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Autore: Eloise_Hawkins    06/09/2012    4 recensioni
«Hai dei bellissimi…»
Occhi.
«Hai dei bellissimi…»
Capelli.
«Hai dei bellissimi…»
Gomiti. Gomiti?
«Hai dei bellissimi calzini»
Calzini. Di tutte le cose che poteva dire, lui aveva detto calzini. Poteva dire bracciali – lei ne aveva un paio che le stritolavano il polso grassoccio, e che di bellissimo, in effetti, avevano poco; ma tutto sommato era sempre meglio che dire calzini. Poteva dire libri, lineamenti, odori, amici, gomiti – persino gomiti sarebbe stato meglio – e invece aveva detto calzini. Era lì, davanti a lei – e già ci voleva tutto il suo coraggio Grifondoro per una cosa del genere, perché lei era almeno il doppio di lui, in altezza, in larghezza, in minacciosità – e aveva detto calzini.
Hai dei bellissimi calzini.
La storia partecipa al contest "Chi rischia... vince!", indetto da _Giuuu sul forum di Efp.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Thomas, Millicent Bullstrode
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nickname autore: Eloise_Hawkins
Personaggi protagonisti e pairing: Dean Thomas e Millicent Bulstrode
Personaggi secondari: Seamus Finnigan
Pacchetti visualizzati: 31, 44, 19
Genere: Comico, Romantico, Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: OOC, Het
Indicazioni/Obblighi scelti:
- Scrivere una one-shot con più di 2000 parole (tot. Parole: 3287);
- Utilizzare il prompt: Calzini;
- Utilizzare la citazione: Anche i fiori piangono, e ci sono stupidi che pensano sia rugiada {Jim Morrison}
Note dell’autore: La storia si svolge in un ipotetico settimo anno, dopo la sconfitta di Voldemort. Ho inserito l’avvertimento OOC perché penso di essere andata davvero fuori dai personaggi. Dean, Millicent e Seamus sono personaggi minori, e dei loro caratteri si sa poco, per cui ho cercato di dare una mia personale interpretazione. Tuttavia, visto e considerato che Dean è stato con Ginny, dubito che potrebbe davvero innamorarsi di una come Millicent Bulstrode (in realtà, dubito che chiunque possa davvero innamorarsi di una come Millicent Bulstrode); Millicent sembra più interessata a fare a pugni che ai ragazzi, e Seamus non è poi così aperto e buffone come l’ho descritto. Ma “The show must go on”, e questa idea mi piaceva.
Per chi non lo sapesse, il sillogismo aristotelico è un tipico ragionamento deduttivo da cui, date due premesse iniziali, segue necessariamente una conseguenza.
Ps: la parola minacciosità è volutamente scritta in corsivo. So che non è una parola propriamente “canonica”, ma è adatta al clima ironico che ho voluto dare alla prima parte della storia.

 




Sillogismo in re minore


 

«Hai dei bellissimi…»
Occhi.
«Hai dei bellissimi…»
Capelli.
«Hai dei bellissimi…»
Gomiti. Gomiti?
«Hai dei bellissimi calzini»
Calzini. Di tutte le cose che poteva dire, lui aveva detto calzini. Poteva dire bracciali – lei ne aveva un paio che le stritolavano il polso grassoccio, e che di bellissimo, in effetti, avevano poco; ma tutto sommato era sempre meglio che dire calzini. Poteva dire libri, lineamenti, odori, amici, gomiti – persino gomiti sarebbe stato meglio – e invece aveva detto calzini. Era lì, davanti a lei – e già ci voleva tutto il suo coraggio Grifondoro per una cosa del genere, perché lei era almeno il doppio di lui, in altezza, in larghezza, in minacciosità – e aveva detto calzini.
Hai dei bellissimi calzini.
Seamus, accanto a lui, scoppiò a ridere, convinto che fosse l’ennesimo tentativo di derisione; Neville, intercettato lo sguardo oltraggiato della ragazza, si fece piccolo piccolo, e si nascose dietro il libro di Trasfigurazione che stringeva al petto, quasi quello fosse un potente scudo col quale difendersi da ogni attacco esterno. Lui, invece, la guardava con gli occhi sgranati e la bocca aperta, consapevole di aver commesso un’enorme stupidaggine – o un gigantesco errore.
