CAPITOLO DIECI
Non
raccontai a nessuno quello che era successo a scuola quel giorno. Greta e
Alessia non avrebbero fatto altro che rincarare la dose di rimproveri e Valerio,
beh… Non era il caso che sapesse di Bassi. Mi tenni
dunque tutto per me e iniziai a seguire il consiglio di Marcello.
Tornai
alle mie occupazioni quotidiane senza stare troppo a tediarmi: studiavo, facevo
i compiti, disegnavo e mi informavo sulle varie offerte formative delle
università, con grande gioia di mia madre. Certo, si rendeva conto anche lei
che comunque ero ancora indecisa, ma il fatto che avessi iniziato a guardarmi
intorno le aveva fatto piacere perché a parer suo era un buon inizio. Io non la
pensavo esattamente così, perché se prima non avevo la più pallida idea di cosa
fare della mia vita dopo la maturità, ora ero più confusa che mai perché mi
trovavo davanti un’ampia rosa di possibilità ma credevo che nessuna facesse al
caso mio.
Avevo
scoperto però di non essere la sola: anche Valerio era tormentato dai miei
stessi dubbi. Avevamo così intrapreso un tour delle università dei nostri
dintorni per fare incetta di opuscoli informativi che poi sfogliavamo in
qualche bar o a casa mia, ridendo e scherzando ma anche valutando seriamente i
piani di studio.
Era
quello che stavamo facendo anche quel sabato pomeriggio di inizio aprile, nella
quiete della mia camera. Il giorno prima, mettendoci d’accordo, avevamo optato
per una passeggiata in città ma poi avevamo dovuto ripiegare su casa mia a causa
di un brutto temporale.
-
Basta, io ci rinuncio! – sbottai, ripiegando di botto un opuscolo di Lettere. –
Questa roba non fa per me, decisamente. E sono stufa di consumarmi gli occhi su
questi cosi in attesa di una rivelazione divina, ormai li ho imparati a
memoria!
Eravamo
seduti a gambe incrociate sul grande tappeto che occupava la maggior parte del
pavimento della mia camera, ed era da più di un’ora che stavamo guardando per
l’ennesima volta tutti quei dépliant che avevamo raccolto a mo’ di figurine.
-
Ti seguo – convenne Valerio, passandosi una mano tra i capelli.
-
Ti va un tè caldo? O una cioccolata? – proposi dunque, alzandomi dal tappeto e
stiracchiandomi.
-
Una cioccolata sarebbe l’ideale, con questo tempo – disse Valerio, alzandosi a
sua volta. Ci dirigemmo quindi in cucina, dove potei agire indisturbata dato
che mia madre era al lavoro e mio padre in giro a fare la spesa e alcune sue
misteriose e poco interessanti commissioni.
Misi
del latte in un pentolino e lo amalgamai con il contenuto di due bustine di
preparato per cioccolata calda, attenta a non fare grumi, dopodiché lo misi a
bollire sui fornelli, mescolando con la frusta sempre per evitare la formazione
di coaguli. Valerio nel frattempo si era seduto al tavolo della cucina senza
darmi una mano, dato che ai fornelli era un completo disastro.
-
Allora stai meglio? – mi domandò tutto ad un tratto, mentre io frugavo in un
armadietto alla ricerca di un pacchetto di biscotti. Mi bloccai per un momento,
poi continuai nella mia indagine finché non trovai una confezione di dolcetti
alla marmellata e mi voltai verso di lui.
-
In che senso? – gli chiesi a mia volta, un po’ spiazzata da quella sua domanda.
Da quello che avevo capito a Parigi, la nostra amicizia comprendeva solo lo
starsi vicino a vicenda senza indagare troppo sui problemi dell’altro. Quella
domanda così innocente, quindi, mi coglieva un po’ impreparata e infrangeva
quella sorta di patto che vigeva tra noi. Non potevo certo parlargli di
Marcello! Già aveva troppi problemi, a quanto pareva, non volevo certo
aggravarli eleggendolo a mio nuovo confidente sentimentale; sarebbe stato a dir
poco indelicato nei suoi confronti, dopo i nostri trascorsi.
