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Autore: MelKaine    03/09/2012    26 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of everything 20
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Eccomi, direi che sono migliorata almeno un pochino, un mese invece di altri tre anni non è male, no? XD
Volevo provare a mantenere un ritmo di circa tre settimane ora che sono rientrata dalle ferie, ma è meglio non promettere per il momento! Grazie ancora per la pazienza e finalmente il nuovo capitolo!

Buona lettura

Ps. Cercherò di rispondere a tutte le recensioni al più presto, grazie del tempo che mi avete dedicato <3 

 



The Heart of Everything

 

 

 20 - / Concern of mine /

 

“Minerva, mia cara, potresti lasciarmi solo?” chiese gentilmente Albus, ritraendosi dalla finestra del suo studio con lentezza.

Con un grazioso cenno della testa la Professoressa McGonagall acconsentì, bevve rapidamente l’ultimo sorso dalla sua tazza di tè del mattino e si accomiatò.

Dumbledore si diresse verso la scrivania e la liberò con un gesto pigro della mano dai resti della colazione condivisa con la professoressa di Trasfigurazione quindi chiamò un elfo domestico.

“Ti pregherei di comunicare al Professor Snape che la sua presenza è richiesta nel mio ufficio fra circa un quarto d’ora”.

L’elfo annuì e scomparve.

A quel punto Albus sedette, le dita delle mani incrociate sotto il mento.
In attesa dell’inevitabile.





 
Il piccolo Harry si svegliò presto. Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il nero e subito si tranquillizzò. Era buffo pensare che a casa dei suoi zii il nero aveva sempre voluto dire dolore e cantina e spazzatura da mangiare e notti al freddo a piangere, ma adesso tutto era diverso, il nero era il colore dell’uomo-Sevreus e svegliarsi accanto a lui per il piccolo Harry era un sogno che diventava realtà. Nessuno avrebbe mai voluto dormire con Harry, perché Harry era sporco e cattivo e brutto, questo dicevano i suoi zii ed invece non era così. L’uomo-Sevreus l’aveva detto, i suoi zii gli avevano mentito tutto il tempo e adesso Harry non credeva più loro, non gli avrebbe creduto mai più perché l’uomo-Sevreus aveva dormito con lui e lo aveva fatto stare nel suo letto perché Harry non era sporco e cattivo e nemmeno brutto.
Harry era un bambino normale.
Pensarlo lo riempì di una tale gioia che Harry quasi rise a voce alta, ma si trattenne perché l’uomo-Sevreus stava ancora dormendo ed Harry non voleva disturbarlo.
Rimase immobile un po’ di tempo poi prese a studiare l’uomo-Sevreus.
Era la prima volta che lo guardava così da vicino senza essere visto.
Ridacchiò pianissimo.
Ricordava bene cosa aveva pensato del suo uomo-Sevreus la prima volta che lo aveva visto e ricordava bene anche tutta la paura che aveva avuto, si sentiva un po’ sciocco ora, ma in quei momenti non poteva sapere ed era davvero terrorizzato perché l’uomo-Sevreus gli era sembrato alto e nero e minaccioso, con il naso grande come quello di un grosso pinguino cattivo.
Adesso, a guardarlo bene, non era proprio così.
Senza rendersene conto allungò le manine per toccare il naso dell’uomo-Sevreus.
Era grosso, sì, ma non pareva più quello di un pinguino visto così da vicino e non era affatto freddo, sembrava quasi un naso normale, ed Harry era stato ingiusto anche con i pinguini perché non ne aveva mai visto uno dal vivo ed in effetti non poteva sapere se quelli con il naso grosso erano più cattivi degli altri…

“Posso chiedere, di grazia, cosa stai facendo, Harry?”

