Cap 2
Se
telefonando…
Non era
possibile!
Avevo appena
ripiegato una fila lunghissima e quasi interminabile di canotte, quando la
stronza di turno – magra, pomposa, truccata da circo e che se la tirava più di
un elastico - cominciò a rovistare bellamente tra la stoffa ripiegata, come un
bambino nella propria cesta dei giochi.
Ma dico, sei cogliona?
Io mi faccio
il mazzo e tu arrivi -
fresca fresca
- e in mezzo secondo, scombussoli metà
scaffale?
Aaaah, meglio cambiare aria.
Con sguardo
truce e bocca sigillata, per evitare licenziamenti lampo, mi diressi alle casse
mentre Stefania finiva di imbustare l’acquisto di una ragazzina.
“Weee, bella Crì! Sei infervorata, stamattina?”
“Ma che cazzo
è?! Oggi tutte a me, porca di quella miseria! Prima la
vecchietta sclerotica che doveva comperare un top per
sua nipote e inizia poi ad insultarmi, perché vendiamo cose ignobili e
denunciabili. Senza contare la prima
donna di poco fa, che ha mandato a puttane il mio lavoro in mezzo secondo.
Ma bene, oggi ho proprio voglia di fare chiusura il
prima possibile!”
La sentii
ridere, prima di fiondarsi nei cestoni davanti alla cassa, per sistemare degli
accessori.
“Tesoro, che
ci vuoi fare. Tutti bravi a comprare e a pensare che siamo pagate per i loro comodi. Insomma, il rispetto lo vendono
solamente al 3x2 al supermercato? Mah, no words.”
Rabbrividii
per quel breve accenno di inglese, e Ste se ne accorse subito.
“Scuuusami, Crì!”
Feci
spallucce, simulando un sorriso che diede l’effetto sperato.
“Si è fatto
sentire questa settimana?”
“No, ma non mi interessa.”
Lei abbassò lo
sguardo concentrandosi su degli occhiali da sole, tornando poi a sorridermi
furbescamente.
“Certo, come
no. Luca come sta?”
Sospirai di
sollievo per il cambio di argomento. Santa
Stefania!
“Tutto bene, te con Leo?”
“Al solito:
prima litighiamo come pazzi e poi facciamo fuochi e fiamma a letto. E, voglio dire, chi si lamenta!”
Ridemmo
insieme delle nostre vite frenetiche, prima che una nuova ondata di clienti ci
riportasse ai nostri posti di combattimento.
Quando staccai
dal lavoro, era ormai pomeriggio inoltrato.
Mi persi tra i
vari negozi del centro lungo il tragitto per tornare a casa, ma mentre vedevo
scorrere davanti ai miei occhi milioni di colori, tessuti e abiti diversi, la
mia mente era da tutt’altra parte.
Purtroppo
esistevano giorni come quello: in cui tutto era superfluo ed
il flusso dei pensieri era troppo assordante ed ingombrante per poter semplicemente
far finta di niente. Allora la mia mente si perdeva in ricordi, emozioni,
sensazioni passate; ma anche nel futuro, nei desideri mai realizzati e in
ambizioni impossibili.
Ero diventata
una persona malinconia, molto riflessiva che le bastava un nonnulla per
capitolare e ruzzolare a terra.
Non era
necessariamente tutta colpa di Roberto… Non capivo nemmeno, perché stessi
pensando a lui in quel momento!
Sbuffai e dopo
aver comperato un paio di smalti colorati, mi diressi
spedita verso casa.
Mentre mi
chiudevo la porta dietro le spalle, sentii il cellulare squillare
insistentemente.
Sbuffai di
nuovo e dopo aver depositato a terra la borsa e mini sacchetto di Kiko, mi
accasciai sul divano.
“Pronto?”
“Buonasera,
signorina Moro. Si ricorda
- per caso, eh - di avere una madre?”
Sorrisi.
