Cap 1
Mancanze
dolorose
Estate 2007
Attraverso le persiane abbassate, il sole cercava di raggiungere lentamente il
mio letto, per farmi svegliare completamente.
Quella
mattina, a differenza di tutte le altre, non avevo bisogno di grandi
stratagemmi per abbandonare il mondo onirico.
Solitamente
ero pigra fino a livelli quasi imbarazzanti ed ero capace di addormentarmi
anche ogni santa mattina sul pullman per andare a scuola.
Per
fortuna avevo vicino a me Roberto e Arianna, i miei due migliori amici, che a
turno si occupavano di me. Ma presto tutto sarebbe cambiato e mi sarei
ritrovata senza spalle a cui sorreggermi e davanti a
strade sempre più insidiose da percorrere solo con le mie gambe.
Ieri
sera, dopo la mia festa di compleanno, avevo sperimentato il dolore più grande
di tutti: la perdita di una persona amata.
Di
solito la perdita è dovuta alla morte
improvvisa della suddetta persona, ma – in quel caso - era solo una partenza
con un ritorno non ben definito.
Quel
coglione del mio migliore amico aveva deciso di andare in America a finire gli
studi e provare a realizzare il suo sogno da bambino :
diventare un cantante.
Quel
ritardato con un cervello da bradipo voleva andare in America per realizzare un
sogno impossibile!
Era
inutile dire che ero nera di rabbia e ferita nel profondo.
Come
avrei fatto senza di lui?
Razza
di cretino...
Mi
voltai nel letto e lo trovai al mio fianco, intento a sonnecchiare beatamente.
Io
ero agitata, frastornata e con un gran mal di testa per colpa degli alcolici
assunti solo qualche ora prima.
Non
ero un ragazza che eccedeva in quel tipo di consumi,
però la notizia bomba della partenza di Roberto, mi aveva distrutta e
destabilizzata. Non lo diedi a vedere : manco morta! Però soffrivo nel profondo della mia anima.
Perché
lui non sembrava minimamente toccato dal nostro prossimo addio?
Perché
ero l’unica che si sentiva male solo al pensiero di non averlo più al mio
fianco?
Mi
sedetti sul bordo del letto, osservando i miei piedi muoversi avanti e indietro
con fare agitato.
E
pensare che una settimana prima avevamo festeggiato
dodici anni di amicizia… Stronzo!
“Cris?”
Mi
voltai verso di lui, scoprendolo sveglio ed intento ad
osservarmi.
“Buongiorno.”
Misi
il broncio, senza volere. Purtroppo, i pensieri di poco prima erano ancora ben
presenti nella mia mente.
“Ce l’hai con me?”
No, figurati. Vorrei solo
sotterrarti e dimenticare che esisti.
“No.”
Lui
sospirò, avvicinandosi a me.
“Lo
sai che ti conosco fin troppo bene e che capisco subito quando menti?”
Mi
voltai di nuovo, tornando ad osservare l’armadio di
fronte ai miei occhi.
Non
volevo mostrargli la mia debolezza e la mia fragilità di fronte alla sua
imminente partenza.
“Allora
non avresti dovuto chiedermelo! Lo sai benissimo cos’ho e non hai bisogno di
girarci intorno! Fuori dal mio letto, subito.”
Mi
alzai, continuando a dargli le spalle e avvicinandomi alla finestra posta sul
fondo della stanza.
Il
sole era sempre più alto in cielo e i miei occhi bruciavano solo ad osservarlo da lontano.
Per
lo meno, avevo trovato un’ottima scusa per nascondere le prossime lacrime.
“Cris...”
Mi
posò una mano sulla testa, senza sfiorarmi davvero.
Sapeva
che, quando ero arrabbiata e ferita, non volevo essere toccata da nessuno. Era
come se mi sentissi compatita e ancora più fragile di come fossi realmente.
Per
questo ero io ad avvicinarmi alle persone, silenziosamente e a testa bassa,
quando avevo bisogno di un abbraccio rincuorante.
“Non è un addio, Crì. Io…” Contro ogni
regola, ogni spazio personale, ogni mia vana idea di riservatezza mi abbracciò
da dietro, stringermi forte le braccia sotto il petto.
Dio,
mi veniva davvero da piangere.
“Te
lo prometto, Crì. Tornerò
presto e mi farò sentire più che posso… Non ce la faccio più a stare qui. Papà
continua a bere senza sosta e la mamma ormai ha avviato le pratiche per la
separazione. Capisci? Senza di lei, io come faccio a sopportarlo? Ho
diciassette anni, voglio essere spensierato e felice come i miei coetanei.