Harry si era perso il momento in cui l’uomo-Sevreus si era svegliato e adesso aveva ritratto in fretta le mani.
Si sentiva un po’ in colpa, aveva svegliato l’uomo-Sevreus che era stato così gentile da farlo dormire nel suo letto.
Quindi chiese scusa subito, ma non scappò dal letto come avrebbe fatto un tempo.
Harry era piccolo, sì, ma sapeva bene che tante cose erano cambiate, lui era cambiato.
Si sentiva bene, meglio di quanto avesse mai ricordato ed era… sì, più… certo nelle cose, più bravo.
Sì, stava diventando bravo e non aveva paura dell’uomo-Sevreus, né paura di dover andare via perché se diventava bravo nessuno lo avrebbe mai mandato via.
Sorrise, pensando a come era bello farlo, a come era bello avere un motivo per farlo.


Rinunciando a capire il bambino-Potter, che prima aveva ‘mappato’ tutto il suo naso per poi sorridere senza nessun motivo apparente, Snape si alzò.
Mentre si vestiva s’informò su come il bambino aveva passato la notte e la risposta fu di suo gradimento.
Attese quindi che il piccolo Potter finisse di prepararsi ed insieme entrarono in cucina per fare colazione.
Un elfo domestico comparve in quell’istante senza essere stato chiamato, Severus trovò la cosa insolita, ma tutto fu chiaro quando la piccola creatura riferì il messaggio di Dumbledore.
Snape annuì e la colazione passò, per il maestro di Pozioni, in un turbinio di pensieri e supposizioni.




Sirius Black, per una volta nella vita, fu grato dell’onniscienza di Dumbledore all’interno delle mura di Hogwarts.
Non era dell’umore adatto a farsi annunciare, era andato lì per uno scopo ben preciso e, come era insito nella sua natura, preferiva arrivare direttamente al punto.
Pertanto quando il gargoyle all’ingresso dell’ufficio del Preside si aprì senza la parola d’ordine Sirius se ne compiacque e subito entrò con Remus.
Quest’ultimo lo aveva seguito fin da Hogsmeade, qualche passo indietro ed in rigoroso silenzio.
Quel silenzio di rimprovero che Sirius conosceva così bene, ma che per una volta aveva deciso di ignorare.
La pazienza non era il suo punto di forza, Sirius lo ammetteva sempre di buon grado, e adesso men che meno. Erano passate settimane e nessuna notizia dell’unico figlio di James e Lily.
Possibile che proprio Albus, fra tutti, non capisse quanto era importante per lui poter finalmente compiere il proprio dovere e prendersi cura del suo figlioccio?
Quanto era stato difficile venire a patti con la propria coscienza e lottare con il senso di colpa che lo aveva divorato come – e qui ironicamente rise – un cane affamato divora un osso?
Non sapere cosa ne era stato di quello che rimaneva della sua famiglia, perché tale l’aveva considerata, era stato un fallimento che lo aveva condotto quasi alla pazzia, più di tutto quello che i Dementors gli avevano fatto, eppure era rimasto aggrappato alla speranza di riuscire, un giorno, ad esaudire la preghiera dei suoi amici, morti in una guerra giusta, una guerra per la libertà.
E quel singolo pensiero lo aveva aiutato, giorno dopo giorno, in quei cinque anni di buio completo. Adesso, che il momento era giunto, nessuno, neppure Dumbledore, sarebbe riuscito a fermarlo.


“Albus”.

“Sirius, ragazzo mio, è un piacere vederti, come ti senti?”

Black esitò, ma lo sguardo severo di Remus lo convinse a mostrare tutta l’educazione che era possibile raccogliere in quella situazione.

“Molto meglio, grazie”.

Naturalmente i limiti della cortesia dei Black non erano tali da spingerlo ad indulgere in inutili chiacchiere di circostanza e Sirius sapeva bene che Dumbledore poteva capirlo, anche se leggeva della disapprovazione nei suoi occhi azzurri .
Mentre sedeva con palese riluttanza decise quindi di arrivare al dunque senza ulteriori distrazioni.


“Immagino tu sappia perché sono… siamo – fece un gesto della mano includendo, suo malgrado, anche Remus – qui, Albus”.

“Naturalmente, mio caro ragazzo, naturalmente” rispose bonariamente il Preside.