In effetti, alle orecchie di Millicent doveva suonare piuttosto strano, e, a dirla tutta, persino parecchio offensivo. Perciò non è che Dean non si aspettasse una reazione. E infatti, quando lei, dopo averlo guardato come se fosse un disgustoso insetto nemmeno troppo degno della sua attenzione, gli mollò un pugno in piena faccia, lui accusò il colpo solo con un lieve mugolio. E non vide la gigantesca Serpeverde allontanarsi il più velocemente possibile, con il muso lungo; non la vide girare l’angolo, sfilarsi le scarpe e strapparsi dai piedi i calzini. Non la vide nemmeno piangere. Tutto ciò che vide fu il suo sangue – sangue sporco, sangue contaminato, sangue impuro – macchiargli la divisa. E, per la prima volta, si sentì davvero inadatto a lei. Ma per motivi totalmente diversi da quelli che i Purosangue avanzavano.
 
***
 
«Calzini»continuava a ripetere Seamus, seduto accanto all’amico su un letto dell’Infermeria. Scuoteva la testa, ridacchiava, poi tamponava il sangue dal naso di Dean, e di nuovo rideva, e pronunciava quella parola – calzini, Dean era certo che avrebbe imparato ad odiarla – come una litania, un mantra che divenne ben presto tanto fastidioso quanto doloroso.
«Mi sono confuso»borbottò lui con una voce nasale, corrotta dal dolore e dal turgore della botta.
Sì, si era confuso. Era sempre così, quando c’era lei nelle vicinanze.
Millicent Bulstrode non era esattamente una bellezza. A dirla tutta, era una delle ragazze più brutte della scuola e, se Seamus avesse saputo, l’avrebbe come minimo preso a calci nel sedere, e poi buttato dalla Torre di Astronomia, tanto per assicurarsi che non fosse totalmente impazzito e avesse ancora una speranza di redenzione. Perché poteva accettare una Purosangue; forse poteva persino sopportare una Serpeverde; ma un conto era una come Daphne Greengrass, e un conto era una come...
«… quel gorilla»concluse Seamus con tono soddisfatto, saltando giù dal letto con un sorrisetto compiaciuto sul volto.
«Come?»domandò Dean, guardandolo confusamente in volto. Aveva lo sguardo appannato, e il naso gli pulsava e gli doleva; forse era per questo motivo che i suoi pensieri erano così nebulosi e inopportuni.
«Ho detto che potevi trovare decine di insulti per quel gorilla. Calzini»ripeté ancora una volta, ridacchiando sommessamente. «Sei stato originale, però, devo ammetterlo»annuì convinto, trascinandolo di peso fuori dall’Infermeria. Il reduce di guerra barcollò appena, rischiando di perdere l’equilibrio, ma con un saltello sul posto riuscì a rimettersi in piedi e seguire l’amico senza vacillare. Non appena giunsero sulla soglia della Sala Grande, tuttavia, Dean si fermò. Rimase fermo nel bel mezzo dell’ingresso, a guardare il suo compagno di Casa marciare velocemente verso il tavolo dei Grifondoro, senza dire una parola. Quando Seamus, confuso almeno quanto lui, si voltò e lo fissò con sguardo interrogativo, lui fece spallucce, borbottò qualche scusa e gli fece cenno di andare avanti.
 
Rimase immobile a guardare il suo migliore amico unirsi al resto degli studenti con un sorriso allegro sul volto, e desiderò essere esattamente come lui: senza nessun pensiero o problema ad appesantirgli la testa. Distolse lo sguardo e voltò le spalle alla Sala Grande, e così anche a quella scena che gli dava la nausea; poi cominciò a camminare, e non si fermò più. Vagò per la scuola per minuti che gli sembrarono ore, a riflettere sulla sua stupidità e su quel groviglio di emozioni che gli pesava sullo stomaco.
Tra tutte le ragazze che c’erano ad Hogwarts, perché proprio lei? Perché proprio Millicent Bullstrode?
