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Autore: Emily Kingston    08/09/2012    1 recensioni
Mi chiamo Percy Jackson e sono un mezzosangue.
(...)
La sera del mio compleanno io e Annabeth ci siamo baciati, finalmente, e alla fine dell’estate sono tornato a New York da mia madre e Paul. E tutti vissero felici e contenti, insomma.
Invece no.
Credevo che le mie avventure da semidio fossero finite – o che comunque, mi stessero concedendo una pausa – e pensavo di essere solo un adolescente di Manhattan, figlio di un dio, con una ragazza semidivina, dislessico, con una sindrome di iperattività e disturbo dell’attenzione. Ma ho dimenticato di mettere in conto che sono un mago nell’attirare la sfortuna.

-
Sono passati alcuni mesi dalla sconfitta di Crono e, proprio quando tutti al campo pensavano di poter avere un po' di tregua, Grover si troverà in difficoltà ed un nuovo nemico inizierà a tramare nell'ombra, deciso a distruggere il Campo Mezzosangue. Tra imprese, nuove profezie, bizzarre divinità e strani sogni, riusciranno i nostri eroi a vincere la battaglia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#3. Ci serve un’impresa

 
Juniper ci disse che Grover non era tornato per l’inverno e che non aveva avvertito del suo ritardo.
“Poteva mandarmi almeno un piccione viaggiatore!” gemette la ninfa. “O anche un messaggio nel vento! Per quanto ne so io potrebbe essere morto!”
Annabeth cercò di consolarla, ma Juniper piangeva sempre più forte.
“Non è morto, Juniper,” la rassicurai. “Se lo fosse lo saprei.”
Le due ragazze mi guardarono e io sperai che la mia espressione fosse abbastanza rassicurante.
“Penso che dovrei parlare con Chirone,” dissi, guardando Annabeth.
Lei annuì, continuando a dare qualche pacca sulle spalle di Juniper.
Mi allontanai dal bosco e, quando fui certo che la ninfa non potesse vedermi, corsi a rotta di collo verso la Casa Grande.
Alcuni ragazzi che erano rimasti al campo per l’inverno mi guardarono stupiti, probabilmente chiedendosi cosa ci facessi lì e perché correvo come un matto.
Feci qualche cenno di saluto in giro mentre correvo e scorsi Polluce – il figlio di Dionisio – che camminava tra i campi di fragole.
Arrivai alla Casa Grande con i le gambe che urlavano dal dolore.
Chirone e il signor D se ne stavano sulla veranda a giocare a pinnacolo. Non avevo mai capito bene come funzionasse quel gioco, ma loro ci giocavano continuamente.
“Percy!” esclamò Chirone quando gli spuntai davanti.
“Chirone. Signor D,” ansimai.
Dionisio si sistemò meglio sulla sua poltrona, scartando una carta.
“Non dovresti essere a Manhattan tu, Peter Johnson?” mi chiese il signor D.
Nonostante si ostinasse a chiamarmi ancora con il nome sbagliato, sapevo che ricordava il mio vero nome.
“Devo parlare con Chirone,” dissi. Per un momento pensai che il signor D si sarebbe infuriato, invece alzò le spalle e continuò a giocare a pinnacolo da solo. “È importante,” continuai, guardando il centauro. “Si tratta di Grover.”
 
La stanza con il tavolo da ping-pong era diventata una specie di sala riunioni ormai. Sul piano verde del tavolo da gioco si vedeva ancora il segno lasciato dal coltello di Clarisse.
Chirone sistemò la sedia a rotelle davanti ad una sedia e io mi accomodai.
Mi sarebbe piaciuto fare due chiacchiere con lui, chiedergli come andavano le cose al campo (con i nuovi semidei che arrivavano in continuazione), ma non potevo perdere tempo.
Gli raccontai del mio sogno e di ciò che ci aveva detto Juniper, cercando di ricordare più dettagli possibile.
“Non dobbiamo saltare a conclusioni affrettate, Percy,” disse, sistemandosi la coperta patchwork sulle gambe finte.