“Mamma! Certo che mi ricordo.. Spiritosona! Scusami, se non mi sono fatta sentire ultimamente, ma il lavoro,
lo studio e Luca: assorbono tutte le mie energie. Allora? Che
si racconta da quelle parti?”
Da quando mi
ero trasferita, il rapporto con mia madre sembrava
addirittura migliorato.
Fin da quando
ero molto piccola, avevo imparato ad amare quella donna un po’ burbera, con le
braccia muscolose dovute ad anni e anni di lavori in
fabbrica e quello sguardo dolce che quasi stonava con la sua persona.
Mia madre era
un mito per me; da sempre. Non l’avevo
mai vista abbattuta o demoralizzata per qualcosa.
Mancavano
soldi? Allora sotto con gli straordinari!
Mia figlia
voleva una barbie? Perfetto: quel mese non sarei andata dall’estetista.
Solo con il
tempo iniziai davvero a capire tutti i sacrifici e le rinunce che lei aveva compiuto
solo per farmi crescere come tutte le mie coetanee.
Non avrei mai
potuto ricompensarla per tutto quello che mi aveva donato, ma lei si sentiva
ripagata dai miei risultati negli studi.
Nonostante il
trasferimento di tre anni prima, ero riuscita a trovare il giusto ritmo per
prendere comunque dei bei voti anche in un istituto diverso da quello in cui avevo
studiato per quattro anni.
Quando mia
madre scoprì che avevo ottenuto uno dei voti più alti in tutto l’istituto
all’esame di stato, scoppiò letteralmente a ridere di gusto, organizzando una festa
di paese che ancora ricordavo con nostalgia.
Non avevamo
nulla, ma l’amore ci aveva riempito la vita.
“Il solito.
Giacomo, il figlio di Luigi il Panettiere, è stato beccato ancora a spacciare
davanti alla caserma. Ma io dico, carissimo figliuolo,
ti devi proprio fregare con le tue stesse mani? Certo che al
giorno d’oggi, pur di diventare “famosi”, i ragazzi si inventano di
tutto. Sì, lo so, lo so Scricciola, ormai questi
avvenimenti sconvolgenti per un piccolo paese come il nostro, a te non toccano
più di tanto. Lì a Milano sarà anche peggio. Te, tesoro?”
Sospirai,
reprimendo un moto di nostalgia. “Sì, mamma. Solita vita.”
“E perché ti
sento un po’ giù di morale?”
Bingo. Per questo evitavo di chiamare spesso
mia madre, mi conosceva talmente bene, che bastava un sospiro, una parola
sbagliata o un tono poco gioioso, a farle capire il mio stato d’animo.
“Roberto…”
Sussurrai, come se solo quel nome fosse l’unico artefice del mio turbamento
interiore.
In realtà, era
proprio così.
“Non
si è fatto sentire, vero?
Che strano, però! Ieri sera mi ha chiamata ed era la
seconda chiamata in tre giorni. Solitamente ci sentiamo qualche volta al mese e mi fa tremendamente piacere sentirlo, lo sai. Ma
non credevo che voi due non vi sentiste.
E’
successo qualcosa che io non so?”
Questa sì che
era bella! Quel coglione – sì, esatto – del mio ‘migliore’ amico, chiamava più
mia madre che me!
Com’era
possibile?
“Ah, perfetto!
Ora, oltre a evitarmi palesemente, mi sostituisce anche con mia
mamma… Che pezzo di merda!”
“Cristina, il
linguaggio!”
Deglutii
imbarazzata. Nonostante avessi vent’anni suonati, mamma continuava a sgridarmi come se
avessi ancora quattordici. Era bello, però; mi sentivo amata anche con quegli
ammonimenti che, di dolce, avevano ben poco.
“Scusa, mamma.
Sono isterica e depressa in questi giorni. Settimana scorsa abbiamo
‘festeggiato’ diciassette anni di amicizia e lui si è degnato di mandarmi un sms striminzito e di circostanza. Né una
telefonata, né una mail… Non so, ormai sono tre anni che più passano i giorni,
e più lo sento lontano anni luce da me.”
