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Autore: Pikky    29/08/2012    1 recensioni
[NUOVO CAPITOLO ON-LINE]
Daniela è cotta di Marcello. Fin qui tutto normale, no?
C'è solo un 'piccolo' problema, tuttavia, oltre al fatto che lui abbia otto anni in più di lei: Marcello è il suo professore.
Daniela sa benissimo che tra loro non potrà mai esserci niente, eppure, in partenza per la gita a Parigi, continua a sperarci e ad abbandonarsi a sciocche fantasie da diciottenne innamorata.
Contrariamente ad ogni aspettativa, Daniela scopre che anche Marcello prova per lei i suoi stessi sentimenti. Come affronteranno la situazione?
[Dal capitolo 5:
Come continuavo a ripetermi, dovevo archiviare il passaggio di quella stupida rondine che aveva sbagliato stagione, e dedicarmi ad altro.
[...] Ormai non sarebbe stato più come prima: se avessi dato spazio alla mia fantasia, questa avrebbe immaginato un seguito a ciò che era successo il giorno prima, e sapevo benissimo che così non sarebbe stato. Mai.
Avere avuto quell’assaggio aveva cambiato tutto. Prima, infatti, quando mi lasciavo andare a quelle sciocche fantasie da ragazzina innamorata, sapevo che sarebbero rimaste tali, mentre ora, se l’avessi fatto, avrei segretamente sperato che si attuassero, che avrei finalmente avuto la mia primavera.
]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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CAPITOLO NOVE

 

La primavera era arrivata, ma solo da un punto di vista esteriore, non interiore. A dirla tutta quella era una primavera di nome, non di fatto. L’inverno, infatti, si stava prolungando, e il freddo non accennava a diminuire.

Che fosse un segno del destino?

I giorni passavano, tuttavia non così velocemente come avevo sperato a Parigi, poiché Marzo non era ancora giunto al termine e mi sembrava fosse passata un’eternità di tempo, dalla gita, sebbene fossero trascorse solo due settimane.

La caviglia era andata perfettamente a posto, e un po’ mi era dispiaciuto, perché assieme alla fasciatura era andato via anche il ricordo più tangibile che mi rimaneva di quei bellissimi momenti trascorsi con Marcello.

A scuola diventava sempre più difficile seguire le sue lezioni, inoltre. Prendevo appunti semplicemente per inerzia, senza ascoltare realmente quel che lui dicesse, e non mi preoccupavo troppo del fatto che spesso le frasi e le parole che trascrivevo fossero senza senso: Greta non si faceva problemi a passarmi gli appunti, capiva perfettamente, sebbene segretamente continuasse a tifare per Valerio.

Avevo passato parecchio tempo con lui, in quegli ultimi giorni. Ogni intervallo era solito raggiungere me, Alessia e Greta; se la mattina lo trovavo ad aspettare il bus gli offrivo un passaggio, e infine almeno una volta a settimana mi proponeva di andare a bere una cioccolata, o di fare una passeggiata, e io accettavo volentieri. Tra noi era tornato tutto come prima che ci mettessimo insieme. Stavo bene in sua compagnia e lui evidentemente tirava un sospiro di sollievo, quando era con me, perché lo vedevo sereno nonostante tutti i suoi problemi, riguardo ai quali non mi aveva ancora accennato nulla. Nemmeno io però gli avevo detto nulla riguardo Bassi: temevo di ferirlo, che dopo quella confessione si sarebbe allontanato da me e io non avrei più avuto quell’amico fidato di cui avevo bisogno. Non ero pronta a perderlo di nuovo.

Marcello non aveva più mostrato gelosia, nei confronti di questo rapporto che si era instaurato nuovamente tra me e Valerio. Gli avevo spiegato come stavano le cose, rispondendo alla sua e-mail e gli avevo detto che non aveva alcun motivo di preoccuparsi; lui grazie al cielo si era mostrato molto comprensivo e si era addirittura scusato per essersi fatto un'idea sbagliata e per avermi chiesto così brutalmente cosa ci fosse tra me 'quel ragazzo'. Io non lo biasimavo. Ero anzi grata del fatto che lui avesse agito a quel modo, perché così avevamo avuto occasione di iniziare quella corrispondenza via e-mail che avevo sperato non appena, due settimane prima, avevo aperto la posta.