“Ma Grover non è ancora tornato e non ha dato sue notizie!” protestai.
“Non è la prima volta che Grover non si fa vivo per parecchio tempo..”
“Già,” replicai io. “La prima volta è finito sull’isola di Polifemo e la seconda è stato addormentato da Morfeo che stava addormentando l’intera Manhattan per conto di Crono. Tutte cose meravigliose!”
Forse avevo esagerato perché Chirone mi guardò con una severità che non mi aveva mai rivolto.  
“Mi serve un’impresa,” conclusi.
“Sei un ottimo guerriero, Percy, uno dei migliori allievi che abbia mai avuto,” disse e già sapevo che non si preannunciava niente di buono. “Ma non ti manderò in missione alla cieca. Devi andare a scuola e tua madre ha già avuto troppe preoccupazioni per una vita intera.”
Cercai di protestare, ma Chirone mi zittì con un gesto della mano.
“Non ho intenzione di autorizzare un’impresa per te, Perseus Jackson,” concluse.
Restammo in silenzio per un po’, poi Chirone fece cigolare la sedia a rotelle verso la porta d’ingresso della Casa Grande. “Adesso manda un messaggio-Iride a tua madre e dille che stai bene. Sarà sicuramente in pena per te.”
Mi trascinai fuori dove Dionisio stava sistemando le carte per iniziare una nuova partita a pinnacolo.
Guardandolo un’idea mi balenò nella mente. Un’idea folle e stupida.
Guardai Chirone e poi Dionisio. Avevo bisogno di un’impresa, dovevo trovare Grover e scoprire cosa stava succedendo.
“Divino Dionisio,” dissi, prima che Chirone potesse zittirmi. “Ho bisogno di un’impresa.”
Dionisio alzò lo sguardo dalle carte e mi squadrò.
“Un’impresa? E per fare cosa? Sei già stanco di stare con le mani in mano?”
Sentii lo sguardo di rimprovero di Chirone sulla schiena, ma mi ripromisi di scusarmi più tardi con lui per aver fatto di testa mia.
“Il mio amico Grover, credo che sia in pericolo. Ho fatto dei sogni…” gli raccontai dei miei sogni e del misterioso uomo che era tornato umano per avere vendetta. “Devo scoprire cosa sta succedendo!” gemetti.
Dionisio si grattò il mento, buttando una carta sul tavolo.
“Chirone cosa ne pensa?”
“Sono contrario,” disse il centauro. Per un momento avevo sperato che mi sostenesse, ma la sua metà equina doveva aver influito sulla testardaggine. “Non ritengo necessario mandare un gruppo di eroi in missione senza essere certi del pericolo.”
Il signor D soppesò le parole di Chirone, poi sbuffò.
“Propongo di aspettare qualche altra settimana. Se Grover non si sarà fatto vivo per allora autorizzeremo un’impresa per Percy,”continuò Chirone.
Guardai Dionisio e lo pregai con lo sguardo di ignorare la proposta di Chirone.
“Riunione d’emergenza!” esclamò all’improvviso. “Chiamate i capigruppo di tutte le case, discuteremo dei sogni di Johnson nella sala del ping-pong prima di cena.”
Chirone si schiarì la voce.
“Signor D, i capigruppo sono a casa con i loro genitori, siamo in inverno.”
A Dionisio non sembrò un problema irrilevante. Continuò a frugare tra le carte e poi disse: “Mandate qualcuno a prenderli, allora. Li voglio qui per le sette.”
Buttò sul tavolo l’ultima carta che aveva in mano e poi, dopo essersi stiracchiato, raggiunse Polluce nel campo di fragole.
“Mi dispiace, Chirone,” dissi, abbassando lo sguardo.
Il centauro sospirò, sistemandosi meglio sulla sedia a rotelle.
“Mi serve davvero quest’impresa,” continuai.
“Spero che nessuno di voi rischi la vita inutilmente, Percy,” mi rispose. “Ma su una cosa hai ragione: i tuoi sogni non sono solo sogni.”