Credimi, non ce la faccio più a tornare in quella casa: tra quelle mura che
sanno di agonia.”
Mi
si strinse il cuore, sentendo quelle parole sofferte e ricolme di dolore e
angoscia.
Roberto
parlava solo con me della sua situazione familiare, nessun’altro
sapeva che i suoi bellissimi sorrisi erano molto spesso una mostra di pesanti
maschere folgoranti, che nascondevano l’amarezza di un dolore ben più profondo
di un semplice addio tra amici.
Lui
soffriva moltissimo quella situazione, però era anche conscio che Giovanna le
aveva provate tutte, prima di fare un passo così importante e devastante.
Mario
era un brav’uomo, lo sapevo bene. Ma quando prendeva in mano un bicchiere di
vino, non era mai solo uno e il succedersi delle bottiglie sul tavolo, dava
inizio ad una mostruosa routine che per Roberto era
diventata vita.
No,
non si meritava tutto quello.. Non lui. Non la persona
migliore che conoscessi.
“Rob, lo sai che puoi venire qui;
c’è spazio per tutti. Per mamma, sei come un figlio.”
Mi
voltai, incontrando il suo sguardo liquido e profondo. Sembrava contenere tutto
il dolore del mondo, in due semplici occhi blu.
“Non
voglio essere un peso per nessuno; tantomeno per Paola
che è una donna magnifica e forte. Vado in America per fuggire, perché sono un
codardo. Ma, non è solo per quello…Voglio anche rincorrere il mio sogno e se
non ci riesco… Beh, terminerò gli studi e lavorerò per ritornare qui e vivere
da solo, senza dipendere dalla mia famiglia : da lui. Poi, non brancolo nel buio, ho
degli zii materni lì, posso farcela.”
Gli
accarezzai una guancia, sapendo perfettamente che - qualsiasi cosa avessi
pensato o progettato per fargli cambiare idea – era completamente inutile.
Roberto era testardo quasi quanto me.
“Allora
non posso fare nulla per farti cambiare idea, v-vero?”
I
miei occhi si riempirono di lacrime, nonostante odiassi farmi vedere da altri
in quello stato.
A
dispetto di ciò, Roberto non era uno dei tanti, ma il mio migliore amico. Lui…
lui non mi avrebbe mai deriso, lo sapevo perfettamente, ma odiavo che avesse
quel tipo di potere su di me.
“Mi
fai sentire un verme così. Dai, Crì…”
Mi
strinse a sé, assistendo a tutti i singhiozzi che, famelici, mi privavano di
aria. Il suo pigiama accolse le mie lacrime, le sue labbra solleticarono più
volte la mia fronte mentre sussurravano il mio nome, ma in quel momento ciò che
mi aveva completamente ammaliata, era la sua mano che
accarezzava i miei capelli scompigliati dal sonno.
Stavo
soffrendo tra le braccia del paradiso ed era così dolorosamente bello, da farmi
piangere ancor più forte.
“Rob, mi mancherai tantissimo.”
Lui
sospirò, come se gli mancasse fiato.
“Non
hai idea di come mi sento all’idea di lasciarti qui da
sola. Però, ci sono gli altri e la tua vita è qui con tua
mamma.“ Prese fiato, mettendomi le mani sulle spalle, per
guardami meglio negli occhi. “Cris, promettimi
che non ti dimenticherai di me; di noi.
Che chiunque entri nella tua vita, tu non gli farai prendere
il mio posto… Ho paura di perdere ciò che siamo. Nessuno potrà mai contaminare
dodici anni di amicizia con insulsi pregiudizi e stupidi cliché.”
Mossi
solo la testa come muto assenso e mentre le lacrime scorrevano coraggiose lungo
le mie gote arrossate dal pianto, sentii le sue labbra umide sulle mie.
Non
mi aveva mai baciato, ma forse quello non poteva nemmeno definirsi un bacio
degno di tale nomea.
Era
solo una carezza tra labbra morbide ed inumidite dalla
consapevolezza che il tempo, oltre ad essere guaritore di ferite, è anche
artefice di dolori più grandi.
Eravamo
adolescenti e per quanto ci ostinassimo a tenerci legati con le promesse di due
sognatori sgangherati, il fato aveva ben altro in serbo per noi.
Una settimana dopo
Settembre 2007
“Il
volo 435, Ryan Air, diretto a New York City sta per decollare. Si avvisano i
gentili passeggeri di apprestarsi a raggiungere il gate
22, negli imbarchi internazionali.”
