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Autore: Finnick_    04/09/2012    4 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sto salendo le scale. Le scale del palazzo del Distretto 4. Ho i capelli legati in una treccia, simile a quella che mi fa mia madre. Indosso dei pantaloni di colore verde militare, una maglia beige a maniche corte e scarponi neri in cui sono infilati i pantaloni. E’ vestito così anche Chays.
Le scale sono buie, odorano di muffa, l’umidità traspira dalle pareti. Mio fratello cammina dietro di me, a condurci è Aldous. Silenzio. Sento solo il mio respiro irregolare. Deglutisco. Tengo gli occhi aperti, non vedo più la fine di queste scale. Poi Aldous apre una porta e veniamo illuminati dalla luce del giorno. Siamo sul tetto del palazzo e un Overcraft è parcheggiato proprio al centro, davanti a noi. Mi fermo a guardarlo, mentre le immagini del primo viaggio verso il Distretto Madre mi tornano alla mente. Ancora una volta constato che la memoria mi è tornata e che non ho più problemi di quel tipo.
Sulle scalette che portano all’interno dell’Overcraft sta salendo una ragazzina bionda . Sento Aldous che mi prende le braccia:
- Rue, ascoltami. Quello è l’Overcraft che vi porterà alle camere di lancio. Là vi aspetta Haymitch, io devo andare a prendere gli altri tre del vostro gruppo-
Annuisco e basta, occhi fissi su di lui. Devo ascoltare, devo fare mia ogni informazione che mi viene alle orecchie. Là davanti a me c’è il mezzo che mi aspetta per gettarmi nell’arena. Oggi è il giorno fatidico, che io l’abbia accettato o no. Devo concentrarmi, questa volta, non posso permettermi di fare di testa mia e non ascoltare quello che mi viene detto. Ne va della vita dei miei amici e di mio fratello.
-tieni- Aldous mi porge un giubbotto grigio. Gettando uno sguardo a Chays  vedo che anche lui lo indossa. Il mio stilista mi aiuta e quando sono pronta anch’io, mi da una pacca sulla spalla.
-devi essere forte, Rue. Per te stessa e per coloro che vuoi proteggere. Puoi farlo!- esclama, quasi sussurrando. Posso farlo. L’ha detto solo perché crede in me o perché sa qualcosa che mi potrebbe essere utile? Ma non può dire niente per non finire sotto la mira di Capitol 13? Se è così devo fare ancora più stretta la consapevolezza che mi serve qualsiasi discorso che mi viene fatto. Annuisco di nuovo, chiudo gli occhi un momento e mi volto verso l’Overcraft che aspetta solo noi. Attendo che Aldous abbia salutato anche Chays e ci incamminiamo verso le scalette. Il nostro stilista si avvia per tornare di sotto a prendere gli altri, ma prima di farlo si volta e ci osserva. Mi giro in tempo per vederlo baciare tre dita della mano e portarle in alto verso di noi.
Sospiro pesantemente. Ricordo quel gesto. Significa compassione, gratitudine, lealtà, coraggio. E’ l’augurio che la fortuna sia dalla nostra parte. Lo fecero a mia madre quando si offrì volontaria nei primi Hunger Games e lei stessa lo fece alla morte della piccola Rue, da cui ho preso il nome, scatenando inconsapevolmente la prima rivolta. Faccio lo stesso: bacio tre dita e le alzo. Poi alzo anche l’altro braccio e punto il dito verso il cielo. Questo è il mio simbolo. Il mio segno di riconoscimento.
Vedo Aldous sorridere e scomparire giù per le scale.
Mi volto verso mio fratello. È l’ultima volta che posso farlo, prima di salire sull’Overcraft, quindi l’abbraccio. Forte.
-tranquillo, ce la faremo, vedrai- dico, ma il tono di voce tradisce ciò che ho appena detto.
Lui trema. Lo sento che mi stringe le mani tremando e sussurrando:
-ho paura Rue-
Lo accarezzo e gli scosto i capelli biondi dagli occhi: -anch’io. Ma siamo insieme, ricordatelo-
Lui annuisce. In quel momento un uomo vestito di bianco ci viene a prendere e ci scorta all’interno dell’Overcraft. È lì che veniamo separati ed è lì che penso che a partire da adesso, fino al momento in cui sarò nell’arena, sono sola. Siamo tutti soli. Mi siedo accanto a Denton che in silenzio fissa un ragazzetto basso e moro davanti a se. Passa una donna che ci lega con cinturoni metallici e ci impianta il dispositivo di riconoscimento nel braccio. Non so se questo veniva effettuato anche ai tempi di Snow, fatto sta che la fitta di dolore del chip nella pelle è secca e forte. Mi mordo un labbro e aspetto che abbia finito.