Valerio
inarcò un sopracciglio, con disappunto. – Nel senso che da quando siamo tornati
da Parigi ti vedo meglio – spiegò. – No, mi correggo. Ti ho visto molto
apatica, da quando siamo tornati dalla gita, ma da una decina di giorni a
questa parte sei un po’ più serena.
-
Beh… - bofonchiai. – Sì, sto un po’ meglio – ammisi,
a disagio. Non mi andava granché di parlare di me, temevo che qualche parola o
qualche gesto di troppo mi tradisse e che di conseguenza Valerio capisse che
c’era di mezzo un ragazzo. Tornai ai fornelli e mi rimisi a mescolare la
cioccolata, che nel frattempo si era un pochino addensata.
-
Mi fa piacere – disse Valerio. – Mi dispiaceva vederti in quello stato –
ammise. Lo sentii scostare la sedia e alzarsi, poi con la coda dell’occhio lo
vidi avanzare verso di me. Mi si mise di fianco, dando la schiena al bancone
della cucina, di modo che io potessi guardarlo in faccia voltando lievemente la
testa. E così feci, fissandolo con uno sguardo interrogativo.
-
C’è di mezzo un altro, vero? – mi chiese, spiazzandomi a tal punto che smisi di
mescolare la cioccolata. A Parigi avevo pensato che l’avesse capito, quando mi
aveva consolata, ma poi non aveva più menzionato nulla a riguardo e quindi
avevo dedotto che fortunatamente non avesse intuito nulla. A quanto pareva,
però, mi sbagliavo, ed ero stata una sciocca a farlo. Valerio mi conosceva
meglio di chiunque altro ed essendo molto simile a me non doveva averci messo
molto a indovinare la verità, ma aveva preferito tenerla per sé, forse perché
pensarci lo faceva stare malo o addirittura perché non voleva far star male me,
parlandomene.
-
Ma come ti viene in mente? – ribattei con voce stridula, mentre riprendevo a
mescolare con foga, anche se ormai era inutile perché la cioccolata era pronta.
Anche Valerio se ne accorse perché spense il fuoco e mi tolse di mano la frusta
per appoggiarla al bordo del pentolino, dopodiché mi afferrò per le spalle e mi
costrinse a guardarlo negli occhi.
-
Guarda che puoi dirmelo – mi esortò dolcemente. – Lo capirei. Sarebbe successo
comunque, ed è anche meglio così. Sono io che ti ho lasciato e…
Le
parole, qualsiasi esse fossero, gli morirono in gola. Fissò il proprio sguardo
disperato nel mio in una muta richiesta di sincerità, e in quel momento mi
sentii uno schifo, consapevole che da un momento all’altro l’avrei ferito.
-
Sì – mormorai semplicemente, abbassando lo sguardo. Non ce la facevo a
guardarlo, avevo paura della sua reazione. Mi diressi all’armadietto in cui
tenevamo le tazze e ne estrassi due, poi vi versai dentro la cioccolata, anche
se ormai dubitavo l’avremmo bevuta. Lo feci solo per inerzia, per tentare di
sfuggire a quegli occhi che, lo sapevo, mi stavano sicuramente fissando con
aria di accusa.
Presi
una tazza e la porsi a Valerio, evitando il suo sguardo. Lui la prese e
l’appoggiò sul tavolo, con un sospiro.
-
Lo sapevo – disse, amareggiato e frustrato. – Lo sapevo, lo avevo intuito fin
da quella sera. So anche che è la cosa migliore, ma…
Avere la conferma da te fa tutto un altro effetto – sospirò di nuovo. – Me la sono cercata, del
resto.
