CAPITOLO NOVE
La primavera era arrivata, ma solo da
un punto di vista esteriore, non interiore. A dirla tutta quella era una
primavera di nome, non di fatto. L’inverno, infatti, si stava prolungando, e il
freddo non accennava a diminuire.
Che fosse un segno del destino?
I giorni passavano, tuttavia non così
velocemente come avevo sperato a Parigi, poiché Marzo non era ancora giunto al
termine e mi sembrava fosse passata un’eternità di tempo, dalla gita, sebbene
fossero trascorse solo due settimane.
La caviglia era andata perfettamente a
posto, e un po’ mi era dispiaciuto, perché assieme alla fasciatura era andato
via anche il ricordo più tangibile che mi rimaneva di quei bellissimi momenti
trascorsi con Marcello.
A scuola diventava sempre più
difficile seguire le sue lezioni, inoltre. Prendevo appunti semplicemente per
inerzia, senza ascoltare realmente quel che lui dicesse, e non mi preoccupavo
troppo del fatto che spesso le frasi e le parole che trascrivevo fossero senza
senso: Greta non si faceva problemi a passarmi gli appunti, capiva
perfettamente, sebbene segretamente continuasse a tifare per Valerio.
Avevo passato parecchio tempo con lui,
in quegli ultimi giorni. Ogni intervallo era solito raggiungere me, Alessia e
Greta; se la mattina lo trovavo ad aspettare il bus gli offrivo un passaggio, e
infine almeno una volta a settimana mi proponeva di andare a bere una cioccolata,
o di fare una passeggiata, e io accettavo volentieri. Tra noi era tornato tutto
come prima che ci mettessimo insieme. Stavo bene in sua compagnia e lui
evidentemente tirava un sospiro di sollievo, quando era con me, perché lo
vedevo sereno nonostante tutti i suoi problemi, riguardo ai quali non mi aveva
ancora accennato nulla. Nemmeno io però gli avevo detto nulla riguardo Bassi:
temevo di ferirlo, che dopo quella confessione si sarebbe allontanato da me e
io non avrei più avuto quell’amico fidato di cui avevo bisogno. Non ero pronta
a perderlo di nuovo.
Marcello non aveva più mostrato
gelosia, nei confronti di questo rapporto che si era instaurato nuovamente tra
me e Valerio. Gli avevo spiegato come stavano le cose, rispondendo alla sua
e-mail e gli avevo detto che non aveva alcun motivo di preoccuparsi; lui grazie
al cielo si era mostrato molto comprensivo e si era addirittura scusato per
essersi fatto un'idea sbagliata e per avermi chiesto così brutalmente cosa ci
fosse tra me 'quel ragazzo'. Io non lo biasimavo. Ero anzi grata del fatto che
lui avesse agito a quel modo, perché così avevamo avuto occasione di iniziare
quella corrispondenza via e-mail che avevo sperato non appena, due settimane
prima, avevo aperto la posta.
Non che ci dicessimo granché, in
quello scambio virtuale di missive. Non ci scrivevamo nemmeno tutti i giorni, a
dirla tutta. Semplicemente, usavamo la posta elettronica per conoscerci meglio,
in attesa di Luglio. A scuola ciò non ci era possibile, e a Parigi avevamo
sfruttato ben poco tempo per farlo, rispetto a quello che avevamo avuto a
disposizione, così stavamo rimediando ora.
Per quanto mi riguardava, infatti, non
vedevo nulla di male, in quelle mail. Non stavamo infrangendo nessuna regola,
del resto. Avevo però evitato di parlarne con Alessia e Greta, perché sapevo
che non avrebbero capito, e che avrebbero frainteso. Eppure c'era ben poco da
mal interpretare: Marcello mi parlava di lui, dei suoi, interessi, della sua
giornata, ed io facevo altrettanto. Evitavamo di addentrarci nel campo dei
nostri sentimenti, perché sapevamo entrambi che sarebbe stato un argomento
difficile e doloroso. Dopo Parigi, non c'era più nulla da aggiungere. Ci
eravamo già detti tutto nella sua stanza d'albergo, ed era inutile riprendere
il discorso, perché sarebbe stato solo ripetitivo.