Sentii il
sospiro di mia mamma attraverso il cordless e in qualche
modo la immaginai seduta al tavolino d’ingresso, con il grembiule tra le mani e
la cornetta incastrata tra la spalla e la sua guancia.
“Si cresce, bambina mia. Ormai siete grandi e i sentimenti
cambiano… Forse dovete parlare seriamente di cosa avete bisogno. A volte quello
che desidera una persona, è diverso da quello che si aspetta di ricevere. Molto spesso si vuole di
più.”
Parole che mi
sembravano bellissime, ma sbagliate per me e Roberto.
Eravamo amici, semplici amici. Non volevo niente di
più da lui… Volevo semplicemente il rapporto che
avevamo prima: dove si giocava, si scherzava e ci si sosteneva a vicenda.
“Non so, non
credo di aver mai voluto niente di più da lui.”
“Non ho
certamente affermato il contrario.”
Scossi la
testa, troppo confusa per capire quel discorso così
poco concreto.
Salutai così
mia madre, promettendo di chiamarla più spesso e non a cadenze secolari.
Mi diressi
così in bagno e mi feci una bella doccia rigenerante.
Il caldo da
sempre confonde e destabilizza, facendoti perdere la
lucidità necessaria per affrontare la vita.
Io, però,
amavo il caldo e l’estate. Amavo anche l’inverno, la cioccolata calda ed il camino.
Amavo vivere,
quella era la verità. Ero così attaccata alla vita, che provavo ogni giorno a
renderla migliore e perfetta.
Ma gli anni stavano passando, io stavo
crescendo e mi sentivo sempre più lontana da quella ragazzina con il sorriso
indelebile sulle labbra e la risata scoppiettante per ogni cosa.
La nuova
Cristina, però, mi piaceva. Era un’agglomerazione di tutto quello che avevo
vissuto e tutto ciò che, in fondo, volevo ancora essere.
Avevo messo da
parte la mia passione per la fotografia, per concentrarmi sullo studio e
diventare un medico. Io? Un medico? Sì, ancora non ne ero convinta, ma presto
lo sarei stata.
Qualche
settimana e avrei passato il test di medicina, riservandomi un futuro più
stabile e roseo del passato.
Volevo
ripagare mia madre di tutte le fatiche fatte, per avermi cresciuto come tutte
le mie amiche con entrambi i genitori.
Volevo essere
finalmente felice e ce l’avrei fatta.
Uscii così
dalla doccia e mentre iniziai a frizionarmi i capelli con l’asciugamano, sentii
la suoneria del mio cellulare provenire dalla camera da letto.
Attraversai
così la porta del mio bagno e mi gettai sul letto.
“Pronto?”
Nessuno mi
rispose e subito dopo la chiamata venne interrotta.
Strabuzzai gli
occhi e guardai il numero che mi aveva appena chiamato.
Roberto?
Ma oltre ad
essere cretino ora era anche infantile?
Con stizza, mi
alzai a sedere, premendo il tasto di chiamata.
Ora sì che mi
sarei sfogata per bene.
Una voce
trafelata e ansante rispose prima di far partire la segreteria telefonica.
“Pr-roonto? Sono occupato, ti richiamo
domani maaamma!”
Inutile dire,
che il mio umore peggiorò inesorabilmente.
“Se sei così
impegnato, caro mio, evita di chiamare la gente prima di trombare. CIAO!”
Gettai il
cellulare sul letto e mi tolsi l’asciugamano dal corpo, cercando i vestiti
nell’armadio.
Perfetto!
Quell’ammasso di ignoranza, ora mi mostrava anche le
sue doti canore durante le sue prestazioni. Santo
cielo! Si era davvero rincoglionito ed io certamente non volevo perdere altro
tempo con una persona che non riconoscevo più.
Quel bambino
del ritratto sul mio comodino, non esisteva più; dovevo ammetterlo a me stessa
prima di stare ancora più male.
