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Autore: Pikky    06/09/2012    2 recensioni
[NUOVO CAPITOLO ON-LINE]
Daniela è cotta di Marcello. Fin qui tutto normale, no?
C'è solo un 'piccolo' problema, tuttavia, oltre al fatto che lui abbia otto anni in più di lei: Marcello è il suo professore.
Daniela sa benissimo che tra loro non potrà mai esserci niente, eppure, in partenza per la gita a Parigi, continua a sperarci e ad abbandonarsi a sciocche fantasie da diciottenne innamorata.
Contrariamente ad ogni aspettativa, Daniela scopre che anche Marcello prova per lei i suoi stessi sentimenti. Come affronteranno la situazione?
[Dal capitolo 5:
Come continuavo a ripetermi, dovevo archiviare il passaggio di quella stupida rondine che aveva sbagliato stagione, e dedicarmi ad altro.
[...] Ormai non sarebbe stato più come prima: se avessi dato spazio alla mia fantasia, questa avrebbe immaginato un seguito a ciò che era successo il giorno prima, e sapevo benissimo che così non sarebbe stato. Mai.
Avere avuto quell’assaggio aveva cambiato tutto. Prima, infatti, quando mi lasciavo andare a quelle sciocche fantasie da ragazzina innamorata, sapevo che sarebbero rimaste tali, mentre ora, se l’avessi fatto, avrei segretamente sperato che si attuassero, che avrei finalmente avuto la mia primavera.
]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO DIECI

 

Non raccontai a nessuno quello che era successo a scuola quel giorno. Greta e Alessia non avrebbero fatto altro che rincarare la dose di rimproveri e Valerio, beh… Non era il caso che sapesse di Bassi. Mi tenni dunque tutto per me e iniziai a seguire il consiglio di Marcello.

Tornai alle mie occupazioni quotidiane senza stare troppo a tediarmi: studiavo, facevo i compiti, disegnavo e mi informavo sulle varie offerte formative delle università, con grande gioia di mia madre. Certo, si rendeva conto anche lei che comunque ero ancora indecisa, ma il fatto che avessi iniziato a guardarmi intorno le aveva fatto piacere perché a parer suo era un buon inizio. Io non la pensavo esattamente così, perché se prima non avevo la più pallida idea di cosa fare della mia vita dopo la maturità, ora ero più confusa che mai perché mi trovavo davanti un’ampia rosa di possibilità ma credevo che nessuna facesse al caso mio.

Avevo scoperto però di non essere la sola: anche Valerio era tormentato dai miei stessi dubbi. Avevamo così intrapreso un tour delle università dei nostri dintorni per fare incetta di opuscoli informativi che poi sfogliavamo in qualche bar o a casa mia, ridendo e scherzando ma anche valutando seriamente i piani di studio.

Era quello che stavamo facendo anche quel sabato pomeriggio di inizio aprile, nella quiete della mia camera. Il giorno prima, mettendoci d’accordo, avevamo optato per una passeggiata in città ma poi avevamo dovuto ripiegare su casa mia a causa di un brutto temporale.

- Basta, io ci rinuncio! – sbottai, ripiegando di botto un opuscolo di Lettere. – Questa roba non fa per me, decisamente. E sono stufa di consumarmi gli occhi su questi cosi in attesa di una rivelazione divina, ormai li ho imparati a memoria!

Eravamo seduti a gambe incrociate sul grande tappeto che occupava la maggior parte del pavimento della mia camera, ed era da più di un’ora che stavamo guardando per l’ennesima volta tutti quei dépliant che avevamo raccolto a mo’ di figurine.

- Ti seguo – convenne Valerio, passandosi una mano tra i capelli.

- Ti va un tè caldo? O una cioccolata? – proposi dunque, alzandomi dal tappeto e stiracchiandomi.

- Una cioccolata sarebbe l’ideale, con questo tempo – disse Valerio, alzandosi a sua volta. Ci dirigemmo quindi in cucina, dove potei agire indisturbata dato che mia madre era al lavoro e mio padre in giro a fare la spesa e alcune sue misteriose e poco interessanti commissioni.

