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Autore: Tecla Sunrise    29/08/2012    3 recensioni
Mi chiamo Emily Thomas e ho un problema.
Un grosso, enorme, gigantesco, mastodontico problema.
E no, non è quell’orribile brufolo che mi è spuntato sul mento; non è neanche il tema di Astronomia in cui ho preso la prima A della mia ormai defunta carriera scolastica.
No, oh no, il mio problema è molto più grave, il mio problema non è solo una banale tragedia come potrebbe esserlo perdere la mia copia autografata da Albus Silente di Storia di Hogwarts; il mio problema è un cataclisma.
Il mio problema – sì, sempre lui – consiste nell’essere stata, durante il mio primo viaggio sull’Hogwarts Express, un’incosciente.
Il mio problema, gente, è quello di aver avuto più sfiga del Trio ed avere solo tredici anni.
Il mio fottuto problema di merda è, oltre ad essere diventata terribilmente volgare, avere degli amici semplicemente raccapriccianti.
Perché quando le sette persone che dovrebbero conoscerti meglio di tutta l’umanità ti spingono giù dalla Torre di Astronomia con solo una scopa in mano, capisci che sono malati.
Ma è quando atterri non si sa grazie a quale Dio – lo stesso che ti deve aver affibbiato degli amici del genere, immagini – e loro ti sorridono, orgogliosi di averti fatto passare le vertigini con una terapia d’urto, che capisci finalmente come curarli: urtare loro – guidata dalle migliori intenzioni, ovviamente – con una motosega.
Accesa.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fred Weasley Jr, James Sirius Potter, Lucy Weasley, Nuovo personaggio, Roxanne Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Negatività made in Weasley.'
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Terapia d’Urto

 

 

Insomma, chi non vorrebbe provare emozioni del genere?

 

 

E non osate nominare Emily, quella ormai è irrecuperabile. Abbiamo provato tutto, terapie, incontri e metodi bruschi – come, ad esempio, spingerla giù dalla torre di astronomia con una scopa in mano – ma non ne ha mai voluto sapere niente. Quella… quella ragazza, quella… Lei soffre di vertigini.

Vertigini.

Ma come diavolo ha fatto a diventare nostra amica?

 

(Se una cosa può andare male, lo farà; cap. 8)

    

“Abbiamo esagerato”
“James, non fare il guastafeste! Non mi divertivo così da quando abbiamo buttato Em giù dalla torre di Astronomia”
“Rox…”
“Jimmy, ha ragione. Zitto e goditi lo spettacolo”

 

(La sigaretta Magica)

 

 

 

Mi chiamo Emily Thomas e ho un problema.

Un grosso, enorme, gigantesco, mastodontico problema.

E no, non è quell’orribile brufolo che mi è spuntato sul mento; non è neanche il tema di Astronomia in cui ho preso la prima A della mia ormai defunta carriera scolastica.

No, oh no, il mio problema è molto più grave, il mio problema non è solo una banale tragedia come potrebbe esserlo perdere la mia copia autografata da Albus Silente di Storia della Magia; il mio problema è un cataclisma.

Il mio problema – sì, sempre lui – consiste nell’essere stata, durante il mio primo viaggio sull’Hogwarts Express, un’incosciente.

Il mio problema, gente, è quello di aver avuto più sfiga del Trio ed avere solo tredici anni.

Il mio fottuto problema di merda è, oltre ad essere diventata terribilmente volgare, avere degli amici semplicemente raccapriccianti.

Perché quando le sette persone che dovrebbero conoscerti meglio di tutta l’umanità ti spingono giù dalla Torre di Astronomia con solo una scopa in mano, capisci che sono malati.

Ma è quando atterri non si sa grazie a quale Dio – lo stesso che ti deve aver affibbiato degli amici del genere, immagini – e loro ti sorridono, orgogliosi di averti fatto passare le vertigini con una terapia d’urto, che capisci finalmente come curarli: urtare loro – guidata dalle migliori intenzioni, ovviamente – con una motosega.

Accesa.

 

***

 

Sono un’osservatrice nata e tutti non fanno che ripeterlo con un’irritante costanza da quando avevo sette anni, eppure, quel giorno, non notai i chiari segnali di pericolo; non ho veramente idea di cosa mi prese, forse la presenza dei Malandrini mi aveva assuefatto al punto tale da avere una pluffa sgonfia al posto del cervello e boccini al posto degli occhi, fatto sta che, banalmente, non me ne accorsi.

Forse non riuscite a comprendere il mio profondo smarrimento nel ricordare l’episodio, ma è solo perché ancora non mi conoscete; se sapeste come sono fatta, allora sì che mi capireste.

Ma non sarebbe bello per voi, no, per niente; vorrebbe dire che sareste amici dei Malandrini.

