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Autore: Laura Sparrow    24/03/2007    2 recensioni
Due giovani donne sole in uno sperduto paesino dei Caraibi, ma determinate ad inseguire i loro vecchi sogni di libertà, l'incontro con un pirata prigioniero che cambierà la vita di entrambe. Mentre un bizzarro gioco del destino riporta a Laura Evans una nave nera che sembrava solo un ricordo di infanzia e una minacciosa maledizione torna da un passato che sembrava dimenticato, Will sceglie di infrangere per una e una sola volta la promessa che lo lega a Calipso per rivedere Elizabeth ancora una volta. Laura Evans e Faith Westley si trovano davanti ad una svolta: voltare le spalle a tutto ciò che è stato e seguire l'unica strada di chi rifiuta le regole: la pirateria. (ULTIMO RINNOVAMENTO COI FATTI RIALLACCIATI AD AWE)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11
La prova e il premio



Era tardo pomeriggio quando William fu portato sul ponte, scortato rudemente da due pirati. Ricordando che da solo aveva ucciso due dei loro gli avevano provvidenzialmente incatenato i polsi, vincendo il raccapriccio per il braccio destro disgustosamente mutato.
Il giovane fu condotto a prua dove un'altezzosa capitana stava ancora osservando il mare piatto col cannocchiale, apparentemente alla ricerca di inseguitori: quando udì i loro passi avvicinarsi richiuse il cannocchiale e si voltò nella loro direzione, squadrando Will dalla testa ai piedi per soffermarsi sull'arto spettrale. - Ebbene, che abbiamo qui?- domandò in tono stizzoso, avvicinandosi a lui: senza gtanti complimenti lo agguantò per il polso ammanettato e sollevò il braccio per osservarlo con curiosità. Will sottostava al suo esame senza mutare d'espressione.
- Allora, cosa sei?- continuò Beatrix con aria annoiata. - Un clandestino? Uno della ciurma di Sparrow? Uno scherzo della natura?- lasciò ricadere bruscamente il braccio. - Qual è il tuo nome?-
Ancora William non rispose. Allora la donna estrasse dalla cintura un coltello e con mossa felina glielo puntò alla gola. - Ti ho fatto una domanda, mozzo! E sarà meglio per te che tu mi risponda. -
Guardando di sottecchi il pugnale che gli veniva puntato al collo Will rispose in tono accurata,ente neutro: - William Turner. -
Beatrix sgranò gli occhi di compiaciuta sorpresa, prendendo a giocherellare lentamente col coltello a pochi centimetri dalla sua gola. - Turner... - mormorò, stupita. - Mi ero chiesta come mai ci fosse solo la tua mogliettina nella vostra casa... le voci dicevano che eri sparito per sempre. -
- Non conoscete le storie?- replicò lui, piatto. Beatrix si strinse nelle spalle scuotendo la chioma di riccioli scuri. - Cosa è verità e cosa è leggenda ormai, dopo tre anni? Nessuno sa con esattezza che cosa è successo in quell'ultima battaglia della Fratellanza... eccetto coloro che hanno combattuto Davey Jones a bordo dell'Olandese. - con un sogghigno stuzzicò ancora il collo di Will con la punta del coltello, poi inasprì il tono. - Come sei salito a bordo, cane? Sapevi del mio piano o sei stato mandato da Sparrow?-
- Né l'uno né l'altro. - rispose lui ritraendosi per quanto i pirati alle sue spalle gli permettevano. Beatrix rimase a fissarlo per lunghi istanti, rigirandosi il coltello fra le dita con una luce minacciosa negli occhi castani. - E allora a che cosa mi servi?- fece con dolcezza, prima di cambiare presa sul coltello e affondarglielo nel petto. Will sussultò mentre i pirati lo trattenevano saldamente per le braccia: guardò la lama del pugnale affondargli nel petto fino all'elsa, poi sollevò gli occhi su Beatrix Barbossa che stava a guardarlo con un ghigno che dopo pochi istanti si trasformò in un'espressione di puro sgomento. La mano della donna si ritrasse di scatto, estraendo il pugnale sporco di sangue, ma Will rimaneva lì in piedi di fronte a lei, a fissarla.
Poco ci mancò che anche i due pirati messi alle sue spalle non lo mollassero, resisi improvvisamente conto che il giovane non era morto: senza scomporsi Will fissò negli occhi la donna che gli stava di fronte. - Io sono senza cuore quasi più di voi. -
Gli occhi di lei si allargarono rendendosi conto del significato di quelle parole. - Il capitano dell'Olandese Volante... - sibilò stupefatta.
A quel punto i due uomini lo lasciarono davvero, scostandosi di scatto: improvvisamente la misteriosa apparizione del giovane e quel braccio mostruoso acquistavano un nuovo significato.
- Idioti codardi!- li redarguì immediatamente Beatrix. - Se questo balordo avesse voluto ucciderci come quei due precedenti topi di sentina lo avrebbe già fatto da un pezzo. E invece eccolo qua... prigioniero... ma soprattutto separato dalla sua nave e dalla sua ciurma infernale... - si prese il mento fra le dita, meditabonda.
Lo sguardo di Will si fissò su di lei con una determinazione del tutto nuovo. - Temi tu la morte, Beatrix Barbossa?- domandò lentamente, con più di una nota di provocazione nella voce. - O forse temete l'Olandese Volante? Buttatemi fuori bordo, capitano, se temete le antiche maledizioni. -
I pirati sembrarono prendere in seria considerazione la proposta e guardarono speranzosi il loro capitano, ma la donna non era propensa a farsi abbindolare: squadrandolo con ira e sicurezza insieme replicò: - Se fossi potuto tornare all'Olandese Volante lo avresti già fatto. E invece non lo hai fatto, così come hai rinunciato ad attaccarci. Ci deve essere senz'altro qualcosa... - gli punzecchiò violentemente il braccio mutato col dito. - ...che ti impedisce di farlo. No, non ti butterò fuori bordo permettendoti di riunirti alla tua nave, signorino. Rimarrai qui nella tua cella: sono ormai passati i tempi in cui il solo nome dell'Olandese faceva tremare i più indomiti pirati, ora che ci sei tu come capitano!-
Mentre William veniva ripreso e riportato nelle celle sottocoperta, si concesse segretamente un sorriso di vittoria: aveva ottenuto esattamente quello che voleva.