E quindi non aggiunse altro per un tempo abbastanza lungo.

Sirius tentò di dominare la propria impulsività, ma i secondi rintoccavano nella sua testa, irritandolo.
“E… dunque?” chiese, sperando di non dover estorcere informazioni in quel modo per tutto il resto della loro, si augurava, breve conversazione.
 
Albus sorrise, affabilmente.
“Stiamo aspettando chi potrà rispondere alla tua prossima domanda, immagino”.

Sirius si posò una mano sulla tempia, al limite della pazienza, mentre Remus tentava di comunicargli spirito di sopportazione con un discreto colpo di tosse quando la porta dello studio si aprì, garantendo l’ingresso a Severus Snape.

“Che cosa ci fa lui qui?” gridò subito Sirius, alzandosi in piedi di scatto.

Albus lo ignorò in favore del nuovo arrivato.
“Proprio la persona che stavamo aspettando, vieni mio caro ragazzo. Siediti”.

Nonostante il rancore che aveva provato alla vista del cane rognoso e del suo amico mannaro Severus sapeva ancora riconoscere la differenza fra un invito ed un ordine quindi sedette con lo sguardo fisso su Albus, sperando veementemente di comunicargli tutto il risentimento che provava per lui in quei momenti.

“Bene, bene – disse Albus, sistemandosi più comodamente. –  Adesso, Sirius, siamo pronti. Puoi porre tutti i tuoi interrogativi a me e a Severus”.

Prima che l’espressione di puro odio che Sirius aveva sul viso si trasformasse in una sequela di insulti inascoltabili Remus intervenne con la domanda più sensata che fu in grado di trovare sul momento.

“Di grazia, Albus, perché mai Severus Snape avrebbe le risposte che Sirius… che noi… cerchiamo?”

“Ma è molto semplice, ragazzo mio. Siete qui per informarvi sulle condizioni del piccolo Harry Potter, dico bene? Come certamente saprete dopo un breve periodo con i suoi più prossimi parenti nel mondo dei Muggle, il mutamento di alcune circostanze, che è superfluo menzionare adesso, hanno imposto il mio intervento. Il piccolo Harry è stato quindi prelevato dalla casa dei suoi zii e condotto qui ad Hogwarts. All’epoca di questi fatti Sirius stava ancora scontando la sua ingiusta condanna ad Azkaban e Severus si è gentilmente offerto – e qui Snape sbuffò ironicamente a voce alta – di occuparsi del bambino. Quindi, se la domanda che Sirius è ansioso di porre è: ‘Dov’è Harry?’ nel presente momento nessuno meglio di Severus è in grado di rispondergli”.


Il gelo più completo cadde su di loro, stendendosi come una coltre mortale di candida neve.


Severus incrociò le braccia sul petto, ma ormai nessuno sguardo o atteggiamento poteva comunicare il profondo astio che sentiva per Albus e per la sua semplicistica e reticente spiegazione.
Come poteva, nel giro di qualche imprecisa frase, ridurre a niente tutte le crudeltà subite dal bambino, tutto il dolore ed il lavoro che c’era stato dietro ogni singolo attimo di libertà che adesso il piccolo Potter poteva respirare?
Il tutto, ovviamente, senza fare alcuna menzione delle proprie colpe, tipico di Dumbledore, certo.
Non sentiva di dovergli rendere le cose facili.
Parlò prima di riflettere.

“Non dimentichi nulla, Albus?”

L’anziano Preside non perse il suo sorriso soddisfatto.
“Oh, giusto ragazzo mio, giusto. Con mio sommo piacere dalla loro convivenza è nato, fra il Professor Snape ed il piccolo Harry, un eccellente sodalizio che ha spinto Severus ad inoltrare, con il mio benestare, domanda di affidamento per il bambino. Naturalmente, ripeto ancora una volta per chiarezza, all’epoca non eravamo ancora in possesso delle prove della tua innocenza, Sirius, e questa soluzione sembrava la migliore per tutti. A mio avviso lo è ancora, in effetti…”


Nemmeno la tolleranza di Remus poteva arrivare a tanto, quando Sirius si alzò minaccioso, il viso distorto in una maschera di incredulo furore, Lupin non gli lanciò nessun avvertimento, nessuno sguardo di invito alla moderazione. Concordava con Black che Dumbledore aveva definitivamente passato il segno.