Non lo augurerei al mio peggior nemico.

Quello che sono, io, lo devo ai Malandrini.

Non è bello ammetterlo, non è normale, non è sano: queste sette persone con cui condivido praticamente anche il cesso – pardon, bagno. Godric, questa storia mi ha sconvolta – sono un pericolo per tutte le creature viventi, compresi gli Schiopodi Sparacoda che Hagrid nasconde nei pressi del lago.

I sette diabolici figuri, infatti, si limitano a colorarli di fucsia, a renderli velenosi e ad aizzarli contro i Serpeverde.

Ora, intendiamoci, non dico che l’idea non abbia una certa attrattiva, tuttavia chi mai potrebbe escogitare follie simili?

Ma loro, naturalmente.

Qui pidocchiosi, piccoli, raccapriccianti… er, ma non divaghiamo.

Avremo tempo per insultarli, dopo.

Tornando al nocciolo della questione, quella mattina non mi accorsi di nulla; buffa la vita, no?

Esilarante.

Eppure, per Godric! Come, COME, mi sono potuti sfuggire dei segnali così palesi?

Quella mattina, quando entrai in Sala Grande, sfogliando distrattamente il programma di Antiche Rune del terzo anno – del quale, ammettiamolo, non capivo una parola – mi sentivo incoscientemente serena.

Mi sedetti con la mia solita flemma, nel mio solito posto tra Jared Jordan e Trevor Walsh, prendendo il mio solito succo di zucca mattutino e preparandomi mentalmente alla prima solita stranezza Malandrina della giornata, ma non mi sarei mai potuta preparare abbastanza per quello che successe.

Ma forse sarebbe il caso che ve li presentassi, questi flagelli divini che io ancora mi ostino a chiamare – dando prova di possedere ben poco spirito di autoconservazione – amici.

Il primo che conobbi, ai tempi, fu James Sirius Potter: non me ne pentirò mai abbastanza

La situazione era anche una delle più antipatiche della mia corta vita di bimba di otto anni: papà, essendo il capo, nonché creatore, del Reparto Acquisizione e Modernizzazione dei Beni di Consumo Babbani, era – ed è tuttora, per mia sfortuna – un pezzo grosso.

Quella sera il Ministero festeggiava i cinquecento anni dalla sua fondazione e papino, ovviamente agghindato come un re, m’infilò senza riguardo in un vestitino di velluto rosso che pizzicava come carta vetrata; per una volta, però, mi andò meglio di mio fratello Mark, al quale venne affibbiato un kilt a scacconi verde vomito e marrone cacca.

Ah, che goduria.

Il Ministero non era mai stato più affollato, colorato e vivo di così: ero completamente sbalordita da quell’immensità, da quella magnificenza, da quel-…

“Ciao! Io sono James, James Potter! Giochiamo a nascondino? Tu conti, ok? Siamo già io e altri miei cugini!”

La sua vocetta irritante, il suo timbro sbarazzino da bimbo che aveva e avrebbe sempre ottenuto tutto, la sua completa noncuranza del rispetto per gli spazi altrui – mi aveva afferrato per un braccio. Bambino spastico, mano sul mio braccio… non andava bene – e il suo sprezzo della buona educazione…

L’odiai.

Da bambina, come se non bastasse, avevo un serio problema: non riuscivo a parlare con i maschi.

Erano qualcosa di sconosciuto, di insondabile, tuttavia non ne avevo paura.

Solitamente, quando non sapevo qualcosa, una curiosità spasmodica m’infiammava le vene e dovevo scoprire ciò che non conoscevo; per i maschi non avevo la stessa reazione.

Forse perché loro non erano semplici libri, affidabili e facili, in cui avrei potuto leggere le risposte, ma erano persone, e come tali si prendevano troppe libertà.

Tipo quella di trascinarmi per tutta la hall del Ministero.

E, così, avevo conosciuto il più esaltato ragazzo sulla faccia della terra.

Quando l’avevo rivisto sul treno avevo pensato che la sorte si fosse accanita contro di me – l’unico pensiero sensato che formulai e, naturalmente, il più inutile – però alla fine, in quei tre anni di scuola, avevo capito di essergli molto legata, mio malgrado; era l’unico maschio con cui mi fossi veramente mai sentita a mio agio.

Il perché era chiaro: lo consideravo un coglione.

Avevo ragione.

Inutile sproloquiare sulla sua bellezza, sui suoi capelli corvini perfettamente scompigliati, sui suoi occhi neri che sbrilluccicavano per via del riflesso sulla bava delle sue ammiratrici o sul suo fisico scolpito dal continuo jogging per il parco: i Weasley erano belli, punto.