Misi del latte in un pentolino e lo amalgamai con il contenuto di due bustine di preparato per cioccolata calda, attenta a non fare grumi, dopodiché lo misi a bollire sui fornelli, mescolando con la frusta sempre per evitare la formazione di coaguli. Valerio nel frattempo si era seduto al tavolo della cucina senza darmi una mano, dato che ai fornelli era un completo disastro.

- Allora stai meglio? – mi domandò tutto ad un tratto, mentre io frugavo in un armadietto alla ricerca di un pacchetto di biscotti. Mi bloccai per un momento, poi continuai nella mia indagine finché non trovai una confezione di dolcetti alla marmellata e mi voltai verso di lui.

- In che senso? – gli chiesi a mia volta, un po’ spiazzata da quella sua domanda. Da quello che avevo capito a Parigi, la nostra amicizia comprendeva solo lo starsi vicino a vicenda senza indagare troppo sui problemi dell’altro. Quella domanda così innocente, quindi, mi coglieva un po’ impreparata e infrangeva quella sorta di patto che vigeva tra noi. Non potevo certo parlargli di Marcello! Già aveva troppi problemi, a quanto pareva, non volevo certo aggravarli eleggendolo a mio nuovo confidente sentimentale; sarebbe stato a dir poco indelicato nei suoi confronti, dopo i nostri trascorsi.

Valerio inarcò un sopracciglio, con disappunto. – Nel senso che da quando siamo tornati da Parigi ti vedo meglio – spiegò. – No, mi correggo. Ti ho visto molto apatica, da quando siamo tornati dalla gita, ma da una decina di giorni a questa parte sei un po’ più serena.

- Beh… - bofonchiai. – Sì, sto un po’ meglio – ammisi, a disagio. Non mi andava granché di parlare di me, temevo che qualche parola o qualche gesto di troppo mi tradisse e che di conseguenza Valerio capisse che c’era di mezzo un ragazzo. Tornai ai fornelli e mi rimisi a mescolare la cioccolata, che nel frattempo si era un pochino addensata.

- Mi fa piacere – disse Valerio. – Mi dispiaceva vederti in quello stato – ammise. Lo sentii scostare la sedia e alzarsi, poi con la coda dell’occhio lo vidi avanzare verso di me. Mi si mise di fianco, dando la schiena al bancone della cucina, di modo che io potessi guardarlo in faccia voltando lievemente la testa. E così feci, fissandolo con uno sguardo interrogativo.

- C’è di mezzo un altro, vero? – mi chiese, spiazzandomi a tal punto che smisi di mescolare la cioccolata. A Parigi avevo pensato che l’avesse capito, quando mi aveva consolata, ma poi non aveva più menzionato nulla a riguardo e quindi avevo dedotto che fortunatamente non avesse intuito nulla. A quanto pareva, però, mi sbagliavo, ed ero stata una sciocca a farlo. Valerio mi conosceva meglio di chiunque altro ed essendo molto simile a me non doveva averci messo molto a indovinare la verità, ma aveva preferito tenerla per sé, forse perché pensarci lo faceva stare malo o addirittura perché non voleva far star male me, parlandomene.

- Ma come ti viene in mente? – ribattei con voce stridula, mentre riprendevo a mescolare con foga, anche se ormai era inutile perché la cioccolata era pronta. Anche Valerio se ne accorse perché spense il fuoco e mi tolse di mano la frusta per appoggiarla al bordo del pentolino, dopodiché mi afferrò per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi.

- Guarda che puoi dirmelo – mi esortò dolcemente. – Lo capirei. Sarebbe successo comunque, ed è anche meglio così. Sono io che ti ho lasciato e…

Le parole, qualsiasi esse fossero, gli morirono in gola. Fissò il proprio sguardo disperato nel mio in una muta richiesta di sincerità, e in quel momento mi sentii uno schifo, consapevole che da un momento all’altro l’avrei ferito.

