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Autore: LyraWinter    03/09/2012    9 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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A chi, al ritorno, é sempre lì ad aspettare e ti fa sentire a casa come se non fossi mai partito

 

4.

 

It's one door swinging open

and one door swinging close

 

(parte 1)

 

canzone del capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 Erano quasi le due del mattino quando l’ultimo invitato varcò la soglia di casa Campbell, lasciando il giardino  brulicante di camerieri ed inservienti affaccendati a raccogliere residui del costoso buffet, pulire calici di champagne, smontare tavoli, sedie e luci installate per l’occasione. I padroni si erano raccomandati che tutto fosse inordine tassativamente per le prime ore del mattino affinché nulla disturbasse i loro ospiti nelle attività previste per il giorno seguente.

I proprietari più anziani, assieme ad una buona parte degli invitati, si erano ritirati nelle loro stanze e solo i giovani della famiglia erano rimasti per le consuete chiacchiere che precedevano il momento di andare a dormire. Sebbene non si trattasse d’altro che di poche parole distratte, che liquidavano intere ore di meticolosa osservazione, di opinioni di circostanza e nulla più, Landon adorava quel momento, perché gli permetteva di tirare il fiato dopo interminabili serate in cui aveva dovuto recitare la parte del figlio modello, brillante studente, divertente proprietario o ospite, a seconda delle occasioni. Trovava inoltre le opinioni sarcastiche e taglienti di suo fratello alquanto esilaranti e doveva ammettere che, da quando Nicole era stata ufficialmente introdotta in famiglia, i piccoli diverbi che sorgevano fra i due erano divenuti garanzia di risate che alleggerivano la tensione accumulata durante l’evento. Lei era in assoluto la ragazza più orgogliosa e scontrosa che avesse mai incontrato e gli appariva evidente che, dietro al comportamento compito ed alle belle maniere che esibiva in pubblico, nascondesse una natura esuberante e spensierata. Spesso si era domandato cosa trovasse un carattere spumeggiante e brillante come il suo nella serietà e nella compostezza di suo fratello, ma si era poi risposto che Nicole in fondo non era che una giovane dell’alta società, per cui intelligenza, fascino e posizione sociale erano le tre basi fondamentali su cui costruire un rapporto che, con ogni probabilità, l’avrebbe condotta a quella patinata esistenza che fin da piccolo aveva imparato a guardare con diffidenza e distacco: un matrimonio da sogno, una casa da copertina in città, figli iscritti alle migliori scuole del paese, serate eleganti, eventi irrinunciabili; tutto pur di distogliere l’attenzione dal freddo silenzio che sarebbe caduto fra la coppia di novelli sposi una volta pronunciato il fatidico sì. Peccato, si diceva, Nicole avrebbe avuto il potenziale per ottenere qualunque cosa nella vita ed invece si limitava ad agire come tutte le altre ragazze di buona famiglia, le quali vedevano l’unione con l’uomo perfetto, ricco, affascinante, educato, serio, come l’unico futuro in cui investire. Nonostante ciò, nutriva una profonda stima nei suoi confronti e non poteva negare che smuovesse qualcosa nella noia mortale della sua famiglia, rendendo il comportamento affettato di suo fratello più tollerabile tanto che, con lo scorrere del tempo, le si era affezionato  quasi come ad una sorella, cercando in lei quella complicità che non era mai riuscito a trovare nei membri del rigido clan dei Campbell.

Allentatosi la cravatta e abbandonata la giacca su una poltrona, i gomiti appoggiati al marmoreo bancone del bar accuratamente rifornito su ordine di suo padre, le snelle gambe allungate lungo la sedia, si gustava l’ultimo whiskey con ghiaccio della serata, ripensando al piccolo tumulto di qualche ora prima e tendendo divertito l’orecchio al chiacchiericcio concitato di due delle cameriere del catering che commentavano, ignare di essere ascoltate, il piacevole aspetto dei padroni di casa. Accanto a lui, suo fratello controllava, come sempre, le notizie sulla chiusura delle borse asiatiche dell’ultima ora sull’Iphone, mentre Nicole fumava distrattamente, canticchiando e battendo a ritmo la punta del piede sul pavimento di legno scuro.

-Bel tipo tua cugina,- esordì Landon facendo roteare lentamente il bicchiere colmo di liquido ambrato.

Nicole sospirò profondamente schiacciando con forza il mozzicone in un piattino pieno di noccioli di olive.

-È solo… molto nervosa, suppongo.

David sbuffò, non provando nemmeno a celare il ghigno sarcastico che gli avevano provocato le parole della fidanzata. Sapeva benissimo che quella era l’ora dei diverbi e che, qualunque parola fosse uscita dalla sua bocca in quel momento della serata, sarebbe stata motivo di frecciatine da parte di Nicole, che questa riguardasse gli invitati, il buffet, la politica del nuovo governo o la fame nel mondo. Qualunque fosse l’argomento avrebbe trovato qualcosa che non le sarebbe andato a genio: perché dunque farsi rimproverare per futilità? Tanto valeva essere bersagliato per qualcosa che davvero la pungesse nel vivo.

Annie, appunto.

Sorrise con orgoglio: Nicole era così facilmente prevedibile che non gli servì nemmeno alzare lo sguardo, per percepire i suoi occhi azzurri ridotti a due fessure spostarsi in direzione della sua testa china sul telefono.

-Hai qualcosa da dire David?- gli domandò con finta voce controllata.

-Nervosa è un eufemismo, tesoro,- replicò lui con tono ragionevole, come se stesse parlando ad una bambina capricciosa, facendo roteare distrattamente l’Iphone, tenuto saldo fra il pollice e l’indice.

-Io l’ho trovata spassosa,- si intromise suo fratello, -non si vedeva una simile scena alle nostre feste da quando lo zio Thomas si è ubriacato alla cena di Natale ed ha rivelato che papà si faceva la sua tirocinante nel cucinotto dello studio.

-Lo dici solo perché inscenare un dramma simile sarebbe il tuo sogno, se non fosse che, fortunatamente, sei stato educato troppo bene per piantare una scenata così puerile in mezzo ad una moltitudine di estranei.

David poggiò con studiata lentezza il telefono, iniziando mentalmente a contare i secondi che lo separavano dallo scoppio d’ira della fidanzata.

-Stai dando ad Annie dell’ incivile?- domandò Nicole, le cui guance lentigginose andavano tingendosi di un color porpora che non prometteva nulla di buono.

-Forse incivile non è il termine più adatto per definirla,- David cominciò ad osservarsi ostentatamente le unghie, fingendo un’ espressione vaga. -Fammi pensare…inadeguata? Anche se semplicemente “maleducata” forse sarebbe la qualificazione più appropriata. Non saprei decidere.

Nicole sbatté una mano sul bancone con veemenza.

-Sai invece come ti definirei? Vagamente stronzo. E, aspetta un attimo. No, non dovrei pensarci nemmeno un secondo!

Si alzò di scatto, rovesciando l’alto sgabello su cui sedeva e, recuperata la pochette dorata, girò la schiena e se ne andò scrollando adirata la cascata di perfetti boccoli ramati sfoggiati quella sera. O almeno, perfetti fino a quel momento; Landon non era sicuro che scuotere la testa in maniera convulsa, borbottando coloriti improperi fosse una delle cose più indicate da fare dopo aver passato un pomeriggio sotto le abili mani del parrucchiere a farsi inanellare ogni singola ciocca di capelli.