Non c’era via d’uscita, era una famiglia di belli, chi più, chi meno.

Un altro esemplare molto interessante del gruppo è Mary Naomi Sparks-Hewitt; , quella dei gelati babbani Sperkwitt che tanto vanno di moda in questa stupida nazione.

Naomi è figlia di babbani molto ricchi, è bella, estroversa, simpatica, popolare, mezza italiana… tutti questi pregi non riescono tuttavia a offuscare il fatto che sia completamente fuori di cotenna.

È la mia migliore amica, sì, le volevo bene, , ma non c’è un modo carino per dirlo: Naomi è completamente pazza.

I suoi acuti raggiungono gli ultrasuoni, piange per qualsiasi motivo, parla con irritante frequenza l’italiano godendo nel non farsi capire, s’innamora persino delle foglie e non regge l’alcool, sebbene il massimo che abbia mai bevuto sia una burrobirra.

E poi, la cosa peggiore: parla sempre.

La guardai, seduta nel posto di fronte a JJ: era veramente bella, non si poteva negare.

Aveva un fisico magro ma non pelle e ossa, con un seno piccolo e equilibrato al resto del corpo; i ricci che si ostinava a piastrare con un colpo di bacchetta ogni mattina le ricadevano morbidi sulle spalle, creando una foresta nera come la pece.

Gli occhi erano molto belli, azzurri attorno alla pupilla e sempre più verdi all’avvicinarsi dell’iride.

Il suo unico difetto era il sedere un po’ piatto, ma nessuno sembrava notarlo; nell’estremo caso in cui qualcuno si fosse interessato a lei, il coraggio dimostrato nel perseverare nonostante la sua pazzia sarebbe stato vano se avesse rinunciato per un sedere poco pronunciato.

Poi, beh, poi c’era lei.

Lucy Weasley.

Il rapporto che avevo e ho con lei è sempre stato diverso da quello che sia io che lei abbiamo con gli altri; non migliore, non peggiore, ma diverso.

Non avrei saputo trovare parola più adatta.

Lucy era bella, molto intelligente, spigliata e istintiva, spesso più stronza di quanto in realtà non fosse e innamorata del Quidditch sino al limite della paranoia; aveva i capelli di un castano non molto chiaro, ma comunque molto più dolce di quello di James, e due occhioni azzurri quasi cristallini.

Le lentiggini che le invadevano il viso non facevano altro che darle un’aria più inglese, più vera; a volte ero convinta che lei fosse consapevole della sua bellezza, altre, paradossalmente, sembra aver bisogno di esserne rassicurata.

Lei era, a conti fatti, una persona speciale: si era imposta subito nel panorama di Hogwarts, conosceva mezza scuola e l’altra metà conosceva lei; un po’ era merito anche di sua sorella, una metamorfomaga del quarto anno, che aveva fatto scalpore quand’era finita a Serpeverde.

L’unica Weasley della storia ad aver mai indossato quella divisa.

Lucy era più o meno la leader dei Malandrini, si prendeva spesso le responsabilità delle malefatte e quando aveva un’idea potevi essere certo che non sarebbe stata buona; geniale, certo, ma buona no.

Spesso mi ero chiesta cosa ci facesse a Grifondoro, ma il suo senso di lealtà aveva sempre smentito ogni mio dubbio.

Accanto a lei, a tavolo, si sedeva sempre Freddie, suo cugino e gemello di Roxanne.

Freddie e Roxy erano molto simili: lui aveva i capelli neri della madre e la pelle leggermente olivastra, lei invece era di colore e aveva i capelli arancioni.

Un’accoppiata diabolica che, fomentata dal padre, spargeva terrore per Hogwarts.

Roxanne aveva la fissazione delle scommesse e raramente ne perdeva una; aveva una voce fenomenale, ma non riusciva ad esibirsi mai per più di una persona alla volta.

Freddie, invece, amava le ragazze.

Belle, brutte, stupide, intelligenti… lui le amava tutte, e le riteneva doni divini.

Aveva avuto più ragazze lui in tre anni della maggior parte degli studenti del settimo; tuttavia, aveva un difetto.

Era gelosissimo ed iperprotettivo nei confronti miei, di Naomi, di Lucy e, soprattutto, di sua sorella.

Gli ultimi due componenti del gruppo erano Jared Jordan e Trevor Walsh.

JJ era una della persone più divertenti che esistessero sulla faccia della terra: solare, casinista, odiava stare da solo e tentava sempre di mettere pace tra le persone.

Era anche la persona più volgare di tutta Hogwarts.

Quante volte avevo dovuto rinunciare a studiare perché lui e James si mettevano a fare gare di rutti, peti e simili amenità?

Troppe, ve l’assicuro.