Non che ci dicessimo granché, in quello scambio virtuale di missive. Non ci scrivevamo nemmeno tutti i giorni, a dirla tutta. Semplicemente, usavamo la posta elettronica per conoscerci meglio, in attesa di Luglio. A scuola ciò non ci era possibile, e a Parigi avevamo sfruttato ben poco tempo per farlo, rispetto a quello che avevamo avuto a disposizione, così stavamo rimediando ora.

Per quanto mi riguardava, infatti, non vedevo nulla di male, in quelle mail. Non stavamo infrangendo nessuna regola, del resto. Avevo però evitato di parlarne con Alessia e Greta, perché sapevo che non avrebbero capito, e che avrebbero frainteso. Eppure c'era ben poco da mal interpretare: Marcello mi parlava di lui, dei suoi, interessi, della sua giornata, ed io facevo altrettanto. Evitavamo di addentrarci nel campo dei nostri sentimenti, perché sapevamo entrambi che sarebbe stato un argomento difficile e doloroso. Dopo Parigi, non c'era più nulla da aggiungere. Ci eravamo già detti tutto nella sua stanza d'albergo, ed era inutile riprendere il discorso, perché sarebbe stato solo ripetitivo.

Personalmente mi aggrappavo a quelle mail come ad un porto sicuro, le vedevo come l’unico mezzo che fino a Luglio mi avrebbe permesso di sperare ma soprattutto di ingannare l’attesa, che era davvero frustrante. Le giornate sembravano non passare mai, le lancette dell’orologio scandivano i secondi, i minuti e le ore troppo lentamente per i mie gusti. Dalla gita erano trascorse circa tre settimane, ma a me sembrava fossero trascorsi tre mesi. Luglio mi sembrava lontano anche più di Plutone e onestamente preferivo non pensare a come avrei affrontato quell’attesa, perché di mezzo c’era anche la maturità.

Desideravo soltanto andare a dormire e svegliarmi a Luglio, quando tutto fosse finito: diplomata e finalmente pronta a dare una chance a me e Marcello. Non era però possibile e mi toccava affrontare tutto giorno per giorno.

 

 

 

Odiavo le interrogazioni all’ultima ora, erano spossanti. Stavo sempre in ansia fino all’ultimo momento, desiderando che l’ultima ora non arrivasse mai e sobbalzando ogni volta che sentivo suonare la campanella, segno che il momento del giudizio si stava avvicinando sempre più. Il tutto era condito da ripassate febbrili in ogni momento disponibile.

Quella volta, però, la situazione era peggio del solito. Quella volta ero ancora più in ansia perché era Bassi ad interrogare, in filosofia, e quel giorno avrebbe finito il giro, quindi sarebbe stato per forza il mio turno.

Ero pronta? Alle domande sì, perché del resto avevo studiato, ad affrontare la situazione invece ero totalmente impreparata. La sera prima a cena inoltre avevo discusso con i miei genitori, e la cosa di certo non aiutava. Ero abbastanza agitata per l’interrogazione di filosofia che incombeva e per questo avevo appena toccato cibo, dato che per l’ansia mi si era chiuso lo stomaco. Ero totalmente immersa nei miei pensieri così come i miei lo erano nei loro discorsi, quand’ecco che mia madre aveva tirato in ballo il discorso dell’università. Io avevo sospirato e cercato di glissare il discorso come al solito, ma lei aveva infierito dicendo che dovevo darmi una mossa, assumermi le mie responsabilità e fare una scelta, dopodiché si era alzata da tavola per poi tornare qualche secondo dopo e porgermi degli opuscoli informativi della sua vecchia università.

- E questo cosa vorrebbe dire? – avevo chiesto, alzando un sopracciglio.

- È una semplice proposta – mi aveva risposto lei con tono tagliente. – Puoi darci un’occhiata. Ho pensato che volendo potresti fare Veterinaria e poi lavorare con me finché non andrò in pensione e ti lascerò lo studio.