*

Fu una lunga giornata di lavoro. Molto lunga.
Capii in fretta che l'atmosfera che si respirava sulla Revenge era ben diversa da quella a bordo della Perla: fu una fortuna che Beatrix avesse affidato noi tre ad Ettore; lui, con l'ordine di tenerci sotto sorveglianza, in qualche modo salvaguardava anche la nostra sicurezza. Avevo avuto paura anche solo a stare sul ponte a cucire le vele insieme a quegli uomini che ci squadravano con l'occhio spiritato di chi è stato troppo tempo per mare, e soltanto la presenza del pirata accanto a noi mi aveva dato un'illusione di protezione: il che era meglio di niente.
Quando a tarda sera noi tre fummo ricondotte in cella eravamo completamente esauste: con una certa apprensione William volle sapere cosa ci avessero fatto, e sembrò molto sollevato sapendo che ci volevano soltanto per i lavori a bordo. Fortunatamente il rancore tra lui e Jack di quella mattina sembrava essere ormai completamente sbollito; dal canto suo il capitano se ne stava sdraiato sul pavimento con le gambe accavallate come se prendesse il sole, bofonchiando di tanto in tanto che si stava annoiando. Nella cella di fronte a noi David aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, e cominciai seriamente a pensare che non stesse bene.
- Beatrix ha voluto parlare con me, stamattina. - dissi mentre mi sedevo sul pavimento. Udendomi, Jack alzò gli occhi e mi guardò, corrucciato.
- Allora, che cosa voleva?- domandò Faith, con l'aria stanca quanto me: per tutta la giornata non avevamo avuto occasione di parlare del mio colloquio col capitano e sapevo che lei ed Elizabeth non avevano fatto che chiedersi che cosa avessi mai detto a quella donna.
- Informazioni. - scrollai le spalle. - Mi ha fatto molte domande riguardo la Perla Nera e quali piani avesse il nostro capitano... - accennai a Jack. - E' ossessionata, vuole quella nave. Credo che non ci abbia catturati solo come ostaggi: siamo l'esca, vuole chiaramente che la ciurma ci venga a cercare per poter prendere la Perla. -
Jack fece un profondo sospiro: - Lo sospettavo. - si rizzò bruscamente a sedere e ruotò il capo come per sgranchirsi il collo, arricciò le labbra con aria meditabonda, quindi tornò a voltarsi nella mia direzione. - Tu... uhm... che cosa le hai detto?-
- Cosa credi che le abbia detto?- ribattei, forse un po' troppo acidamente. - Che non sapevo niente, e che per quanto ci riguardava la Perla poteva anche essersi dimenticata di noi. -
La mia risposta sembrò divertirlo, perché fece un sogghigno e commentò: - Una buona risposta. I miei complimenti alla nostra abile spia. -
- Non c'è bisogno di infierire, va bene? Lo so che il nostro...il mio... è stato un atto molto stupido e per di più inutile, dato che ci troviamo tutti qui. - borbottai, abbassando il capo. Elizabeth mi si accostò, e posò una mano sulla mia spalla e una su quella di Faith: - Io penso che voi due non abbiate niente di cui pentirvi: volevate solo aiutarci e avete fatto quello che ritenevate giusto. - proclamò con decisione, guardando prima noi e poi Jack. - Se i ruoli fossero stati scambiati neanch'io le avrei lasciate sole senza sapere a cosa andassero incontro. -
- Ah no? Che strano, ricordo un episodio in cui non hai ragionato proprio così. - replicò improvvisamente Jack, con una sfumatura lievemente aggressiva nella voce mentre fissava negli occhi Elizabeth. Lei strinse le labbra e poi abbassò lo sguardo con aria contrita.
- Non siamo qui per dare la colpa a qualcuno. - rispose stancamente Will, seduto in un angolo. - Ci avrebbero presi comunque. Ora ho paura soltanto che possa accadere qualcosa a voi. - ci lanciò uno sguardo cupo.
- Grazie per l'interessamento, eh?- fece Jack, sarcastico, poi tornò a rivolgersi a noi. - Comunque, per il momento noi non abbiamo niente da fare: possiamo solo confidare nella mia ciurma. -
- La Perla Nera non si vede, a quanto dicono. - replicò Will, serio. - Jack... la tua ciurma verrà ad aiutarci?- Per un attimo vidi lo sguardo di Jack saettare in direzione della porta chiusa. - Non ho nessuna ragione per non pensarlo. - disse, quindi diede un colpetto al cappello abbassandoselo sugli occhi e si accomodò contro la parete, decisamente pronto a farsi una dormita. Senza sapere se ritenerci sconfortati o rassicurati, poco a poco seguimmo il suo esempio: mi preparai ad un'altra notte scomoda mentre mi sdraiavo sul pavimento.
Non dormimmo molto in ogni caso: stavamo tutti dormendo da poco quando fummo svegliati da David che era stato colto da un violento attacco di tosse. La cosa suscitò prima preoccupazione, poi panico, dato che il bambino non dava segno di riuscire a smettere, e il fatto che si trovasse in una cella divisa dalla nostra rendeva le cose ben più difficili. Alla fine, non trovata altra soluzione, presi a chiamare aiuto nella speranza che qualcuno mi sentisse.
Pochi minuti dopo la porta della prigione si aprì bruscamente e una figura tarchiata avanzò a passi pesanti verso di noi: anche al buio riconobbi la criniera bionda e irsuta del mio vecchio amico dal coltello facile, quel Konrad. Aveva tutta l'aria di essere stato davanti alla porta della prigione da un pezzo, ma di essersi degnato di rispondere alla mia richiesta d'aiuto solo in quel momento tanto per il gusto di tenerci sulle spine.
- Be', che diavolo succede qua sotto?- sbottò ruvidamente quando fu davanti alle nostre celle.
- Il bambino sta male. - rispose Faith in tono gelido, indicando David che continuava a tossire nella cella accanto.
- E cosa credete che siamo, un convento di suorine?- il pirata sputò una bestemmia prima di voltarci le spalle: stava per andarsene di nuovo, ma Faith lo fermò gridandogli: - Aspetta! Almeno lascia che stia nella cella insieme a noi, possiamo aiutarlo. Lascia che stia vicino a sua madre!-
Sbuffando e imprecando a mezza voce, il pirata aprì con la massima riluttanza la prigione di David, agguantò il bambino per la collottola sollevandolo praticamente di peso e, aperta la nostra cella, lo buttò dentro con noi. Elizabeth lo raggiunse immediatamente e lo prese tra le braccia, cullandolo amorevolmente e battendogli buffetti sulle spalle scosse dai sussulti della tosse: il pirata se ne andò mentre io e Faith ci accostavamo ad Elizabeth, desiderose di aiutarla, e Will ci guardava da dietro le sbarre, visibilmente tormentato dall'essere così vicino al figlio e non potergli offrire nessun aiuto.
- Credo che abbia la febbre. - disse Faith, posando la mano sulla fronte sudata di David e scrutandolo con occhio clinico. - Se almeno avessi con me un po' di bacche di belladonna... lo aiuterebbero contro quella tosse... è rimasto tutto sulla Perla. -
Dopo alcuni lunghi minuti sembrò che la tosse cominciasse a placarsi, ma non si poteva certo dire che David stesse bene. Ci risolvemmo mettendogli sulla fronte uno straccio bagnato per fare calare un po' la febbre: Jack ci diede un curioso straccetto di pizzo che portava legato al polso sinistro, io dovetti chiamare nuovamente quel simpaticone di Konrad per chiedergli un poco d'acqua, che ottenemmo insieme ad una sfilza di improperi. Mentre, in disparte, guardavo Elizabeth che coccolava il figlio tenendogli lo straccetto bagnato sulla fronte, mi voltai verso Jack che, insieme a Will, osservava la scena dall'altra parte delle sbarre: - Quello che cos'era?- domandai, più per smorzare la tensione del momento che per altro.
- Una specie di... trofeo. - rispose lui facendo spallucce. - Trofeo? Del pizzo?-
- Be', era di una ragazza. -
- Non oso chiederti come o perché ne sei venuto in possesso... -
Scoprì i denti in un sogghigno inequivocabile. - Meglio che tu non lo sappia... -
- Porco. - stavolta risi però, e rise anche lui: c'era una nuova complicità fra di noi, più innocente. Quando smise di ridere fra sé tornò a guardarmi nel suo modo buffo: col capo piegato da una parte e il mento sollevato, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. - Vedrai che starà bene. - mi disse in tono più rassicurante accennando a David.
- Lo spero. - risposi, voltandomi per un istante a guardare come stesse il bambino che ora pareva essersi calmato fra le braccia di Elizabeth. Mi girai di nuovo con l'intenzione di aggiungere qualcos'altro, ma mentre stavo per parlare mi accorsi di William che guardava non suo figlio, ma verso di me da dietro la spalla di Jack. Abbassò subito gli occhi, ma non abbastanza in fretta da dissimulare l'espressione corrucciata che per un attimo gli aveva attraversato il viso.
Vedendomi guardare alle sue spalle anche Jack si voltò e scoccò a Will un'occhiata strana: io decisi che quel gioco di sguardi stava cominciando a diventare imbarazzante e mi allontanai dalle sbarre, tornando a sistemarmi nell'angolo dove dormivo prima che venissimo svegliate dal trambusto, per riaddormentarmi profondamente in pochi minuti.