Trevor, invece, era il suo contrario: aveva i capelli più neri di James sempre con un taglio militare e gli occhi verde petrolio avevano una sfumatura cupa e affascinante che attraeva e spaventava; non era solare come tutti gli altri, era anzi molto chiuso, taciturno e cinico, capace delle bastardate più estreme, ma mi trovavo bene con lui.

Era l’unico che non avesse la logorrea verbale che affliggeva i Malandrini.

Ma torniamo al mio problema!

Ci credereste se vi dicessi che anche io faccio parte dei Malandrini?

Io no, però è così: io, Emily Thomas, animalista convinta, vegetariana, studiosa, ligia alle regole e pudica ragazza, faccio parte di questa banda di brasati.

E mai come quel giorno me ne pentii.

Come già detto, se avessi prestato attenzione, mi sarebbero bastati quei semplici segnali mattutini per capire cosa mi attendesse: erano veramente palesi.

Mi sarebbe bastato notare che Freddie non stava ridendo; per non parlare del fatto che JJ avesse il naso affondato in un libro – che teneva al contrario –, ma la cosa che avrebbe dovuto farmi insospettire era che Roxanne stava mangiando immobile, seduta e in silenzio.

O sarebbe semplicemente bastato notare che Naomi stava frettolosamente copiando i compiti, cosa inaudita visto che lei teneva molto alla colazione mattutina e copiava tutto la sera prima, o ancor più semplicemente gli occhi di Lucy che s’incontravano leggermente ogni volta che mi rivolgeva un’occhiata.

Era il suo corpo che urlava alla menzogna.

“Er… Emily?”

Alzai gli occhi dal mio toast alla marmellata di more mattutino e osservai con circospezione Lucy che, davanti a me, sorrideva come una scema.

“Sì, Lucy?” chiesi gentilmente, aspettando con impazienza di poter tornare alla mia colazione.

“Che cos’abbiamo, oggi?”

Aggrottai le sopracciglia: eravamo ad Hogwarts dalla bellezza di sei mesi e aveva davvero il coraggio di chiedermi che materie avremmo avuto quel mercoledì?

“Mi prendi in giro?” l’aggredii, facendo alzare lo sguardo a Naomi e Freddie, che sedevano ai lati di Lucy come ogni mattina da tre anni a quella parte.

Lucy scosse la testa “Scusa… è che non me lo ricordo proprio!”

Decisi di sorvolare, pensando che se le avessi risposto mi avrebbe lasciato in pace “Due ore di Trasfigurazione con i Corvonero, un’ora di Cura delle Creature Magiche sempre con loro e una di Difesa contro le arti Oscure con i Serpeverde, proprio come ogni mercoledì da quasi sei mesi”

“Ah, già”

“Lucy” cominciai, seriamente preoccupata per la sua sanità mentale “Hai finalmente perso anche quell’ultimo grammo di materia grigia che risiedeva solitario nella tua testa?”

Naomi e Freddie soffocarono con ben poca grazia le loro risate e Lucy spalancò la bocca dall’indignazione “Emily! Sai benissimo che non c’è mai stata materia grigia nella mia testa”

Ecco la tattica di Lucy, molto elementare e frutto della spicciola psicologia inversa che le ha insegnato suo zio George: se t’insultano, insultati di più.

Non solo dai l’impressione a chi insulta che non te ne freghi niente, ma, soprattutto, sembra quasi che l’insultatore non sia in grado di trovare un’offesa degna di questo nome.

Sbuffai e mi limitai a non guardarla più, riprendendo da dove mi ero interrotta con il mio toast.

Lo presi e chiusi gli occhi, portandomelo con calma alla boc-

“Emily!”

Sobbalzai e il toast mi cadde addosso, ovviamente dalla parte della marmellata; ringhiai, ripensando a Murphy e alle sue dannate leggi: “La probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte della marmellata verso il basso sulla divisa edizione limitata Gucci nuova è proporzionale al valore della stessa.”

Ok, la legge non è propriamente così, ma vedere la mia sacrissima fetta di toast mattutina spiaccicata sulla divisa di Gucci che la parte magica della boutique si è fatta pagare ben trecento galeoni – meline sante! Trecento! – mi fa davvero imbestialire.

Puntai lo sguardo sul mio interlocutore e fui davvero (davvero, davvero) tentata per un attimo di tirargli la brocca di succo di zucca in testa, ma ripresi possesso delle mie facoltà motorie appena in tempo.

Lasciai la presa dalla brocca che, inconsapevolmente, avevo già afferrato, feci qualche profondo respiro e mi rilassai.

Non è niente, Emily, basterà chiedere ad uno studente più grande di ripulirtela.

Non è niente, tranquilla.