- Sì – mormorai semplicemente, abbassando lo sguardo. Non ce la facevo a guardarlo, avevo paura della sua reazione. Mi diressi all’armadietto in cui tenevamo le tazze e ne estrassi due, poi vi versai dentro la cioccolata, anche se ormai dubitavo l’avremmo bevuta. Lo feci solo per inerzia, per tentare di sfuggire a quegli occhi che, lo sapevo, mi stavano sicuramente fissando con aria di accusa.

Presi una tazza e la porsi a Valerio, evitando il suo sguardo. Lui la prese e l’appoggiò sul tavolo, con un sospiro.

- Lo sapevo – disse, amareggiato e frustrato. – Lo sapevo, lo avevo intuito fin da quella sera. So anche che è la cosa migliore, ma… Avere la conferma da te fa tutto un altro effetto  – sospirò di nuovo. – Me la sono cercata, del resto.

Non sapevo cosa fare, ma soprattutto cosa dire. Qualsiasi parola avessero pronunciato le mie labbra sarebbe stata sbagliata, e io non volevo ferire Valerio più di quanto già non fosse, perché si vedeva lontano un miglio che la mia conferma ai suoi dubbi era stata per lui come una mazzata sui denti.

Non potei fare a meno di chiedermi perché reagisse a quel modo, però. Era stato lui a lasciarmi; come aveva detto se l’era cercata. Di certo non poteva pretendere che io lo aspettassi finché non si fossero risolti i suoi misteriosi problemi che lo avevano indotto a separarsi da me. E non capivo perché continuasse a dire che era meglio così, perché di certo per lui non lo era.

- Mi dispiace – mormorai a mezza voce.

- Lo so – ribatté Valerio. Si sedette al tavolo ed iniziò a sorseggiare la propria cioccolata, lo sguardo fisso nel vuoto. Agguantai la mia tazza e mi sedetti di fronte a lui. Bevvi un sorso di quella bevanda dolce, che però in quel momento mi parve amara come fiele.

Quel silenzio mi stava uccidendo, era peggio di cento coltellate. Era anche ricco di tensione, di dispiacere, di rimorsi, ma anche rimpianti.

- Io… - esordii. Ma cosa potevo dire? – Ti ho già detto che mi dispiace – ribadii. – Non so cos’altro dirti.

- Non dire nulla – ribatté Valerio, posando il suo sguardo su di me. – Dovevo aspettarmelo e te l’ho detto, me la sono cercata. Sono io che ti ho lasciata e non potevo mica chiuderti a vita in un convento per evitare che ti guardassi in giro e ne trovassi un altro. Doveva succedere e a volte l’ho anche sperato  – si interruppe per bere un sorso di cioccolata, poi fece un respiro profondo e riprese: - Ci stai assieme?

Ecco, cosa diavolo dovevo rispondere? Come potevo definire il rapporto che c’era tra me e Bassi? Non aveva contorni precisi, finora era stato un preludio di qualcosa che sarebbe avvenuto una volta finita la scuola, ma a Valerio non potevo certo dirlo. L’avrei ferito e basta. E inoltre non lo reputavo la persona più adatta con cui intrattenere discorsi sulla mia situazione sentimentale.

- No – risposi. - È una situazione un po’ complicata.

- L’avevo intuito, altrimenti non ti avrei trovata in lacrime, a Parigi – borbottò Valerio. – Non voglio sapere altro, però. Mi basta solo questo, fa già abbastanza male. Aggiungere dettagli sarebbe come usare su di me strumenti di tortura.

A quelle parole, sentii la rabbia montare in me. Capivo che per lui sapere che le mie attenzioni si erano spostate verso un’altra persona era stato un duro colpo, ma quell’atteggiamento di vittimismo mi sembrava fuori luogo. Se l’era cercata, l’aveva detto.

- Chi è causa del suo mal pianga se stesso – sbottai dunque, tagliente, sfoggiando la saggezza di quei proverbi che mia nonna amava tanto.

- Scusa?