Io avevo sospirato e guardato mio padre in cerca d’aiuto, dato che si era fatto silenzioso dopo che mia madre aveva introdotto il discorso riguardante il mio futuro. Lui aveva scrollato le spalle, per cui avevo capito che dovevo arrangiarmi. Quella proposta, poi, giungeva totalmente inaspettata: mia madre non mi aveva mai suggerito di seguire le sue orme, fino a quel momento. Dovevo averla davvero esasperata con i miei dubbi e le mie incertezze, se mi faceva una simile proposta. – Non è la mia strada, lo sai – avevo detto, in tono conciliante. – Gli animali mi piacciono, ma non li amo come li ami tu, in più non riuscirei a trattarli come pazienti. Lo vedi anche tu come mi affeziono sempre a quei trovatelli che soccorri e come poi ci rimango male quando trovi loro una casa. E…

- Proprio per questo motivo sarebbe un’opzione da contemplare, invece – mi aveva interrotto mia madre. – Non ti sto dicendo che devi iscriverti per forza, ti dico solo di pensarci. Anche perché se dovessi prendere seriamente in considerazione l’ipotesi dovresti prepararti per un test e…

- Mamma, ti prego! – l’avevo interrotta io a mia volta. – Prima di parlare di test non credi che io debba pensare alla maturità? Anzi no, all’interrogazione che mi aspetta domani, visto che è imminente. Ti ho già detto mille volte che quando mi sarò diplomata andrò agli open day delle università qui in zona e vedrò cosa fare. Ci sarà un motivo se le università fanno gli open day in piena estate, no?

- E ci sarà un motivo se li fanno anche in questo periodo, non credi? – aveva ribattuto lei prontamente. Dovevo dargliene atto, purtroppo. Io però ero seriamente convinta di pensare a Luglio a quello che avrei voluto fare. Con la maturità alle spalle avrei saputo concentrarmi meglio; l’avevo spiegato a mia madre ma lei si ostinava a non capire.

- Hai ragione, mamma – avevo quindi sospirato, rassegnata. Non avevo proprio voglia di discutere, per cui l’avevo lasciata parlare finché non aveva iniziato ad alzare la voce, ma a quel punto l’avevo alzata anche io, stufa di sentirmi dire cosa dovevo fare. Avevamo continuato poi ad urlarci contro finché mio padre non era intervenuto per intimarmi di non alzare la voce con mia madre perché le dovevo portare rispetto, dato che mi aveva messo al mondo e dopo quella solfa interminabile che lui tirava fuori ogni volta mi aveva ordinato di andare in camera mia ed io ero stata lieta di esaudirlo.

Avevo lavato i denti, indossato il pigiama, preparato la cartella e infine ero andata a dormire.

La discussione, però, continuava a tornarmi alla mente, unita all’agitazione per l’interrogazione e a tutto quello scombussolamento emotivo che i sentimenti che provavo per Marcello provocavano in me. Perché ci si metteva anche mia madre? Non avevo già abbastanza problemi per la testa? Non poteva aspettare fino a Luglio, quando sarei stata più serena in ogni ambito, o almeno lo speravo, e avrei potuto occuparmi altrettanto serenamente del mio futuro universitario?

Sospirai, sconsolata. Non potevo certo parlare a mia madre di Marcello e della situazione in cui ero andata a cacciarmi e che teneva occupata la mia mente. Per lei il mio pensiero primario era la scuola, e quindi di conseguenza tra le mie più grandi preoccupazioni avrebbe dovuto essere prioritaria la scelta dell’università, seconda solo alla maturità. Non potevo certo dirle che la mia più grande angoscia era quella di arrivare a Luglio incolume, e se quelle erano le premesse non ce l’avrei mai fatta.

La campanella che segnava l’ultima ora suonò, ed io sospirai di nuovo, rassegnata all’imminente interrogazione. La professoressa di Scienze si congedò e uscì dall’aula, e poco dopo entrò Marcello. Inutile dire che il mio cuore iniziò a battere a mille, sia per la trepidazione che per l’effetto che lui mi faceva ogni volta.

Bassi ci salutò, dopodiché ci ricordò dell’interrogazione e mi chiamò, insieme agli altri due miei compagni che rimanevano per completare il giro. Mi alzai e mi diressi alla cattedra, mentre Greta e Alessia mi auguravano buona fortuna.

Evitai di incrociare lo sguardo di Marcello e lui fece lo stesso. Quella sarebbe stata la prima volta che avremmo interagito di nuovo da professore e alunna, dopo la breve parentesi da innamorati della gita. Come avremmo affrontato quella prova? Ma soprattutto, come l’avremmo superata?