Poi partiamo. Il viaggio dura effettivamente solo qualche minuto, perché l’arena è al confine tra il Distretto 4 e il 5. In un batter d’occhio siamo nelle nostre camere di lancio. Soli, con un mentore o una persona specializzata a testa. Quando entro vedo Haymitch.
Non sono mai stata così contenta di vederlo. Strano. Non avrei mai creduto di volergli bene, nemmeno un briciolo. E’ sempre stato solo una persona a parer mio simpatica, un vicino di casa che ci scroccava alcol e mi scambiava spesso per mia madre.
E’ a lui che devo la mia partecipazione sull’Overcraft, quando tutti mi impedivano di muovermi. E’ lui che mi ha coperto due giorni fa quando mi ha visto rientrare a notte fonda dalla spiaggia, non facendone parola con nessuno. Lui che ci e mi ha seguito fino ad ora in queste stressanti settimane.
Adesso è lui che mi da l’ultimo saluto.
Quando mi vede spalanca le braccia, senza sorridere e io gli crollo addosso abbracciandolo.
-tua madre non ha mai avuto tutto questo affetto nei miei confronti-
Mi sto attaccando a l’ultima persona che mi riporta a casa. Nel Distretto 12, tra i boschi.
-andiamo, vecchio ubriacone, cosa ti sei bevuto stamani?- mi viene detto.
Lui sorride: -solo un bicchierino di scotch-
Lo guardo con aria da inquisitrice.
-e un goccio di vino bianco- aggiunge. Poi per togliersi di dosso il mio sguardo tenta di giustificarsi:
-ehi, fanno dell’ottimo vino da queste parti e quello bianco sta benissimo con il pesce!-
Ci sediamo su un divano che è precisamente davanti al tubo che mi spedirà entro pochi secondi nell’arena.
Ripiombo nel terrore e mi sforzo di concentrarmi.
-cosa devo fare?- chiedo.
-rimanere viva-
-non posso farlo, se voglio lasciare in vita ..-
-chi, Rue?- mi chiede Haymitch voltandosi improvvisamente verso di me.
-c’è un solo vincitore e quello che Capitol 13 vuole è la tua morte. Tua e di Finnick. Non puoi salvarlo e lui non può salvare te- dice secco.
Scuoto la testa. Non lo accetto.
-ci dev’essere una soluzione diversa, non possiamo darla vinta a Capitol 13- dico.
-non fare come tua madre e ascoltami: non puoi mai dire cosa troverai in un’arena, ma sai cosa puoi portare con te-
-sì, lo so: il coraggio, la speranza, la voglia di vivere, eccetera- rispondo.
-e questa- Haymitch mi porge una spilla. Quando la riconosco sento un vuoto immenso nel cuore. La prendo e la stringo in mano.
-appuntatela sulla maglia- dice lui. Dopo qualche secondo mi sbuca dal giubbotto la spilla della ghiandaia imitatrice di mia madre. Ma la cosa che la contraddistingue è il fatto che a circondare il motivo circolare della spilla è un filo d’oro massiccio che disegna una stella a cinque punte. Sono io. La Stella Verde.
-devi ricordarti chi sei, Rue. E devi ricordarti che come tua madre e tuo padre hanno strappato la vittoria a Capitol City, tu e Finnick potete farlo anche questa volta-
Sto per dirgli che ciò che ha appena detto contraddice completamente quello che aveva detto prima, ma lui fa in tempo ad aggiungere:
-a costo della vostra vita-
Allora è vero. Probabilmente io e Finnick siamo solo dei sognatori e non c’è alcun modo per uscire tutti vivi da lì. Ci sarà solo un vincitore. E toccherà a me scegliere. Ma io non posso e non voglio scegliere.
Farò arrivare lui, mio fratello, Jymith e Merope vivi fino alla fine, poi lì lascerò a uccidersi tra di loro o a trovare una soluzione plausibile.
Perché io adesso non la trovo e vedo solo quello che posso fare fino ad allora.