La prima volta che Dean l’aveva vista, non era successo niente. Aveva undici anni, e i suoi pensieri erano tutti rivolti a manici di scopa e materie scolastiche, perché il Quidditch era una cosa totalmente nuova, e la magia costituiva ancora un cambiamento attraente e singolare, per lui che veniva da un altro modo. Ci erano voluti degli anni, prima che si accorgesse di lei. Non avrebbe saputo dire con esattezza quando il fastidio si era trasformato in ansia, e ridere di lei era diventato persino doloroso. Non avevano mai avuto un contatto diretto – non si erano nemmeno mai parlati – ma, da qualche tempo – giorni? mesi? anni? Non avrebbe saputo dirlo – Dean aveva cominciato a pensare a lei più spesso di quanto fosse lecito. Forse era il gusto del proibito, o magari il piacere del diverso. O, più probabilmente, quell’intimo senso di solitudine che era nato in lui con la fine della guerra; quello spasmodico bisogno di protezione, e sicurezza, e stabilità, che lei sembrava poter dare – le spalle larghe, la mano grande, la mole imponente. E gli occhi tristi. Anche di questo lui si era accorto: Millicent Bulstrode aveva il dolore nello sguardo. Quando aveva osato accennarne con Seamus, lui aveva riso, come sempre, e aveva detto che era pazzo. Poi, si era messo a parlare di Quidditch, convinto che fosse un’annotazione momentanea, forse persino sarcastica. Non aveva capito quali sentimenti si celassero davvero in quella confessione, e Dean non ne aveva più parlato, un po’ per paura, un po’ per vergogna. Perché quella ragazza non era esattamente la più bella, o la più intelligente. Ma, forse, era la più sensibile.
 
Dean la sentì, prima di vederla. Si domandò come avesse fatto a non notarla prima, dato che, pur rannicchiata, occupava metà del corridoio. Era raggomitolata in un angolo, e piangeva. Singhiozzava in modo spaventoso: sembrava quasi che stesse per spezzarsi tanto il suo corpo tremava. Accanto a lei giacevano, appallottolati come un pezzo di carta straccia, i calzini che indossava poco prima.
Hai dei bellissimi calzini.
Ora che poteva osservarli meglio, si accorse che avevano delle piccole note musicali intessute nella stoffa pesante. Erano ridicoli.
Hai dei bellissimi calzini.
Come aveva potuto dirle una cosa del genere? Non c’era da meravigliarsi se l’aveva presa male. Dean emise un lieve gemito disperato, maledicendosi per la sua idiozia. E si dovette maledire due volte, perché quel mugolio soffocato risuonò come amplificato, nell’alto corridoio dei Sotterranei, e attirò l’attenzione della Serpeverde. Millicent alzò lo sguardo con espressione ferita e spaventata, come una preda intrappolata in un angolo e scopertasi senza via di fuga. Quando incrociò lo sguardo del Grifondoro, il suo viso si indurì, e i suoi occhi divennero gelide lame d’odio.
Imbarazzato, Dean abbassò il capo, ma non riuscì a muovere un muscolo. Sentiva lo sguardo della ragazza pungergli il capo, e desiderava, più di ogni altra cosa, andarsene da lì, scappare da quel corridoio, da lei, dai suoi sentimenti, ma non era capace di ordinare alle sue gambe di muoversi. Così, disse l’unica cosa che gli venne in mente.
«Stai piangendo…»
Questa, forse, era anche peggio di quella dei calzini.
Millicent sostenne il suo sguardo, accigliata e offesa al tempo stesso.
«Sì, sto piangendo. E allora?»sbraitò bellicosa, alzandosi in piedi e fronteggiandolo, i pugni chiusi e il viso rigato di lacrime. «Anche i fiori piangono, e ci sono stupidi che pensano che sia rugiada!» ululò, quasi fosse una scusa, mantenendo il tono alto, come volessi difendersi con quell’urlo che, sperava, sembrasse abbastanza minaccioso.
«Mh?»mugolò Dean, incapace di comprendere cosa c’entrassero i fiori con le lacrime. Alzò il capo, ed osò lanciarle un’occhiata di sfuggita. Si pentì di averlo fatto quando incrociò i suoi occhi, colmi di rancore, rabbia e amarezza.
«Oh, ma certo, Millicent non è mica un fiore, giusto? Non può piangere!»continuò lei, in preda a una crisi di nervi.
