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Autore: Finnick_    28/08/2012    5 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Cerco qualche indizio che mi dica che cosa gli hanno fatto. Ma non lo trovo. Non riesco a riflettere lucidamente, mentre vedo scorrere sullo schermo l’immagine di mio fratello che si permette una lunga pausa prima di cominciare il discorso.
-Capitol City è .. ben felice di .. accogliere i figli dei vincitori- non riesce a terminare una frase senza interrompersi e deglutire. Cosa stanno facendo? Lo stanno minacciando? Quel che è certo è che la Coin ha trovato il modo perfetto per piegare Chays ai suoi ordini. E per iniziare a distruggere me.
Una voce fuori campo gli fa una domanda:
-Che effetto ti fa vedere tua sorella come la porta bandiera della futura rivoluzione?-
Futura rivoluzione. Le mani cominciano a sudare. Hanno già deciso che il mio e di Finnick è stato un gesto di deliberata sfida nei confronti della Coin e della capitale e che quindi noi dobbiamo pagare. Quella che abbiamo davanti è un’ennesima guerra, probabilmente persa in partenza. Si sono già ripresi i collegamenti con le tv nazionali e hanno in mano l’arma che sanno perfettamente è la più pericolosa per me e la mia famiglia: mio fratello.
Chays risponde dopo aver preso fiato:
-è.. strano. Avrei dovuto partecipare anch’io a quella parata-
-ma non l’hai fatto. E non ti senti sollevato per questo motivo?- continua la voce fuori campo.
Chays fa una smorfia, come se a parlare stesse facendo la fatica più grande del mondo.
-già- dice e basta. Non so se lo pensa davvero. Forse sì, in fondo io e Finnick siamo condannati a non so quale atroce sorte la guerra abbia in serbo per noi, e lui ne è fuori. Forse no, vorrebbe essere qui con me ad aspettare un segnale di Capitol City e sapere che non siamo così lontani.
Mi avvicino lentamente di qualche passo verso lo schermo. Come se potessi toccarlo alzo una mano a mezz’aria, che mi ricade inerme lungo i fianchi quando la voce fuori campo domanda di nuovo:
-non c’è niente che vorresti dire alla tua famiglia?-
Perché lo stanno condannando a questo? Ho la mente talmente in subbuglio che mi viene da pensare che ciò che sta provando Chays in questo momento sia forse peggiore di tutte le torture che Capitol City è capace di infliggere ai suoi prigionieri.
-che.. che non devono sfidare Capitol 13- allora si chiama davvero così, l’alleanza tra la capitale e il Distretto 13. Pensavo che fosse solo un nome di mia invenzione –Devono lasciare che gli eventi seguano il loro corso senza intromettersi. Non gli conviene-
Il tono con cui parla mi dice che non è una minaccia, ma una supplica. Ha paura, perché sa che se noi facciamo qualcosa siamo morti tutti e lui stesso non sarà risparmiato.
-la guerra porterà a nuovi Giorni Bui. Ma..- sembra riflettere. O forse solo riprendere fiato. Fatto sta che si tocca il mento come una mano come a cercare di calibrare bene le parole che dovrà usare.
-prima di precipitare in una guerra senza fine, potete scegliere. Se immolarvi per il bene comune o combattere fino alla vostra stessa morte e di tutti coloro che vi circondano- deglutisce di nuovo.
-spiegati meglio- chiede la voce fuori campo.
No, non importa. Penso. La Coin ci vuole morti, che sia tra qualche giorno o che sia tra qualche ora.
-Non capite?- chiede Chays, il volto si fa sconvolto. Si sporge dalla poltrona su cui era seduto e si strofina le mani nervoso.
-è solo a causa nost.. vostra se Panem precipiterà di nuovo in guerra e se correremo ancora il rischio di estinguerci! Dovete morire, morire per il vostro paese. Siete degli eroi? Bene, dimostratelo! Offrite la vostra vita negli Hunger Games –
Mia madre si lascia sfuggire di nuovo un suono stridulo, mentre nessuno osa parlare. Fisso Chays e aspetto che continui il discorso. Ha gli occhi rossi, rischia di piangere, ma non lo farà. Lo conosco.
-c’è un’arena pronta, al confine tra il Distretto 4 e il Distretto 5. Pronta per noi. Stella Verde, Cavaliere del Mare e tutti i figli degli altri vincitori, dovete farlo-
Reprime un gemito in modo violento e il suo scatto improvviso mi fa venire un brivido che mi scuote forte.