Severus intanto sospirò fra sé e sé, immobile nell’attesa dell’epico scontro che non aveva potuto prevedere durante la colazione passata a riflettere, ma che aveva fiutato con sicurezza nell’aria entrando nello studio del Preside.
Dannato Albus!
Aveva raccolto davanti a sé i suoi pedoni per poi restare fermo a guardarli scannarsi per una decisione che era già stata presa e sulla quale non si doveva assolutamente tornare.
Era semplicemente impensabile ritenere che Sirius Black potesse essere in condizioni di occuparsi di un bambino qualsiasi, tantomeno di un bambino devastato come Harry Potter.
Bastava fare riferimento all’attuale momento temporale pieno di urla e insulti per rendersi conto che Black non solo non possedeva alcuna padronanza di sé, ma che era incline ad alzare la voce e forse anche le mani.
Assolutamente inaccettabile.


Intanto Sirius, fedele al suo momento di completo rifiuto, continuava ad inveire contro Albus.
“Di tutte le cose assurde e di tutte le tue maledettissime macchinazioni questa è in assoluto la peggiore! Di tutti quelli che avevi a disposizione, di tutti, FRA TUTTI: lui! LUI! Non ti rendi conto del favore che gli stai facendo? Era quello che voleva per vendicarsi, finalmente! Il figlio di James, nelle sue mani! No, NO, NO!”

Albus lo ascoltava pazientemente, mentre Remus restava immobile, ma dal suo modo di sedere si evinceva una profonda agitazione che solo il Preside poteva cogliere appieno.

“ALBUS! TI SBAGLI DI GROSSO SE PENSI CHE LASCERÓ IL FIGLIO DI JAMES E LILY NELLE MANI DI UNO SPORCO DEATH EATER…”

La paziente attesa di Dumbledore cessò in quell’istante, la sua espressione si fece dura, i suoi occhi divennero di ghiaccio.
La sua voce restò pacata, ma risuonò come un incantesimo devastante.

“Adesso basta, Sirius. Ci sono cose che nemmeno trasportato dalla rabbia ti è concesso dire, ricordalo bene. Inoltre tu per primo – e lo guardò intensamente – sai che nessuno, ripeto nessuno, deve essere giudicato prima di essere ritenuto colpevole”.

Sirius indicò furiosamente Snape.
“Il suo braccio sinistro è una prova schiacciante che nessuna corte potrebbe rifiutare…”

“A quanto pare non è così, lo sai bene. Severus è stato sottoposto a giudizio ed è uscito dalle sale del Wizengamot prosciolto da tutte le accuse”.

“Dannazione Albus! Non prendiamoci in giro, sappiamo tutti come tu abbia interceduto in suo favore per i tuoi scopi, ma ti dico che ti sbagli se pensi che…”


“Per quanto illuminante e coinvolgente sia la discussione alla quale ho potuto gentilmente prendere parte grazie ad un, direi, tempestivo invito, Preside, mi trovo costretto a lasciarvi per…”

“TSK!” lo interruppe Sirius, con disprezzo.

“…ottemperare ai miei compiti di insegnante. La mia classe mi attende, vogliate scusarmi”.


“DOVE CREDI DI…”iniziò subito Sirius, ma la voce di Dumbledore lo fermò.

“Severus, ti chiedo di rimanere, per favore. È giusto che Sirius e Remus vengano a conoscenza dei fatti…”

“Ah, sì?” disse Snape, alzando un alquanto ironico sopracciglio.

“…al momento strettamente necessari a risolvere questo problema. Confido nella tua comprensione, Severus, come sempre”.