 

 

 

Alla fine dell’ora la risposta mi fu chiara: Marcello aveva superato la prova egregiamente, io no. Mi sembrava di essere tornata in prima, quando durante le interrogazioni mi emozionavo e mi impappinavo, temendo il giudizio dei miei compagni ma soprattutto del professore, che in questo caso era più di un semplice insegnante. Non ero stata per niente brillante. Avevo risposto alle domande, sì, ma avevo espresso i concetti in modo poco chiaro e Marcello aveva dovuto guidarmi molto per cavarmi fuori di bocca le nozioni essenziali. Non so come avesse fatto, ma era riuscito a trattarmi come una semplice alunna, a comportarsi come avrebbe fatto con chiunque altro dei miei compagni e mi ero ritrovata ad invidiare quel suo autocontrollo. Solo un paio di volte avevo potuto leggere nel suo sguardo una sincera preoccupazione nei miei confronti, ma era stata questione di un attimo prima che tornasse ad essere professionale come sempre.

Suonò la campanella, segno che le lezioni quel giorno erano finite.

- Bene, possiamo concludere qui – disse Bassi, rivolto a me e agli altri due ragazzi interrogati. - Tornate pure al vostro posto e portatemi i libretti.

Tenni lo sguardo basso mentre mi dirigevo verso il mio banco; ero piena di vergogna per me stessa, per la figura che avevo fatto nei confronti dei miei compagni ma soprattutto nei confronti di Marcello.

- Dani, guarda che non sei andata male – cercò di rincuorarmi Greta, non appena arrivai a destinazione. – I concetti c’erano, alla fine.

La ignorai, mentre cercavo il libretto. Non era quella, la questione. Quella maledetta interrogazione aveva messo perfettamente in chiaro che non ero per niente pronta ad affrontare la situazione in cui mi ero cacciata, che mi ero fregata con le mie stesse mani e che avrei dovuto trovare un rimedio il prima possibile. Dovevo tornare a comportarmi normalmente, come avevo sempre fatto prima di Parigi. Non era poi così difficile, dovevo solo dimenticare quel idillio che c’era stato tra me e Bassi. Dovevo soltanto smettere di ricordare la sensazione delle sue labbra sulle mie ogni volta che lo guardavo, di pensare alle promesse che ci eravamo fatti, di rammentare come fosse bello stare accoccolata tra le sue braccia. Era facilissimo, no? Doveva esserlo, perché Marcello ci stava riuscendo alla grande.

- Ciao Dani, io scappo altrimenti perdo il bus – mi salutò Alessia e mi sorrise, per trasmettermi conforto. Le sorrisi debolmente di rimando, prima di ricambiare il saluto.

- Vado anche io – si congedò Greta. – Mia madre sarà già arrivata.

Salutai anche lei, dopodiché mi diressi alla cattedra per registrare il voto di quella dannata interrogazione, mentre man mano i miei compagni uscivano di classe.

Mi misi in fila dietro ai due ragazzi che avevano condiviso la mia stessa sorte e finalmente arrivò il mio turno.

- Daniela – disse Bassi, mentre apriva il mio libretto alla pagina di filosofia. – Oggi non sei stata brillante come al solito – constatò, scuotendo la testa, poi alzò lo sguardo e mi guardò con aria di rimprovero. Non potei fare altro che abbassare lo sguardo, piena di vergogna. Mi morsi il labbro inferiore per impedirmi di piangere, perché sentivo gli occhi umidi. Nel frattempo gli altri due interrogati uscirono e constatai che io e Marcello eravamo rimasti soli in aula. Non sapevo se esserne sollevata perché forse avremmo potuto avere un po’ di privacy oppure se dovessi preoccuparmi.

- Che cosa ti succede? – mi chiese Marcello, in tono dolce e preoccupato. Finalmente la maschera da professore indossata fino a quel momento si era sgretolata ed era tornato ad essere il ragazzo che avevo avuto modo di conoscere in gita.

- Io… - iniziai, ma mi interruppi subito. Non sapevo da dove cominciare. C’erano così tante cose da dire!

Marcello si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, dopodiché la chiuse, non prima di essersi guardato intorno. A quel punto lo raggiunsi e gli buttai le braccia al collo, agendo d’istinto. Altrettanto impulsivamente iniziai a piangere e singhiozzare, liberando così tutta quella tensione che avevo accumulato sin dal ritorno dalla gita.