Una voce metallica sentenzia:
-trenta secondi al lancio-
Comincio a tremare, tanto che Haymitch mi deve aiutare ad alzarmi dal divano, perché rimarrei lì per sempre.
-devi piacere alla gente- mi dice mentre mi avvicino al tubo.
-non posso farlo- rispondo con voce tremolante.
-l’hai fatto fin’ora continuerai così e ..-
-dieci secondi- la voce parla di nuovo.
Devo entrare, devo assolutamente entrare nel tubo di lancio.
Haymitch si sposta per lasciarmi passare e io faccio fatica a camminare fino lì. Ho paura. Ma non quella che provai sull’Overcraft quando fummo attaccati. Adesso è diverso. So che non tornerò mai indietro.
-non saltare dalla pedana prima che il tempo sia finito, altrimenti ti fanno saltare in aria e non immischiarti nel bagno di sangue alla Cornucopia- continua Haymitch, mentre io mi ritrovo davanti al tubo.
Annuisco.
Entro.
Mi volto di scatto a guardare Haymitch, che mi grida:
-usa l’energia! Puoi farcela!-
La porta automatica si chiude prima che possa rispondere. Prima che possa chiedere. Tiro un pugno alla porta e cerco di far capire a Haymitch che vorrei saperne di più. Vorrei sapere perché mi ha detto quella cosa da ultimo. È un indizio, può aiutarmi nell’arena. Ma avrei avuto bisogno di parlarne. Forse non me l’ha detto prima per non essere ascoltato da telecamere e microchip che potrebbero essere ovunque.
La pedana sotto i miei piedi comincia ad alzarsi.
Il terrore mi invade.
Sento l’aria che si sposta man mano che salgo.
Appoggio tutte e due le mani al vetro e cerco di mantenere il contatto visivo con Haymitch.
Ma la pedana sale. Piano, ma va sempre più su.
Haymitch sparisce dalla mia vista e adesso sono al buio del tubo di lancio. Sono terrorizzata.
Completamente. Altri ventitre tributi stanno percorrendo tubi identici al mio.
E io dovrò uccidere e difendermi ancora una volta. Lascio ricadere le braccia lungo il corpo e guardo in su, dove vedo luce.
Poi emergo.
Impiego qualche secondo per realizzare dove mi trovo.
L’indizio che Haymitch mi ha lasciato all’ultimo secondo, il fatto che probabilmente sarà punito per questo. Io che adesso sono nell’arena. Ci sono definitivamente.
La pedana si ferma e io mi guardo in torno. Sono in una prateria.
C’è qualche boschetto qua e là, ma niente che possa assomigliare ad una foresta. Mi volto alla mia sinistra e scopro che c’è una collinetta su cui svetta dominante un castello. Avevo sentito parlare di costruzioni del genere, ma non fanno parte della nostra storia. Della storia di Panem, intendo.
Poi guardo i tributi intorno a me e realizzo che siamo solo in sei.
Che vuol dire?
Che strategia è questa?
Siamo disposti in cerchio e in mezzo a noi c’è una piccola cornucopia. Niente a che fare con le grandi costruzioni con cui mia madre e mio padre ebbero a che fare un tempo. Ci sono poche armi. Qualche spada, un’ascia, un tridente ed un arco. Il tridente. Cerco Finnick tra i tributi che mi circondano, ma non lo vedo.
Non c’è. Che senso ha mettere qui l’arma di qualcuno che non può prenderla?
E’ solo per complicare le cose. Scorgo Jymith dall’altra parte della Cornucopia e Denton due posti alla mia destra.
Una voce riecheggiante parla beffarda sulle nostre teste.
-Benvenuti tributi. Benvenuti ai 76° Giochi-
Compare adesso un ologramma che fa partire il timer. 60 secondi, 59, 58..
-Felici Hunger Games- 40, 39, 38, 37 secondi..
-e possa la fortuna sempre essere a vostro favore- 10 secondi.
Non devo farmi coinvolgere nei combattimenti alla Cornucopia. Ma non posso ignorarla. Ci sono zaini e armi che mi servono. Devo prendere il mio arco. E il tridente di Finnick. Devo trovare Finnick. Capisco che siamo divisi a gruppi di sei. Dove sono gli altri? Dov’è mio fratello?
Sono tentata di gettarmi giù dalla pedana, ma aspetto.
5.
4.
3.
2.
1.
Che gli Hunger Games abbiano inizio, tributi.
  
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