Maledetto, cento volte maledetto, Albus!
Ma l’avrebbe scontata, un giorno. Forse proprio per mano sua se il cielo avesse voluto.

L’ironia di quel ricordo non gli sarebbe certo sfuggita anni dopo, ma al momento Severus regnò sulla propria, silente, furia e sedette nuovamente.

Per la prima volta da quando era entrato in quelle stanze Sirius gli si rivolse direttamente.
“Dove diamine pensavi di andare? Albus può dire quello che vuole, tutto il dannato mondo magico può dire quello che vuole, ma io conosco la verità, credi che non sappia? Che non abbia udito voci al riguardo?”

“Che tu abbia udito voci, Black, non lo metto in dubbio, pazzo come sei…”

“Sei un assassino ed io lo so. Ti inginocchiavi ai piedi di quell’essere disgustoso e lo servivi, lo ammiravi, perché il suo potere piaceva alla tua anima marcia e nessuno, nessuno smette mai di essere un… suo seguace. Odiavi James e Lily, hai informato tu il Signore Oscuro della profezia e sei riuscito a prenderti la tua vendetta su di loro e adesso, per completare il tuo capolavoro, vuoi tormentare quel povero bambino, ma io non te lo permetterò mai, MAI! MI HAI SENTITO?”

Senza scomporsi troppo, abituato a non mostrare alcuna emozione proprio a causa di quell’essere disgustoso che aveva servito, il maestro di Pozioni replicò lentamente.

“Dimentichi, Black, di essere anche tu un assassino, con la tua, come definirla, malaugurata idea di consigliare Pettigrew come Secret Keeper dei Potter. E’ stata l’espressione più alta della tua idiozia a suggerirtelo oppure in realtà covavi un certo, malsano, risentimento nei confronti del tuo migliore amico?”

“Maledetto. Lurido. Bastardo! Dov’è Harry? Dove lo tieni? Cosa gli hai fatto? Esigo di saperlo, sono il suo padrino!”

Snape rimase in perfetto silenzio, rifiutandosi di rispondere.
Albus sospirò e, attirata l’attenzione del suo insegnante, gli fece cenno di accontentare Sirius.

Con tutta la calma del mondo Snape prese la bacchetta, osservando con la coda dell’occhio come Sirius si fosse quasi impercettibilmente ritratto, e castò un incantesimo temporale per controllare che ore fossero. Non che ne avesse bisogno, ma si compiaceva all’idea di far spazientire quel cane rabbioso.

“A quest’ora il bambino sta facendo i suoi compiti”.

“Quali compiti? Cosa significa? Lo stai facendo lavorare per te? Albus, non puoi aver affidato Harry a questo… questo… no, chissà cosa gli ha fatto, cosa gli ha detto… Snape, ti giuro che se…”

Sufficientemente stanco di quel giochino Severus si alzò.
 
“Naturalmente, Albus, se mi hai chiamato per una consulenza privata, e ne immagino il motivo – disse lentamente squadrando Sirius dall’alto in basso con disprezzo –  il verdetto non ti piacerà. E’ evidente che questo fenomeno da baraccone è nuovamente orientato nel tempo e nello spazio, forse sa anche tornare alla cuccia da solo senza il suo fedele spirito guida mannaro, ed anche la memoria a lungo termine non sembra eccessivamente compromessa per quanto si presenti selettiva e lacunosa… Il problema riguarda tutte le altre funzioni intellettive, quelle superiori, delle quali il soggetto è ovviamente privo, ma di questo non possiamo certo dare la colpa ai poveri Dementors. È senz’altro un grande rammarico che la loro eccellente opera sia stata interrotta così presto…”

“TU! Come osi, maledetto! Lurido… Snivellus!” e fece per gettarglisi contro, un pugno alzato.

Il mezzo sorrisetto sarcastico sparì dai tratti di Snape per lasciare posto ad un’espressione ben più terribile e pericolosa.
In un attimo Severus ebbe in mano la bacchetta e senza esitazione la puntò su Black, mormorando suadentemente:

“Desideri forse che ti venga mostrato perché mi considerava il migliore dei suoi seguaci?”