-dovrò.. farlo anch’io-
-Quindi, Chays, fai capire meglio hai nostri telespettatori di cosa stiamo parlando- dice la voce fuori campo –in cosa consisteranno questi Hunger Games?-
Hanno addirittura già deciso tutto: organizzati gli avvenimenti e le motivazioni dei Giochi e riattivato un’arena apparentemente sterile. Stringo forte le mani in pugni che fanno male, ma non smetto.
Mi mordo il labbro, mentre mio fratello risponde:
-sono.. sono i Giochi che non si tennero venticinque anni fa. Ricordate, popolo di Panem? Quei giochi a cui avrebbero dovuto partecipare i figli della capitale? Esatto. Sono quelli. Solo che adesso i protagonisti sarete voi. E tutti coloro che.. –
Prende un grande respiro e io trattengo il fiato.
-ostacolano la nuova ascesa di Capitol City-
In una frase ha detto tutto quello che nessuno era mai riuscito a spiegare in mille discorsi.
-vuoi aggiungere altro?- l’ultima domanda.
Lui inghiottisce il magone che ha in gola e guarda dritto dentro la telecamera:
-che io non abbandonerò mai la mia famiglia e tutti coloro che decideranno di salvare questa nazione!-
Le immagini cominciano a traballare sullo schermo e faccio in tempo a vedere qualcuno che tira un pugno a Chays e lo trascina via dalle telecamere. Poi il monitor si oscura del tutto e non passa nemmeno il sigillo di Capitol City.
Resto immobilizzata, mentre intorno a me si alzano borbottii e commenti. La folla fuori dalla sala dove siamo noi comincia a vociare, ma non capisco che sentimenti possa provare. Scorgo masse di persone che si alzano in fretta e se ne vanno, altre che sbracciano e si arrabbiano.
Fisso lo schermo vuoto. Io sono vuota. Non ho sensazioni. Qualcuno mi tocca il braccio e per istinto mi divincolo e corro a rinchiudermi nella mia stanza di preparazione. Sbatto la porta e mi ci appoggio contro.
Inizio ad ansimare e dopo qualche secondo crollo a sedere con la schiena appoggiata alla porta.
Mi prendo la testa fra le mani e comincio a piangere.
Non posso trattenermi, non ci riesco e nessuno può chiedermelo.
Mi rigo la faccia con le unghie che sprofondano nella carne come punte acuminate, ma non sento dolore. Sento solo la mancanza di vita che ho dentro. So che non mi riprenderò senza mio fratello e che sarò gettata in un’arena rediviva per salvare il paese. Se non lo farò Capitol City non si farà scrupoli a farsi strada con le armi. Mi dondolo mentre le lacrime continuano a scorrere. Sbatto la testa due o tre volte contro la porta e tra le lacrime urlo il nome di Chays.
O la guerra o gli Hunger Games. O la popolazione mondiale sterminata o solo io e la mia famiglia.
Devo decidere eppure non ci riesco. Sto solo impazzendo all’idea di ritrovarmi nel giro di qualche giorno in un qualcosa che va oltre le mie capacità. Oltre tutto ciò che per me era immaginabile.
Mi alzo e comincio a marciare per la stanza, cercando in tutti modi di pensare. I Distretti.. ecco cosa mi viene in mente. E tutti i Distretti nostri alleati che fine hanno fatto? Hanno avuto paura dopo il bombardamento del 12, il 4 e l’8? Sì, credo proprio di sì. E non si sono alleati, ma semplicemente si sono ritirati e sono lì che sperano che io e Finnick accettiamo di morire per salvare anche le loro vite. L’avrebbe fatto chiunque al loro posto. La loro vita dipende da una mia ulteriore sfida o ad un mio spunto volontario ad uccidermi e veder morire mio fratello per loro.
Tiro un calcio violento alla zampa di un tavolino, la incrino e sento male al piede.
Un ennesimo dubbio atroce mi sconvolge: non getteranno solo noi nell’arena, se decidessimo di accettare. Chays ha detto “tutti coloro che ostacolano la nuova ascesa di Capitol City”. Questo implica anche tutti coloro che mi sono vicini e a cui voglio bene. Mia madre, mio padre, le persone che conoscevo nel 12. Allora penso che non tutti sono morti nel bombardamento. Capitol 13 ha salvato chi sarà più adatto da far partecipare agli Hunger Games.   
Jymith.