*

Fra l'esserci svegliate in piena notte e la scomodità della cella, quando fui svegliata dallo sbattere della porta della prigione mi sentii come se non avessi dormito per nulla.
- In piedi, c'è altro lavoro per voi. - cominciò a richiamarci Ettore aprendo la porta della cella mentre io ancora mi sforzavo di liberarmi la testa dalla nebbia del sonno. Elizabeth chiese di poter rimanere accanto a suo figlio, ma Ettore scosse la testa dicendo che il capitano non lo avrebbe permesso. Si limitò a concedere che, se il bambino fosse stato di nuovo male, sarebbe potuta tornare da lui.
Mentre noi tre ci tiravamo su sbadigliando, nella cella accanto Jack incrociò le braccia con un lungo sbuffo. - Per curiosità, ci vorrà ancora molto? L'ultima volta che siamo stati all'Isla de Muerta c'era la tempesta, e ci siamo arrivati in un paio di giorni. -
Il commento fece sfuggire un lieve sorriso al pirata. - Tempo capriccioso, pirata. Sono due giorni che soffia solo la bonaccia, e la nave va a passo di lumaca: arriveremo domani, si spera. Hai fretta?- le ultime parole le aggiunse con un sogghigno divertito.
- Oh no... solo che non mi annoiavo tanto da quando sono rimasto chiuso nella cantina di un'osteria abbandonata insieme ad un sordomuto quasi orbo. -
Stavolta Ettore rise sul serio, quindi, una in fila all'altra ci guidò fuori dalla prigione. - Inventatevi qualcosa. - suggerì bonariamente mentre si richiudeva la porta alle spalle. Jack sospirò di nuovo mentre si frugava in tasca e, dopo aver rovistato per un po', ne estraeva una monetina di rame.
- Testa o croce?- domandò distrattamente voltandosi verso Will.

*

Faith tirò il filo di lino e lo spezzò coi denti: un altro strappo nella vela era ricucito. Io, lei ed Elizabeth eravamo tornate alla nostra ormai abituale postazione sul ponte appena sotto il cassero di poppa, dove sotto l'occhio vigile di Ettore aggiustavamo le vele.
Si era alzata una bava di vento, e l'impaziente capitana aveva ordinato che si dispiegassero tutte le vele: mi era difficile concentrarmi sul mio lavoro perché ero spesso distratta dagli ordini che si gridavano i pirati al lavoro sulle sartie, sapevo per esperienza che spiegare le vele era un lavoro impegnativo, e non potevo fare a meno di guardare gli uomini che balzavano rapidi da una fune all'altra.
Faith si stava alzando per aiutare alcuni uomini ad arrotolare la vela aggiustata quando accadde.
Un'esclamazione improvvisa che di colpo divenne un urlo, uno schiocco di funi strattonate: alzai lo sguardo di scatto verso gli alberi, e come al rallentatore vidi le braccia e le gambe del pirata annaspare vanamente nell'aria mentre l'uomo precipitava. L'istante dopo cozzava contro il ponte, con un tonfo seguito da un secco schiocco osceno che mi fece contrarre le viscere.
Elizabeth si coprì la bocca con una mano mentre attorno a noi si levavano altre grida. Faith era rimasta paralizzata, in piedi a soli pochi passi dall'uomo steso sul ponte, che aveva preso ad agitarsi debolmente cacciando urli e gemiti.
- Chiamate il medico di bordo!- gridò Ettore al di sopra dello scompiglio generale: qualcuno si precipitò ad eseguire il suo comando mentre gli altri pirati si affollavano attorno, morbosamente interessati all'incidente. Il pirata steso a terra sbarrò gli occhi, digrignando i denti e soffiando i peggiori improperi e bestemmie, poi ad un tratto cercò di girarsi su un fianco come tentando di rialzarsi.
- No, stai fermo!- lo riprese severamente Ettore raggiungendolo in due passi mentre dalla ciurma si sollevava un concitato brusio: certuni commentavano lo stato del ferito, altri ridacchiavano, molti lo squadravano con crescente interesse. Il pirata non lo ascoltò: con gli occhi lacrimanti si puntellò sulle braccia e prese a strisciare pietosamente, interrompendo la sua sfilza di imprecazioni soltanto per gemere di dolore.
- Ti ho detto di stare fermo!- fece Ettore, afferrandolo per una spalla e bloccandolo. Con un respiro affannoso il pirata tentò di liberarsi.
- Non muoverlo!-
Era stata Faith a gridare. Ettore e numerosi altri uomini si voltarono verso di lei con aria corrucciata: che cosa voleva saperne lei? Quasi senza rendersi bene conto di cosa stava facendo, Faith cominciò ad avvicinarsi, squadrando il pirata ferito con occhio clinico. Non sapeva nemmeno lei perché lo stava facendo: dopotutto quei pirati erano i nostri rapitori, non gli dovevamo niente. Però l'uomo era ferito, lei sapeva cosa c'era da fare e perciò doveva farlo. Semplicemente.
Come tutti quei preziosi libri di medicina, custoditi gelosamente dai suoi genitori, le avevano insegnato, sapeva che in quelle condizioni il minimo movimento poteva essere fatale. Si inginocchiò accanto al pirata e tutta la sua attenzione si concentrò sulla gamba sinistra che l'uomo si trascinava dietro, piegata in una strana angolazione come la gamba inerte di un burattino.
- Non dovete muovervi, serve qualcosa per steccare quella gamba prima di fare qualsiasi movimento. - disse con un filo di voce. Ettore la fissò sempre più accigliato, il pirata si infiammò in viso e le sputò addosso un insulto velenoso dietro l'altro: - Vattene all'inferno disgustosa puttana, non mi serve l'aiuto di una... - in quel momento mosse la gamba, e un urlo terrificante troncò il resto della frase, facendo rizzare i capelli a tutti i presenti.
Faith raggelò vedendo il sangue colare sul ponte: era successo ciò che temeva, l'osso spezzato si era mosso e le schegge aguzze avevano forato la carne. - Il medico di bordo, dannazione!- urlò Ettore, accorgendosi che la situazione peggiorava di minuto in minuto.
La ragazza sentiva le mani tremare incontrollabilmente, ma quasi automaticamente si trovò ad alzare lo sguardo su Ettore e implorare: - Serve qualcosa per steccare la gamba, subito!-
Non trovando sottomano niente di meglio, il pirata si sganciò dalla cintura il fodero della sua sciabola e la porse a Faith, inginocchiandosi con lei al fianco dell'uomo che ora sembrava capace solo di rimanere riverso sul ponte, immobile, gemendo ininterrottamente. Con infinita lentezza Faith cominciò a raddrizzare la gamba del pirata, poi cercò gli occhi di Ettore, senza il coraggio di dire che cosa c'era da fare. Ma lui lo sapeva: senza esitazione afferrò saldamente la caviglia del compagno, respirò, poi chiuse gli occhi e tirò.
Il pirata lanciò un altro urlo, più acuto e più lungo del primo, i pirati attorno vociarono impressionati. Ettore non si fermò finché non gli sembrò di sentire l'osso tornare al suo posto, infine fece cenno a Faith di appoggiare il fodero alla gamba ferita e cominciò a legarla strappando strisce di stoffa dal fazzoletto che come molti marinai portava al collo. Era concentrato nella sua azione, eppure non poté fare a meno di scrutare febbrilmente le mani di Faith che insieme alle sue stringevano i nodi attorno alla gamba ferita dell'uomo. Mani con la sapienza, la delicatezza e la determinazione di un chirurgo.
Gli ricordarono altre mani, quelle di una donna che lo aveva cresciuto e che per lungo tempo aveva chiamato “madre”, mani che lo toccavano con la stessa dolce sicurezza ogni volta che si faceva male. Sentì qualcosa chiudergli la gola e il cuore prese a pulsargli all'impazzata mentre la ciurma faceva largo al medico di bordo che arrivava di corsa.
Io ed Elizabeth eravamo rimaste paralizzate, sedute al nostro posto, guardando Faith che assisteva l'uomo ferito: ora il medico di bordo lo stava facendo portare via anche se dubitavamo che sarebbe riuscito a salvargli la gamba, e Faith rimaneva inginocchiata lì insieme ad Ettore come incapace di muoversi.
La ragazza rimase ferma, respirando profondamente. Aveva fatto quello che poteva. Quello che doveva. Sudava freddo e aveva cominciato a tremare tutta come percorsa da un fremito nervoso, non trovava nemmeno la forza per alzarsi in piedi. Ad un tratto sentii una mano prenderla per la spalla e farla alzare, e quando sollevò lo sguardo si trovò faccia a faccia con Ettore che, curiosamente, aveva negli occhi la stessa espressione sconvolta che doveva avere lei.
Il pirata fece un cenno d'assenso con il capo, come a voler approvare il suo operato ma senza trovare le parole, infine riuscì a dire: - Sei stata brava. -
Anche Faith annuì leggermente, ancora stordita dal nervosismo e la tensione: - Grazie. - mormorò.
Prese un respiro profondo e tornò verso di noi.