Non è ni-

“Mi ascolti, Emily?!”

Aprii gli occhi di scatto, terrorizzando JJ, e gioii internamente per quella reazione.

“Che c’è?” mi sforzai di parlare senza sembrare sull’orlo di una crisi di nervi, ma, dalla faccia che il primato alla mia destra fece, sospettai di non aver avuto successo.

“Mi passi il tema di Trasfigurazione un attimo? Credo di non aver copiato bene la parte sul topo che diventa un uccello”

Merlino, abbi pietà di lui, perché io non ne avrò.

Credi?” chiesi, cercando con la mano la brocca.

Hey, che avete capito!

È solo per precauzione, non la lanc-

“Ehm… sì, ne sono sicuro. Sai, ieri non me l’hai fatto leggere bene e quindi…”

…e quindi, era arrivato il momento di far vedere ai Malandrini perché avrei potuto benissimo essere una Cacciatrice se non avessi avuto paura di volare.

JJ dovette intuire le mie intenzioni perché riuscì a spostarsi un attimo prima che la brocca lo colpisse in fronte; ignorai i gridolini ben poco virili del malcapitato e di Freddie.

“Sei impazzita?” ruggì JJ, zuppo di succo e completamente incazzato.

“Ops” feci un sorriso angelico e vidi la vena sulla tempia di JJ cominciare a pulsare “credo che mi sia scivolata. Anzi, ne sono sicura!”

Detto quello mi alzai, profondamente irritata, trascinandomi dietro per la divisa un Trevor stranamente indifferente.

Quello mi seguì senza fare storie fuori dalla Sala Grande, dove cominciai a sfogarmi.

“Ti rendi conto? No, dico davvero, ti rendi conto di quanto siano insopportabilmente rincoglioniti? M-mh? È umanamente impossibile che riescano ad essere così irritanti, eppure lo sono! Sono deficienti, cretini, combinano solo guai… perché, Trevor?!” lo aggredii, fermandomi in mezzo alle scale del secondo piano; Trey, due gradini dietro di me, si limitò a guardarmi negli occhi.

Non lo feci parlare e ricominciai a marciare verso l’aula di Trasfigurazione “Capisci, perché io sono loro amica? Perché non sono scappata urlando la prima volta che li ho visti? Perché mi ostino a passare il mio tempo con loro? Perché ho la sensazione che non arriverò viva al mio settimo anno? Perché? Perché a me, m-mh? PERCHE’?!”

Mi fermai davanti all’aula di Trasfigurazione, ansimando come se avessi appena partecipato ad una maratona.

“Emily…?” s’azzardò a richiamarmi Trevor, completamente a suo agio.

“Mi spieghi come diavolo fai? Come fai a sopportarli senza fare una piega? Come fai a non volerli uccidere ogni volta che li vedi? Come fa-…”

“Emily, respira” m’impose con la sua solita voce calma, mettendomi una mano sulla spalla.

Scansai la sua mano con forza e divenni tutta rossa, prima di scoppiare “RESPIRERO’ QUANDO AVRO’ VOGLIA DI FARLO, CAZZO!”

Anche il fatto che stessi diventando così volgare sarebbe dovuto essere un segnale abbastanza palese, ma non m’accorsi per niente della mia insolita mancanza di proprietà di linguaggio.

Trevor mi diede qualche secondo per riprendere il controllo di me stessa, poi si limitò ad alzare un sopracciglio.

Tutto qui? Avevo fatto una scenata degna di una psicolabile per un cazzata e lui si limitava ad alzare un sopracciglio?

Ma quel ragazzo s’incantava con un Pietrificus, la mattina?

“Hai finito?”

Feci per scoppiare di nuovo, ma mi resi conto che avrei sprecato solo energie.

“Sì” mugugnai, sgonfiata come un palloncino.

“Posso parlare?”

Mi evitai l’umiliazione di rispondergli e gli feci cenno di continuare.

“Bene. Onestamente, Em, che importanza ha? Sei tu che ti ostini a passare il tuo tempo con loro. Credo, anzi, che non si accorgerebbero neanche della tua assenza, se non ci fossi. Di cosa ti lamenti? Non sei mai stata brava a fare amicizia e sai meglio di me che ti hanno salvata dalla reclusione a vita. Non eri neanche capace di parlare ad un ragazzo, prima! Non fai altro che sputare nel piatto in cui mangi, ma sai benissimo che non puoi fare a meno di no- di loro, quindi evita di fare queste scenate. Nessuno ha espressamente chiesto la tua presenza. Se non vuoi starci, allora faresti meglio a, semplicemente, non parlare più con loro.”

Trattenni le lacrime a stento, allucinata dal discorso di Trevor: mi aveva sbattuto in faccia ogni mio timore, rendendolo realtà.