- Non prendiamoci in giro – misi in chiaro. – L’hai detto anche tu: non potevi pretendere che andassi in giro con i paraocchi. È successo e basta. Tu mi hai lasciata e per me è stato brutto, anche perché non mi hai spiegato il motivo e io non potevo farmene una ragione. Col tempo me la sono fatta da sola e poi beh, ho iniziato a guardarmi in giro e…

- Basta! – mi interruppe bruscamente Valerio. Si alzò in piedi e si diresse in salotto. Bel comportamento maturo!, pensai, prima di seguirlo. Mi posizionai di fronte a lui e lo guardai negli occhi, irata. Stavo per aprire bocca e dirgliene quattro, ma lui mi precedette.

- Non c’è bisogno che tu infierisca – mi disse; evidentemente doveva aver intuito le mie mosse. – Lo so che mi sono scavato la fossa da solo, lo so che lasciarti è stata la più grande cazzata che io abbia mai fatto, ma in quel momento ero convinto che fosse la cosa migliore per te, per noi. Poi ora salta fuori che c’è di mezzo un altro e io… Beh, non sono più così convinto di aver fatto la cosa giusta. Però non c’era altra soluzione. Era ed è l’unico modo, anche se fa male.

Si accasciò sul divano, prendendosi la testa tra le mani. La mia rabbia svanì di colpo, vedendolo così ferito, così tormentato, così confuso. Anche io ero parecchio disorientata, però. Quel suo atteggiamento era contraddittorio. Mi inginocchiai davanti a lui e gli presi le mani.

- Ehi… - mormorai. – Mi dispiace, non volevo peggiorare le cose – mi scusai. Valerio alzò il viso e mi guardò negli occhi, che, notai, erano leggermente lucidi.

- Ti ho persa, Dani – sussurrò. – Peggio di così non puoi fare, qualunque cosa tu dica. Con le tue parole puoi solo mettere il dito nella piaga, ma non peggiorarla – sospirò. – Ma è meglio così, per noi.

- Io non capisco! – esclamai, frustata. – Che cosa diavolo è successo per farti stare così?

- Ormai tanto vale che te lo dica – borbottò Valerio, rivolto più a se stesso che a me. – Prima o poi dovevo farlo, in ogni caso. Mettiti comoda, sarà una lunga storia. E dopo dubito mi vorrai ancora vedere, ecco perché volevo rimandare il più possibile prima di dirtelo.

Mi sedetti sul divano, con le ginocchia raccolte al petto e il mento poggiato su esse. Ero più confusa che mai. Valerio si mise a gambe incrociate in modo da potermi guardare in faccia, poi iniziò a parlare: - A Novembre, quando ti ho lasciato l’ho fatto perché… Perché sono stato un cretino – sospirò e chiuse gli occhi, poi li riaprì. – Vedi, proprio in quel periodo i miei avevano appena comunicato a me e mia sorella la loro decisione di divorziare.

Strabuzzai gli occhi, perplessa. – E questo cosa c’entrava con noi due? – domandai.

- Oh, c’entra eccome – mi rispose Valerio. – Te lo dico senza troppi preamboli: a fine Agosto mi trasferisco.

Quella rivelazione mi spiazzò, ma mi permise anche di capire tutto. Finalmente, dopo mesi, realizzai perché Valerio aveva voluto lasciarmi. Compresi anche quelle frasi enigmatiche che poco prima mi avevano mandato ancora di più in confusione, capii anche perché Valerio era arrivato ad augurarsi che mi innamorassi di un altro, per quanto poco prima mi fosse sembrato un pensiero assurdo.

- Che cosa? – mormorai a mezza voce. Alla consapevolezza e alla comprensione iniziò a mescolarsi il dispiacere, fino a prevalere del tutto e a portarmi sull’orlo delle lacrime, tanto che dovetti mordermi il labbro inferiore per non piangere. Ancora poco meno di cinque mesi e Valerio si sarebbe trasferito chissà dove. Non l’avrei più rivisto se non per qualche ipotetica o sporadica visita.