Non
sapevo cosa fare, ma soprattutto cosa dire. Qualsiasi parola avessero
pronunciato le mie labbra sarebbe stata sbagliata, e io non volevo ferire
Valerio più di quanto già non fosse, perché si vedeva lontano un miglio che la
mia conferma ai suoi dubbi era stata per lui come una mazzata sui denti.
Non
potei fare a meno di chiedermi perché reagisse a quel modo, però. Era stato lui
a lasciarmi; come aveva detto se l’era cercata. Di certo non poteva pretendere
che io lo aspettassi finché non si fossero risolti i suoi misteriosi problemi
che lo avevano indotto a separarsi da me. E non capivo perché continuasse a
dire che era meglio così, perché di certo per lui non lo era.
-
Mi dispiace – mormorai a mezza voce.
-
Lo so – ribatté Valerio. Si sedette al tavolo ed iniziò a sorseggiare la
propria cioccolata, lo sguardo fisso nel vuoto. Agguantai la mia tazza e mi
sedetti di fronte a lui. Bevvi un sorso di quella bevanda dolce, che però in
quel momento mi parve amara come fiele.
Quel
silenzio mi stava uccidendo, era peggio di cento coltellate. Era anche ricco di
tensione, di dispiacere, di rimorsi, ma anche rimpianti.
-
Io… - esordii. Ma cosa potevo dire? – Ti ho già detto
che mi dispiace – ribadii. – Non so cos’altro dirti.
-
Non dire nulla – ribatté Valerio, posando il suo sguardo su di me. – Dovevo
aspettarmelo e te l’ho detto, me la sono cercata. Sono io che ti ho lasciata e
non potevo mica chiuderti a vita in un convento per evitare che ti guardassi in
giro e ne trovassi un altro. Doveva succedere e a volte l’ho anche sperato – si interruppe per bere un sorso di
cioccolata, poi fece un respiro profondo e riprese: - Ci stai assieme?
Ecco,
cosa diavolo dovevo rispondere? Come potevo definire il rapporto che c’era tra
me e Bassi? Non aveva contorni precisi, finora era stato un preludio di
qualcosa che sarebbe avvenuto una volta finita la scuola, ma a Valerio non
potevo certo dirlo. L’avrei ferito e basta. E inoltre non lo reputavo la
persona più adatta con cui intrattenere discorsi sulla mia situazione
sentimentale.
-
No – risposi. - È una situazione un po’ complicata.
-
L’avevo intuito, altrimenti non ti avrei trovata in lacrime, a Parigi –
borbottò Valerio. – Non voglio sapere altro, però. Mi basta solo questo, fa già
abbastanza male. Aggiungere dettagli sarebbe come usare su di me strumenti di
tortura.
A
quelle parole, sentii la rabbia montare in me. Capivo che per lui sapere che le
mie attenzioni si erano spostate verso un’altra persona era stato un duro
colpo, ma quell’atteggiamento di vittimismo mi sembrava fuori luogo. Se l’era
cercata, l’aveva detto.
-
Chi è causa del suo mal pianga se stesso – sbottai dunque, tagliente,
sfoggiando la saggezza di quei proverbi che mia nonna amava tanto.
-
Scusa?
-
Non prendiamoci in giro – misi in chiaro. – L’hai detto anche tu: non potevi
pretendere che andassi in giro con i paraocchi. È successo e basta. Tu mi hai
lasciata e per me è stato brutto, anche perché non mi hai spiegato il motivo e
io non potevo farmene una ragione. Col tempo me la sono fatta da sola e poi
beh, ho iniziato a guardarmi in giro e…
-
Basta! – mi interruppe bruscamente Valerio. Si alzò in piedi e si diresse in
salotto. Bel comportamento maturo!,
pensai, prima di seguirlo. Mi posizionai di fronte a lui e lo guardai negli
occhi, irata. Stavo per aprire bocca e dirgliene quattro, ma lui mi precedette.