Albus si alzò a sua volta.
Invisibile, ma presente, il potere magico che sfrigolava attorno al suo corpo dall’apparenza così fragile avvolse tutti nella stanza.


“Vi consiglio caldamente di riprendere i vostri posti, signori. Adesso” disse il Preside con voce bassa, ma assolutamente perentoria.


Sirius sedette, ma Snape, nonostante il potere che poteva chiaramente avvertire, rimase dov’era. Abbassò la bacchetta e fece per andarsene.
Si girò un attimo prima di uscire.

“Fino ad ora ho partecipato a questa farsa dietro tua richiesta, Albus, anche se sai bene quanto io detesti buttare via il mio poco tempo, ricordi? Ma adesso mi rifiuto di sottrarmi ulteriormente ai miei compiti per assistere a questa pessima commedia. Com’è stato possibile osservare con chiarezza Sirius Black non è in grado di controllarsi, nelle parole come nei fatti. La sua impulsività, la sua irascibilità, la sua mancanza di controllo alla minima provocazione verbale, per non parlare della sua somma idiozia, lo escludono completamente e definitivamente dall’essere in grado di occuparsi di una qualsiasi creatura vivente, lui stesso compreso. Pertanto questo ‘allegro convivio’ è completamente inutile. Non permetterò mai ad un uomo simile di avvicinarsi al bambino con questa scarsità di autocontrollo e di… pfui, igiene personale”.

Sirius si rialzò, ma non fece nemmeno un passo verso Snape, sentiva ancora il potere di Dumbledore attorno a loro e non era così stolto da sfidarlo, così si limitò a gridargli dietro.
“Porterò questo in tribunale, Snape, sappilo! Non l’avrai vinta, ti strapperò Harry. Puoi starne certo!”

Severus lo graziò di un ultimo sorrisetto ironico.
“Provaci pure, Black, e buona fortuna”.
Poi si volse verso Albus, la sua espressione s’indurì ulteriormente.

“Ritengo la faccenda conclusa. Potter è, e resterà, una mia preoccupazione. Mia e di nessun altro”.

E così dicendo se ne andò.


Dumbledore sospirò intensamente.
“Tutto questo era veramente necessario, ragazzo mio?” chiese a Sirius mentre quest’ultimo sedeva di nuovo, visibilmente furioso.

Con sua grande sorpresa fu Remus a rispondergli e lo fece con un’altra domanda.
“E’ quello che chiedo a te, Albus. Era necessario? Tenerci all’oscuro, farci aspettare tutto questo tempo, costringerci a venire a cercare la verità per poi scoprire che ci hai traditi affidando il bambino a Snape. Sai che non è mia abitudine giudicare nessuno, ma cosa posso pensare di te? Sai che Sirius ha aspettato tanto questo momento e… proprio lui, poi. Non c’era davvero nessun altro?”

“Remus, ti posso assicurare che in questo momento nessuno, nessuno, è più adatto di Severus e spero che possiate comprendere che non desideravo arrecarvi dolore, ma la situazione ha richiesto un intervento urgente e voi, tu, ma soprattutto Sirius, non eravate ancora qui. Il piccolo Harry aveva bisogno di stabilità e credo sinceramente che l’abbia trovata con Severus…”

“Basta! Non intendo sentire altro. Contatterò il Ministero della Magia ed intenterò causa per ottenere l’affidamento di Harry. Andiamo, Remus” disse Black, alzandosi per andarsene.

“Non c’è davvero nulla che posso dire per farti vedere le cose diversamente, mio caro ragazzo?” tentò un’ultima volta l’anziano mago.

“Non intendo ascoltarti, Albus. Non ti credo più”.

E senza aggiungere altro se ne andarono.