David, che non si era aspettato una reazione così tempestosa, restò a fissare la porta perplesso per qualche istante, indeciso sul da farsi: l’intera situazione lo metteva a disagio e desiderava ardentemente porre fine a quel diverbio per andarsene a dormire. La collera di Nicole si poteva percepire nell’aria rimasta elettrica e carica di tensione: due giovani inservienti, impegnati a spostare i tavoli ormai vuoti e lucidati, avevano interrotto il loro lavoro, così come un piccolo gruppo di timide cameriere che gli rivolgevano occhiate fugaci, tutti bramosi di osservare la sua reazione. La sensazione di sentirsi osservato ed in qualche modo giudicato lo faceva sentire come un animale da circo, mentre uno strano ed opprimente peso alla bocca dello stomaco gli faceva provare una rabbia cieca, inusuale per il suo temperamento posato. Terreo in volto dunque, si voltò verso il fratello che rideva apertamente, senza nemmeno premurarsi di coprirsi il volto con una mano, incapace di mascherare il proprio spasso.

- Ti diverti?- gli domandò con tono gelido.

-.

Fu così che venne il momento per David di prendere la via della porta con passo affrettato e nervoso, lasciando Landon solo a godersi l’ultimo goccio di Glengoyne invecchiato di 17 anni prima di andare a dormire. Vero era che ormai l’avevano tutti abbandonato ma, si diceva, meglio solo nella pace e nella quiete della sala semivuota, interrotta solo dal tintinnio dei calici di cristallo che gli inservienti stavano riponendo nelle credenze di legno massiccio, piuttosto che in camera da letto, ad ascoltare attraverso il muro una teatrale scenata da parte dell’irritata fidanzata di suo fratello. E poi, disteso nel suo morbido letto in sola compagnia del desiderio ardente di due efficaci tappi per le orecchie, non avrebbe avuto l’esclusiva sulle perfette forme di quella cameriera biondina che, proprio in quel preciso momento, si stava sfilando dai capelli le mollette con cui aveva fermato i ciuffi scalati durante la serata.

-Scusa?- le domandò avvicinandole spingendo lievemente il bicchiere vuoto con la punta delle dita sottili. -Potresti riempirmelo di nuovo?

Se David e Nicole litigarono davvero, questo Landon non poté mai saperlo; quando salì in camera sua, dopo quasi un’ora che suo fratello era uscito di scena lanciandosi elegantemente la giacca grigio canna di fucile sulla spalla, lo ritrovò profondamente addormentato, con un braccio poggiato sulla fronte ed il telecomando ancora stretto in mano, mentre i due giornalisti della CNBC commentavano la recente fusione di due aziende farmaceutiche che avrebbe spostato sicuramente l’andamento del mercato azionario. Suo fratello occupava comodamente la porzione centrale del grande letto matrimoniale in legno scuro, così che lui poté immediatamente notare che il cuscino destro era ancora tirato e gonfio, segno che nessuno vi aveva poggiato la testa da quando era stato sistemato la mattina precedente. Di Nicole, dedusse, non vi era nemmeno l’ombra: forse la generosa ed inusuale concessione di qualche minuto di tenerezza da parte di David non sarebbe bastata a placare la sua collera.

 

 

 

****

 

 

 

 

Il soggetto in questione, non era poi così arrabbiato come Landon credeva: la realtà era che aveva un problema. Uno grossissimo, visto che il suo spirito di adattamento aveva fatto le valigie e l’aveva abbandonata in un campeggio estivo all’età di sette anni, quando uno scarafaggio si era intrufolato nella sua tenda e lei aveva costretto con la forza un minuscolo Scott Anderson a vegliare sull’entrata con una racchetta in mano, fino a che quei pazzi di sua cugina e Brady non fossero tornati dalle loro scorribande notturne.

In quella maledetta cittadina pioveva di nuovo.

Una persona dotata di un briciolo di senno avrebbe cominciato a correre verso casa al primo bagliore dei lampi che si susseguivano da ormai dieci minuti, rimbalzando in cielo con l’accompagnamento musicale di tuoni che avevano svegliato la maggior parte della popolazione canina della città. Una persona capace di ammettere i propri errori e scusarsi avrebbe invece voltato la schiena e sarebbe tornata alla villa dei Campbell, ancora distante solo una cinquantina di metri, per poi trovare rifugio sotto le morbide coperte dell’enorme letto in mogano della camera di David.

Ma era noto a tutti - parenti, amici, conoscenti e non - che Nicole avesse lo stesso senso del giudizio del topo dinnanzi ad un cubetto di groviera ed un orgoglio smisurato, a tal punto da fare abbassare il capo al più fiero tra i leoni della savana. Dunque, la reazione immediata a tale intoppo altro non era stata che sfilarsi dai piedi ormai fradici e pericolosamente in bilico sui tacchi inumiditi le sue elegantissime Sergio Rossi di vernice beige e piantare le radici nel mezzo della carreggiata buia sotto il diluvio torrenziale, dando libero sfogo a tutti gli epiteti più coloriti che riusciva a pescare nella sua memoria per rivolgerli un po’ al paese natio, un po’ al suo fidanzato, a sé stessa, a sua cugina e a quell’imbranato di Brady Sanders.

Fu così che, tutta presa dalla foga del momento, non si accorse nemmeno che una Vespa nera aveva inchiodato a pochi centimetri dai suoi piedi scalzi ed era stata abbandonata senza troppo riguardo sul ciglio della strada dal suo conducente.

-Dì, sei pazza per caso??

Due mani fredde le serrarono le braccia sottili, scuotendola con veemenza. Nicole lasciò cadere per la sorpresa pochette, scarpe e persino il preziosissimo pacchetto di sigarette, reso ormai completamente inutile dall’acqua che lo aveva inzuppato, ma che si rifiutava categoricamente di abbandonare al triste destino di essere gettato in un bidone dell’immondizia.

-Anderson? - esclamò incredula quando riconobbe il sopravvenuto.

-Hai idea di quanto sia scarsa la visibilità con questa pioggia? Vuoi farti ammazzare? Cosa ci fai in mezzo alla strada, nel cuore della notte e di un temporale?

-Potrei farti la stessa domanda.

Nicole fece risalire il suo sguardo il suo sguardo dalle Converse consunte, ai jeans scuri con un buco che lasciava scoperto l’ossuto ginocchio destro, fino al cappuccio di felpa grigia incastrato sotto il casco nero, la cui vernice era ormai solo un vecchio ricordo, indugiando su ogni particolare come una mamma il cui figlio, tornando a casa, le mostra i pantaloncini nuovi incrostati di fango e sbavature verde brillante d’erba fresca.

-Ti prego, dimmi che non è un’altra delle sadiche abitudini che avete a New York,- implorò Scott, affrettandosi a sfilarsi la giacca di cerata blu per coprirle le spalle diafane lasciate scoperte dal leggero abito da sera, nel tentativo di calmare il tremolio che le scuoteva violentemente. Era umida, ma ancora calda per il contatto con la sua pelle e Nicole non poté fare a meno di stringere le spalle, per carpirne a pieno il tepore. Il contrasto con le sue braccia infreddolite la fece rabbrividire, storpiandole il viso in una smorfia di disappunto.

-E tu cosa ci fai in giro a quest’ora a cavallo di un mezzo che, a giudicare dai pesciolini che stanno scappando dalle tue tasche, non é il più adatto a cui affidarsi durante un acquazzone?

Il ragazzo sorrise, sfilandosi con aria innocente la fodera dei jeans e replicando, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe rivelato di essersi alzato per andare a bere un sorso d’acqua:

–Avevo appena finito la formazione del Fantabasket quando mi sono reso conto che la Margherita mangiata a cena non mi aveva sfamato. Ho pensato di chiamare Todd, il pizzaiolo, te lo ricordi?

Nicole annuì.

-Poi mi sono detto che all’una di notte probabilmente mi avrebbe scatenato contro il suo bulldog e, in mancanza d’altro, ho optato per le vecchie maniere.

-Che sarebbero?

-Fare con quello che si ha,- ammise sollevando le mani in segno di rassegnazione. -Solo che il mio frigorifero era così desolatamente vuoto che faceva l’eco e, non trovando nulla di più soddisfacente di quattro foglie di insalata e un microscopico residuo di yoghurt greco, ho deciso di fare un salto al Pheseant a recuperare una porzione di fish and chips dal freezer.