-
Non c’è bisogno che tu infierisca – mi disse; evidentemente doveva aver intuito
le mie mosse. – Lo so che mi sono scavato la fossa da solo, lo so che lasciarti
è stata la più grande cazzata che io abbia mai fatto, ma in quel momento ero
convinto che fosse la cosa migliore per te, per noi. Poi ora salta fuori che
c’è di mezzo un altro e io… Beh, non sono più così
convinto di aver fatto la cosa giusta. Però non c’era altra soluzione. Era ed è
l’unico modo, anche se fa male.
Si
accasciò sul divano, prendendosi la testa tra le mani. La mia rabbia svanì di
colpo, vedendolo così ferito, così tormentato, così confuso. Anche io ero
parecchio disorientata, però. Quel suo atteggiamento era contraddittorio. Mi
inginocchiai davanti a lui e gli presi le mani.
-
Ehi… - mormorai. – Mi dispiace, non volevo peggiorare
le cose – mi scusai. Valerio alzò il viso e mi guardò negli occhi, che, notai,
erano leggermente lucidi.
-
Ti ho persa, Dani – sussurrò. – Peggio di così non puoi fare, qualunque cosa tu
dica. Con le tue parole puoi solo mettere il dito nella piaga, ma non
peggiorarla – sospirò. – Ma è meglio così, per noi.
-
Io non capisco! – esclamai, frustata. – Che cosa diavolo è successo per farti
stare così?
-
Ormai tanto vale che te lo dica – borbottò Valerio, rivolto più a se stesso che
a me. – Prima o poi dovevo farlo, in ogni caso. Mettiti comoda, sarà una lunga
storia. E dopo dubito mi vorrai ancora vedere, ecco perché volevo rimandare il
più possibile prima di dirtelo.
Mi
sedetti sul divano, con le ginocchia raccolte al petto e il mento poggiato su
esse. Ero più confusa che mai. Valerio si mise a gambe incrociate in modo da
potermi guardare in faccia, poi iniziò a parlare: - A Novembre, quando ti ho
lasciato l’ho fatto perché… Perché sono stato un
cretino – sospirò e chiuse gli occhi, poi li riaprì. – Vedi, proprio in quel
periodo i miei avevano appena comunicato a me e mia sorella la loro decisione
di divorziare.
Strabuzzai
gli occhi, perplessa. – E questo cosa c’entrava con noi due? – domandai.
-
Oh, c’entra eccome – mi rispose Valerio. – Te lo dico senza troppi preamboli: a
fine Agosto mi trasferisco.
Quella
rivelazione mi spiazzò, ma mi permise anche di capire tutto. Finalmente, dopo
mesi, realizzai perché Valerio aveva voluto lasciarmi. Compresi anche quelle
frasi enigmatiche che poco prima mi avevano mandato ancora di più in
confusione, capii anche perché Valerio era arrivato ad augurarsi che mi
innamorassi di un altro, per quanto poco prima mi fosse sembrato un pensiero assurdo.
-
Che cosa? – mormorai a mezza voce. Alla consapevolezza e alla comprensione
iniziò a mescolarsi il dispiacere, fino a prevalere del tutto e a portarmi
sull’orlo delle lacrime, tanto che dovetti mordermi il labbro inferiore per non
piangere. Ancora poco meno di cinque mesi e Valerio si sarebbe trasferito
chissà dove. Non l’avrei più rivisto se non per qualche ipotetica o sporadica
visita.
-
Hai capito bene. Mia madre vuole ricominciare una nuova vita lontano da qui, in
un’altra città – proseguì Valerio. – Vuole andare a vivere a Roma.
-
Che cosa? – ripetei. No, non poteva essere. E all’improvviso, quasi come se la
mia mente volesse confutare tutto e darmi una piccola speranza che quel
colloquio che stavo avendo con Valerio era solo uno scherzo, mi ricordai una
cosa. – Non è possibile – sbottai. – Dimmi la verità.
-
È questa la verità, Dani – borbottò Valerio, con voce stanca. – Devi credermi.