Snape rientrò nelle proprie stanze per pranzo.
Era alquanto insolito che lo facesse, negli ultimi tempi preferiva mangiare in classe, dove poteva più facilmente mettersi avanti con il lavoro per poter poi dedicare più tempo al bambino la sera.
Ma dopo quello che era successo nello studio di Dumbledore aveva bisogno di un posto confortevole per riflettere con calma.
Il bambino era in cucina, presumibilmente intento nel finire il proprio pasto, come Snape gli raccomandava spesso di fare. La scatola dei compiti era ancora sulla piccola scrivania piena di fogli e pergamene di lettere e sillabe.
Non c’era che dire. Si poteva senza dubbio affermare che Harry Potter fosse in assoluto il più costante e diligente studente di Severus Snape.
La sua piccola mente era brillante, quel bambino era come una pianta lasciata troppo tempo al sole che adesso, in presenza della giusta acqua e di un buon riparo dalla luce diretta, si stava riprendendo con tutta l’intenzione di diventare assolutamente rigogliosa.
E Snape ne sarebbe stato impercettibilmente estasiato se non fosse stato per l’insistente pensiero che tutto potesse finire da un attimo all’altro.
Quel disgustoso cane pulcioso era stato chiaro: sarebbero andati in tribunale.
L’ultima cosa di cui Snape aveva bisogno era quella di essere coinvolto in un nuovo processo, in modo da agevolare i membri del Wizengamot che ancora stavano cercando prove contro di lui.
E, senza dubbio, l’ultima cosa di cui il piccolo Harry aveva bisogno era tutta la pubblicità che sarebbe seguita all’evento. Il non avere più una vita già dalla tenera età di sei anni, il dover presenziare di fronte alla corte, l’agitazione che ne sarebbe seguita, per non parlare del fatto che a quel punto la sua nuova collocazione sarebbe stata nota a tutti, soprattutto a chi desiderava ucciderlo o rapirlo.
Era una situazione terribile e come sempre Snape non poteva che dare la colpa ad Albus e alla sua incapacità di giocare a carte scoperte.
Se avesse introdotto l’argomento per gradi subito dopo la scarcerazione di quel demente di Black forse non sarebbero arrivati allo scontro diretto.
Ma Dumbledore si sbagliava enormemente se pensava che Snape non avrebbe usato tutti i suoi assi nella manica.
Era stata taciuta l’informazione sugli abusi e sui parenti Muggle di Harry, così come si era glissato sul nome del responsabile.
Snape aveva compreso immediatamente il motivo della reticenza di Albus. Sicuramente il Preside, dopo tutta la fatica fatta per scagionare Black, non avrebbe tratto giovamento da una sua nuova condanna per plurimo omicidio.
Ma se dire tutta la verità avrebbe significato restare con il suo bambino-Potter, Snape, per una volta, si sarebbe sforzato di dirla.
Al diavolo le conseguenze, al diavolo Albus, al diavolo tutti quanti!
Il bambino-Potter era suo. Suo e di nessun altro, come aveva detto nello studio di Dumbledore.
Una sua preoccupazione, una preoccupazione che Snape voleva con sé, per sempre.



Preso da quei pensieri agitati Severus non si accorse che non solo il bambino aveva finito il suo pranzo, ma che silenziosamente gli si era avvicinato fino a trovarselo davanti nel momento in cui aveva alzato gli occhi.
Il bambino-Potter lo osservava curiosamente, pensoso.
Poi, avvicinandosi ancor di più, lo stupì con una richiesta che non aveva quasi mai avanzato prima.

“Posso toccarti, Maestro Sevreus?”

La sua prima reazione sarebbe stata quella di chiedere ‘Per fare cosa, Potter?’, ma il suo Harry non meritava certo tutto quel sospetto, quindi Snape annuì, chinandosi con il viso in avanti, stranamente convinto che il bambino-Potter volesse in qualche modo portare avanti gli studi morfologici del suo naso iniziati quella mattina.

Invece tutto quello che il piccolo Harry fece fu tenerlo delicatamente fermo con le sue piccole manine mentre gli regalava un bacetto sulla guancia, per poi guardarlo, ridacchiando compiaciuto.