Nicole sgranò gli occhi sbigottita.

-Fish and chips…alle due di notte?

-Perché no?- rispose lui candidamente. -Tu fai footing scalza a quest’ora!

-Io non…lasciamo perdere! È meglio che torni a casa.

Scott la osservò silenziosamente, mentre si raccoglieva i capelli e li infilava come meglio poteva dentro il cappuccio. Si aspettava che da un momento all’altro si sarebbe voltata, sparendo alla sua vista, ma Nicole non sembrava intenzionata a spostarsi di un millimetro. Lo fissava con un’espressione a metà fra il disgustato ed il divertito, con il naso lievemente arricciato e gli occhi semichiusi per proteggerli dalla pioggia. Non si spiegava perché avesse mostrato così poca resistenza al suo aiuto, anche se sospettava che l’ennesimo diluvio che sconquassava le estati da quelle parti avesse in gran parte aiutato ad ammorbidire il suo carattere pungente, o quantomeno a lavare via un po’ dell’acido citrico nel quale riteneva che la ragazza facesse il bagno ogni mattina prima di uscire. O, meglio ancora, un’estenuante nuotata, data la sua propensione per ogni attività sadico-masochista, che contribuiva a tonificare le sue gambe di natura già sode e snelle. In realtà, si disse dopo quella lunga e silenziosa pausa nella quale lei non aveva fatto altro che fissarlo rosicchiandosi l’unghia del mignolo, era più probabile che tutta quell’acqua le avesse allagato il cervello quasi quanto a lui, perché, prima di rendersene conto, ammiccò in direzione della sua Vespa reclinata su un fianco e le domandò d’un fiato:

-Vuoi…un passaggio? 

-Sei pazzo?- gli rispose lei sventolandogli la mano davanti al naso. -Diluvia!

Scott incrociò le braccia e la fissò con aria pensierosa.

–Dunque, fammi capire…la soluzione migliore a parer tuo sarebbe starsene impalata sotto la pioggia, sperando che le tue imprecazioni blocchino il naturale corso degli eventi atmosferici?

Nicole scrollò le spalle irritata, spostandosi una ciocca di capelli scivolata fuori dal cappuccio con la manica della giacca troppo grande per lei e disegnandosi così un lungo baffo nero con l’eyeliner colato lungo la guancia. A quel gesto, Scott provò l’irrefrenabile istinto di cancellarlo con la punta del pollice; allungò la mano senza pensare, ma riuscì poi a frenare quel gesto impulsivo sollevando le dita a sistemarsi il ciuffo di capelli castani esattamente un secondo prima che lei si domandasse cosa lo sconvolgeva così tanto sul suo viso da farglielo fissare con intensità per tutto quel tempo.

-Ma è sicuro andare in giro con quel…coso e il bagnato?- gli domandò con voce titubante, sventolando convulsamente la manica di cerata in direzione del motorino.

Lui tirò un sospiro di sollievo.

-Basta stare un po’ attenti. Dai sali, Biancaneve, che ti porto a casa!

Nicole, decisamente poco convinta di quella soluzione, ma consapevole del fatto che fosse l’unica che non prevedesse quindici minuti di cammino scalza e zuppa di pioggia per rientrare a casa o, cosa di gran lunga peggiore, una resa incondizionata a David, prese posto alle sue spalle, rabbrividendo violentemente per l’effetto dell’aria sui vestiti fradici.

Se quel momento fosse stata la scena di una scontata commedia romantica, pensò rannicchiandosi contro la sua schiena, la protagonista dai lunghi capelli ramati, scossa dai tremori, avrebbe appoggiato la testa su di lui, chiuso gli occhi con espressione languida, lasciandosi condurre lungo le curve della strada e, affondando la punta del naso nell’incavo fra la spalla e il collo, ne avrebbe assaporato la delicata essenza, pensando che le ricordava quella della pelle tenera e delicata dei bambini. Lui poi, percependo la sua vicinanza, avrebbe voltato impercettibilmente il capo e…

-Che fai mi annusi?

Nicole irrigidì improvvisamente la schiena.

-Merda!- esclamò poi sbarrando gli occhi.

-No, dai, non dire così! Mi sono fatto la doccia prima di uscire!

Nicole scoppiò a ridere fragorosamente e lo colpì con un lieve pugno, maledicendosi per l’irrimediabile errore che si era appena resa conto di aver compiuto.

-Ho lasciato le chiavi in camera di David!

A quella confessione Scott accostò controvoglia, pronto a girare la moto per riaccompagnarla a casa dei Campbell. Tentando di ignorare la punta di amarezza che aveva trasformato il sorrisetto beato che gli era sorto sul viso in un’espressione tirata, frenò dolcemente per evitare che cozzasse contro la sua nuca con la visiera sollevata.

-Dovevo fermarmi da lui a dormire,- aggiunse lei, come per scusarsi. Scott esitò qualche istante, cogliendo nella sua voce un piccolo accenno di rabbia che gli fece sperare in un rifiuto da parte della ragazza di essere ricondotta a casa del suo fidanzato. Preso poi coraggio, le domandò fingendo un’espressione angelica:

-Dunque se ti chiedo delucidazioni circa il motivo per cui ti trovavi in mezzo alla strada anziché nel suo enorme letto a baldacchino dorato mi becco una delle armi contundenti che stringi in mano dritta in fronte vero?

-Sì,- tagliò corto lei, -e in camera da David non c’é nessun baldacchino,- aggiunse risentita.

-Ok, ho capito. Dai, ti porto a casa mia.

Gliel’ho davvero chiesto? Si domandava giocherellando nervosamente con la frizione. Non poteva fare a meno di percepire il prolungato tacere di Nicole come il frutto del lavorio incessante delle meningi che si spremevano, indecise sul da farsi e dei denti che martoriavano l’interno della guancia.

-Cooper, smettila di fare la schizzinosa. Vuoi stare in mezzo alla strada fino a che i tuoi non si svegliano? O, peggio ancora, arrampicarti su per la grondaia con un vestito di alta sartoria per intrufolarti dentro casa?

Non c’é niente di razionale in tutto questo, pensava lei frizionandosi le tempie, valutando il da farsi. Nella rosea ipotesi che i suoi genitori avessero udito il campanello, o la sua voce, avrebbe dovuto comunque fare i conti con l’ira funesta di sua madre, il cui sonno leggero era una croce per tutta la famiglia da quando lei aveva memoria, e con la preoccupazione di suo padre, che avrebbe cominciato a bersagliare la sua bambina indifesa di domande circa il motivo per cui non si trovava a casa del suo fidanzato bensì bagnata fradicia davanti alla loro porta di casa con una giacca impermeabile maschile che la copriva fino alle ginocchia. Ragionevolmente non vi era nulla di male, ma non le andava di passare ore di veglia a farsi sottoporre ad un interrogatorio, né tantomeno di coinvolgere i propri genitori nelle sue faccende; dopo sei anni di indipendenza completa, le sembrava di essere eccessivamente cresciuta per ricadere nelle dinamiche della sua adolescenza.

No, non c’è decisamente nulla di razionale in tutto questo.

Da quando d’altronde a Province Town la gente si comportava in modo ragionevole?

Tutti in quel paese da cartolina dimenticato dal mondo sembravano trasformarsi: Annie e Brady che agivano come due bambini dell’asilo a cui viene sottratto il gioco preferito, David più intrattabile che al termine di una giornata nera per Wall Street, e anche Landon, imperturbabile per natura, sembrava subire l’influenza negativa della cittadina, mostrando un’intolleranza ed un distacco nei confronti della sua famiglia che riusciva normalmente a celare agli occhi dei più.