«No!»urlò con voce altrettanto alta il ragazzo, non riuscendo a trattenersi. Scosse il capo con foga, come se quel solo gesto bastasse per convincerla. Millicent lo guardò torvamente, ma abbassò i pugni che aveva alzato come solida difesa al suo fragile essere. «Tu sei… sei…»tentò Dean, ma non riuscì a trovare le parole, e ammutolì.
«Cosa? Cosa sono?»lo incitò la Serpeverde, con un tono di sfida che sapeva ben poco di indulgenza e curiosità. Era certa che lui stesse architettando quella strana messinscena solo per renderla di nuovo ridicola.
«Sei…»provò di nuovo il Grifondoro, abbassando il capo. E allora li vide: lì, abbandonati a terra, come la pelle di un serpente, rinnegata dopo la muta. «Sei come i tuoi calzini»disse, guardandola negli occhi.
Le braccia di Millicent piombarono verso il basso, insieme a qualche pezzo della sua dignità. La ragazza guardò a lungo Dean, con gli occhi sgranati e l’espressione incredula, soppesando nella sua testa le parole appena sentite.
Silenzio.
Il giovane Grifondoro la guardò, e gli ci volle tutto il suo coraggio per non scappare a gambe levate, perché quel muscolo che guizzava al di sotto della mandibola della Serpeverde sembrava presagire un’ira che non lo avrebbe risparmiato. Come aveva potuto essere di nuovo così stupido?
«Come i miei calzini. E con questo, Thomas, cosa volevi dire?»strepitò Millicent, facendo un passo avanti.
Oh, ma allora sapeva anche il suo nome. Sapeva che esisteva.
«Che sono ripugnante? Puzzolente? Fuori moda? Orrenda?»elencò con evidente collera, il viso rosso per la vergogna e la rabbia. Dean la guardò, e deglutì. Poi, parlò, appellando a sé tutto il coraggio che il Cappello Parlante gli aveva riconosciuto quando l’aveva smistato in Grifondoro – e ce ne voleva tanto.
«Bellissima»disse laconico, trovandosi la bocca stranamente ed irrimediabilmente secca. Vide la sorpresa farsi strada sul volto di Millicent, e paralizzare ogni lineamento.
«Cosa?» boccheggiò lei, incredula, certa di aver sentito male.
Hai dei bellissimi calzini. Sei come i tuoi calzini. Sei bellissima.
«Sei bellissima» ripeté lui con più sicurezza, trovando forza nel suo sillogismo bislacco ma stranamente efficace.
Millicent rimase paralizzata sul posto, incerta se Schiantarlo subito o se aspettare un po’. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere, e pensava che nessuno gliel’avrebbe mai detta. Perché lei non era bellissima, e lo sapeva. Suo padre non faceva altro che ripeterglielo, sua madre la guardava con occhi compassionevoli, suo nonno insisteva nel Trasfigurarla per sempre, perché tanto nessuno avrebbe mai accettato di sposarla, anche se era una Purosangue. E lei, nel tempo, aveva sviluppato un’armatura tutta sua, contro quella sensazione di inadeguatezza, contro tutti gli insulti che, sapeva già, le sarebbero piovuti addosso, contro gli sguardi di disgusto o, peggio ancora, di pena, che tutti si ostinavano a riservarle. La violenza era un’arma a doppio taglio, ma almeno le garantiva quel minimo di rispetto di cui necessitava per vivere. Se non potevano amarla, almeno l’avrebbero temuta.
Ma ora, lì, davanti a quel ragazzo che, per la prima volta in vita sua, aveva visto una bellezza che di esteriore non aveva niente, Millicent si trovò spiazzata, nuda, inadeguata. Ferma davanti a lui, a sondarne lo sguardo per trovare dentro i suoi occhi quella traccia di menzogna che l’avrebbe aiutata a reagire, non sapeva cosa replicare, non sapeva se credere a quella comoda e dolcissima affermazione, o se ritenerlo l’ennesimo degli insulti, un ulteriore tentativo di derisione, o forse uno strano, crudele inganno escogitato dai Grifondoro, a sua spese.
«Sei un Mezzosangue» replicò lei, senza sapere cos’altro dire. Era la prima cosa che le era venuta in mente, e aveva bisogno di prendere tempo, per capire, per accettare, per rispondere davvero qualcosa. Non era preparata a una cosa del genere. Cosa avrebbe risposto Pansy? E Daphne? Loro erano abituate a cose del genere ma lei… lei no. Cosa si risponde in questi casi? Di certo, non quello che aveva detto lei.