Il suo viso era una maschera d’indifferenza, come se non avesse davvero appena distrutto ogni mia convinzione.

Una lacrima scese giù per la mia guancia, traditrice. L’asciugai con un gesto stizzito e puntai gli occhi verso il soffitto, facendo profondi respiri e tentando in tutti i modi di non piangere.

“Stai piangendo”

“Non sto piangendo!” urlai, mentre la diga s’apriva.

Cominciai a singhiozzare senz’alcun ritegno, fregandomene del mio orgoglio; non m’importava che lui fosse ancora davanti a me, ero semplicemente sconvolta.

Nessuno aveva bisogno di me.

Sobbalzai quando sentii le braccia muscolose di Trevor stringermi e tentai di divincolarmi in tutti i modi; non avevo alcuna speranza e, dopo un paio di tentativi a vuoto, mi lasciai andare ad un pianto disperato, nascondendo il viso sul suo maglione.

Trevor mi strinse più forte, tanto che smisi quasi di respirare.

“Ora capisci? Non puoi insultarci come se fossimo merde, noi siamo i tuoi amici. Ti vogliamo bene. Non siamo perfetti, questo è vero, ma siamo accanto a te. E poi, se permetti, neanche tu sei perfetta. Sei collerica, acida, secchioncella, psicopatica…”

Mi sfuggì una risatina.

Avevo capito perché Trevor mi avesse risposto in quel modo; nonostante non stessi includendo lui, si era sentito ferito dalle mie parole e aveva tentato di difendersi nell’unico modo che gli veniva bene: l’attacco.

“Scusa” biascicai, la voce attutita dal suo maglione; Trevor mi diede un bacio sulla testa, prima di sciogliersi dall’abbraccio.

Mi asciugai le lacrime con un piccolo sorriso sulla faccia e tirai su col naso, cercando di darmi un tono.

Entrammo in classe e presto fummo raggiunti dagli altri, ovviamente in ritardo.

Comunque sia… credete davvero che solo perché ho una cotta paurosa per Trevor smetterò di lamentarmi di questi pericolosi casi umani?

Oh, cioè… volevo dire…

Non ho una cotta per Trevor, ovviamente.

Smettetela.

Ora.

Non scherzo.

Tornando a noi, le due ore passarono nella solita noia, nonostante mi stessi costringendo a seguire la lezione; quando finì mi concessi un sospiro di sollievo, senza ovviamente farmi vedere, e m’incamminai insieme agli altri verso Cura delle Creature Magiche.

Hagrid, dopo il solito Animale Assolutamente Pericolosissimo Nonché Illegale – un asticello, ma non è il caso di essere pignoli – ci congedò con un tema di seicento parole, quando per un asticello ne sarebbero bastate dieci, e un disegno da fare.

Bah, perché mi ostinavo a seguire quella materia inutile?

Ci dirigemmo tutti, dunque, per l’ultima ora di lezione, verso l’aula della Professoressa Cleo Tillmann, Capocasa di Serpeverde e professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure.

Avevo sempre ammirato quella donna: aveva una forte tempra morale e, sebbene avesse sempre un occhio di riguardo con i Serpeverde, non era schifosamente imparziale come Smith o la Light.

Perché, invece, a noi poveri Grifondoro innocenti era toccato Neville il Giusto?

Mi sedetti come al solito in prima fila e venni velocemente raggiunta da Naomi; cominciammo a chiacchierare – aveva scoperto un ombretto magico che non sbiadiva finché non lo si voleva togliere – quando la Tillmann entrò in aula, eccitata.

“Alzatevi, forza, forza!” appena anche l’ultimo di noi s’alzò, la professoressa fece Evanescere i banchi e fece levitare un grosso baule fino al centro della stanza.

L’aula si riempì di sussurri incuriositi ma bastò un’occhiata della professoressa per zittire gli studenti.

“Ragazzi, vi ho trovato un molliccio! So che l’abbiamo studiato a Dicembre, ma, vista l’occasione, perché non fare un po’ di buona pratica? Forza, mettetevi in fila!”

Mi guardai attorno, un po’ nervosa, e notai gli sguardi diabolici dei miei amici; non era una buona idea, mettere le paure di studenti innocenti in mano a quei pazzi.

La prima della fila si rivelò essere proprio Naomi che, deglutendo rumorosamente, aspettò che il molliccio prendesse forma.

Il molliccio si trasformò in un ascensore, lasciando interdetti molti studenti, ma quando il suono acustico dell’apertura si fece sentire, vidi che Naomi aveva cominciato a tremare.

Appena la porta s’aprì, un uomo con un coltello in mano ne balzò fuori, facendoci urlare dalla paura.