-
E allora perché ti stai informando sulle università della zona? – chiesi dunque.
Era forse una nota di speranza, quella nella mia voce?
-
Perché non ho la minima idea di cosa fare del mio futuro. Ho voluto iniziare a
guardarmi in giro anche se mi iscriverò a Roma, perché tanto bene o male le
facoltà e i corsi di laurea sono gli stessi – spiegò Valerio. – E poi… Così facendo potevo passare del tempo con te. Ma ormai
è inutile.
Quelle
parole furono il colpo di grazia. Furono l’ennesima presa di consapevolezza sul
perché Valerio mi aveva lasciata, l’ennesima contraddizione, l’ennesima
sofferenza.
-
Sei un codardo! – gli urlai contro. Mi alzai dal divano e presi a camminare per
il salotto, in preda al nervoso e soprattutto all’ira. Come aveva potuto
trattarmi così? Serrai i pugni e mi fermai, accorgendomi solo in quel momento
di avere iniziato a piangere. Che tipo di lacrime erano, quelle? Di dolore, di
rabbia, di impotenza, di frustrazione? Non lo sapevo. Non riuscivo a capirlo.
Valerio
si alzò dal divano e tentò di avvicinarsi a me.
-
Stammi alla larga! – gli intimai, con la voce rotta dal pianto. Ferito da
quell’avvertimento Valerio si fermò ad un paio di metri di distanza da me.
-
Mi dispiace, Dani, io… Non volevo che succedesse
tutto questo! – tentò di scusarsi.
-
Ti dispiace, eh? – strillai. – Anche a me dispiace, e sai perché? Perché hai
voluto fare tutto di testa tua! Hai pensato che fosse meglio lasciarmi e lo hai
fatto, il tutto senza chiedere il mio parere e senza nemmeno darmi una
spiegazione, se non fino a questo momento. Contavo così poco per te?
-
No! – esclamò, risentito. – Te l’ho detto anche a Parigi, io con te stavo bene
e potevo provare un po’ di sollievo! Quando i miei mi hanno detto che avrebbero
divorziato è stato un duro colpo, ma c’eri tu al mio fianco! Poi mia madre mi
ha comunicato che ci saremmo trasferiti e non è stato più lo stesso, non riuscivo
a starti accanto senza pensare che stavo approfittando di te e al dolore che ti
avrei causato con la mia partenza e…
-
E hai preferito lasciarmi – lo interruppi. – Molto coraggioso, davvero –
commentai poi, con un’ironia velata di amarezza.
-
E cosa potevo fare? – ribatté Valerio. – Ci saremmo lasciati comunque, quando
io sarei partito. Io e te non siamo fatti per le relazioni a distanza, lo sai
meglio di me.
-
E tu chi sei per dirlo? – sbottai, solo per il gusto di contraddirlo, perché
sapevo benissimo che aveva ragione. Eravamo troppo simili per cui dedussi che
doveva aver pensato che io e lui eravamo due persone troppo sensibili per
sopportare una relazione a distanza, che essa sarebbe stata causa di molte
sofferenze e l’unica conclusione possibile sarebbe stata troncarla. – Certo,
forse avremmo finito per lasciarci comunque – proseguii. – Ma tu hai voluto
anticipare le mosse per paura! Perché temevi che prima della tua partenza le
cose tra noi avrebbero potuto evolversi ulteriormente e che poi avresti
sofferto troppo, o sbaglio?
-
No, non sbagli – confermò Valerio, ad occhi bassi. – Tutto quello che ho fatto
l’ho fatto per il tuo bene, Dani, volevo risparmiarti sofferenze.