Persino lei, che si era sempre ritenuta immune dai meccanismi perversi che si innescavano immancabilmente durante i soggiorni nei luoghi della sua infanzia, cominciava a dubitare della sua capacità di resistenza: per anni aveva tentato con certosina accuratezza di rimuovere qualunque legame o episodio che rivendicasse il suo passato trascorso in quei luoghi. A differenza di sua cugina che, nonostante tentasse di nasconderlo, apparteneva a tal punto a quella terra da esserne quasi stata soffocata, lei si era sempre sentita fuori luogo laggiù e per tutta la vita non aveva agognato altro che il fatidico momento in cui avrebbe preso il volo dal nido scelto per lei e la sua famiglia da suo padre, giornalista bostoniano votatosi definitivamente alla scrittura dopo una serie di saggi di grande successo, il quale sosteneva di non riuscire a scrivere lontano dallo sciabordio delle barche a vela e dall’infrangersi delle onde bianche sulla spiaggia. Perché dunque ora provava una sensazione di pace e tranquillità che non sentiva da tempo?

Nulla stava andando come si era prefissata. La morbida seta color cipria della camicia da notte acquistata apposta per l’occasione giaceva in una piccola borsa da viaggio in camera di David, mentre lei, al suo posto, sfoggiava una cerata talmente umida che nulla ormai poteva contro le gocce che continuavano a cadere copiose. Stretto fra le sue braccia, anche se per ragioni tutt’altro che sentimentali, Scott Anderson, proprio una di quelle persone che si era premurata di cancellare dalla sua memoria, le stava offrendo il suo aiuto, dopo che per anni lei non gli aveva riservato altro che occhiate di traverso e frecciatine malevole. La casa verso la quale era diretta non era la Villa dei Campbell, ma nemmeno la lussuosa dimora estiva dei Cooper che era stata la sua casa da bambina: quella Vespa che traballava incerta fra le pozzanghere e le buche della strada la stava conducendo direttamente verso l’ultimo posto nel quale si sarebbe aspettata di trascorrere una notte: l’appartamento di Scott, appunto. Un posto, pensava storcendo il naso, senza dubbio alcuno dal divano sfondato ricoperto da residui di ogni genere e provenienza, di cibo spazzatura consumato davanti ad un televisore il cui valore equivaleva più o meno a quello di tutti gli oggetti della casa –muri compresi- ed una consolle di ultima generazione, con ogni probabilità più importanti della stessa vita del loro proprietario. Un piccolo rifugio dalle pareti ricoperte di poster di film e sportivi attaccati alla meglio con pezzetti di scotch che cedevano un giorno sì e l’altro pure, così come il canestrino storto per i troppi tiri nelle serate con gli amici. La casa tipica di un ragazzo che finalmente conquista la libertà di fare –e disfare- ciò che desidera, lontano dallo sguardo e dalla voce severi di una madre affetta da una cronica fobia dell’ordine e della pulizia.

Questo pensava mentre si interrogava nuovamente su quanto ci fosse di profondamente errato in tutto ciò e rifletteva sul fatto che probabilmente la Nicole sana di mente avrebbe trovato almeno cento motivi validi per non accettare l’aiuto offertole dal vecchio compagno di scuola.

Motivo numero uno: ho giurato di non mettere più piede in casa Anderson da quando, in un eccesso di zelo, mi ha rovesciato la torta al cioccolato per il suo tredicesimo compleanno sulla minigonna di Moschino nuova.

Motivo numero due: se qualcuno in città mi scorge varcare la soglia di casa sua a quest’ora di notte, David si vedrà servire la notizia calda calda assieme alla ciambellina zuccherata e al caffè domattina, arricchita di dettagli di cui io stessa non avrò alcuna memoria.

Motivo numero tre: la cerata mi si sta appiccicando addosso e io mi sento soffocare. Se poi sia per l’ansia o per il materiale plastico inumidito, questo non lo so e non voglio nemmeno saperlo.

Queste tre sole ragioni tre giorni prima avrebbero provocato in lei un opprimente senso del dovere, portandola ad un’eruzione di acidità che sarebbe esplosa con una qualche offesa pungente, mascherata dal sarcasmo, nei confronti di quel malcapitato che, per una qualche oscura ragione, la stava trattando con inusuale gentilezza da quando, tre giorni prima, aveva avuto il buon cuore di aiutarle a raggiungere casa. Tuttavia, la Nicole pazza e sconsiderata che aveva preso il sopravvento sul suo irreprensibile carattere, quella che si stava martoriando la bocca indecisa sul da farsi, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovarne nemmeno una abbastanza valida per farsi condurre nuovamente a casa del fidanzato.

Sospirò profondamente, cercando di ripescare in lei il più flebile barlume di senso di responsabilità, richiamando a sé tutta la concentrazione necessaria per elaborare ulteriori pensieri ragionevoli.

Motivo numero quattro: sono fidanzata. Conterà pure qualcosa no?        

Motivo numero cinque: i commenti di mia madre. E da quando do ascolto a mia madre?

Motivo numero sette: le ragazze come me non frequentano gli Scott Anderson.

Motivo numero otto

-Allora?- insisté lui voltandosi e fissandola intensamente negli occhi.

-Andiamo,- si trovò a rispondere prima di rendersene conto.

Motivo numero nove: Oddio, qual’era il numero uno?

 

 

****

 

 

-Mettiti questa roba. Non é quella roba lì…Ferretti, ma è asciutta.

La maglietta a righe verdi e marroni, appallottolata attorno ad un paio di pantaloncini dei Boston Celtics, le piombò sul viso prima che lei potesse anche solo notare il movimento del braccio di Scott; era entrata in casa di corsa, tremando violentemente e con le labbra blu e si era diretta correndo in bagno alla ricerca di un asciugamano con cui avvolgersi. Aveva lanciato i vestiti fradici nella doccia e si era riparata nel grande accappatoio blu adagiato sopra una stufetta ancora miracolosamente tiepida, sospirando beatamente per il tepore trasmessole dalla soffice stoffa. Una lavata al viso veloce ed era tornata nel salotto giusto in tempo per appoggiarsi sul divano ed appisolarsi con la testa sprofondata nel morbido cuscino rosso che spezzava il nero del divano di pelle con le finiture in acciaio.

Lo osservò scostando di poco gli abiti che le coprivano il viso, mentre si affaccendava attorno ai fornelli per scaldare la porzione di fish and chips e sistemare due birre ghiacciate su un vassoio. Notò come, anche lontano dal bancone, Scott si muovesse con una naturalezza incredibile in cucina, ruotando in maniera impeccabile la padella con cui stava scaldando il cibo, con un canovaccio buttato sulla spalla, azzardando una goffa danza al ritmo di una canzone degli Strokes. Rimase per qualche istante a fissarlo con ammirazione muovere la testa impacciato, lei che non sapeva nemmeno scaldare nel microonde il take away thailandese. Ora che ci pensava bene, lo sportello vetrato dell’elettrodomestico di ultima generazione poggiato sull’isola della sua cucina doveva ancora essere sigillato con l’adesivo promozionale. Perché fare fatica in una città in cui bastava percorrere cento metri a piedi per girare il mondo attraverso le cucine tipiche che presentavano i ristoranti?