Il telefono
tornò a squillare, lasciandomi interdetta ed indecisa
sul da farsi.
Alla fine,
decisi di rispondere, pronta per troncare definitivamente il nostro rapporto.
“Che cazzo
vuoi?”
Sentii il
chiudersi di una porta ed un sospiro sommerso. “Ciao, Cris…”
“Ciao,
Roberto! E’ un piacere sentire ancora la tua voce; pensavo fossi morto dopo
l’orgasmo!” Troppo acida, ma se lo meritava: e che cavolo!
Sospirò ancora e lo immaginai
appoggiato di schiena alla famosa
porta, mentre osservava il soffitto.
Lo faceva
sempre in passato quando era pensieroso, chissà se soleva ancora farlo.
“Scusami, Crì: davvero! Avevo il
cellulare nei jeans e mi è partita la chiamata.. Come
stai?”
“Roberto, non
dobbiamo per forza fare conversazione. Salutami la fanciulla
e ci risentiremo più avanti.”
Non ero più così sicura delle mie azioni.
E poi cosa
diamine dovevo dirgli?
Hey,
ciao! La nostra amicizia non funziona più come prima; è meglio finirla qui! Stammi
bene, eh!
Non era
giusto, per niente. Non se gli avevo voluto un mondo di bene… Quell’argomento,
così indelicato, doveva essere trattato di persona, non per telefono a 6458 km
di distanza.
Dio, era così lontano…
“Cos’hai, Cristina? Non è da te una risposta simile. Mi spiace
averti risposto così prima… Non avrei mai creduto fossi tu il destinatario di
quella chiamata. Ora che siamo in linea, vorrei sentirti un po’. Ultimamente ho
pochissimo tempo per chiamare anche mia mamma e vorrei
sentirti più spesso.”
Bugiardo. Aveva avuto il tempo di chiamare due
volte mia madre nella stessa settimana e sicuramente aveva sentito la sua ancor
di più.
Mi stava
mentendo, ne ero certa, anche se non potevo provarlo in alcun modo.
Sentivo
sottopelle che non era la verità, che mi stava tenendo buona con una
motivazione plausibile, impossibile da contestare.
Un lacrima amara rigò la mia guancia e
chiusi gli occhi per non vedermi riflessa nell’armadio di fronte al letto.
Forse era
meglio se non mi avesse richiamato; se mi avesse continuato ad
evitare come stava facendo da mesi.
Faceva male da
morire sentirsi così inutili; così stupidi. Mi ero costruita un’amicizia che
forse aveva smesso di esistere da troppo tempo.
“Capisco, anche io sono incasinata ultimamente. Scusa, devo
andare a preparare la cena, prima che torni Luca! Sai come
sono gli uomini, no?”
Lo sentii
ridacchiare, prima di rispondermi. “Certo, Crì! Corri dal tuo bello, a presto.”
“Ciao…”
Lo sussurrai
appena, ma chiusi la chiamata prima di sentire la sua risposta.
Ero
frastornata, mentre cercavo di infilare una canotta e dei pantaloncini.
Mi sentivo
vuota, inutile: come se il mondo mi fosse definitivamente crollato addosso.
Non ebbi la
forza di rialzarmi.
Mi rannicchiai
semplicemente sul letto, guardando fuori il sole che si nascondeva tra gli
alberi secolari della mia via.
Poco dopo, una
mano mi strinse un fianco, trascinandomi contro un petto caldo, che ormai conoscevo
a memoria.
“Hey, ciao…”
Luca mi sorrise,
trascinandomi sopra di sé.
“Buona sera,
piccola. Stai male?”
Appoggiai il
mento contro il suo torace, accennando un sorriso. “Sono sempre la solita.. Dono sempre tutta me stessa a delle teste di minchia!”
Luca roteò gli
occhi, accarezzandomi poi il viso, trascinandomi più vicino al suo sguardo.