L’espressione di puro stupore che si dipinse sui tratti dell’altrimenti austero ed inflessibile Professore probabilmente venne interpretata dal bambino come una richiesta di spiegazioni.

Ed ecco l’infernale torcersi di manine che Snape non vedeva da un po’ di tempo.
“Harry… io… ho visto che il Maestro Sevreus sembrava come quando i grandi hanno i loro problemi e qualcosa li preoccupa allora ho pensato di fare questa cosa che ho visto fare qualche volta e funzionava sempre quando la vedevo fare… forse ho sbagliato a farlo? Non ha funzionato? Il Maestro Sevreus è ancora preoccupato?”


Quell’animo, quella bontà, come non riconoscerli? Come non sapere che erano il lascito di Lily?
La stessa dolcezza, il bisogno di confortare chi vedeva in difficoltà, la stessa bontà, no forse anche di più perché Severus sapeva che, escludendo sua sorella, Lily Evans aveva avuto una buona famiglia che l’aveva amata ed accettata. Al piccolo Harry invece erano toccati quei rifiuti della società, ma nonostante tutto il bene era così radicato nel suo intero essere da risplendere intensamente anche con un essere nero come Severus.

Sapendo di dovergli una risposta gli accarezzò la testolina arruffata e disse:
“Va molto meglio adesso Harry, grazie per il tuo… aiuto”.

Il bambino sorrise e si allontanò per tornare ai propri compiti, lasciandolo solo con un tale calderone di sentimenti contrastanti in petto da sembrare una pozione di un Hufflepuff del primo anno.



Quella sera stessa, dopo essersi rifiutato tutto il giorno di toccare cibo, Sirius sedette nel suo studio. Quando Remus entrò con un vassoio di tè lo trovò intento a scrivere una lettera. Anche senza vedere il destinatario Lupin sapeva già.
Sedette a sua volta, stancamente.
Dopo un attimo fece per prendere fiato e parlare, ma la risposta di Sirius arrivò senza che la domanda venisse neppure formulata.
“No”.

Remus sorrise brevemente.
Poi parlò, come nulla fosse.


“Non credi sia il caso di… aspettare? ” chiese, gentilmente. Sapeva quanto fosse fragile Sirius in quel momento.

Questa volta Black non gli rispose, ma Remus fece finta di niente.
Aveva sempre funzionato così fra loro.

“Lo so che questa parola, ‘aspettare’, non ti piace e concordo con te che il comportamento di Albus è stato imperdonabile…”

“Pronuncialo questo ‘ma’, prima che ti si incastri in gola, vecchio lupo” sbuffò Sirius.

Lupin rise, un po’ più sereno.
“Ma – disse con estrema enfasi – c’è… non so… qualcosa che non capisco ancora. Dei punti oscuri. Non sarebbe più saggio aspettare di vederci…chiaro?”

In tutta risposta Sirius chiuse la missiva in fretta, la consegnò al gufo che attendeva lì vicino e lo guardò volare via nella sera.

“Capisco” disse Remus, alzandosi e andando via.

 









Continua…






 

Dementors: Dissennatori;
Peter Pettigrew: Peter Minus;
Secret Keeper: è colui che prendendo parte ad un incantesimo Fidelius diventa l'unico custode dell'esistenza di chi è sotto quell'incantesimo, chi si nasconde con l'incantesimo Fidelius non può essere trovato a meno che colui che ne custodisce il segreto non lo riveli;
Snivellus: è il soprannome dispregiativo che James Potter aveva inventato per Severus Snape durante gli anni di scuola.

Non so se effettivamente sia plausibile che Sirius fosse a conoscenza del fatto che Severus avesse ascoltato parte della Profezia e che l'avesse riportata a Lord Voldemort o che Severus sapesse che era stato Sirius a suggerire Peter Pettigrew come Secret Keeper, ma mi serviva per la trama, perdonatemi se fosse un'inesattezza.

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

   
 
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