- Hai capito bene. Mia madre vuole ricominciare una nuova vita lontano da qui, in un’altra città – proseguì Valerio. – Vuole andare a vivere a Roma.

- Che cosa? – ripetei. No, non poteva essere. E all’improvviso, quasi come se la mia mente volesse confutare tutto e darmi una piccola speranza che quel colloquio che stavo avendo con Valerio era solo uno scherzo, mi ricordai una cosa. – Non è possibile – sbottai. – Dimmi la verità.

- È questa la verità, Dani – borbottò Valerio, con voce stanca. – Devi credermi.

- E allora perché ti stai informando sulle università della zona? – chiesi dunque. Era forse una nota di speranza, quella nella mia voce?

- Perché non ho la minima idea di cosa fare del mio futuro. Ho voluto iniziare a guardarmi in giro anche se mi iscriverò a Roma, perché tanto bene o male le facoltà e i corsi di laurea sono gli stessi – spiegò Valerio. – E poi… Così facendo potevo passare del tempo con te. Ma ormai è inutile.

Quelle parole furono il colpo di grazia. Furono l’ennesima presa di consapevolezza sul perché Valerio mi aveva lasciata, l’ennesima contraddizione, l’ennesima sofferenza.

- Sei un codardo! – gli urlai contro. Mi alzai dal divano e presi a camminare per il salotto, in preda al nervoso e soprattutto all’ira. Come aveva potuto trattarmi così? Serrai i pugni e mi fermai, accorgendomi solo in quel momento di avere iniziato a piangere. Che tipo di lacrime erano, quelle? Di dolore, di rabbia, di impotenza, di frustrazione? Non lo sapevo. Non riuscivo a capirlo.

Valerio si alzò dal divano e tentò di avvicinarsi a me.

- Stammi alla larga! – gli intimai, con la voce rotta dal pianto. Ferito da quell’avvertimento Valerio si fermò ad un paio di metri di distanza da me.

- Mi dispiace, Dani, io… Non volevo che succedesse tutto questo! – tentò di scusarsi.

- Ti dispiace, eh? – strillai. – Anche a me dispiace, e sai perché? Perché hai voluto fare tutto di testa tua! Hai pensato che fosse meglio lasciarmi e lo hai fatto, il tutto senza chiedere il mio parere e senza nemmeno darmi una spiegazione, se non fino a questo momento. Contavo così poco per te?

- No! – esclamò, risentito. – Te l’ho detto anche a Parigi, io con te stavo bene e potevo provare un po’ di sollievo! Quando i miei mi hanno detto che avrebbero divorziato è stato un duro colpo, ma c’eri tu al mio fianco! Poi mia madre mi ha comunicato che ci saremmo trasferiti e non è stato più lo stesso, non riuscivo a starti accanto senza pensare che stavo approfittando di te e al dolore che ti avrei causato con la mia partenza e…

- E hai preferito lasciarmi – lo interruppi. – Molto coraggioso, davvero – commentai poi, con un’ironia velata di amarezza.

- E cosa potevo fare? – ribatté Valerio. – Ci saremmo lasciati comunque, quando io sarei partito. Io e te non siamo fatti per le relazioni a distanza, lo sai meglio di me.

- E tu chi sei per dirlo? – sbottai, solo per il gusto di contraddirlo, perché sapevo benissimo che aveva ragione. Eravamo troppo simili per cui dedussi che doveva aver pensato che io e lui eravamo due persone troppo sensibili per sopportare una relazione a distanza, che essa sarebbe stata causa di molte sofferenze e l’unica conclusione possibile sarebbe stata troncarla. – Certo, forse avremmo finito per lasciarci comunque – proseguii. – Ma tu hai voluto anticipare le mosse per paura! Perché temevi che prima della tua partenza le cose tra noi avrebbero potuto evolversi ulteriormente e che poi avresti sofferto troppo, o sbaglio?

- No, non sbagli – confermò Valerio, ad occhi bassi. – Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per il tuo bene, Dani, volevo risparmiarti sofferenze.