Il mio sguardo si precipitò sul suo volto
triste e malinconico. Nonostante l’imminente partenza, Roberto cercava di
sorridermi come sempre.
“È proprio arrivato il momento.”
Deglutii vistosamente,
annuendo.
“Allora… Ciao!”
Ma mi si
ruppe la voce proprio su quella o, su
quella frase che non aveva nemmeno un briciolo della felicità che volevo
trapelasse.
Roberto mollò il borsone malamente sul
pavimento, stringendomi di nuovo tra le sue braccia come nell’ultimo quarto
d’ora.
“Ti chiamerò tutti i giorni, te lo prometto.
Cercherò un internet point o
qualcos’altro per sentirci almeno tramite Mail, Messenger: qualsiasi cosa. Non
mi scorderò di te, del tuo profumo, della tua somiglianza con Ursula il giorno
dopo una festa o il tuo pigiama con Topolino… Vedi come sono patetico? Dico cose insulse…”
Mi strinse ancora più forte mentre l’ultima
chiama del suo volo, riecheggio pesantemente nelle mie orecchie.
Era arrivato il momento.
Lo sento ancora sotto pelle il freddo che
provai quando sciolse l’abbraccio.
Nonostante facesse caldissimo quel giorno, sentii
il mio cuore fermarsi, ghiacciarsi ed immergersi nel
dolore più profondo.
Roberto riprese il borsone e finse un saluto
militare, facendomi sorridere tra le lacrime. Mimò poi un ciao con le labbra senza emettere alcun suono e si avviò verso il gate.
Urlai il suo nome fino a sentire male alla gola
e gli corsi in contro, disperata, per vederlo un’ultima volta. Eppure, l’unica
cosa che vidi fu il suo viso triste, solcato da una lacrima esibizionista che
sfuggì al suo controllo.
Questo ricordo tormenta ancora le mie notti.
Agosto 2012
Presente
Mi svegliai di colpo, dopo aver sognato ancora
quell’addio che da cinque anni continuava a tormentarmi di tanto in tanto.
Ero tutta sudata, accaldata; segno che l’estate
era ancora intenzionata a rovinare il sonno e le giornate alla maggior parte
degli italiani.
Mi girai sull’altro fianco, trovando il viso
rilassato di Luca a pochi centimetri dal mio.
Era sempre così bello anche con il sudore che gli bagnava leggermente la fronte.
Capelli
lunghi fino alle spalle color cioccolata e occhi del medesimo colore,
incastonati in un viso tipicamente mascolino, con tanto di mascella
ben pronunciata. Anche la sua carnagione era bellissima, olivastra come la mia,
e possedeva un fisico
muscoloso, ma con quella pancetta strategica che – onestamente- mi faceva
impazzire.
Sbuffai, pensando che anche quella lunga
giornata estiva era dedicata allo studio per l’imminente esame di ammissione
all’università, dopo che avevo passato l’anno sabbatico a lavorare come
commessa da Bershka, nel centro di Milano.
Mi ero trasferita ormai da tre anni,
abbandonando la mia piccola città per diplomandomi qui nella metropoli.
Ahimé, con il
trasferimento, avevo perso le ultime amicizie che ero riuscita a conservare, ma
– fortunatamente - ero riuscita a farmene altre.
Niente di profondo, di troppo stretto, tranne con
Stefania che dopo essere stata mia collega, sarebbe stata anche mia futura
coinquilina dopo che la mia vecchia compagna di bollette, si sarebbe trasferita
all’estero per gli studi proprio a fine mese. Fortunata lei, io non avevo
nemmeno il denaro necessario per arrivare a pagare le prossime spese, senza
dare di matto o lavorare come una dannata.
Mi alzai dal letto, ancora mezza nuda, ma incurante di tutto.
Mi diressi in cucina, inciampando quasi nel
divano, perché faticavo a tenere gli occhi aperti.
Presi un bicchiere d’acqua fresca e mi sedetti
al tavolo, continuando a fantasticare con la mente.
Erano passati quasi cinque anni e pochi giorni
prima, avevamo festeggiato diciassette anni di amicizia. Festeggiato… oddio,
era un eufemismo. Avevo ricevuto semplicemente un suo sms striminzito,
provvisto solamente di uno smile finale :
Auguri, vecchiaccia mia. Sono
diciassette anni ormai.
Baci, Bob ;)
Fottiti, avrei voluto rispondergli, perché negli ultimi tre anni, aveva
completamente dimenticato cosa significasse la parola amico.