“E chi lo dice
che questo sia un difetto? Io amo il tuo modo di donarti agli altri, senza
avere per forza avere riscontri o tornaconti personali. Tu sei così, Crì: doni tutta te stessa al mondo ed è difficile non
volerti bene. Se poi esistono degli stronzi che se ne approfittano, non per
questo tu devi smettere di essere te stessa. In fondo, c’è sempre chi ti ama
per come sei… Ad esempio, uno a caso, eh: io!”
Mi baciò la
fronte, strappandomi un sorriso beato.
Come avrei
fatto senza di lui?
“Sei un
lecchino del cavolo…”
Sorrise sulle
mie labbra, prima di baciarmi con dolcezza.
Sapeva di
caffè e menta, ormai lo conoscevo a memoria.
Prima di
tornare a casa, era solito andare a prendere un caffè con i colleghi, come
piccolo festeggiamento, dopo una giornata massacrante al negozio. E dopo il suo
caffè, adorava mischiare il suo sapore con le
Brooklyn, sue chewing gum preferite da secoli.
Sentire il suo
sapore, la morbidezza della sua lingua in contrasto con la ricrescita della
barba che mi graffiava il viso: era ciò che amavo di più. Come la sensazione di
benessere che ti pervade quando varchi la soglia di casa, dopo una giornata di
lavoro lunga e pesante.
Questo era
Luca per me: casa, vita, amore. Era tutto ciò che avevo ricercato per anni e
che avevo trovato così inaspettatamente, quando avevo smesso di cercare.
“Che ne dici
di dormire da me stanotte? Prenotiamo una pizza e guardiamo un film, così non
devi cucinare e possiamo rilassarci insieme..” Un
bacio sulle guancia.”..sotto la doccia..”Un bacio
sotto il mento. ” nudi…” Un morso sul labbro “fino all’arrivo della pizza. Ci stai?”
E come avrei
potuto rifiutare?
“Sei un
ricattatore.” Sbuffai, alzandomi dal letto, iniziando a frugare nell’armadio.
“Lo so, che a
voi donne piace essere ricattate o per
meglio dire dominate.”
Mi voltai
verso il letto, guardandolo shockata e rossa in viso.
“Ma sei cretino?”
Lui
semplicemente mosse la mano, come per scacciare una mosca.
“È colpa di
quella merda di libro che hai lasciato a casa mia. Cinquanta segaioli di
grigio.. Ma dai! E voi donne sbavate per un tizio
simile? Non sono meglio io, scusa?”
Mi voltai di
nuovo verso i vestiti e roteai gli occhi, sorridendo.
Era sempre il
solito.
“Non fare
l’egocentrico, Christian Grey ha fascino ed è pure
ricco.”
“E certo!
Saremo anche in continua evoluzione, ma alla fine si va a finire sempre lì:
l’uomo ricco, bello, dotato di macchine sportive, ma sterile quanto un guanto
in lattice! Ma dov’è finito il principe azzurro con il suo amato destriero
bianco?”
Scoppiai a
ridere, prendendo il borsone ed infilandoci il pigiama
e il cambio per il giorno dopo.
Lo vidi
avvicinarsi a me, gattonando sul letto come un bimbo.
“Ridi, ridi:
io non ci vengo più a sorbirmi film romantici e
strappalacrime quando hai il ciclo! Altro che principe azzurro, devo comprarmi un frustino in pelle! Che colore preferisce, signorina Steele?”
Gli diedi una
gomitata, facendolo ricadere sul letto.
Era proprio un
cretino!
“Ma la finisci? Guarda che rimango a dormire qui e ti lascio
passare una notte in bianco, con tanto di Christian Grey
a molestarti nel sonno.”
Lui si
risollevò velocemente, catapultandomi sul letto sotto di lui.
I suoi capelli
mi solleticavano la fronte e il suo sorriso mi abbagliava.
“Preferirei
essere molestato da te, lo sai. Non è che leggi quei
libri perché sei insoddisfatta della tua vita sessuale? No, perché.. Sai, basta dirlo, io mi offro volontario.”