Mentre Scott si aggirava indaffarato, colse l’occasione per guardarsi un po’  un po’ intorno: quel piccolo cottage sulla spiaggia l’affascinava oltremodo e ad ogni piccolo dettaglio poteva notare quanto quella che si presentava ai suoi occhi non corrispondesse assolutamente all’immagine che si era creata della casa del ragazzo. Ricordava bene la sua stanza da adolescente, dal momento che le loro finestre distavano solo pochi metri e le era spesso capitato di sbirciarvi dentro con aria di disappunto: un disordinato mix di stendardi di ogni genere e provenienza, appesi accanto ad una mappa celeste e un poster di Spiderman, vestiti buttati a casaccio ovunque per la stanza e un computer perennemente acceso su NBA live o altri giochi di cui non conosceva il nome. La piccola casina affacciata sul mare in cui si era trasferito da adulto invece era accogliente, ordinata e…diversa. Certo, una Playstation 3 troneggiava sul basso mobile TV di legno scuro e lucido, e il canestrino dei Boston Celtics pendeva pericolosamente, segno che il proprietario doveva averlo usato per schiacciare ripetute volte in uno di quei momenti di trans agonistica che colgono gli uomini quando rimangono soli fra le loro quattro mura e si esaltano sentendosi i  Lebron James della situazione. Per il resto però, tutto trasmetteva calore e allegria: le pareti, in alcuni punti ricoperte da piccoli mattoni a vista, erano tappezzate da poster e fotografie dai colori sgargianti, che raccontavano la storia e le passioni del proprietario di casa. Ovunque vi erano richiami alla musica: la libreria era quasi intermente occupata da dischi e CD, appesa al muro una chitarra elettrica laccata di bianco e sparsi qua e là frammenti di concerti, copertine di Album, volti di cantanti famosi. Viaggi, film, gruppi musicali cult, tutto in quella stanza la catturava a tal punto che avrebbe voluto conoscere la storia che si celava dietro ad ognuna di quelle immagini ed oggetti accuratamente studiati per ricordare gli istanti indimenticabili della vita di Scott.

In un angolo sopra la televisione, proprio accanto al poster di 2001: Odissea nello spazio, la colpì la fotografia di un campo di girasoli che si stendeva sotto un cielo che sembrava dipinto con delle pennellate di un azzurro acceso, interrotte qua e là da impercettibili macchie di bianco; attingendo ai suoi ricordi di viaggio azzardò l’ipotesi che fosse un paesaggio italiano, forse della Toscana.

-L’ha fatta Brady,- Scott interruppe la sua attenta osservazione, facendola sobbalzare per la sorpresa. -Anche quella,- disse indicando una fotografia del Golden Gate Bridge illuminato dalla luce di un tramonto infuocato,- e questa.

Sollevò il dito verso l’immagine di quella che riconobbe essere uno dei tipici pub che rallegrano le viuzze del East End di Londra, in cui un bambino si distraeva girando assorto nelle manine paffute un piccolo dinosauro giocattolo, mentre la sua mamma tentava di catturare la sua attenzione avvicinandogli una forchetta colma di pasta.

Nicole rimase a fissarla qualche istante con il capo reclinato sulla destra, sorridendo intenerita dalla dolcezza di quel frammento di vita colto dall’attento obiettivo di Brady, poi, improvvisamente, si alzò  avvicinandovisi fino a toccarla con il naso. Dopo averla osservata minuziosamente, sembrò ricordarsi che Scott la stava osservando, con un vassoio in una mano e un piatto pieno di cibo nell’altra, lo sguardo incuriosito e un’espressione interrogativa dipinta in volto, quindi girò di scatto, piantandosi le braccia sui fianchi e gli domandò con voce lievemente strozzata:

-Brady è stato in Inghilterra?

Scott poteva osservare i suoi occhi azzurri adombrati penetrare il suo viso, come se volessero incenerirlo mentre stringeva le spalle in un gesto rassegnato. Lei rimase in quella posizione per qualche secondo; sapeva che non era colpa sua se quell’imbecille del suo migliore amico aveva fatto un viaggio in Europa e non aveva cercato sua cugina, eppure in qualche modo si sentiva irritata dalla sua espressione di scuse. Era un altro dei suoi gesti naturalmente gentili, che capiva essere compiuti senza alcuna premeditazione, che la inorgoglivano e la innervosivano allo stesso tempo, facendole sospettare di soffrire di crisi di identità a fasi alterne. Scrollò la testa spazientita e un piccolo ciuffo di capelli bagnati le cadde sugli occhi, facendola sobbalzare; lo allontanò infastidita con un sonoro sbuffo, e, dopo un attimo di esitazione, si avvicinò a Scott, afferrò una delle due birre che reggeva silenziosamente in mano e si diresse silenziosamente verso il terrazzo sul retro della casa.

 

 

 

****

 

 

 

 

Annie non riusciva a prendere sonno. Aveva chiuso gli occhi qualche secondo, ma la persiana di pesante legno scuro si era sganciata a causa del forte vento e aveva sbattuto violentemente contro il muro esterno della sua camera facendola saltare sul letto ansimante e con la gola secca. Fino a quel momento, il tormentato dormiveglia nel quale era scivolata dopo essersi girata talmente tanto nel letto da intrappolarsi nelle coperte, ormai ridotte a mucchi di stoffa informe ed appallottolata ai suoi piedi gelati, le aveva proiettato delle confuse immagini della serata appena trascorsa, che si alternavano all’incubo che periodicamente tormentava le sue notti sin da adolescente.

In una spiaggia candida, illuminata da un sole accecante che rimbalzava sul mare completamente piatto, lievemente increspato solo dai cerchi prodotti dal posarsi dei gabbiani in cerca di cibo, una bambina paffuta, che con gli anni aveva ormai capito essere lei stessa, sedeva sola in mezzo alla spiaggia, tendendo le manine paffute ad una donna. Questa, di spalle, continuava a parlare con evidente fervore con una persona che non riusciva mai a vedere, coperta dalla folta chioma fluente scossa dai movimenti della testa di quella che, era sicura, fosse sua madre. Non volava una mosca ed il silenzio che regnava in quel luogo così pacifico da incutere timore le risultava fastidioso ed insopportabile quasi quanto un rumore penetrante, di quelli che fanno rabbrividire e tremare per il disagio.

Il viso della piccola, che guardava da lontano, si era riempiva a poco a poco di tante piccole chiazze rossastre mentre la sabbia fine si incrostava alle tracce delle lacrime che le scorrevano sul viso: piangeva, ma nessuno le dava ascolto. Senza preavviso, un alito di vento iniziava a sollevare piccoli mulinelli di granelli di sabbia, mentre strature nerastre si facevano largo nel cielo tinto di un azzurro bluastro, oscurando in un breve istante la spiaggia dorata. Poi, così veloce, come un frammento di immagine inserito per sbaglio nella pellicola di un film, il mare si ingrossava ed un’onda nera si riversava con un rumore assordante a terra inghiottendo la bambina, sua madre ed la misteriosa figura con cui si intratteneva. Una frazione di secondo, poi tutto tornava esattamente come era prima: dorato, luminoso, immobile, tacito.

Si levò con il fiato corto e la gola secca e si lisciò il ciuffo di capelli castani madido che le si era incollato alla fronte. Era bagnata di sudore per l’agitazione dei minuti precedenti, ma dalla finestra entrava un vento gelido che le penetrava le ossa, scuotendo il suo esile corpo con tremori e sussulti.

Si alzò in piedi d’istinto e scalza si diresse nel buio verso la camera di Abby, realizzando solo dopo pochi passi che sua sorella esattamente come lei, era uscita di casa il primo giorno di College e che non avrebbe più potuto trovare conforto sotto le sue coperte, come aveva fatto tante volte da ragazzina. Di tornare nella sua stanza non voleva saperne, troppo vuota, spoglia, bianca, fredda. Così infilò la porta di Sam, e scivolò velocemente sotto le sue coperte, scoprendole tese, segno che di sua sorella non vi era ancora traccia. Non che Province Town fosse una città pericolosa, lei stessa aveva passato più volte la notte fuori alla sua età; forse sentiva la responsabilità dei suoi ventisei anni, o forse aveva sempre l’impressione che la sorella minore fosse ancora la bambina di otto anni che le aveva lasciato un bacio alla marmellata di albicocche la mattina in cui se ne era andata, ma si sentiva ansiosa all’idea che Sam fosse in giro da sola alle tre e mezza del mattino. Si augurava solo che, ovunque lei fosse, Jamie la stesse tenendo d’occhio.