*

- Come siete arrivate sulla Perla Nera voi due?-
Anche quella lunga giornata volgeva al termine, e il nostro ultimo compito era pulire il ponte intermedio. Non era tutto sommato un compito spiacevole, per prima cosa perché i ponti più bassi potevano essere lavati semplicemente con acqua e spazzolone, e in secondo luogo perché a quell'ora i pirati erano tutti in coperta a fumare, bere o riposarsi, e così potevano starcene un po' in pace. Soltanto Ettore come al solito stava con noi, e quella sera sembrava particolarmente interessato alla nostra storia.
- Sembrate giovani di buona famiglia, non serve e nemmeno povere... cosa ci fate su una nave di pirati?-
- Abbiamo aiutato capitan Sparrow ad evadere di cella. - cominciò a raccontare Faith, immergendo lo spazzolone nel secchio. - E quando avete rapito David Turner ci siamo imbarcate per inseguirvi. -
- Dove hai imparato quello che sai di medicina?-
- Mio padre era un erborista e possedeva anche diversi libri di medicina, ho soltanto studiato un po'. - rispose Faith, dissimulando l'orgoglio che ben sapevo che provava per le sue conoscenze. - E voi invece?- continuò lei, strofinando lo spazzolone per terra. - Da quanto tempo siete sulla Revenge?-
Ettore si sistemò più comodo sulla panca su cui stava seduto, giocherellando con la pistola. - Sono stato su diverse navi pirata: sono qui più o meno da un anno, il capitano cercava uomini ed io mi sono arruolato; la paga è buona e Beatrix Barbossa sa il fatto suo, non ho di che lamentarmi. -
- E prima?- insistette Faith. - Insomma, qui a bordo tutti gli uomini hanno un nome temuto, una storia alle spalle, crimini per cui sono ricordati, voi invece... non so, di voi non siamo venute a sapere nemmeno il cognome. -
Ettore fece un mezzo sorriso. - Se non lo sapete è perché non lo so nemmeno io. Sono semplicemente Ettore: non ho un cognome, non so chi mi abbia messo al mondo. La maggior parte della ciurma si è imbarcata perché aveva alle spalle crimini orribili, io invece, spiacente di deludervi, non sono nessuno. - continuammo a pulire per una buona mezz'ora, poi ad un certo punto Ettore si alzò dalla panca, stiracchiandosi, e disse: - Be', dai, basta così. Penso che possiate tornare in cella. -
- Non passeremo dei guai?- osservai dubbiosa il ponte non del tutto pulito; Ettore scrollò le spalle. - Naaa... credo che per oggi abbiate lavorato abbastanza. - ci fece segno di seguirlo. - Avanti. -
Ci ricondusse in cella: Will, Jack e David dormivano già, fui felice di constatare che il bambino sembrava stare meglio della sera precedente. Ettore aprì la porta della nostra cella per farci entrare.
- Cammino da sola. - lo rimbeccò Faith quando Ettore le mise una mano sulla schiena per invitarla ad entrare. Ettore si staccò da lei. - Scusa. - rispose, con un sorrisetto che mi ricordò fin troppo Jack.
Ci chiuse in cella e se ne andò: Faith si accoccolò per terra: - Sono distrutta. - sospirò.
- A chi lo dici!- risposi io, cercando di sistemarmi più comodamente possibile sul pavimento. Elizabeth ci sorrise mentre, pian piano per non svegliarlo, prendeva in grembo David e si raggomitolava nell'angolo. - Buonanotte. - disse sottovoce. - Notte. - rispondemmo noi, assonnate. In pochi minuti calò il silenzio, turbato solo dal nostro respiro lento e regolare. Nella prigione filtrava un po' di luce lunare, e riuscivo a distinguere Jack addormentato, seduto contro le sbarre poco lontano da me. Mi avvicinai un po', fino ad essere divisa da lui solo dalle sbarre: aveva il cappello calato sugli occhi ma riuscivo a scorgere il suo volto rilassato, le labbra appena imbronciate nel sonno.
Teneva le braccia incrociate sul petto, e la debole luce che filtrava nella cella scintillava giocosamente sulla pietra verde acqua del suo anello. - Mio dio, quanto sei bello... - mormorai in un soffio.
Elizabeth e Faith dormivano, esitai solo un secondo, poi tesi una mano fra le sbarre e gli accarezzai piano una mano, facendo scivolare un po' le mie dita fra le sue come avevo disperatamente desiderato ogni giorno che avevo passato con lui sulla Perla: lui non fece una piega, continuando a dormire, allora lentamente, quasi esitante, sollevai la mano e gli accarezzai una guancia; gli sfiorai le labbra col pollice e mentre le mie dita scivolavano sulla sua barba feci tintinnare le perline attaccate alle due treccine del pizzetto. Il suo respiro cambiò impercettibilmente di tono, e vidi le sue labbra incresparsi, sollevai appena il cappello a scoprire gli occhi chiusi: dormiva, non si era accorto di niente, eppure, anche inconsciamente, gradiva il mio gesto.
In quel momento provai l'improvviso, tenero desiderio di dargli un bacio: anche solo di sfiorargli con le labbra la guancia abbronzata... ma con le sbarre di mezzo non mi sarebbe stato comunque possibile. Sorrisi e gli feci un'ultima tenera carezza sulla guancia, poi ritrassi a malincuore la mano; mi voltai e trovai Elizabeth sveglia che mi sorrideva e sussultai per la sorpresa.
- Io... - balbettai sottovoce automaticamente, cercando una scusa decente, ma lei mi precedette sottovoce, senza smettere di sorridere: - Non c'è mica da vergognarsi, tranquilla!- io tacqui: mi sentivo così imbarazzata! Una cosa all'apparenza così frivola, eppure così difficile da ammettere ad alta voce... mi sono innamorata di Jack. Eppure la mia espressione parlava da sola, ed Elizabeth sembrava avere capito già da tempo.
- Perché non glielo dici e basta?- sussurrò Elizabeth. - Io penso che ci tenga a te. -
- Oh andiamo... l'unica cosa che ha avuto da me è stato uno schiaffo. E... e abbiamo già abbastanza problemi... non è il momento, insomma. - mi giustificai, con un agghiacciante tono da bambina vergognosa. - E poi ammettiamolo: non sappiamo ancora se usciremo vivi da qui. - Elizabeth mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, incoraggiante.
- Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni... è che non c'è tempo da perdere. Non c'è. Specialmente in questo genere di situazioni. - anche al buio notai l'occhiata cupa che lanciò in direzione di William, addormentato poco più in là nella cella accanto. - Lo sai come ci siamo sposati?-
- In effetti... non me lo hai mai raccontato. -
- Abbiamo pronunciato i nostri voti di matrimonio sul ponte della Perla Nera, durante la battaglia finale contro Beckett e l'Olandese Volante. -
- No!-
- Sì!- Elizabeth quasi rise. - E sai una cosa? In un certo senso non avrei potuto desiderare una... cerimonia migliore!- dopo queste parole ridemmo sul serio, premendoci le mani sulla bocca per non svegliare gli altri. Finito il nostro scoppio di ilarità, la mia amica tornò seria: - Pochi minuti dopo, Will veniva pugnalato a morte da Davey Jones. -
Rabbrividii, ricordando la storia narratami da Gibbs. - Perché hai scelto di non dirci nulla? - domandai dopo un istante, anche se credevo di conoscere la risposta.
Elizabeth chinò il capo, e una cortina di capelli biondo scuro le velarono il viso, prima che sollevasse una mano a rimetterli a posto. - Era il mio peso da portare. - ripose senza tradire alcuna emozione. Nessuna delle due aggiunse altro per un poco: non sapevo che cosa risponderle, e lei dovette intuire i pensieri che mi passavano per la testa perché continuò: - Devi capire, Laura... non mi serviva la compassione. Nemmeno quella di persone care come te e Faith. Rendervi partecipi del mio dolore lo avrebbe forse diminuito? Le vostre parole mi avrebbero forse riportato indietro Will?- erano parole dure ma sincere, schiette, pronunciate da una ragazza insospettabilmente forte. Quella era Elizabeth. Eravamo persone diverse da quelle che si erano conosciute da ragazzine, e lo avevamo capito in quell'istante, in quella cella buia. Elizabeth annuì lentamente come se si fosse accorta che avevo capito, prima di ripetermi semplicemente: - Non c'è tempo da perdere, Laura. E non perdere la speranza, siamo venuti fuori da situazioni peggiori... credimi! - si concesse un sorriso. - Coraggio, vedrai che ce la caveremo. E allora forse... -
Guardai Jack addormentato e sorrisi anch'io. - Già, forse. -