Vide il volto del Grifondoro rabbuiarsi e inasprirsi, vide i suoi occhi trafitti da un lampo di autentica delusione. Dean emise un sospiro, e le voltò le spalle, incamminandosi verso le scale. E Millicent rimase immobile, con il corpo che le prudeva e la sensazione che avrebbe dovuto dire o fare qualcosa per fermarlo. Così, ancora una volta, disse la prima cosa che le venne in mente.
«Me li ha regalati mia nonna».
Dean si bloccò nel mezzo del corridoio, e voltò solo la testa, offrendo alla ragazza il suo profilo.
«Cosa?»domandò incerto.
«I calzini»rispose seccamente lei. Era strano, avere una conversazione normale, civile, con qualcuno. Naturalmente lei aveva qualcuno con cui parlare: Pansy e Daphne non facevano altro che andare da lei, per chiederle se aveva finalmente trovato un fidanzato, e per vantarsi delle loro conquiste; ma non era certa che fosse per amicizia, che lo facessero. Per il resto, nella casa di Salazar, ognuno tendeva a farsi gli affari propri, e a tacere, per lo più. No, lei non aveva nessuno con cui parlare.
«Ah»rispose Dean, senza aggiungere nient’altro. Millicent si sentì ferita da quel silenzio, solida barriera che si era eretta tra i due; si sentì a disagio, ma non in quel modo che avvertiva di solito. Non era quel disagio che arrivava dritto come un pugno nello stomaco, costringendola a reagire; era un disagio silenzioso e strisciante.
«È morta»chiarì la ragazza, come se quell’affermazione fosse una ragione sufficiente, come se spiegasse ogni cosa, dal suo silenzio alla sua aggressività. Non era un modo di attirare l’attenzione, né di ottenere compassione o comprensione, perché quelli erano i sentimenti che combatteva da sempre, e che mai avrebbe voluto sentire da parte di quel ragazzo.
«Mi dispiace»la sorprese lui, voltandosi completamente verso di lei, per accogliere e ascoltare meglio le sue parole. E Millicent, stranamente, non si sentì offesa né turbata da quel comportamento. Era un’attenzione che le faceva piacere, nuova, inusuale, strana.
«Davvero?»chiese lei, sorpresa e sospettosa al tempo stesso.
«Certo»rispose Dean con evidente sincerità, facendo un passo verso di lei. «E come… come è…?»balbettò imbarazzato, chiaramente a disagio quanto lei. Non voleva pronunciare quella parola, perché aveva un sapore amaro, e temeva di procurarle un dolore che, con ogni probabilità, lei non voleva rivivere.
«Uccisa. Dal Signore Oscuro»replicò seccamente Millicent, con un distacco talmente evidente da risultare falso e innaturale.
«Ah» biascicò il ragazzo, incapace di dire altro. Per qualche istante, regnò il silenzio, un silenzio teso e sospettoso, colmo di imbarazzi e domande. Poi, Dean le puntò gli occhi addosso, e domandò, con ferma sicurezza: «È per questo che li porti?»
Gli occhi della ragazza si spalancarono appena, come se quella richiesta avesse acceso in lei una consapevolezza quasi dolorosa. Dean guardò prima i calzini, e poi lei, domandandosi in silenzio cosa avesse provocato quella strana reazione, ma prima che potesse dar voce ai suoi dubbi, la Serpeverde annuì.  
«Lo so che sono orrendi, ma mi ricordano lei»disse in un sussurro basso e incerto.
«Perché te li ha regalati lei?».
Millicent squadrò il ragazzo che aveva di fronte come se fosse uno strano essere. Lo osservò con un misto di diffidenza e incredulità, incerta se aprirsi con lui o meno – perché nessuno le aveva mai domandato niente della sua vita privata, mentre lui sembrava interessato, ma in un modo genuino e sincero, non forzato o opportunista. Per qualche minuto, rimase immobile e con la bocca chiusa, a soppesare quell’idea nella sua testa. Alla fine, convinta dal pressante silenzio che era calato tra di loro, o forse solo dalla stanchezza della solitudine, la Serpeverde parlò.