Mentre si rannicchiava sbadigliando sotto le coperte, stringendosi al grande orso che occupava metà del letto di ferro battuto bianco, un rumore secco di qualcosa che sbatteva violentemente dal piano di sotto la fece sobbalzare, mentre udiva la voce acuta di sua sorella che imprecava con poca grazia.

-Dannazione Jamie, tirati su!

Un altro tonfo accompagnato da un secondo acido rimprovero si unì ben presto ai suoi di improperi, visto che i piccoli Morgan sembravano essersi seriamente votati al martirio quella notte: se loro padre si fosse svegliato con tutto quel trambusto i due avrebbero potuto tranquillamente scordarsi la parola vacanze fino all’anno successivo. E Annie non avrebbe esitato a scommettere che, in qualche modo, la sua ira si sarebbe riversata anche su di lei per una qualche oscura ragione: dal momento dunque che era un tantino grandicella per subire le punizioni paterne, decise che, per amor di pace, era giunta l’ora di andare a salvare la situazione. Afferrò al volo una felpa e si precipitò a rotta di collo giù per le scale, del tutto impreparata al teatrino che l’attendeva in cucina.

Jamie, con la schiena curva appoggiata all’enorme frigorifero in acciaio, dormiva placidamente, mentre Sam, rossa in volto per lo sforzo e la rabbia, gli tirava violentemente la maglia, nella speranza di destarlo e farlo rimettere in piedi. Sforzo del tutto inutile, visto che lui era incredibilmente alto per la sua età, mentre la sorella, esattamente come lei, sembrava destinata a rimanere piccola e magrolina.

Annie si avvicinò costernata, riconoscendo  immediatamente che il suo piccolo ed innocente fratellino era completamente ubriaco. Si girò lentamente verso Sam, che si era abbandonata esausta sull’enorme tavolo di legno scuro e le domandò incredula:

- Si è scolato l’intera produzione annuale della Napa Valley questo imbecille?

-Della Napa Valley forse no, ma buona parte della riserva di casa McKinnon sì!- rispose Sam appoggiando la fronte sulla superficie fredda e abbandonando le braccia pesanti lungo i fianchi. -Romeo da quattro soldi.

Con una smorfia di dolore iniziò poi a massaggiarsi il collo, su cui spiccava un evidente segno rosso, lasciato con ogni probabilità dal braccio inerme di Jamie che, a quanto risultava evidente, era stato trascinato a forza fino a casa. Annie tacque con eloquenza, attendendo divertita maggiori spiegazioni mentre si alzava alla ricerca di un canovaccio da inumidire nel tentativo di fargli riprendere quel minimo di coscienza necessaria per farlo salire dalle scale: anche con le migliori intenzioni, nulla avrebbero potuto lei e Sam contro l’inesistente grazia del metro e ottantacinque di un dinoccolato adolescente completamente sbronzo.

-Amber l’ha mollato per l’ennesima volta,- riprese con calma Sam.- Io davvero non capisco cosa ci trovi ‘sto tordo in quella sciacquetta: ha i capelli tinti, le unghie rifatte e lo spirito di un canarino agonizzante.

-Toccante descrizione, puffola,- Annie strizzò lo straccio e glielo passò dall’altro capo della cucina. -E che cosa avrebbe fatto il nostro piccolo ragazzo innamorato per meritarsi la botta di vita del suddetto pennuto in punto di morte?

Sam rise con una mano premuta sulla bocca per un abbondante minuto, prima di cominciare a strofinare lo straccio rinfrescato dall’acqua corrente sul viso del fratello.

-Ha in testa solo il basket, secondo quanto mi è stato riferito da Victoria, che lo è venuta a sapere da Ashley, che a sua volta l’ha sentito nel bagno delle ragazze.

-E Jamie che ne dice invece?

Fu suo fratello stesso a risponderle, dopo aver allontanato con stizza lo straccio freddo che l’aveva destato dal profondo sonno in cui era piombato.

-Jamie dice che lei si sbatte Chace.

-Però, che raffinatezza, fratellino,- commentò Annie scuotendo la testa. Poi, vedendolo chiudere gli occhi nuovamente, dopo quell’inaspettato guizzo di vitalità, lo afferrò ad una spalla, scuotendolo violentemente.

-Heilà? Mi senti?

Ma la sola risposta che ricevette fu uno strano verso, simile ad uno sbadiglio, prima che il ragazzo si voltasse, appoggiando la guancia alla parete fredda dell’acciaio e ripiombasse in un sonno profondo. Annie cominciò a tirargli dei buffetti sempre più forti, ma questo, con un secondo, sonoro balbettio, si voltò di scatto, iniziando a russare poderosamente.

-Qualche bottiglia? Questo si é bevuto anche la benzina della spider del Signor McKinnon, altroché. E tu, dove credi di andare scusa?!- domandò in direzione di Sam, che si stava dileguando nella speranza che il suo ruolo di balia fosse terminato. -Adesso mi aiuti a svegliarlo e a portarlo in camera, se non vuoi che fili dritta da papà a riferirgli che sei fuori dal tuo letto alle tre e mezza del mattino!

-Ma io…

-Niente ma. Forza, ragazzo dal cuore infranto, tirati su!

Senza troppe cerimonie Annie gli lanciò lo straccio in pieno viso, destandolo dal torpore. Approfittando dei pochi secondi di lucidità, lo afferrò sotto le ascelle, si assicurò che fosse ben stabile sulle gambe -anche se con quelle sneakers mezze slacciate non era facile fargli assumere l’andatura più consona a non farlo inciampare nei tappeti che coprivano il parquet scricchiolante - e lo spinse dietro la schiena con un gesto secco.

Quando miracolosamente riuscirono ad infilargli il pigiama e stenderlo sul letto erano ormai passate le quattro e mezza ed Annie sentiva che il sonno l’aveva completamente abbandonata. Anche Sam, nonostante la serata movimentata sembrava non avere nessuna intenzione di dormire, forse ancora troppo agitata per chiudere gli occhi. Scesero dunque di nuovo in cucina alla ricerca di zuccheri e latte caldo che potessero aiutarle a rilassarsi. Mentre la sorella le raccontava gli ultimi aggiornamenti circa la sua vita, i pettegolezzi della città ed il suo odio nei confronti del gruppo delle reginette della scuola, fra cui la famigerata Amber che aveva monopolizzato l’attenzione del suo fratellino,  Annie sentì la tensione accumulata nella notte scivolarle di dosso ed allontanarsi fino a svanire lentamente.

Forse non aveva trovato quello che si aspettava tornando a Province Town, ma non poteva fare a meno di sentirsi estremamente tranquilla mentre divorava la seconda fetta di ciambella destinata ai clienti del Bed and Breakfast e rideva con spensieratezza per la prima volta dopo tre giorni; per tante persone che erano rimaste turbate ce n’erano altrettante che gioivano incondizionatamente del suo ritorno e la piccola Sam, fra tutte, era sicuramente una delle prime. Sarebbe venuto il momento di affrontare e risolvere i suoi problemi, saldare rapporti ormai logori e vincere paure mai superate ma, per il momento, c’erano così tante persone a cui dedicarsi dopo anni di lontananza che le questioni del passato potevano tranquillamente aspettare. Le piccole cose della vita quotidiana da cui trarre piacere e soddisfazione a casa, inoltre, triplicavano di giorno in giorno: insegnare a Sam a bere il latte senza dipingersi due profondi baffi bianchi attorno alle labbra, per esempio, o imparare a fare addormentare il piccolo Josh fra le sue braccia. E ancora aiutare suo padre al Brass Key, cucinare personalmente i biscotti e le ciambelle per il mattino seguente; tutte cose appartenenti ad una routine che pensava di aver dimenticato, ma che solo ora le facevano capire quanto le fosse realmente mancata la sua casa a Cape Cod. Così, mentre Sam, così piccola ma già così identica a lei a quattordici anni, se non fosse stato per i capelli color cenere, si addormentava pacifica e serena con la testa appoggiata sulla mano, cominciò a pensare che forse, se anche lei avesse trovato la tranquillità e la spensieratezza di un tempo, sarebbe anche riuscita ad essere nuovamente felice.