*

Si rigirò bruscamente, facendo ondeggiare l'amaca consunta. Non riusciva a dormire. Non riusciva a dormire, lui, abituato a riposare col mare gonfio che scuoteva l'amaca e il roco russare dei compagni pirati che dormivano con lui sottocoperta.
Calciò via il lenzuolo logoro e si adagiò a pancia in su, lasciando pendere le braccia ai lati dell'amaca, il petto ampio e muscoloso che si gonfiava lentamente nel respiro.
Non riusciva a dormire. Faceva caldo quella notte, e la sua mente si rifiutava categoricamente di annebbiarsi malgrado i suoi sforzi, e si perdeva dietro ad un unico pensiero.
Aveva sentito il bisogno di rassicurarla. “Sei stata brava” le aveva detto: ricordava ancora quanto tremasse, quanto le fosse apparsa piccola e indifesa in quel momento.
E lei gli aveva detto “Grazie”. Una sciocchezza, mera buona educazione, eppure non riusciva a togliersi dalla testa che quella giovane donna, appena passata attraverso forse una delle più grosse prove della sua vita, aveva detto grazie a lui. A lui che era il suo carceriere.
E quelle maledette, benedette mani dalle quali si era lasciato incantare... Come poteva avere ancora delle mani simili dopo tutto il lavoro a bordo? si chiese indugiando col pensiero sulla figura della ragazza che non sembrava intenzionata a mollare la presa sulla sua mente. Si disse che in realtà le mani della fanciulla erano davvero indurite dal lavoro e scurite dal sole, come quelle di chiunque lavorasse su una nave, eppure era bastato lasciarsi incantare dalla grazia e dalla maestria con cui le muoveva su quella gamba ferita, ed ecco che parevano le più belle che avesse mai visto.
Si girò di nuovo, tanto rapidamente che uno meno abituato a dormire in amaca si sarebbe sicuramente ribaltato. Non poteva succedere così, non a lui. Cosa diavolo gli era preso? Lui era fedele ad un solo capitano, ad una sola persona: Beatrix Barbossa.
Eppure qualcosa era cambiato. Qualcosa che si era sistemato nei pressi del suo stomaco e della sua gola e che non gli avrebbe dato tregua fino al mattino seguente.

*

Un dito gli picchiettò sulla spalla sinistra, insistentemente. Will grugnì e serrò gli occhi più forte, fermamente deciso a continuare a cullarsi nel mondo dei sogni. Il dito lo colpì di nuovo sulla spalla, stavolta senza tanta delicatezza: - Svegliati!-
Bruscamente strappato al suo sonno, Will sobbalzò e afferrò quella mano che lo tormentava per togliersela di dosso.
- Yech, tieni quel tentacolo a casa tua!- Jack sussultò e strappò il polso alla presa dell'arto trasformato di Will: quest'ultimo si ritrasse lentamente, lo aveva afferrato con la mano destra.
- Scusami. - disse, alzandosi a sedere mentre scrutava la faccia del pirata nell'ombra di sottocoperta. - Perché mi hai svegliato?-
Il capitano si accomodò a gambe incrociate, chinandosi su Will: - Non dimentichi qualcosa?-
- Cosa?-
Jack alzò gli occhi al cielo. - Domani arriveremo a destinazione. - spiegò con calma. - Cosa accadrà quando i pirati scopriranno che uno dei prigionieri non può scendere a terra neanche volendo?-
William aggrottò le sopracciglia, cominciando ad intuire dove volesse andare a parare. - Cosa suggerisci, allora?-
- Se scoprono che cosa sei oltre quel braccio di seppia, capiscono subito che c'è sotto qualcosa di più grosso e fiutano subito l'odore di trappola. - continuò il pirata, dondolando il capo. - E io non li voglio allarmati... solo allerta magari, ma non certo timorosi di una trappola. Diciamo che... la sparizione di un prigioniero li preoccuperebbe, ma non quanto un prigioniero immortale, comprendi?-
William abbassò lo sguardo, capendo cosa gli stava per chiedere. - Quindi vuoi che sparisca?- si toccò il braccio, rabbrividendo al contatto con la propria pelle innaturalmente fredda e viscida. - Hai visto cosa mi succede se uso i miei poteri. -
- Tanto peggio di così... - sospirò Jack, con un'ombra di rammarico nella voce, ma dopo un istante tornò serio. - Non possiamo rischiare: devi tornare sull'Olandese adesso. Non possiamo permetterci intoppi. -
Will esitò un attimo ancora, quindi si alzò in piedi lentamente, prendendo un silenzioso respiro profondo come se si stesse preparando a spiccare un balzo: si accostò alla parete fatta di assi umide della cella. In effetti Jack aveva ragione: che aveva da perdere? Se con la sua fuga avrebbe potuto facilitare la salvezza degli altri, che così fosse. Appoggiò la mano destra sulla parete, lasciando scorrere lo sguardo sul braccio che non pareva neanche più parte del suo corpo, e di colpo si sentì determinato come non mai. Era venuto meno al suo compito. Era stato punito. Il breve tempo passato di nuovo accanto ad Elizabeth non era stato che un'illusione, un mero sogno nel quale si era ingenuamente cullato, dimenticando il suo destino; ma ora era tempo che si lasciasse infine tutto alle spalle e che le cose tornassero ad essere come dovevano.
- Proteggili. - fu l'unica cosa che disse, girandosi ad accennare col capo alle ragazze e al bambino che giacevano addormentati nella cella accanto. Jack scoprì i denti d'oro in un piccolo sogghigno: - Sono in buone mani. - dichiarò, con un tono che forse voleva essere rassicurante.
Voltandogli le spalle, William mosse un passo e il suo corpo affondò nel legno.