Anche lei è in pericolo che io lo voglia o meno.
Ad un certo punto mio padre spalanca la porta ed io mi immobilizzo al centro della stanza a fissarlo.
Entra di corsa, sconvolto e sbatte la porta. Mi viene in contro e mi abbraccia forte. Io piango ancora senza pensarci, fra le sue braccia. E lui aspetta che io abbia finito. Poi mi dice:
-tu non ci andrai, ok? Non entrerai in quell’arena-
-è l’unico modo..-
-No!- esclama, mentre i suoi occhi s’accendono di rabbia –non ti manderò a morire in quei Giochi atroci, è chiaro? Non ti permetterò di passare le condizioni atroci che abbiamo affrontato noi. Avevamo sconfitto quei Giochi e pensavamo fosse per sempre-
-ma non è così- gli dico.
Lui si prende qualche secondo e poi afferma:
-andremo noi-
Non gli do il tempo di continuare che mi lancio in avanti e gli do una spinta:
-che ti viene in mente? Non lo farete, papà!-
Lui mi guarda stupefatto e solo allora mi accorgo di averlo spinto addosso al muro. Non avevo mai reagito così con lui, nemmeno durante quelle che sembravano litigate atroci.
-Rue, ascolta..- allunga un braccio come a calmarmi, ma io mi allontano. Prendo il fermaglio che ho ancora tra i capelli e lo getto in terra con forza. I capelli mi spiovono sul viso rosso per la rabbia.
-ti ho detto che non lo farete! Cosa potreste ottenere? Niente, papà- grido –noi saremo ancora in vita e continueremo a rappresentare un pericolo per Capitol 13, lo capisci questo? La Coin ci vuole morti, tutti!-
Mio padre spalanca gli occhi esterrefatto.
Mi mordo la lingua imprecando contro me stessa.
-la Coin è morta, Rue-
Scuoto la testa.
-no. È stata in coma per tutti questi anni e adesso vuole riprendersi il controllo che le spetta-
Lui si avvicina di colpo e mi prende per un braccio:
-che ti ha fatto? Quando l’hai vista?-
-calmati!- strattono il braccio e lo libero –non mi ha fatto niente, come puoi vedere. L’ho vista quattro giorni fa, insieme a Finnick, nel suo appartamento- mio padre respira a fondo. Si lascia cadere su una sedia e aspetta che continui.
Mi tiro indietro i capelli.
-ci aveva intimato di non .. ottenere successo con questa parata. Così saremmo stati odiati da tutti i distretti-
-ma non l’avete fatto. Vi amano tutti- conclude Peeta.
-Per Panem. Per il bisogno che hanno di nuove guide, lo sai come funziona. E adesso..-
-e adesso vi ritrovate a dover scegliere se combattere o andare nell’arena. Rue, combatti!- mi supplica. Ha già perso un figlio, che probabilmente non tornerà mai da là e sta per perdere anche l’altra. Dov’è adesso la promessa di una vita che continua?
-non posso. Morirebbero troppe persone e Panem non può permetterselo- mio padre tace. Sa che è la verità.
-se saremo noi a sacrificarci, tutto andrà a posto e saranno solo la Paylor e la Coin a doversi fronteggiare-
Lui si alza e mi abbraccia di nuovo. Non vuole e non voglio nemmeno io. Non vedo più in là del minuto che ho davanti e mi vedo morta il primo giorno degli Hunger Games.
Assaporo fino all’ultimo l’abbraccio di Peeta e poi decido di andare a parlare con Finnick. Evito telecamere e persone che conosco, tra le quali mia madre, Haymitch e Gale e mi fiondo nella stanza di preparazione di Finnick.
Entro concitata. Devo avere ancora gli occhi rossi, perché li sento gonfi.
-Finnick, noi..-
-sì- mi interrompe. Fermo, immobile si guarda allo specchio. Resto alla porta e aspetto.
-parteciperemo ai Giochi- dice. Mi guarda e annuisce deglutendo a fatica –e vinceremo-
Non ha detto “vincerò”. Ha detto “vinceremo”. Sospiro. La Paylor entra in quel momento, chiede e noi rispondiamo. Ci prende una con un braccio, uno con l’altro e ci porta fuori dalle stanze. Fuori dalla pista che ci ha resi celebri. Fuori da tutto e tutti. E ci ritroviamo nella stanza di una casetta di legno vicino alla ferrovia, ad aspettare l’ultimo treno.
  
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