrei dovuto, ma… Insomma, torna a casa, mi farò vivo io.”
La ragazza lo guardò, confusa. Cosa stava succedendo? Perché Hyperion sembrava seccato dalla sua presenza? Fu allora che, dalle stanze interne, provenne un gemito.
“Un bambino?” Chiese Meg, stupita. “Che cosa ci fa un bambino a casa tua?”
“Sarà il figlio di uno dei servi…” Buttò lì Hyperion.
Un uomo riccamente vestito tra i convitati si accostò alla coppia. “Hyperion, mio caro genero! Ascolta la voce di tuo figlio: non vuole la compagnia di sua madre e delle altre donne, ma quella di suo padre. Di certo diventerà un valoroso guerriero!” Si interruppe per guardare Meg con lieve ostilità. “E chi è questa giovane fanciulla? Una tua parente povera?”
Hyperion si affrettò a rispondere. “Una specie, sì, nobile Anassimandro. In precedenza, prima di legarmi a tua figlia, i nostri padri ci avevano promessi, ma è stato un impegno sciolto da tempo, come ti diranno tutti qui a Corinto.”
A Meg sembrò che il cuore le si fermasse nel petto. Migliaia di piccole crepe lo spezzarono, riducendolo a finissima polvere.
Rassicurato, Anassimandro esaminò attentamente Meg. “Mia cara, senza dubbio sei venuta a congratularti per la nascita del piccolo Teseo, non è così? Una delle serve sarà lieta di indicarti la strada per le stanze di mia figlia Ione. Siamo appena arrivati dalle colonie, dove questo giovanotto” E indicò Hyperion. “Si è permesso di rapire ad un padre la gemma più preziosa dei suoi occhi. Un’unione che gli dei hanno benedetto ieri con la nascita di un erede, e oggi con il ritorno del padre dal mondo dei morti. Ione non poteva essere più felice…”
 Meg non ascoltava più il fiume di parole che uscivano dalla bocca dell’uomo.
“Ho cercato di dirtelo…” Provò a spiegare Hyperion, sussurrando.
“E quando, mentre facevi l’amore con me nei boschi?” Replicò aspra lei. “Oppure quando sussurravi parole d’amore spergiure?”
“Ti giuro, non sapevo che lei era incinta, non pensavo davvero… Poi quando sono arrivato a casa e li ho trovati qui…”
“Nonpensavi fosse incinta?” Scoppiò Meg, senza badare ai presenti. “A cosa hai pensato allora, mentre ti rotolavi con lei nelle lenzuola?”
“Non puoi capire: la guerra, i morti, il sangue… Un uomo sente il bisogno di fare certe cose, dopo, per sentirsi vivo… E lei non era come le puttane del nostro campo, era dolce e gentile, e tu così lontana…”
“Allora è meglio io sia nata donna:  almeno non ho bisogno di fottere nessuno per sapere di essere viva.”
“Stai zitta, donna!” Urlò Hyperion.
Tutti i convitati caddero nel silenzio.
Meg non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Sentiva un acre sapore di cenere riempirle la bocca, e un freddo glaciale diffondersi in tutto il suo corpo. Quel che era peggio era il silenzio di Hyperion, i suoi occhi distanti. “Hyperion…” Sussurrò, incapace di dire altro.
Lui infine si decise a parlare. “Meg, forse è meglio che tu te ne vada.”
Non era la morte, era  mille volte peggio. A fatica, Meg distolse lo sguardo dall’uomo per cui aveva dato la sua anima, e si incamminò verso la porta.
Hyperion la guardò andarsene, senza fermarla.
 
Note al capitolo: Borea: divinità del vento
                                     Atena: dea della sapienza 

  
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