Personalmente
mi aggrappavo a quelle mail come ad un porto sicuro, le vedevo come l’unico
mezzo che fino a Luglio mi avrebbe permesso di sperare ma soprattutto di
ingannare l’attesa, che era davvero frustrante. Le giornate sembravano non
passare mai, le lancette dell’orologio scandivano i secondi, i minuti e le ore
troppo lentamente per i mie gusti. Dalla gita erano trascorse circa tre
settimane, ma a me sembrava fossero trascorsi tre mesi. Luglio mi sembrava lontano
anche più di Plutone e onestamente preferivo non pensare a come avrei
affrontato quell’attesa, perché di mezzo c’era anche la maturità.
Desideravo
soltanto andare a dormire e svegliarmi a Luglio, quando tutto fosse finito:
diplomata e finalmente pronta a dare una chance a me e Marcello. Non era però
possibile e mi toccava affrontare tutto giorno per giorno.
Odiavo
le interrogazioni all’ultima ora, erano spossanti. Stavo sempre in ansia fino
all’ultimo momento, desiderando che l’ultima ora non arrivasse mai e
sobbalzando ogni volta che sentivo suonare la campanella, segno che il momento
del giudizio si stava avvicinando sempre più. Il tutto era condito da ripassate
febbrili in ogni momento disponibile.
Quella
volta, però, la situazione era peggio del solito. Quella volta ero ancora più
in ansia perché era Bassi ad interrogare, in filosofia, e quel giorno avrebbe
finito il giro, quindi sarebbe stato per forza il mio turno.
Ero
pronta? Alle domande sì, perché del resto avevo studiato, ad affrontare la
situazione invece ero totalmente impreparata. La sera prima a cena inoltre
avevo discusso con i miei genitori, e la cosa di certo non aiutava. Ero
abbastanza agitata per l’interrogazione di filosofia che incombeva e per questo
avevo appena toccato cibo, dato che per l’ansia mi si era chiuso lo stomaco.
Ero totalmente immersa nei miei pensieri così come i miei lo erano nei loro
discorsi, quand’ecco che mia madre aveva tirato in ballo il discorso
dell’università. Io avevo sospirato e cercato di glissare il discorso come al
solito, ma lei aveva infierito dicendo che dovevo darmi una mossa, assumermi le
mie responsabilità e fare una scelta, dopodiché si era alzata da tavola per poi
tornare qualche secondo dopo e porgermi degli opuscoli informativi della sua
vecchia università.
-
E questo cosa vorrebbe dire? – avevo chiesto, alzando un sopracciglio.
-
È una semplice proposta – mi aveva risposto lei con tono tagliente. – Puoi
darci un’occhiata. Ho pensato che volendo potresti fare Veterinaria e poi
lavorare con me finché non andrò in pensione e ti lascerò lo studio.
Io
avevo sospirato e guardato mio padre in cerca d’aiuto, dato che si era fatto
silenzioso dopo che mia madre aveva introdotto il discorso riguardante il mio
futuro. Lui aveva scrollato le spalle, per cui avevo capito che dovevo
arrangiarmi. Quella proposta, poi, giungeva totalmente inaspettata: mia madre
non mi aveva mai suggerito di seguire le sue orme, fino a quel momento. Dovevo
averla davvero esasperata con i miei dubbi e le mie incertezze, se mi faceva una
simile proposta. – Non è la mia strada, lo sai – avevo detto, in tono
conciliante. – Gli animali mi piacciono, ma non li amo come li ami tu, in più
non riuscirei a trattarli come pazienti. Lo vedi anche tu come mi affeziono
sempre a quei trovatelli che soccorri e come poi ci rimango male quando trovi
loro una casa. E…
-
Proprio per questo motivo sarebbe un’opzione da contemplare, invece – mi aveva
interrotto mia madre. – Non ti sto dicendo che devi iscriverti per forza, ti
dico solo di pensarci. Anche perché se dovessi prendere seriamente in
considerazione l’ipotesi dovresti prepararti per un test e…
-
Mamma, ti prego! – l’avevo interrotta io a mia volta. – Prima di parlare di
test non credi che io debba pensare alla maturità? Anzi no, all’interrogazione
che mi aspetta domani, visto che è imminente. Ti ho già detto mille volte che quando
mi sarò diplomata andrò agli open day delle
università qui in zona e vedrò cosa fare. Ci sarà un motivo se le università
fanno gli open day in piena estate, no?