*

Con un gorgoglio sommesso le carni di Will si separarono dal legno dell'albero maestro e il giovane riaprì gli occhi, ritrovandosi dove voleva essere: sul ponte dell'Olandese Volante, dove alla sua apparizione i suoi marinai mostrarono solo una blanda sorpresa; dopotutto erano ben poche che i pirati dell'Olandese non avessero ancora visto.
Per un istante William quasi credette di essere già tornato nel mare dei confini del mondo: la nave era immersa in una nebbia talmente fitta da non poter scorgere nemmeno l'acqua sotto la chiglia, le vele erano state messe all'imbando così che l'Olandese rimaneva ferma, dondolando appena alla spinta delle onde; forse erano vicini a terra.
- Will!-
Udendo il suo richiamo, si voltò verso suo padre, e quando vide l'espressione di sgomento sul volto dell'anziano marinaio mentre puntava gli occhi sul suo braccio destro non fece una piega: dopotutto se lo era aspettato. - Dove ci troviamo?- domandò invece, senza mutare espressione.
Sputafuoco impiegò diversi istanti per distogliere lo sguardo dal pallido tentacolo che si agitava dove prima c'erano state le dita di una mano, ma quando lo fece riuscì a riacquistare una parvenza di autocontrollo e a rispondere: - Siamo... siamo nella baia dell'Isla de Muerta, ci siamo messi alla cappa, come del resto la Perla Nera... -
Will alzò improvvisamente le sopracciglia: - La Perla Nera? E' qui?-
Sputafuoco annuì. - Questo era il piano. -
Will gli voltò le spalle e andò a sporgersi dalla murata, scrutando la nebbia che li circondava: non vedeva nulla; a quanto diceva suo padre la Perla doveva essere lì da qualche parte, ma la nebbia era troppo fitta. Una sorta di folle sorriso gli illuminò improvvisamente il volto mentre cominciava a capire che cosa sarebbe accaduto. - Ci tratteniamo qui fino all'arrivo della Revenge. - disse in tono estremamente soddisfatto mentre i suoi occhi continuavano a vagare sul mare di nebbia attorno alla nave. Alle sue spalle, Sputafuoco continuava a fissarlo: suo figlio, il figlio che per la sua salvezza aveva rinunciato a tutto... suo figlio che per troppo amore aveva infranto la promessa fatta alla dea Calypso... ed ora era ad un passo da diventare come Davey Jones, il capitano che per tanto tempo lui si era trovato a servire.
Come poteva William sorridere a quel modo se a lui, Sputafuoco, salivano le lacrime? Dunque Will non aveva ancora pagato abbastanza per il bene di coloro che amava? Aveva già rinunciato al suo cuore, era pronto a rinunciare a sé stesso?
Mentre Sputafuoco si allontanava in silenzio coi sensi di colpa che gli opprimevano il petto, William sorrise ancora più apertamente nella nebbia impenetrabile. - Dio benedica Jack Sparrow... - disse fra sé, concedendosi un sorriso ancora più grande.