-
Perché adesso sono felice come una Pasqua, vero? – ribattei. – Smettila di raccontare
balle, ti prego, di addurre come scusa il fatto che non volevi che io soffrissi
e quant’altro. Sei stato un lurido egoista, perché hai pensato solo a te
stesso! Non c’entravo io, ma tu: se avessimo continuato a stare assieme per te
sarebbe stato più difficile dirmi addio per cui ti sei tirato indietro subito,
razza di coniglio che non sei altro! Se ti fosse importato di me, me ne avresti
parlato, avremmo potuto trovare una soluzione insieme…
Ma no, ti sei comportato da egoista! E il tuo egoismo è dimostrato dal fatto
che tu non abbia voluto rinunciare del tutto a me; hai insistito affinché
restassimo amici finché non ho ceduto, vero?
-
No, non è così! Non l’ho fatto per egoismo, diamine!
-
Smettila! Smettila di negare l’evidenza, hai pensato solo a te stesso! Volevi
la botte piena e la moglie ubriaca; mi hai lasciata per paura ma al tempo
stesso hai continuato a volermi accanto a te perché non eri pronto ad assumerti
fino in fondo le responsabilità delle tue scelte ed affrontarne le conseguenze!
– sputai quelle parole come se fossero veleno. Ero amareggiata e disgustata. –
Ma adesso dovrai farlo – annunciai dunque. Mi asciugai le lacrime e presi un
respiro profondo, poi con fare solenne proseguii: - Non avrai più la mia
amicizia. Non dopo tutto questo. Hai avuto ragione a pensare che la tua
partenza avrebbe fatto soffrire entrambi, se fossimo rimasti insieme, ma non
credere che le cose cambino granché se restiamo amici. Per cui tanto vale
abituarci subito al fatto che da Agosto ci saranno centinaia di chilometri di
distanza tra noi; tronchiamo i rapporti del tutto. Vattene, Valerio.
Lo
osservai e vidi che ero riuscita nel mio intento: l’avevo ferito, ed ero
convinta che se lo meritasse fino in fondo, dopo tutto quello che mi aveva
fatto. Allora perché non ero felice? Perché stavo male anche io, ferita almeno
quanto lui?
-
Daniela… - tentò di ribattere. – Non…
-
Vattene, Valerio – ripetei, guardandolo negli occhi.
-
Come vuoi – sospirò. – Non disturbarti, conosco la strada – disse dunque, prima
di sparire dalla mia vista per andare a recuperare le proprie cose.
Fu
solo quando sentii la porta di casa chiudersi dietro di lui che tornai in
camera mia e mi raggomitolai sul letto, scossa dai singhiozzi e non più tanto
convinta di aver fatto la cosa giusta, cacciandolo via.
Era
come rivivere tutto quello che avevo passato quando mi aveva lasciata, a
Novembre.
SPAZIO DELL’AUTRICE
Rieccomi qui, con un nuovo capitolo. Finalmente
si scopre perché Valerio ha lasciato Daniela e lei come potete vedere non l’ha
presa molto bene. Che cosa succederà adesso? Daniela si pentirà, si scoprirà
ancora innamorata di Valerio? Parlerà con le sue amiche, che la faranno
ragionare? O cercherà conforto tre le braccia di Bassi?
Alcuni di questi interrogativi avranno
risposta nel prossimo capitolo. J Vi dicò già che lo pubblicherò
entro la fine della prossima settimana, perché lunedì ho un esame (maledetta
numismatica!) e non so quanto tempo avrò per scrivere, fino a quel momento.
L’esame dopo, poi, è il 21 ed è leggero, quindi avrò più tempo per dedicarmi al
nuovo capitolo.
Detto ciò, ringrazio chi ha recensito
lo scorso capitolo (vero15star),
i nuovi lettori (Lena Vid),
chi ha solo letto e chi ha aggiunto la storia alle seguite, preferite, da
ricordare. Grazie! Per lo meno ho visto che a qualcuno la storia interessa
ancora…^^
Rinnovo comunque l’invito a recensire e
farmi sapere cosa ne pensate del capitolo. So di non essere granché brava con i
dialoghi, per cui vorrei sapere se quello tra Valerio e Daniela è coerente o
sembra campato per aria.
Baci, Pikky91