E, se c’era una cosa che l’aiutava a schiarirsi le idee e rilassarsi quella era sempre stata, sin da ragazzina, correre sulla spiaggia all’alba e fermarsi poi a fare colazione al Pheseant con uno dei miracolosi biscotti per cui la signora Anderson era famosa in tutta la città. Decise di ripartire da lì: inoltre, dato che la gestione del locale era passata definitivamente nelle sue mani, Scott sarebbe stato di sicuro dietro al bancone e due chiacchiere con lui non potevano che farle bene.

 

 

 

****

 

 

 

Mentre Annie affrontava l’apparentemente insuperabile difficoltà di risalire le scale per lavarsi il viso scrollandosi così di dosso le ultime tracce di sonno, ed avviarsi lungo la spiaggia per svegliare le gambe intorpidite dall’assenza di sonno, Scott era inspiegabilmente alle prese con un altro tipo di problema: aveva dato a Nicole dei suoi vestiti, assicurandole che, sebbene non potesse fornirle raffinatezze quali Alberta Ferretti, la sua maglietta a righe e i suoi pantaloncini da basket erano sufficientemente puliti ed asciutti da preservarla da un raffreddore assicurato. Lei aveva miracolosamente accettato di buon grado e, così agghindata, si era aggirata per la sua casa, senza nascondere lo stupore di trovarla così minuziosamente curata ed ordinata. Forse, pensava Scott, si era aspettata di vedervi chissà quali stranezze ed invece era rimasta visibilmente colpita dal suo piccolo cottage, dal modo in cui l’aveva arredato e, soprattutto dalla terrazzina che si affacciava sulla spiaggia bianca, che l’aveva spinto ad acquistarla senza riserva alcuna, dove si erano goduti il fish and chips e si erano bevuti una discreta quantità di birra ghiacciata. O meglio, lui aveva divorato il prelibato piatto mentre lei lo istruiva con il naso storto su quante calorie contenesse e quanto facesse male divorare pietanze fritte, specialmente a quell’ora della notte. Poi però, vinta dal delizioso profumo o forse dimentica di tutti i suoi irreprensibili principi a causa della birra che si era scolata senza troppe cerimonie, chiacchierando incessantemente, gli aveva rubato le ultime patatine, le sue preferite, quelle lasciate nel fondo del sacchetto perché più abbrustolite delle altre. Minuto dopo minuto, con l’aiuto dell’alcol e di una copertina di lana sulle gambe che li aveva finalmente scaldati dal freddo penetrante provocato dalla pioggia che li aveva colti nel cuore della notte, le palpebre di entrambi si erano fatte pesanti ed erano scivolati nel sonno, cullati dal movimento ritmato del grande dondolo di legno bianco.

Dopo nemmeno un’ora di sonno però, infastidito dalle prime luci dell’alba e definitivamente destato dall’acuto e sgraziato verso di un gabbiano che si era depositato a pochi metri di distanza, Scott si era svegliato di soprassalto, inizialmente dimentico di dove si trovasse. Era stato a causa dello stato di beata ignoranza in cui era scivolato che, una volta svegliato, si era fatto quasi venire un infarto e aveva sobbalzato violentemente sul morbido cuscino blu, sbattendo la testa contro lo spigolo del palo di legno che reggeva il dondolo. Nicole Cooper, nel sonno, gli si era comodamente accoccolata fra le braccia, forse infreddolita o semplicemente ignara del fatto che non si trovava nella lussuosa camera a letto di David, ma nella sua minuscola e comunissima veranda.

Da un lato non avrebbe mai voluto svegliarla, un po’ perché sì, ammetteva che la ragazza nel suo letto -o dondolo - era stato il sogno che lo aveva tormentato nei lunghissimi anni della sua adolescenza, un po’ perché aveva seriamente paura,  una di quelle che proprio non ti danno tregua infuocandoti la bocca dello stomaco, di quale sarebbe stata la sua reazione se si fosse destata improvvisamente in quella posizione. Provò a scostarsi di un poco, ma Nicole non fece fatica a ritrovare la posizione precedente, sistemandosi comodamente con la guancia appoggiata al suo petto e la mano destra leggermente schiusa sul suo stomaco. Dopo minuti di svariati tentativi, decise di rimandare il problema e godersi quell’effimero momento di gloria ed iniziò a giocherellare distrattamente con una ciocca di capelli rosso dorati fischiettando impercettibilmente per stemperare l’ansia.

-La vuoi smettere?

Un mugugno che gli parve venire dall’oltretomba si levò dalle labbra di Nicole, socchiuse quel tanto che bastava da emettere versi quasi indecifrabili.

-Eh?

-La tua gamba. Trema. Non mi fai dormire, Anderson.

Scott tentò disperatamente di fare appello a tutte le sue forze per smettere di scuotere la gamba. Vi sarebbe anche riuscito se non fosse stato che, nel momento in cui realizzò che Nicole aveva fatto il suo nome nel dormiveglia, sussultò così forte che anche la povera ragazza, spaventata, si levò di scatto, colpendolo debolmente sullo sterno.

-Si può sapere qual’é il tuo problema?! Voglio dormire!

Scosse la testa, arrossendo come un adolescente impacciato. Nicole si stropicciò gli occhi, sbadigliò e si passò una mano sul ciuffo di capelli, cominciando a fissarlo con quell’aria di smarrimento di cui solo chi ha dormito una manciata di minuti è capace. Scott la guardava, pensando che, seriamente, non aveva mai visto niente di più bello in vita sua: era sempre stato innamorato di lei, sin da bambino, ancora prima di quell’unica estate in campeggio in cui lei, inspiegabilmente, gli aveva concesso il privilegio dell’amicizia. Sentimento che non si era sopito quando la ragazza glielo aveva tolto, convinta che frequentare persone così poco attraenti - nulla di affascinante si poteva infatti trovare nelle sue ginocchia ossute, sempre sbucciate, nel suo ciuffo ribelle e nella sua scarsa propensione a sbavare nei corridoi al suo passaggio, interrompendo qualunque attività nella quale fosse impegnato come facevano quei gorilla senza cervello della squadra di football - poco giovasse alla sua immagine pubblica. Non aveva smesso di adorarla nemmeno quando, da adolescente, lei aveva cominciato a fare quasi finta di non conoscerlo mentre le serviva il caffé al Pheseant, ignorandolo come se non avesse nulla a che fare con lui, come se non avessero trascorso ogni giorno della loro infanzia insieme, come se non fossero vicini di casa da quando erano nati e lui non fosse l’inseparabile membri del trio Morgan-Sanders-Anderson di cui faceva parte sua cugina Annie.