-
E ci sarà un motivo se li fanno anche in questo periodo, non credi? – aveva
ribattuto lei prontamente. Dovevo dargliene atto, purtroppo. Io però ero
seriamente convinta di pensare a Luglio a quello che avrei voluto fare. Con la
maturità alle spalle avrei saputo concentrarmi meglio; l’avevo spiegato a mia
madre ma lei si ostinava a non capire.
-
Hai ragione, mamma – avevo quindi sospirato, rassegnata. Non avevo proprio
voglia di discutere, per cui l’avevo lasciata parlare finché non aveva iniziato
ad alzare la voce, ma a quel punto l’avevo alzata anche io, stufa di sentirmi
dire cosa dovevo fare. Avevamo continuato poi ad urlarci contro finché mio
padre non era intervenuto per intimarmi di non alzare la voce con mia madre
perché le dovevo portare rispetto, dato che mi aveva messo al mondo e dopo
quella solfa interminabile che lui tirava fuori ogni volta mi aveva ordinato di
andare in camera mia ed io ero stata lieta di esaudirlo.
Avevo
lavato i denti, indossato il pigiama, preparato la cartella e infine ero andata
a dormire.
La
discussione, però, continuava a tornarmi alla mente, unita all’agitazione per
l’interrogazione e a tutto quello scombussolamento emotivo che i sentimenti che
provavo per Marcello provocavano in me. Perché ci si metteva anche mia madre?
Non avevo già abbastanza problemi per la testa? Non poteva aspettare fino a
Luglio, quando sarei stata più serena in ogni ambito, o almeno lo speravo, e
avrei potuto occuparmi altrettanto serenamente del mio futuro universitario?
Sospirai,
sconsolata. Non potevo certo parlare a mia madre di Marcello e della situazione
in cui ero andata a cacciarmi e che teneva occupata la mia mente. Per lei il
mio pensiero primario era la scuola, e quindi di conseguenza tra le mie più
grandi preoccupazioni avrebbe dovuto essere prioritaria la scelta
dell’università, seconda solo alla maturità. Non potevo certo dirle che la mia più
grande angoscia era quella di arrivare a Luglio incolume, e se quelle erano le
premesse non ce l’avrei mai fatta.
La
campanella che segnava l’ultima ora suonò, ed io sospirai di nuovo, rassegnata
all’imminente interrogazione. La professoressa di Scienze si congedò e uscì
dall’aula, e poco dopo entrò Marcello. Inutile dire che il mio cuore iniziò a
battere a mille, sia per la trepidazione che per l’effetto che lui mi faceva
ogni volta.
Bassi
ci salutò, dopodiché ci ricordò dell’interrogazione e mi chiamò, insieme agli
altri due miei compagni che rimanevano per completare il giro. Mi alzai e mi
diressi alla cattedra, mentre Greta e Alessia mi auguravano buona fortuna.
Evitai
di incrociare lo sguardo di Marcello e lui fece lo stesso. Quella sarebbe stata
la prima volta che avremmo interagito di nuovo da professore e alunna, dopo la
breve parentesi da innamorati della gita. Come avremmo affrontato quella prova?
Ma soprattutto, come l’avremmo superata?
Alla
fine dell’ora la risposta mi fu chiara: Marcello aveva superato la prova
egregiamente, io no. Mi sembrava di essere tornata in prima, quando durante le
interrogazioni mi emozionavo e mi impappinavo, temendo il giudizio dei miei
compagni ma soprattutto del professore, che in questo caso era più di un semplice
insegnante. Non ero stata per niente brillante. Avevo risposto alle domande,
sì, ma avevo espresso i concetti in modo poco chiaro e Marcello aveva dovuto
guidarmi molto per cavarmi fuori di bocca le nozioni essenziali. Non so come
avesse fatto, ma era riuscito a trattarmi come una semplice alunna, a
comportarsi come avrebbe fatto con chiunque altro dei miei compagni e mi ero
ritrovata ad invidiare quel suo autocontrollo. Solo un paio di volte avevo
potuto leggere nel suo sguardo una sincera preoccupazione nei miei confronti,
ma era stata questione di un attimo prima che tornasse ad essere professionale
come sempre.