Mi baciò il
collo, facendomi sciogliere all’istante.
Stare insieme
una persona da tanto tempo, comporta diverse cose: come sentirsi profondamente
capiti quando nessun’altro sembra riuscire a ragionare
come te, ma anche sentirsi terribilmente scoperti, perché conosceva alla
perfezione ogni tuo punto debole, ogni tua fissazione o, semplicemente, cosa
adoravi ricevere quando eri distrutta dal ciclo e incazzata con il mondo
circostante.
“Va che
stronzo che sei.”
Lui ritornò a
guardarmi, fingendo stizza. “Sì, certo: come se ti facesse schifo quello che ti
sto facendo.”
E tornò sul
mio collo con le labbra, le sue mani strette sul mio seno e la fronte sopra la
mia.
Le sue carezze
erano sempre inebrianti, anche se conoscevo a memoria il calore della sua pelle
contro la mia, sempre un po’ più fredda.
Nonostante
avesse le mani piene di calli e con le unghie rovinate dagli anni di lavoro,
trovavo il suo modo di toccarmi leggero e morbido. Mi trattava come seta, e
forse per lui, lo ero davvero.
“Hai chiamato
Roberto, vero?”
Mi bloccai,
mentre gli accarezzavo la pancia sotto la maglietta e mi ritrovai ad immergermi in uno sguardo duro e leggermente triste.
“Sì e l’ho
beccato mentre trombava allegramente e senza pudore.”
Luca aggrottò
le sopracciglia, facendo una smorfia divertita.
“E’ normale
trombare allegramente e senza pudore, Crì. Sei gelosa di lui?”
Gli diedi un
colpetto sulla spalla, decisamente contrariata. “Ma sei fuori? Ovvio che NO! Solo che poteva evitare di
rispondere in quel modo o inventare palle su palle,
come sta facendo da un po’. Lasciamo perdere, dai. Non
voglio parlarne e poi stiamo facendo altro, no?”
Lui mi guardò
per qualche secondo in un modo strano, quasi come se mi stesse scrutando dentro
l’anima, ma poi tornò a sorridermi come al solito,
baciandomi la punta del naso.
“Ok, Signorina Rottenmeier,
però continuiamo a casa mia che ora prenotiamo le pizze e mi vado a fare una
doccia. Puzzo come un’animale.”
Annuii, ma
prima che lui mi liberasse dal suo peso e dal suo dolce abbraccio, seppellì la
testa fra i miei capelli, respirandone il profumo.
“Ti amo, Cris, lo sai?”
Sorrisi ancora,
perché nonostante me lo dicesse da tre anni, era sempre più bello sentirselo
dire con lo stesso tono eccitato e commosso della prima volta.
“Anch’io,
Luca. Anch’io.”
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Eccomi
qua con il nuovo capitolo!
La storia procede come avevo pensato e ci stiamo addentrando nella vita di
Cristina. Una vita essenzialmente normale, con qualche
difficoltà.
È finalmente comparso il nuovo Roberto del presente, un po’ cresciuto e decisamente diverso da quello che vi ho presentato
all’inizio. Pian piano, scopriremo cosa è successo, ma ora concentriamoci solo
su quello che abbiamo in mano :)
Un’altra
cosa fondamentale di questo capitolo, è ovviamente il
rapporto di Cris con Luca.
Molte
di voi hanno detto già di non sopportarlo, ma vi assicuro che è di una dolcezza
unica e non è il solito ragazzo insulso, senza palle e da lasciare in tronco
per correre dal migliore amico figo di turno. No, la
storia è un po’ diversa e cercherò di seguire il più possibile la mia idea
originale.
Spero
di avervi fatto cosa gradita con questo aggiornamento
e spero di leggervi ancora più numerose nel prossimo.
Grazie
di tutto, soprattutto a chi spende tempo a leggere e chi – ancora di più -
spende tempo a recensire con parole sempre troppo belle per me.
Vi
abbraccio tutte e vi aspetto nel mio gruppo!
A
presto <3