“Ri…riddiculus!”

L’uomo si avvicinava sempre di più, così Naomi assunse uno sguardo risoluto “Riddiculus!” scandì bene e l’uomo si trasformò in un pescivendolo che agitava un merluzzo.

La classe scoppiò a ridere e Naomi raggiunse il fondo dell’aula con un sorriso soddisfatto.

Subito dopo toccò a Fox, un idiota insopportabile di Serpeverde che non perdeva occasione per insultarci, e la sua più grande paura erano – ironia della sorte – i serpenti.

Dopo tre tentativi riuscì a trasformarli in nastri colorati, credendo di essere al sicuro.

Illuso: tutti noi Malandrini avevamo uno sguardo famelico.

Ecco cosa si sarebbe ritrovato nel letto Robert Fox, quella sera.

Toccò ad un altro paio di Serpeverde che non conoscevo, prima che fosse il turno di Lucy.

Il molliccio esitò un po’, poi si trasformò in Rose Weasley.

Per poco non cademmo tutti a terra dalla sorpresa; poi, semplicemente, scoppiammo a ridere.

“Hai… hai paura di Rose?!” chiese James tra le risate, allibito.

Lucy arrossì, ma non poté dire niente, perché Rose l’anticipò.

“Zio Percy mi ha adottato” disse la falsa Rose, sfoggiando un ghigno cattivo “Finalmente avrà una figlia degna di questo nome”

Lucy sbiancò, prima di diventare una furia “RIDDICULUS!” urlò, e il molliccio divenne Rose senza vestiti.

Scoppiammo tutti a ridere, benché noi sapessimo che ci fosse molto di più, dietro quella paura.

Subito dopo toccò a Trevor ed io, dietro a JJ, allungai il collo, interessata; il molliccio divenne un signore molto simile a Trevor che aveva in mano una pistola.

Vidi le spalle di Trevor tremare leggermente, prima che, pronunciata la formula, il molliccio diventasse un clown.

Lo vidi raggiungere gli altri, apparentemente indifferente, ma io ero l’osservatrice no?

Spalle rigide, postura innaturalmente eretta, pugni stretti… Trevor non era mai stato tanto nervoso.

Mi riscossi quando toccò a JJ, che sconfisse la proiezione della sua maestra d’asilo senza problemi.

Toccava a me; ero nervosissima, non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe comparso.

Il molliccio sembrò avere qualche difficoltà, poi si trasformò in un profondissimo burrone che partiva un centimetro dopo i miei piedi.

Urlai, terrorizzata dalla vista, e mi resi conto con orrore di non riuscire quasi a muovermi.

“Forza, Thomas! È un’illusione!” sentii l’incitazione della Tillmann e ripresi quel poco coraggio che mi era rimasto giusto per far sparire il molliccio prima che svenissi.

Sconvolta, tornai dai miei amici e ignorai deliberatamente il resto degli studenti.

Per fortuna, un quarto d’ora dopo, la lezione finì e mi catapultai a pranzo.

Poco prima che potessi raggiungere la Sala Grande, però, sentii una voce dietro di me, che mi fece rizzare i capelli.

Pietrificus Totalum!

Non è bello, non è normale, non è sano che la tua migliore amica ti pietrifichi in mezzo al corridoio.

Mi misero velocemente il mantello dell’invisibilità e il mio sguardo saettò da un Malandrino all’altro con puro terrore.

Questi erano i miei amici, dei pazzi sconsiderati che mi avevano appena rapito.

Cos’avevo fatto di male, nella mia vita precedente, eh?

Cos’ero stata, una specie di assassina pluriomicida?

Doveva essere il minimo per essere costretta ad una tortura simile.

Mi fecero levitare fino ad un passaggio segreto che riconobbi con orrore: portava alla Torre di Astronomia.

Ok, dovevo analizzare la situazione con sangue freddo.

Mi chiamo Emily Thomas e ho un problema.

Bene. Tutti sanno che il primo passo per la guarigione è ammettere di avere un problema.

Sono ormai ventitré giorni che non ho una giornata tranquilla che sia una.

Quasi mi aspettai di sentire un coro di “Ciao, Emily” dal mio gruppo di sostegno, che immaginai essere formato da Nott e altri malcapitati; potevo scommetterci che il capo era Rose.

Merlino, ma che diavolo di viaggio si stava facendo la mia testa?!

Andava bene, nello stato attuale delle cose temevo soltanto per la mia vita, ma era tutto ok.

Mi tolsero il mantello di dosso e venni investita da una folata di vento particolarmente forte; ero sull’orlo della Torre di Astronomia, paralizzata a prescindere dall’incantesimo e completamente impazzita.