Suonò
la campanella, segno che le lezioni quel giorno erano finite.
-
Bene, possiamo concludere qui – disse Bassi, rivolto a me e agli altri due
ragazzi interrogati. - Tornate pure al vostro posto e portatemi i libretti.
Tenni
lo sguardo basso mentre mi dirigevo verso il mio banco; ero piena di vergogna
per me stessa, per la figura che avevo fatto nei confronti dei miei compagni ma
soprattutto nei confronti di Marcello.
-
Dani, guarda che non sei andata male – cercò di rincuorarmi Greta, non appena
arrivai a destinazione. – I concetti c’erano, alla fine.
La
ignorai, mentre cercavo il libretto. Non era quella, la questione. Quella
maledetta interrogazione aveva messo perfettamente in chiaro che non ero per
niente pronta ad affrontare la situazione in cui mi ero cacciata, che mi ero
fregata con le mie stesse mani e che avrei dovuto trovare un rimedio il prima
possibile. Dovevo tornare a comportarmi normalmente, come avevo sempre fatto
prima di Parigi. Non era poi così difficile, dovevo solo dimenticare quel
idillio che c’era stato tra me e Bassi. Dovevo soltanto smettere di ricordare
la sensazione delle sue labbra sulle mie ogni volta che lo guardavo, di pensare
alle promesse che ci eravamo fatti, di rammentare come fosse bello stare
accoccolata tra le sue braccia. Era facilissimo, no? Doveva esserlo, perché Marcello
ci stava riuscendo alla grande.
-
Ciao Dani, io scappo altrimenti perdo il bus – mi salutò Alessia e mi sorrise,
per trasmettermi conforto. Le sorrisi debolmente di rimando, prima di
ricambiare il saluto.
-
Vado anche io – si congedò Greta. – Mia madre sarà già arrivata.
Salutai
anche lei, dopodiché mi diressi alla cattedra per registrare il voto di quella dannata
interrogazione, mentre man mano i miei compagni uscivano di classe.
Mi
misi in fila dietro ai due ragazzi che avevano condiviso la mia stessa sorte e
finalmente arrivò il mio turno.
-
Daniela – disse Bassi, mentre apriva il mio libretto alla pagina di filosofia.
– Oggi non sei stata brillante come al solito – constatò, scuotendo la testa,
poi alzò lo sguardo e mi guardò con aria di rimprovero. Non potei fare altro
che abbassare lo sguardo, piena di vergogna. Mi morsi il labbro inferiore per
impedirmi di piangere, perché sentivo gli occhi umidi. Nel frattempo gli altri
due interrogati uscirono e constatai che io e Marcello eravamo rimasti soli in
aula. Non sapevo se esserne sollevata perché forse avremmo potuto avere un po’
di privacy oppure se dovessi preoccuparmi.
-
Che cosa ti succede? – mi chiese Marcello, in tono dolce e preoccupato.
Finalmente la maschera da professore indossata fino a quel momento si era
sgretolata ed era tornato ad essere il ragazzo che avevo avuto modo di conoscere
in gita.
-
Io… - iniziai, ma mi interruppi subito. Non sapevo da
dove cominciare. C’erano così tante cose da dire!
Marcello
si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, dopodiché la chiuse, non prima di
essersi guardato intorno. A quel punto lo raggiunsi e gli buttai le braccia al
collo, agendo d’istinto. Altrettanto impulsivamente iniziai a piangere e
singhiozzare, liberando così tutta quella tensione che avevo accumulato sin dal
ritorno dalla gita.
Dapprima
titubante, poco dopo Marcello ricambiò il mio abbraccio, accarezzandomi
dolcemente la schiena per darmi conforto.