Negli anni aveva semplicemente imparato a convivere pacificamente con il desiderio perenne di quei grandi occhi azzurri, delle sue lentiggini infantili, della sua risata argentina, della sua parlantina, della sua acidità. Poi lei se ne era andata e non si era più fatta vedere da quelle parti, come se essere cresciuta in un posto così ai confini del mondo fosse un disonore, una nota stonata nel curriculum dell’impeccabile ragazza di buona famiglia trasferitasi a New York per studiare in una prestigiosa facoltà, fidanzarsi con un ragazzo dell’alta società e divenire una di quelle affettate signore dei salotti cittadini, esattamente come lo erano state sua madre, sua zia e tutte le donne della famiglia Cooper prima di lei. Scott aveva imparato a dimenticarla nel corso degli anni, aveva avuto le sue storie, scoprendo che in realtà la sua aria da bravo ragazzo, il suo modo di fare ed i suoi dolci tratti quasi infantili riscuotevano parecchio successo fra le ragazze che non rispondevano al nome di Nicole. Poi, inaspettatamente, tre giorni prima lei era riapparsa platealmente nella sua vita, concedendogli, a modo suo ovviamente,  il privilegio della sua attenzione. Era rientrata in gioco con lo stesso impeto del mare di Cape Cod che, quando si alzava il vento ed iniziava la burrasca, si avvicinava rumorosamente alla sua terrazzina, minacciandola con la violenza delle sue onde. D’altronde si sapeva, Nicole stava a remissività quanto lui stava a mondanità e non avrebbe certo permesso che il suo ritorno fosse passato in sordina fra gli abitanti di Province Town, lui compreso. Per cui se ne stava lì, con il viso lievemente imbronciato, la schiena curva e le gambe coperte da un paio di pantaloncini troppo grandi per lei e lo fissava con gli occhi azzurri lievemente sgranati, nel tentativo di rimanere sveglia, mentre lui non riusciva ad elaborare pensieri che non riguardassero la bellezza del suo viso insonnolito e corrucciato. Provò nuovamente l’irrefrenabile istinto di accarezzarle la guancia, ma non riuscì a mascherare una seconda volta quel  gesto istintivo. Allungò le dita sfiorandola, risalendo lentamente fino a sistemarle i capelli dietro l’orecchio. 

-Hey che fai?

Scott deglutì lentamente.

-M…mosca,- si schiarì la voce. –Avevi una mosca sul viso.

Lei non diede segno di protesta; lo fissò stranita, poi si puntellò sulle mani, allungando le gambe intorpidite e, protestando debolmente, gli domandò:

-Visto che non mi fai dormire, mi offriresti almeno la colazione? Ho fame.

-Hai mangiato patatine un’ora fa Nicole,- obiettò Scott, sorpreso di tanto slancio nei confronti del cibo.

-E ora ho bisogno di zuccheri,- protestò lei, assumendo il broncio ed incrociando le braccia al petto; a quel gesto infantile le labbra di Scott si aprirono in un sorriso addolcito, che non venne cancellato nemmeno quando Nicole, dopo essersi alzata scuotendo le gambe, sembrò ritrovare quell’acidità perduta che la contraddistingueva. -Per affrontare il fatto di essere qui devo almeno ingurgitare qualche alimento soddisfacente.

Qualche ora prima il ragazzo avrebbe replicato con una frase tagliente, dando libero sfogo alla brillante capacità oratoria che era divenuta negli anni il suo marchio di fabbrica. Era comunemente noto che chiunque lo stuzzicasse ricevesse in cambio una risposta adeguata, forse per difesa, forse per tenere sempre in allenamento la lingua che, a detta di sua madre, non aveva mai smesso di funzionare dalla prima volta che aveva esclamato un sonoro no alla sua sorellina che gli domandava se le voleva bene. Nicole si era immediatamente resa conto del fatto che, se in adolescenza qualcosa gli aveva impedito di testare questo meccanismo ormai rodato su di lei, lo Scott adulto non perdeva occasione per lanciarle qualche battutina mordace; fu per questo che, aspettandosi una risposta adeguata alla sua provocazione, rimase nuovamente stupita dalla reazione che le mostrò alzandosi, lisciandosi con calma e meticolosità il tessuto dei jeans e domandandole con gentilezza:

-Che ne dici di venire con me al Pheseant? Ti preparo qualcosa di buono, qui non ho quasi nulla, se non una scatola di cereali.

Il caffé della famiglia di Scott distava un centinaio di metri da casa sua, e c’era il rischio che la vedessero i suoi genitori o, peggio ancora, David stesso, per cui doveva necessariamente rifiutare la cortese offerta, prendendo dritta la porta di casa e dirigendosi a passo svelto verso la villa dei Cooper, facendo appello a tutti i Santi del paradiso affinché nessuno la vedesse. Tuttavia, il folle alter ego che sdoppiava la sua irreprensibile personalità, a cui attribuiva tutte le scelte sconsiderate degli ultimi giorni, la anticipò e lei non poté fare altro che sorprendersi mentre gli posava una mano sul braccio e gli domandava con gli occhi illuminati per il languore:

-Li fa ancora quegli incredibili biscotti al cioccolato tua mamma? Se non ricordo male facevano miracoli.

Scott annuì pensieroso:

-Te ne servivo uno ogni volta che avevi il cuore spezzato. Non che sia successo spesso, ma ricordo di averlo fatto.

Nicole lo guardò, tentando di decifrare il suo sguardo. Forse per imbarazzo, forse per stanchezza, lui abbassò gli occhi, fissandosi intensamente le punte dei piedi che giocherellavano nervose dietro la stoffa scolorita delle sue All Star nere e continuò con un filo di voce, rispondendo alla sua muta richiesta.

-Di solito eri tu quella che li spezzava, i cuori. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi scuso profondamente per il lungo periodo di pausa: fra esami, indisposizioni e, grazie al cielo, vacanze, ho fatto molta fatica a scrivere. Grazie a chi ha avuto la voglia di ricominciare a leggere questa storia e a chi invece approda qui da novellino.

Non ho molto da dire in realtà, se non che l’estate mi ha messo di buon umore, viste le carie che mi sono venute scrivendo questo capitolo il cui sottotitolo è senza dubbio –fluffistheway-. Avevo voglia di divertirmi un pochino, spero solo che sia stato lo stesso per voi; come avrete capito dal titolo stesso il capitolo è diviso in due parti e spero di potere pubblicare al più presto la seconda che è già finita, ma ancora non mi convince a pieno. Nel frattempo vi annuncio che sto scrivendo un OS sulle vicende di alcuni dei protagonisti da bambini, spero che avrete modo di leggerla ed apprezzarla quando la pubblicherò.

Per quel che riguarda strettamente Never let me go invece, come avrete notato, ho inserito all'inizio del capitolo la canzone da cui il titolo prende spunto: lo faccio sempre, un po' per ispirarmi, un pochino perché mi piace moltissimo fare ricerca di canzoni nuove esplorando generi anche magari diversi da quelli che ascolto di solito (non avete idea di quante compilation di Grey's Anatomy mi stia sciroppando, per trovare pezzi di un genere genere adatto a questa storia!). A tal proprosito quindi penso che riediterò i capitoli precedenti, inserendo, nel corso della scrittura, il link delle canzoni citate o da cui prendo spunto per il titolo e la scrittura, se vi interessa fra qualche giorno fate un passetto indietro e troverete i collegamenti, come in questo capitolo.

 

Tornando ai ringraziamenti, volevo rivolgere la mia attenzione ancora a chi mi ha recensito (ho dato la priorità, visti i tempi biblici, alla pubblicazione, ma giuro che vi risponderò a breve!), inserito la storia fra le seguite, preferite o quant’altro e, ovviamente, anche a chi si è soffermato senza lasciare un segno: la storia é dedicata innanzi tutto a voi che la sostenete. A tal proposito dunque vi bullizzerò un pochino affinché leggiate questa OS, scritta da quella pazzoide che ancora ascolta ed appoggia i miei deliri di Gypsy_Rose90, nonché Erica, che, oltre ad essere una beta eccezionale, ha ampiamente dimostrato di saperci fare con le parole, presentando un notevole frammento di vita di Annie Morgan a Londra. Correte a dare un’occhiata se non l’avete ancora fatto!

Che altro dire…nulla, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non mi vogliate prendere a padellate per il ritardo con cui l’ho pubblicato. Prometto sin da ora che sarò più brava con il prossimo e che aggiornerò (esami permettendo) quanto prima.

 

 

Un abbraccio, Lyra

 

 

 

   
 
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