No, non era tutto ok.

Stavo per essere uccisa dai miei migliori amici; e pensare che avevo soltanto impedito loro di mettere delle puntine sulla sedia del Professor Smith!

“Emily” esordì Roxanne, entrando nel mio campo visivo “Sono tre anni che tentiamo in tutti i modi di farti volare”

“Abbiamo provato in tutti i modi” continuò Freddie, arrivando dal lato opposto “Ti abbiamo chiesto di fare un tentativo, supplicato, ricattato, colpito nell’orgoglio… niente di tutto ciò ha funzionato”

“Quindi” disse Lucy “è arrivato il momento della terapia d’urto

Ero fottutamente terrorizzata.

Terapia d’urto di sticazzi, qui l’unica che avrebbe urtato il suolo ero io!

“Capisci, Em” continuò James “Noi lo facciamo per te!”

Ooooh, James Morto-che-cammina Potter, ti farò vedere io cos’ho intenzione di fare per te!

Sempre ammesso che riesca a sopravvivere all’impatto, ovvio; mi sarebbe bastata anche una paralisi, bastava avere una bacchetta.

“E poi” chiuse il discorso JJ “Non può essere nostra amica e non saper volare!”

Avrei voluto poter urlare che no, grazie tanto, ma facevo anche a meno della loro amicizia.

Una scopa venne incastrata nella mia mano pietrificata e cominciai ad andare in iperventilazione; tentai in tutti i modi di urlare, ma dalla mia bocca uscì solo un gemito strozzato.

“Chi tace, acconsente!” precisò allegramente Naomi.

Le ultime parole che sentii, prima di venire spinta giù, furono “Finite Incantatem”.

“FIGLI DI PUTTTANAAAAAAAA” urlai, avvicinandomi sempre di più al suolo.

Come si pensava?

Come ci si muoveva?

Come, come cazzo avrei fatto?

Cacciai fuori l’urlo più forte e angosciato che avessi mai fatto; ancora oggi, gli studenti si chiedono chi stessero sottoponendo alla Cruciatus, quel giorno.

Devi pensare, devi pensare, devi pensare, cazzo!

Il suolo si faceva sempre più vicino; ormai dovevano esserci meno di quindici metri.

Devi pens- PORCO MERLINO INCORONATO, NON PENSARE, AGISCI!

Come un automa strinsi la scopa che avevo nella mia mano destra e chiusi gli occhi.

Cazzo, Emily, METTI QUELLA CAZZO DI SCOPA SOTTO IL TUO FOTTUTO CULO DI MERDA!

Grazie a Merlino, il mio corpo ubbidì e la scopa impattò violentemente contro il mio fottuto culo; tutto ciò che vidi fu una distesa d’erba, prima che la cazzo di scopa, come se avesse vita propria, si rialzasse di scatto e mi portasse a volo radente.

Quanto mancava a terra? Una trentina di centimetri, m-mh?!

I Malandrini sarebbero morti tra atroci sofferenze.

 

***

 

“Ricordami perché ti diamo retta, Luc- ahhhi! Madama Chips! Stia attenta, per l’amor di Merlino”

Oh, sì.

Il mio ormai perenne ghigno mi faceva sentire potente come mai prima di quel momento.

Feci vagare lo sguardo sui sette letti occupati nell’infermeria e il mio ghigno si trasformò in un sorriso diabolico.

Chissene importava, se mi aspettava una detenzione di due mesi con Smith.

“Lucy, ti odio!”

“Hey, voi eravate d’accordo!”

“Non è- ahia! Poppy!”

“Faccia silenzio, Signor Weasley”

Le fratture e le molteplici costole che avevo spezzato appena scesa da quella diavoleria erano state musica, per le mie orecchie.

“Andiamo, però, ne è valsa la pena! Quanto cazzo è stato divertente?”

“In effetti non mi ero mai divertito così tanto”

“La sua faccia, ragazzi! La sua faccia era impagabile!”

Oh, sì.

Ero sotto il mantello dell’invisibilità e Madama Chips era appena uscita; me lo tolsi, sotto gli sguardi orripilati dei miei migliori amici, senza perdere il mio sorriso diabolico.

“E-emily…”

“Ragazzi” i miei occhi scintillarono, finalmente malandrini.

“Che ne dite… di un altro po’ di terapia d’urto?”

 

 

N/A

Questa storia è ALLUCINANTE. Quasi ai livelli della Sigaretta Magica.

Ma fa TROPPO ridere!

Ahahahah vi giuro che scrivere il punto di vista di Emily è stata una delle cose più divertenti che abbia mai fatto!

Non so che dire, se avete dubbi o simili, fatemelo sapere!

Un bacione, alla prossima!

Tecla

  
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