*

La mattina mi svegliò una voce squillante che mi gridò nelle orecchie: - Buongiorno!- sussultai e battei le palpebre come un gufo, Jack mi sorrideva da dietro le sbarre: mi resi conto che avevo dormito praticamente fianco a fianco con lui, se non fosse stato per le sbarre. - Jack... che c'è?- borbottai stiracchiandomi, diedi un'occhiata agli altri e vidi che stavano ancora dormendo.
- Ieri sera abbiamo ceduto al sonno e non abbiamo potuto informarvi. - continuò lui, mettendosi a sedere più comodamente e protendendosi da dietro le sbarre. - Uno dei carcerieri ci ha detto che si è alzato il vento e che oggi avremmo raggiunto l'Isla de Muerta. -
- Oggi?- esclamai sorpresa, rizzandomi del tutto a sedere. - Ma Beatrix che cosa ha intenzione di fare là?-
Jack scrollò le spalle gettando la testa all'indietro con espressione rassegnata. - Oh, se non ci ha ancora uccisi e ha scelto proprio questo particolare posticino per il suo gran finale posso azzardare che sia perché intende usare su di noi il tesoro maledetto di Cortez, per esempio. Dopotutto... quale vendetta migliore se non farci subire quello che suo padre ha passato?-
Annuii pensosamente mentre lentamente mi abbracciavo le ginocchia, prendendo in considerazione quella prospettiva orribile. Da ciò che Elizabeth aveva raccontato avevo un'idea della sorte che ci aspettava: una vita come spettri, né vivi né morti, senza più la possibilità di provare qualsiasi sensazione fisica e con la luce della luna che ci avrebbe mutati in scheletri ambulanti... Cacciai via il pensiero, era troppo terrorizzante da immaginare. - Capisco... il problema è: come ne veniamo fuori?-
Jack fece un sorriso smagliante e quasi gli lanciai un'occhiataccia: perché, perché diavolo continuava nonostante tutto a ghignare come se fosse tutta una partita divertente? Eppure lui avrebbe dovuto essere ancora più preoccupato, lui aveva visto coi suoi occhi gli effetti dell'orrenda maledizione di cui ci avevano raccontato... Forse era davvero soltanto pazzo. - Sai che è una buona domanda? Ma un modo lo troveremo: sono sicuro che i miei ragazzi non ci hanno abbandonati. -
Solo in quel momento il mio sguardi cadde alle sue spalle. E solo in quel momento mi accorsi con sgomento che nella cella non c'era nessuno oltre a lui.
- Jack! Dov'è Will?!- esclamai, scattando in piedi e istintivamente cercando William in tutti gli angoli, chiedendomi dove diavolo fosse finito e soprattutto come.
- Un'ottima domanda!- ruggì una voce fin troppo conosciuta alle nostre spalle prima che Jack potesse rispondermi: nel vano della porta erano comparsi il pirata di nome Konrad ed Ettore, doveva essere l'ora in cui solitamente venivano a prenderci per portarci a svolgere i nostri compiti sulla nave, e non era sfuggita loro l'inspiegabile mancanza di un prigioniero.
Il pirata dalla criniera bionda si avventò come una furia contro le sbarre e appena ebbe aperto la porta si scagliò su Jack, agguantandolo per il collo e sbattendolo nell'angolo dov'era seduto. - Dov'è il prigioniero?- ringhiò, scrollandolo brutalmente avanti e indietro. - Rispondi, cane! Dov'è andato quel topo di fogna?-
Jack annaspò sotto la stretta furibonda dell'uomo, afferrandolo per i polsi nel tentativo di fargli staccare le mani dalla sua gola. - Se ti dico che è passato attraverso la parete mi credi?- sibilò ironicamente fra i denti, scrollando i polsi del pirata per fargli notare che lo stava strangolando. Il trambusto aveva svegliato Faith ed Elizabeth, che come me assistevano impotenti; una cosa però l'avevamo capita dalle parole di Jack: Will se ne era andato, doveva essere tornato all'Olandese Volante durante la notte.
- No che non ti credo! Pensi di essere spiritoso, per caso?- urlò Konrad, tirando su Jack per poi sbatterlo a terra: repressi un grido, la mano del pirata fremeva sull'impugnatura del coltellaccio del quale sembrava essere tanto fiero. - Parla maledetto! Da dove diavolo è scappato?-
Accasciato dove il pirata lo aveva buttato, Jack fece saettare lo sguardo attorno a sé. - Uhm... vedi quel buco fra le assi?- indicò un foro sottile nella parete appena sopra la sua testa. - Il ragazzo è diventato piccolo piccolo e si è tuffato in mare da lì. -
- Ora basta!- anche Ettore era entrato nella cella: si chinò su Jack con la pistola spianata e lo fissò con espressione estremamente seria, anche se neppure lontanamente minacciosa quanto quella di Konrad. - Tieni a freno la lingua, Sparrow, potrebbe costarti caro. - per un istante sollevò lo sguardo per scrutare la cella nei minimi dettagli come se fosse alla ricerca di qualsiasi segno che potesse spiegare la sparizione di William. - Quando è fuggito il tuo compagno di cella?-
Jack si rimise a sedere, ignorando la pistola di Ettore che continuava a tenerlo a bada. - Poche ore fa, in effetti. - replicò placidamente mentre si accomodava a gambe incrociate sul pavimento della cella. Gli occhi di Ettore si strinsero. - E da dove? Abbiamo avuto la ronda sul ponte tutta notte e nessuno ha visto niente, non manca nessuna scialuppa e di certo il vostro amico non sarebbe potuto andare da nessuna parte a nuoto... A meno che non si trovi ancora a bordo. - Alle sue parole Konrad fece scattare il capo attorno a sé come un'animale in cerca di preda, tormentando fra le dita il manico del coltello.
- Oh no che non si trova più a bordo, non è così stupido... credo. - rispose Jack con un cenno del capo. - Da dove è fuggito? Diciamo soltanto che William Turner non è uomo che possa essere tenuto in gabbia... letteralmente, comprendi?- terminò con un largo sorriso, fissando Ettore che a giudicare dalla sua espressione non comprendeva affatto, ma anzi, si fece ancora più corrucciato e improvvisamente avvicinò ancora di più la canna della pistola al petto di Jack.
- Avete fatto i furbi, e non so come, l'avete passata liscia. - disse, scandendo ogni parola. - Un ostaggio in meno non è un problema per il capitano. Ma ti avverto, Sparrow... - il tono della sua voce si era fatto più che mai urgente. - Se fai solo un altro passo falso, saranno loro a pagarne le conseguenze. - accennò a noi che li guardavamo dalla cella accanto, infine si rialzò bruscamente e uscì dalla cella tirando Konrad con sé. Fu con molta più durezza del solito che prese me, Faith ed Elizabeth per condurci di nuovo sul ponte e prepararci ad un altro giorno di lavoro.
Sgobbai per ore, poi nel tardo pomeriggio mi diedero una pila di mappe con l'ordine di portarle nella cabina di Beatrix, scortata da Ettore e con quella montagna di carta sottobraccio raggiunsi la cabina del capitano: non vi dico la mia sorpresa quando vidi due pirati che vi stavano conducendo Jack.
- Che ci fa Jack qui?- esclamai, quasi parlando più con me stessa che con Ettore, lui mi rispose stringendosi nelle spalle: - Evidentemente il capitano ha chiesto di vederlo. - I due pirati si fermarono sulla soglia e lasciarono andare Jack, che fino a quel momento avevano tenuto stretto per le braccia. Lui rimase fermo ciondolando sul posto, poi voltò la testa verso l'uno e verso l'altro pirata con espressione interrogativa. - Entra, muoviti!- gli ordinò seccamente uno dei due sferrandogli un colpo nella schiena. Jack barcollò in avanti alzando le mani in segno di resa ed entrò nella cabina. Mi avvicinai a mia volta, esitante, quando fui davanti a loro i due uomini nerboruti mi squadrarono con aria minacciosa come chiedendomi con lo sguardo cosa diavolo ci facessi lì. - Devo portare queste al capitano. - mi spiegai mostrando le mappe che portavo sotto braccio.
- Il capitano ha richiesto espressamente di non essere disturbata. - replicò acidamente uno dei due.
- Ci vorrà un attimo, si tratta solo di una consegna. - intervenne Ettore alle mie spalle: mi voltai a guardarlo sorpresa, e lo stesso fecero i pirati che lo scrutarono biechi. Infine il secondo pirata scrollò le spalle e mi ordinò ruvidamente: - Entra. -
Attraversai rapidamente la soglia richiudendomi la porta alle spalle: Beatrix era in piedi nel mezzo della stanza insieme a Jack, e vedendomi entrare mi lanciò un'occhiata noncurante. - Che vuoi?- mi chiese sprezzante: sostenni senza problemi il suo sguardo mentre le rispondevo: - Dovevo portarvi queste carte. -
- Mettile lì e sparisci. - accennò alla scrivania, liquidando la questione, quindi si diresse alla seconda stanza. - Tu vieni con me. - ordinò a Jack puntandogli un dito contro. Lui ciondolò sul posto per un attimo con aria corrucciata, quindi si mosse per seguirla e prima di entrare nella stanza mi rivolse un'occhiata come a dire “boh!”, poi Beatrix chiuse la porta alle loro spalle.
Da sotto il tavolo schizzò fuori la scimmietta che corse verso la porta, e trovandola chiusa vi si fermò davanti, rizzandosi sulle zampe con aria offesa e squittendo mentre si molleggiava su e giù come se si aspettasse che le fosse aperto.
- Oh, piantala. - le borbottai a mezza voce. Depositai le mappe sulla scrivania senza riuscire a staccare gli occhi dalla porta: non si era chiusa bene e vedevo che era rimasto uno spiraglio aperto. Stavo morendo dalla curiosità, e forse non avrebbero sospettato niente anche se ci avessi messo qualche secondo in più ad uscire dalla cabina... in punta di piedi mi accostai alla porta e mi piegai a sbirciare dalla fessura. La seconda stanza era più piccola della prima e c'era un letto, Beatrix vi si era seduta sopra, e Jack era in piedi vicino alla porta.
- A dire il vero sono un po' stanco di venire sbattuto di qua e di là senza un'apparente ragione, Beatrix... magari adesso posso sapere che cosa vuoi?- chiese Jack in tono annoiato. Beatrix si limitò a sorridere languidamente, scrutandolo con evidente apprezzamento, e mio malgrado cominciai ad intuire come poteva andare a finire la cosa.