- Perché adesso sono felice come una Pasqua, vero? – ribattei. – Smettila di raccontare balle, ti prego, di addurre come scusa il fatto che non volevi che io soffrissi e quant’altro. Sei stato un lurido egoista, perché hai pensato solo a te stesso! Non c’entravo io, ma tu: se avessimo continuato a stare assieme per te sarebbe stato più difficile dirmi addio per cui ti sei tirato indietro subito, razza di coniglio che non sei altro! Se ti fosse importato di me, me ne avresti parlato, avremmo potuto trovare una soluzione insieme… Ma no, ti sei comportato da egoista! E il tuo egoismo è dimostrato dal fatto che tu non abbia voluto rinunciare del tutto a me; hai insistito affinché restassimo amici finché non ho ceduto, vero?

- No, non è così! Non l’ho fatto per egoismo, diamine!

- Smettila! Smettila di negare l’evidenza, hai pensato solo a te stesso! Volevi la botte piena e la moglie ubriaca; mi hai lasciata per paura ma al tempo stesso hai continuato a volermi accanto a te perché non eri pronto ad assumerti fino in fondo le responsabilità delle tue scelte ed affrontarne le conseguenze! – sputai quelle parole come se fossero veleno. Ero amareggiata e disgustata. – Ma adesso dovrai farlo – annunciai dunque. Mi asciugai le lacrime e presi un respiro profondo, poi con fare solenne proseguii: - Non avrai più la mia amicizia. Non dopo tutto questo. Hai avuto ragione a pensare che la tua partenza avrebbe fatto soffrire entrambi, se fossimo rimasti insieme, ma non credere che le cose cambino granché se restiamo amici. Per cui tanto vale abituarci subito al fatto che da Agosto ci saranno centinaia di chilometri di distanza tra noi; tronchiamo i rapporti del tutto. Vattene, Valerio.

Lo osservai e vidi che ero riuscita nel mio intento: l’avevo ferito, ed ero convinta che se lo meritasse fino in fondo, dopo tutto quello che mi aveva fatto. Allora perché non ero felice? Perché stavo male anche io, ferita almeno quanto lui?

- Daniela… - tentò di ribattere. – Non…

- Vattene, Valerio – ripetei, guardandolo negli occhi.

- Come vuoi – sospirò. – Non disturbarti, conosco la strada – disse dunque, prima di sparire dalla mia vista per andare a recuperare le proprie cose.

Fu solo quando sentii la porta di casa chiudersi dietro di lui che tornai in camera mia e mi raggomitolai sul letto, scossa dai singhiozzi e non più tanto convinta di aver fatto la cosa giusta, cacciandolo via.

Era come rivivere tutto quello che avevo passato quando mi aveva lasciata, a Novembre.

                                                                                                                                        

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE

 

Rieccomi qui, con un nuovo capitolo. Finalmente si scopre perché Valerio ha lasciato Daniela e lei come potete vedere non l’ha presa molto bene. Che cosa succederà adesso? Daniela si pentirà, si scoprirà ancora innamorata di Valerio? Parlerà con le sue amiche, che la faranno ragionare? O cercherà conforto tre le braccia di Bassi?

Alcuni di questi interrogativi avranno risposta nel prossimo capitolo. J Vi dicò già che lo pubblicherò entro la fine della prossima settimana, perché lunedì ho un esame (maledetta numismatica!) e non so quanto tempo avrò per scrivere, fino a quel momento. L’esame dopo, poi, è il 21 ed è leggero, quindi avrò più tempo per dedicarmi al nuovo capitolo.

Detto ciò, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo (vero15star), i nuovi lettori (Lena Vid), chi ha solo letto e chi ha aggiunto la storia alle seguite, preferite, da ricordare. Grazie! Per lo meno ho visto che a qualcuno la storia interessa ancora…^^

Rinnovo comunque l’invito a recensire e farmi sapere cosa ne pensate del capitolo. So di non essere granché brava con i dialoghi, per cui vorrei sapere se quello tra Valerio e Daniela è coerente o sembra campato per aria.

Baci, Pikky91

   
 
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