Certo, non era stata tutta colpa sua.. Gli anni erano passati, noi eravamo cresciuti e l’ultima
volta che era venuto a trovarmi risaliva
a due anni, sette mesi e quindici giorni prima.
Ormai mi ero abituata alla sua assenza, anzi;
era anche meglio così. Ora sembrava addirittura una persona completamente
diversa da quella che io pensavo di conoscere.
Il
Roberto che conoscevo io non passava tutto il tempo davanti allo specchio, non
si vantava delle sue conquiste e non manifestava facilmente le sue emozioni.
Lui non mi avrebbe mai insultata, derisa o schernita :
ma così era successo.
Prima per sciocchezze, poi per cose sempre più
importanti, la nostra amicizia era diventato un
fantasma rattoppato di quella che era in passato.
A volte rimpiango quello che eravamo; quello
che possedevamo, però eravamo due adolescenti pieni di problemi e bisognosi di
aiuto reciproco.
Non mi pento di nulla, però – a volte - penso a
quello che avremmo potuto essere se lui non fosse partito o per lo meno se
fosse ritornato da me.
Così non era successo, d’altronde la vita non è
un film – soprattutto la mia.
Lui aveva trovato la sua strada, la sua vita.
Aveva aperto un locale, dove si esibivano
piccoli gruppi o cantanti underground rigorosamente live
e aveva acquisito anche un certo successo nella zona.
Ero felice per lui, anche se non era diventato
un cantante, continuava a rimanere nel mondo della musica. All’inizio percepivo
il suo entusiasmo nelle nostre telefonate e mi rendeva felice di riflesso
questa sua piccola vittoria. Se solo… No, non dovevo pensarci. Era meglio così.
“Buongiorno, piccola.”
Luca si era svegliato e mi aveva baciato
fugacemente sul collo, prima di sedersi al mio fianco.
“Buongiorno, amore. Dormito
bene?”
“Sì, anche se fa troppo caldo. Oggi che turno fai?”
Affondai il viso tra le braccia al pensiero di
un’altra giornata di lavoro.
“ Pomeriggio, ho pure gli straordinari. Saldi
del cavolo! Te?”
Lui mi accarezzò una guancia, sorridendo
sornione.
“Oggi sono di riposo, c’è mio fratello che ha
bisogno di lavorare per pagarsi la vacanza con la ragazza. Ah,
goduria per le mie orecchie.”
Si alzò poi, concedendomi una bella visuale del
suo fondoschiena strizzato nei boxer neri.
“Caffè?”
Voltandosi per pormi la domanda, mi beccò in
flagrante, ma io con nonchalance cercai una via di fuga nel forno vicino alle
sue gambe.
“Sì, grazie.”
Lui si voltò completamente verso di me, alzando
un sopracciglio.
“Non mi guardare così,
Cristina. Sai che poi non rispondo di me.”
Feci il broncio, cercando di simulare ingenuità
dallo sguardo.
Luca mi si avvicinò con quel suo portamento
così virile, prendendomi in braccio.
“Per il caffè, possiamo attendere.”
__________________
Ed eccomi con un nuovo
aggiornamento!
Ho preferito scrivere capitoli
più brevi dei miei “soliti”, per dare anche l’idea del tempo che passa.
Non mi dilungherò molto; questo è
solo l’inizio. Non scoraggiatevi, per chi mi conosce, sa quanto amo i lieto fine e sicuramente ci sarà anche in questa storia
(almeno spero).
Roberto e Cristina si sono
allontanati con gli anni e lei ora sembra fidanzata con un uomo affascinante e
dolce.
Cosa è successo veramente?
Beh, lo scoprirete nella prossima
puntata :)
Ringrazio i coraggiosi che mi
hanno inserita tra i preferiti/ricordati e seguiti.
Ringrazio chi ha recensito e chi
mi continua a supportare da mesi.
Un bacio enorme e a presto <3
Ps: il nome della città natale di Rob e Cris non sarà mai rivelato,
semplicemente perché non esiste. E’ un mix di vari posti che ho visitato e ho
preferito foste voi a darli un nome e una
collocazione.
Pss: all’inizio del capitolo Rob e Cris hanno diciassette e
quindici anni. Comprendo il vostro turbamento, perché sembrano
più maturi della loro età, anche solo nel modo di porsi… Però, posso garantire
che la vita li ha fatti crescere in fretta, chi per una cosa, chi per l’altra.
Spero di non aver fatto troppi
casini!