Dapprima titubante, poco dopo Marcello ricambiò il mio abbraccio, accarezzandomi dolcemente la schiena per darmi conforto.

- Io non ce la faccio! – sbottai, tra un singhiozzo e l’altro. Mi separai da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi pur restando tra le sue braccia e proseguii: - Io non… È più dura di quanto pensassi! Ti prego, dimmi come fai tu a sopportare tutto! Ti prego, almeno potrò farlo anche io, perché davvero ora come ora io non…

Non potei proseguire perché Marcello mi interruppe con un bacio infuocato, esattamente come l’ultimo che ci eravamo scambiati prima che io uscissi dalla sua stanza, l’ultima sera della gita. Questa volta tuttavia il bacio fu anche disperato, e mi fece capire che anche per lui non era facile, che anch’egli si trovava nella mia stessa situazione: era soltanto più bravo a nasconderlo.

Quando si separò da me, infatti, quasi a conferma di quel che avevo pensato, mi disse: - Non c’è un modo, anche per me è difficile. Forse vista da fuori può sembrare che io riesca a sopportare tutto questo, ma non è così.

- E allora come fai a nasconderlo? – gli chiesi. Avevo bisogno di sapere, sentivo l’esigenza quasi fisica di trovare un modo per sopportare tutto o per lo meno per celare agli altri il mio malessere. Certo, ero brava a tenermi tutto dentro, come Alessia e Greta non smettevano mai di farmi notare, ma chiunque mi guardasse in faccia capiva che avevo qualcosa che non andava. Che poi non ne parlassi con nessuno era tutto un altro paio di maniche, ma il mio umore nero restava evidente a tutti.

- Non lo so – rispose Marcello, sincero. – Non lo so, davvero. Vado avanti con la mia vita di tutti i giorni, mi concentro sul mio lavoro: preparo le lezioni, correggo le verifiche, mi occupo della casa… Con quest’ultima ottengo risultati penosi, non lo nego, ma per lo meno mi tengo occupato – tentò di sdrammatizzare, poi preseguì: - Credo che sia questo il segreto: tenersi impegnati.

Non appena udii quelle parole, smisi di piangere e mi diedi dell’idiota: come avevo fatto a non pensarci prima? Semplice: piuttosto che tenersi impegnati era più facile autocommiserarsi. Piuttosto che trovarmi qualcosa da fare preferivo pensare a quanto tediosa e frustrante fosse l’attesa, e questo non faceva che renderla più atroce. Crogiolandomi nel mio malessere non facevo altro che peggiorarlo, anche un bambino lo avrebbe capito. Anche preparandomi per l’interrogazione, anziché concentrarmi sugli argomenti previsti avevo continuato a pensare a quello che sarebbe successo il giorno dopo, a come avrei reagito e a come si sarebbe comportato Bassi. In quel modo mi ero scavata la fossa da sola, e me ne resi conto solo in quel momento.

- Hai ragione – dovetti ammettere, con un sospiro. Non avrei più permesso a quelle subdole trappole mentali di complicare ancora di più il tutto e di rendermi la personificazione di uno zombie depresso. Così facendo c’era anche il rischio che Marcello mi guardasse con occhi diversi e pensasse che dare una possibilità ad un’ameba del genere non sarebbe valsa la pena. Come avevo potuto essere così cieca, così stupida?

Bisognosa di conforto, mi rifugiai di nuovo tra le braccia del professore. Marcello mi strinse a sé ancora per qualche istante, dopodiché si separò e non potei fare a meno di provare una fitta di delusione. Subito dopo però mi riscossi e mi ricordai che eravamo ancora in classe, del resto. Emotivamente eravamo tornati a Parigi, ma fisicamente eravamo a scuola e c’era il rischio che qualcuno, o meglio, la bidella, potesse entrare da un momento all’altro in aula. Mi resi conto da sola, purtroppo, che quello che si era appena verificato non avrebbe più dovuto succedere. Per la carriera di Marcello poteva costituire un pericolo non indifferente.

Dovette pensarlo anche lui, perché tornò alla cattedra, si sedette e riprese in mano il mio libretto.

- Più di sei non posso darti – mi disse. – Ti si abbasserà un po’ la media ed è un peccato, perché nella verifica eri andata bene.