-
Io non ce la faccio! – sbottai, tra un singhiozzo e l’altro. Mi separai da lui
quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi pur restando tra le sue
braccia e proseguii: - Io non… È più dura di quanto
pensassi! Ti prego, dimmi come fai tu a sopportare tutto! Ti prego, almeno
potrò farlo anche io, perché davvero ora come ora io non…
Non
potei proseguire perché Marcello mi interruppe con un bacio infuocato,
esattamente come l’ultimo che ci eravamo scambiati prima che io uscissi dalla
sua stanza, l’ultima sera della gita. Questa volta tuttavia il bacio fu anche
disperato, e mi fece capire che anche per lui non era facile, che anch’egli si
trovava nella mia stessa situazione: era soltanto più bravo a nasconderlo.
Quando
si separò da me, infatti, quasi a conferma di quel che avevo pensato, mi disse:
- Non c’è un modo, anche per me è difficile. Forse vista da fuori può sembrare
che io riesca a sopportare tutto questo, ma non è così.
-
E allora come fai a nasconderlo? – gli chiesi. Avevo bisogno di sapere, sentivo
l’esigenza quasi fisica di trovare un modo per sopportare tutto o per lo meno
per celare agli altri il mio malessere. Certo, ero brava a tenermi tutto
dentro, come Alessia e Greta non smettevano mai di farmi notare, ma chiunque mi
guardasse in faccia capiva che avevo qualcosa che non andava. Che poi non ne
parlassi con nessuno era tutto un altro paio di maniche, ma il mio umore nero
restava evidente a tutti.
-
Non lo so – rispose Marcello, sincero. – Non lo so, davvero. Vado avanti con la
mia vita di tutti i giorni, mi concentro sul mio lavoro: preparo le lezioni,
correggo le verifiche, mi occupo della casa… Con
quest’ultima ottengo risultati penosi, non lo nego, ma per lo meno mi tengo
occupato – tentò di sdrammatizzare, poi preseguì: -
Credo che sia questo il segreto: tenersi impegnati.
Non
appena udii quelle parole, smisi di piangere e mi diedi dell’idiota: come avevo
fatto a non pensarci prima? Semplice: piuttosto che tenersi impegnati era più
facile autocommiserarsi. Piuttosto che trovarmi
qualcosa da fare preferivo pensare a quanto tediosa e frustrante fosse
l’attesa, e questo non faceva che renderla più atroce. Crogiolandomi nel mio
malessere non facevo altro che peggiorarlo, anche un bambino lo avrebbe capito.
Anche preparandomi per l’interrogazione, anziché concentrarmi sugli argomenti
previsti avevo continuato a pensare a quello che sarebbe successo il giorno
dopo, a come avrei reagito e a come si sarebbe comportato Bassi. In quel modo
mi ero scavata la fossa da sola, e me ne resi conto solo in quel momento.
-
Hai ragione – dovetti ammettere, con un sospiro. Non avrei più permesso a
quelle subdole trappole mentali di complicare ancora di più il tutto e di
rendermi la personificazione di uno zombie depresso. Così facendo c’era anche
il rischio che Marcello mi guardasse con occhi diversi e pensasse che dare una
possibilità ad un’ameba del genere non sarebbe valsa la pena. Come avevo potuto
essere così cieca, così stupida?
Bisognosa
di conforto, mi rifugiai di nuovo tra le braccia del professore. Marcello mi
strinse a sé ancora per qualche istante, dopodiché si separò e non potei fare a
meno di provare una fitta di delusione. Subito dopo però mi riscossi e mi
ricordai che eravamo ancora in classe, del resto. Emotivamente eravamo tornati
a Parigi, ma fisicamente eravamo a scuola e c’era il rischio che qualcuno, o
meglio, la bidella, potesse entrare da un momento all’altro in aula. Mi resi
conto da sola, purtroppo, che quello che si era appena verificato non avrebbe
più dovuto succedere. Per la carriera di Marcello poteva costituire un pericolo
non indifferente.
Dovette
pensarlo anche lui, perché tornò alla cattedra, si sedette e riprese in mano il
mio libretto.
-
Più di sei non posso darti – mi disse. – Ti si abbasserà un po’ la media ed è
un peccato, perché nella verifica eri andata bene.
Oh,
lo sapevo anche io che nella verifica ero andata bene. Quello era ancora il
periodo in cui studiavo le materie di Marcello come una forsennata per via
dell’implicita competizione che si era instaurata nella componente femminile
della mia classe su chi fosse la migliore a fare bella figura con il prof,
grazie ai bei voti. Inutile dire che era sempre la secchiona ad averla vinta.