- E chi ti ha mai “sbattuto di qua e di là”?- gli fece eco fingendosi sorpresa. - Avevo calcolato le tue mosse fin dal principio, capitano. Come potevo impossessarmi di una nave che non posso affrontare in campo aperto? Attirandola in un posto dove la sua velocità e la sua potenza di fuoco non contino niente. Come attirarla? Usando il capitano stesso come ostaggio. - sogghignò, quel ghigno orribile che le attraversava tutta la faccia distorcendo in modo inquietante anche i suoi bei lineamenti. - Come attirare il capitano? Catturando il bambino della sua vecchia amica e usandolo come esca a Tortuga. -
- Come mai quell'intermezzo?- domandò Jack sinceramente incuriosito. - Potevi portare il bambino all'Isla de Muerta e farti inseguire. -
Beatrix sbuffò, stizzosa. - Troppo palese, avreste capito subito che il mio vero intento era tendere un agguato alla Perla Nera nella nebbia, e vi sareste premuniti di conseguenza. In più... non avrei ottenuto te. Tu non mi nuocerai più, Jack Sparrow, e non ti metterai fra me e la Perla Nera un'altra volta. Sogni l'immortalità? L'avrai. Prova cosa vuol dire essere intrappolati in una mezza vita come ha fatto mio padre. E se proprio vorrai tentare di lasciare l'Isla de Muerta... cammina sul fondo del mare per miglia e miglia, se ti garba. Non ho dubbi che ci proverai. Ma io sarò già lontana con la tua adorata Perla, quando lo farai. Una situazione divertente, non ti pare?-
Inaspettatamente, Jack sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi: - Di una perfidia ammirevole, di sicuro. -
- Ti ricordi quando ti ho conosciuto?- continuò lei lentamente, con voce più dolce del solito. - Non mi sei mai dispiaciuto, lo sai. Che peccato che debba finire tutto così. - si alzò in piedi e con due passi decisi si avvicinò a lui, gli si piazzò proprio di fronte, ad un centimetro dalla sua faccia. - Questo non cambierà assolutamente niente a ciò che ti aspetta... ma non potrai godere mai più di niente, ti conviene approfittarne ora. - le sue labbra piene e sensuali erano ad un soffio dalle sue e il suo corpo era spiaccicato contro quello di Jack, le sue mani stringevano vogliose la sua camicia tirando i suoi fianchi contro quelli di lei.
Stavo friggendo di rabbia, tirai alcuni profondi respiri per calmarmi e pigiai più forte l'occhio allo spiraglio della porta per vedere ciò che succedeva nella stanza. Potevo vedere Jack quasi di profilo: sotto l'assalto del capitano mi parve un po' spiazzato, lasciò che Beatrix lo abbrancasse ai fianchi senza reagire, e per un attimo dischiuse le labbra all'avvicinarsi di quelle di lei, ma poi lo vidi socchiudere gli occhi scrutandola di sottecchi, e si staccò un po' da lei. - Normalmente non dico di no ad una bella donna, lo sai... - disse a voce bassa, tirando indietro il busto. - ... ma vedi, ho una certa difficoltà a lasciarmi andare con le serpi. -
L'espressione di Beatrix si trasformò all'istante da seducente a rabbiosa; spinse via Jack quasi con disgusto e lo fissò furibonda. Alle mie spalle, la scimmia era balzata sul tavolo e continuava a squittire senza sosta: mi voltai verso di lei con l'intento di zittirla quando mi accorsi di tre bottiglie sul ripiano del tavolo, accanto alla scimmia. In un impeto di avventatezza decisi che era il caso di agire. Raggiunsi il tavolo in un balzo e agguantai per il collo una delle bottiglie, levandola sopra la mia spalla come una mazza: la scimmia si acquattò fissandomi ad occhi sgranati come se cominciasse ad intuire che aria tirava. - Ti conviene toglierti. - sibilai, concedendomi un ghigno. Con un solo gesto del braccio colpii le bottiglie, che si infransero a terra in un'esplosione di cocci e liquore mentre la scimmia balzava via strepitando.
Due porte si spalancarono all'istante: quella della stanzetta dalla quale uscì di gran carriera una Beatrix assolutamente inferocita, e la porta di ingresso della cabina dalla quale entrarono i due pirati nerboruti seguiti da Ettore.
- Cosa stai facendo qui dentro?- ruggì uno dei pirati, indicandomi con aria assassina. La scimmia, inzuppata di rum uscito dalle bottiglie fracassate, corse a rifugiarsi dietro gli stivali di Beatrix e da lì mi scrutò, soffiando.
- Scusate!- esclamai, mentre pensavo che mai espressione innocente era stata così palesemente fasulla. - Scusate! Ho urtato il tavolo e ho combinato un disastro, perdonatemi!-
A Beatrix poco mancava che le uscisse fumo dalle orecchie mentre rabbiosamente spazzava via col piede alcuni dei cocci che ingombravano il pavimento; alle sue spalle Jack fece un'espressione buffissima corrucciando le labbra e sollevando le sopracciglia, sembrava impedirsi a forza di ridere.
- Ripulisco tutto, non vi preoccupate!- assicurai in tono ossequioso.
- Fuori di qui. - sibilò Beatrix fissandomi con espressione omicida.
- No, no, insisto per rimediare... -
- Fuori!- ruggì lei, scattando in avanti ed evitando per un soffio di scivolare sulla pozza di rum rimasta per terra. - Fuori tutti e due!- gridò, quasi isterica. - Riportateli in cella!-
I due pirati afferrarono me e Jack e cominciarono a trascinarci via praticamente di peso. Ettore li rincorse cercando di fermare quello che aveva preso me. - Sono io che devo sorvegliarla!-
- Il tuo incarico è finito, Ettore!- replicò seccamente Beatrix, schiacciando cocci sotto gli stivali. - Siamo quasi all'Isla de Muerta, non c'è più ragione di preoccuparsi di loro. Vedremo quanto avranno voglia di fare gli spiritosi quando saremo là!-
Ce ne andammo dalla cabina, mentre io cercavo di fermare un sorriso soddisfatto che per poco non mi faceva il giro completo della faccia. Mentre ci scortavano rudemente sottocoperta io ero felice, trionfante perché Jack aveva fatto a Beatrix uno smacco personale forse sufficiente da ripagarle tutto quello che ci aveva fatto, e incredibilmente felice perché nonostante tutto c'era ancora qualcosa che lei non era riuscita a portarmi via, e quello era Jack.
Mentre scendevamo le scale della prigione coi pirati davanti e dietro incrociai il suo sguardo e lo vidi inarcare le sopracciglia e farmi un sorriso pienamente soddisfatto. - Tesoro, la prossima volta che vieni a salvarmi cerca di evitare spargimenti di rum, intesi?- mi bisbigliò, urtandomi la spalla con la sua mentre procedevamo fianco a fianco.
- Accontentati capitano! Per un attimo ho anche dubitato che volessi essere “salvato”. - replicai con un sogghigno.
- Dubitato?- ripeté lui con voce volutamente maliziosa. - Perché mai? A parte che ero sicuro che ci fossi tu lì dietro a sbirciare quel che accadeva... sembra essere diventata un'abitudine quella di guardarmi le spalle, eh?-
- Pirata!- ridacchiai semplicemente, crogiolandomi in un piacere torvo ricordando l'espressione oltraggiata di Beatrix.
Ci fermarono davanti alla porta della prigione, uno dei pirati ci diede le spalle mentre infilava la chiave nella toppa e l'altro ci spinse ad un lato dell'angusto corridoio schiacciandoci contro la parete, spalla a spalla; ad un tratto, forse approfittando del fatto che eravamo così vicini, Jack si protese di più verso di me, sentii la sua mano salire sul mio collo, poi sul mento. - La mia pirata preferita. - disse sottovoce, la sua voce meravigliosa ora a pochi centimetri dal mio orecchio mentre gli si dipingeva sul viso l'adorato sorriso furfante. Improvvisamente le nostre facce erano troppo vicine. Mi baciò, premendo le sue labbra sulle mie con una dolcezza insospettata. Tutto svanì in un attimo: il corridoio verso la prigione, i pirati che ci accerchiavano, c'eravamo solo io e Jack; istintivamente gli avevo stretto le braccia sui fianchi per tenerlo ancora più vicino a me e sentivo la sua bocca sulla mia, labbra con labbra che si accarezzavano dolcemente, era una sensazione così strana e allo stesso tempo così dolce... quel bacio durò qualche secondo, poi Jack staccò il viso dal mio a labbra ancora dischiuse, separandoci troppo presto anche se continuò a tenermi il viso fra le mani che mi sembrarono improvvisamente fresche sulle mie guance diventate bollenti.
- Ehi, voi due! Piantatela e camminate!- esclamò uno dei pirati dando una spinta a Jack, strappandomi troppo, troppo presto da quell'abbraccio che mi aveva lasciata letteralmente senza fiato, e pungolandolo in modo che si dirigesse alla sua cella. Io mi lasciai condurre docilmente dietro le sbarre perché al momento non avevo il pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche. Avevo ancora in bocca il sapore del suo bacio. Un sapore caldo, non avrei saputo come altro definirlo.
Mi sedetti accanto ad Elizabeth e a Faith, che se ne stavano un po' mogie nel mezzo della cella, ma mentre lo facevo cercai lo sguardo di Jack attraverso le sbarre, come per convincermi che era successo veramente: lui ricambiò lo sguardo, e mi fece un sorriso segreto, intimo, che era per metà brigante e per metà dolce. I pochi metri fra le sbarre che ci separavano mi sembrarono improvvisamente chilometri, e qualcosa che era rimasto troppo tempo addormentato si svegliò di soprassalto e prese a rimbalzarmi impazzito all'altezza dello stomaco.
Stavamo per arrivare all'Isla de Muerta, dove si sarebbe deciso il nostro destino, eppure in quel momento l'unica cosa che riuscivo a fare era chiedermi come poteva la bocca di Jack sapere di rum quando erano giorni che non ne toccava un goccio.

Note dell'autrice:ehm ehm... finalmente dopo un bel po' di tempo ecco questo nuovo, lungo capitolo che ha richiesto veramente tanto lavoro! Grazie ancora a Shalna per i complimenti sull'ultimo capitolo, è soprattutto grazie al tuo aiuto e ai tuoi consigli che sto migliorando così tanto! Spero che apprezzerai anche questo nuovo capitolo un po' speciale dove i nostri due protagonisti si sono finalmente e definitivamente riuniti! Wind the sails!
  
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