Oh, lo sapevo anche io che nella verifica ero andata bene. Quello era ancora il periodo in cui studiavo le materie di Marcello come una forsennata per via dell’implicita competizione che si era instaurata nella componente femminile della mia classe su chi fosse la migliore a fare bella figura con il prof, grazie ai bei voti. Inutile dire che era sempre la secchiona ad averla vinta.

- Va bene – convenni. – Io mi sarei data anche meno – confessai, ma me ne pentii subito. Stavo di nuovo imboccando la via dell’autocommiserazione? Ero recidiva, evidentemente.

- Non sminuirti così – mi rimproverò bonariamente Bassi, mentre firmava il voto. – Sono stato studente anch’io, per cui so che capita a tutti di avere una battuta d’arresto e nel tuo caso posso anche capire perché – si interruppe, alzò la testa e mi guardò negli occhi, facendosi serio, quindi proseguì: - Che non succeda più, però. La prossima volta non sarò così clemente, ti avverto. Non farti condizionare troppo da quello che è successo a Parigi, intesi? So che non è facile, ma vai avanti per la tua strada e concentrati su quelli che adesso sono i tuoi doveri principali.

Abbassai lo sguardo, conscia di meritare ogni singola parola di quel rimprovero.

- Va bene, prof – squittii dunque, prima di riprendere il libretto e tornare al mio posto. Preparai la cartella e infilai la giacca, dopodiché mi diressi alla porta. Stavo per uscire, quando Marcello mi fermò dicendo: - Aspetta.

Mi voltai e vidi che veniva verso di me. – Spero che tu non te la sia presa – esordì.

- No – lo confortai. – Hai fatto bene a dirmi quelle cose, mi ci voleva una scrollata – dissi. – E poi sei pur sempre il mio prof, è tuo dovere rimproverarmi – sdrammatizzai dunque, in tono scherzoso.

Marcello emise una breve risatina, poi tornò serio e disse: - Sai bene che vorrei che non fosse così.

- Lo so – sospirai.

- Ancora un po’ di pazienza – cercò di rincuorarmi Bassi, e in quel momento capii che non era rivolto solo a me ma anche a se stesso.

- Già – sospirai di nuovo. – È meglio che vada, ora – mi congedai. Senza rendermene conto, mi alzai in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla guancia. – Arrivederci, prof – dissi dunque, prima di riaprire la porta e uscire dall’aula in fretta e furia. Dovevo andarmene da lì il prima possibile, prima di fare qualche altra stupidaggine, e quello non era assolutamente il luogo adatto. In più rischiavo di lasciarmi di nuovo invadere dallo sconforto, quando invece dovevo reagire e affrontare la situazione in modo adulto, senza frignare o autocommiserandomi come una stupida ragazzina.

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE

 

Sì, lo so. Non aggiornavo da una vita. È molto probabile, dunque, che vi siate completamente dimenticati di questa storia e vi capisco.

Il fatto è che dall’ultimo aggiornamento ne ho passate tante: crisi esistenziali, problemi di famiglia, inversione di rotta sul fronte universitario… Avevo anche perso la vena ispiratrice, nonostante nel frattempo abbia seguito un corso di scrittura. Mi è servito, ma ha contribuito a farmi perdere l’ispirazione, perché vedevo tanta gente molto più brava di me e mi chiedevo cosa diavolo ci facessi, lì.

Due settimane fa, però, le Muse sono tornate a bussare alla mia porta. E rieccomi qui.

Quindi, se siete arrivati fin qui, sarei molto lieta di un vostro commento. Non per altro, ma perché vorrei capire se dopo così tanto tempo passato a non aggiornare:

a)    La storia vi interessa ancora

b)   Devo buttare la mia passione per la scrittura alle ortiche

c)    Il capitolo è venuto per lo meno decente. Sono infatti partita a scriverlo con un’idea, ma in corso d’opera ho preso tutta un’altra strada. Per capirci non avevo certo in mente che Daniela e Bassi si baciassero di nuovo, ma è successo. Quindi vorrei capire se funziona o no, se è coerente col resto della storia oppure non c’entra assolutamente nulla.

 

Rinnovo l’invito a recensire e ringrazio in anticipo chi lo farà, chi leggerà soltanto, chi continuerà a seguirmi e qualche eventuale nuovo lettore.

Baci, Pikky91

   
 
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