«Perché è stata lei ad insegnarmi a suonare il flauto trasverso. Ma non riuscivo mai a fare il re minore, e così mi ha dato quei calzini, dicendo che se li avessi tenuti addosso, la nota non sarebbe più riuscita a sfuggirmi» spiegò lentamente, gustandosi piano le reazioni del volto del giovane che aveva di fronte.
Dean la ascoltò in silenzio, mentre il cuore gli balzava in gola e lo stomaco faceva strane e fastidiose capriole. La ascoltò, e gli sembrò che quel peso che gli si era depositato nel torace tempo prima si fosse un tantino alleggerito, ora che lei era davanti a lui e gli stava parlando, confidandogli parte della sua vita.
«Ti è più sfuggita?» chiese con semplicità, sperando che lei non notasse la nota tremante nella sua voce, mentre le si avvicinava di un passo. Millicent scosse il capo.
«Posso essere il tuo re minore?»domandò allora lui, bruscamente, senza alcun preavviso. Il dolore alla lingua gli arrivò al cervello un secondo più tardi del necessario, perché Dean si era morso, nel tentativo di non dar voce a quell’assurdità che gli stava galleggiando nella testa da quando lei gli aveva raccontato della storia dei calzini, ma con un secondo di ritardo, quel tanto che era bastato a quella frase per sgusciare fuori dalle sue labbra.
«Come?»chiese Millicent, confusa, aggrottando le sopracciglia e fissandolo come se fosse impazzito. Il suo corpo si tese, e lei assunse una posizione di guardia, aspettandosi, da un momento all’altro, la stoccata finale, quella che l’avrebbe ferita, umiliata, distrutta.
Dean trasse un respiro profondo. Aveva lanciato la pietra, era inutile nascondere la mano. Guardò la ragazza negli occhi, e accennò un timido sorriso. Prima che lei potesse dire o fare qualsiasi cosa, fece due grandi passi per avvicinarsi a lei, annullando le distanze che li separavano. La Serpeverde indietreggiò perché, si sa, il coraggio non era una delle qualità richieste nella sua Casa, e lei non brillava certo di iniziativa, né aveva intenzione di confrontarsi con un Grifondoro in un corridoio deserto. Quel lumicino di speranza che le si era acceso dentro quando aveva sentito quella parola – bellissima – si spense all’improvviso, nello stesso istante in cui lui, sorprendendo lei e gettando all’aria ogni pronostico, si piegò e raccolse da terra i suoi calzini.
«Mi piacerebbe essere il tuo re minore»ripeté lentamente, mentre, guardandola negli occhi, le porgeva i due grovigli di lana che fino a poche ore prima lei indossava ai piedi.
Mi ha dato quei calzini, dicendo che se li avessi tenuti addosso, la nota non sarebbe più riuscita a sfuggirmi.
Millicent guardò i calzini, stretti nelle mani scure del giovane; poi guardò Dean, che aveva uno strano sorriso sul volto.
Mi piacerebbe essere il tuo re minore.
Calzini. Dean. Di nuovo calzini. Ancora Dean. Mentre lo sguardo di Millicent si spostava, come impazzito, dagli indumenti appallottolati al volto del giovane, la sua mente fece una rapida associazione.
Se metti i calzini la nota non ti sfugge più. Lui era la nota. Lui non le sarebbe più sfuggito.
Millicent sgranò gli occhi, e trattenne il fiato, avendo intuito il filo dei pensieri di quel ragazzo. Arrossì furiosamente, riprese in tutta fretta i calzini e nascose il volto dietro i capelli scuri, balbettando parole di scuse incomprensibili e fuggendo da quel Sotterraneo alla velocità della luce, seguita dallo sguardo incerto e un po’ deluso di Dean.
Il giorno dopo, però, Millicent aveva addosso i suoi calzini. E quando si incrociarono nel corridoio, e Dean le ripeté che i suoi calzini erano davvero bellissimi, lei accennò un sorriso, nascosto sotto quegli strati di aggressività che doveva tenere sul volto come una maschera, per non destare sospetti.
Mentre la guardava andar via, il Grifondoro non sentì Seamus ridere rumorosamente, e domandargli: «E poi, che cosa vorrà mai dire “Sei un re minore”?».

   
 
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