-
Va bene – convenni. – Io mi sarei data anche meno – confessai, ma me ne pentii
subito. Stavo di nuovo imboccando la via dell’autocommiserazione? Ero recidiva,
evidentemente.
-
Non sminuirti così – mi rimproverò bonariamente Bassi, mentre firmava il voto.
– Sono stato studente anch’io, per cui so che capita a tutti di avere una
battuta d’arresto e nel tuo caso posso anche capire perché – si interruppe,
alzò la testa e mi guardò negli occhi, facendosi serio, quindi proseguì: - Che non
succeda più, però. La prossima volta non sarò così clemente, ti avverto. Non
farti condizionare troppo da quello che è successo a Parigi, intesi? So che non
è facile, ma vai avanti per la tua strada e concentrati su quelli che adesso
sono i tuoi doveri principali.
Abbassai
lo sguardo, conscia di meritare ogni singola parola di quel rimprovero.
-
Va bene, prof – squittii dunque, prima di riprendere il libretto e tornare al
mio posto. Preparai la cartella e infilai la giacca, dopodiché mi diressi alla
porta. Stavo per uscire, quando Marcello mi fermò dicendo: - Aspetta.
Mi
voltai e vidi che veniva verso di me. – Spero che tu non te la sia presa –
esordì.
-
No – lo confortai. – Hai fatto bene a dirmi quelle cose, mi ci voleva una
scrollata – dissi. – E poi sei pur sempre il mio prof, è tuo dovere
rimproverarmi – sdrammatizzai dunque, in tono scherzoso.
Marcello
emise una breve risatina, poi tornò serio e disse: - Sai bene che vorrei che
non fosse così.
-
Lo so – sospirai.
-
Ancora un po’ di pazienza – cercò di rincuorarmi Bassi, e in quel momento capii
che non era rivolto solo a me ma anche a se stesso.
-
Già – sospirai di nuovo. – È meglio che vada, ora – mi congedai. Senza
rendermene conto, mi alzai in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla
guancia. – Arrivederci, prof – dissi dunque, prima di riaprire la porta e
uscire dall’aula in fretta e furia. Dovevo andarmene da lì il prima possibile,
prima di fare qualche altra stupidaggine, e quello non era assolutamente il
luogo adatto. In più rischiavo di lasciarmi di nuovo invadere dallo sconforto,
quando invece dovevo reagire e affrontare la situazione in modo adulto, senza
frignare o autocommiserandomi come una stupida
ragazzina.
SPAZIO DELL’AUTRICE
Sì, lo so. Non aggiornavo da una vita. È
molto probabile, dunque, che vi siate completamente dimenticati di questa
storia e vi capisco.
Il fatto è che dall’ultimo
aggiornamento ne ho passate tante: crisi esistenziali, problemi di famiglia,
inversione di rotta sul fronte universitario… Avevo
anche perso la vena ispiratrice, nonostante nel frattempo abbia seguito un
corso di scrittura. Mi è servito, ma ha contribuito a farmi perdere l’ispirazione,
perché vedevo tanta gente molto più brava di me e mi chiedevo cosa diavolo ci
facessi, lì.
Due settimane fa, però, le Muse sono
tornate a bussare alla mia porta. E rieccomi qui.
Quindi, se siete arrivati fin qui,
sarei molto lieta di un vostro commento. Non per altro, ma perché vorrei capire
se dopo così tanto tempo passato a non aggiornare:
a)
La
storia vi interessa ancora
b)
Devo
buttare la mia passione per la scrittura alle ortiche
c)
Il
capitolo è venuto per lo meno decente. Sono infatti partita a scriverlo con un’idea,
ma in corso d’opera ho preso tutta un’altra strada. Per capirci non avevo certo
in mente che Daniela e Bassi si baciassero di nuovo, ma è successo. Quindi vorrei
capire se funziona o no, se è coerente col resto della storia oppure non c’entra
assolutamente nulla.
Rinnovo l’invito a recensire e
ringrazio in anticipo chi lo farà, chi leggerà soltanto, chi continuerà a seguirmi
e qualche eventuale nuovo lettore.
Baci, Pikky91