 
Per le sette di quella sera i capogruppo di ogni casa erano riuniti attorno al tavolo da ping-pong. Con l’aiuto dei pegasi io e Annabeth eravamo andati a prenderli e li avevamo riportai al campo il più in fretta possibile.
I fratelli Stoll della casa di Ermes si tiravano delle palline di carta, infastidendo Samantha Bell della casa di Afrodite. Clarisse, della casa di Ares, se ne stava imbronciata in un angolo, mentre Aaron Mitchell della casa di Apollo la guardava con una punta di timore.
Intorno a noi i capogruppo delle case degli dei minori stavano seduti in silenzio.
E poi, seduta accanto a Travis Stoll, c’era Rachel Elizabeth Dare.
“E lei cosa ci fa qui?!” esclamò Annabeth.
“L’abbiamo chiamata noi,” ammisero i capogruppo della casa di Ermes. “Ci sembrava che…be’, dopo quest’estate facesse parte anche lei del campo.”
“Ma è una mortale!” protestò Annabeth.
“Lo dici come se fosse una malattia,” intervenne Rachel.
Annabeth la fulminò con lo sguardo.
“Si è allenata con noi dopo la battaglia, è addestrata per essere un eroe,” insisté Travis.
Chirone si schiarì la voce e io e          Annabeth andammo a sederci sulle due sedie rimaste.
“Bene,” esordì Dionisio, tenendo in mano una lattina di Diet Coke. “Siamo qui perché Peter Johnson deve parlare di alcuni suoi sogni e bla, bla, bla. Comincia Johnson.”
“Jackson,” sussurrai, prima di schiarirmi la voce.
Raccontai a tutti dei miei sogni e notai le facce dei semidei assumere un’aria preoccupata. Samantha Bell mi chiese se credevo che i tre uomini (quello di cui parlava Nico, il tizio che inseguiva Grover e quello che ci aveva spiati sullo Sige ad agosto) potessero essere la stessa persona.
“Non lo so,” confessai. “Magari…magari sì.”
Ero teso. Se Dionisio non avesse acconsentito a darci un’impresa sarei dovuto andare in missione di nascosto e la cosa non mi piaceva per niente.
Sentii la mano di Annabeth stringere la mia sotto al tavolo e mi scappò un sorriso.
“Devo trovare Grover e anche Nico Di Angelo,” dissi. “Mi serve un’impresa per capire cosa sta succedendo.”
Calò il silenzio, poi Dionisio si alzò.
“E sia,” disse. “Hai la tua impresa. Ora scegli tre amici e bla, bla, bla..Le regole le sai. E ora addio.”
Guardai Annabeth e le sorrisi.
“Vieni con me?” le chiesi.
“Certo che vengo con te.”
Le sorrisi di nuovo. Stavo per chiedere a Grover se voleva unirsi all’impresa, quando realizzai che non sapevamo dove fosse.
Con una punta di rammarico mi guardai intorno. Non sapevo chi scegliere.
“Vengo io.”
I miei occhi saettarono verso la mano alzata di Rachel.
“Sei una mortale,” protestò Annabeth, “non puoi venire.”
Rachel ignorò Annabeth e si rivolse a Chirone.
“Posso partecipare all’impresa?”
Il centauro rimase in silenzio. “Non è una semplice mortale, Annabeth,” disse infine. “Vi ha guidati nel Labirinto l’anno scorso e non puoi negare che vi sia stata molto utile. Se Percy è d’accordo Rachel potrà accompagnarvi.”
Rachel si voltò verso di me.
“Vuoi che venga?”
Annabeth mi avrebbe scuoiato vivo, ne ero sicuro, ma la vista di Rachel ci avrebbe tenuto lontano dai mostri.
“Sì,” dissi. “Verrai con noi.”
Chirone fece cigolare la sedia a rotelle.
“La riunione è conclusa,” annunciò. “Percy…sai quello che devi fare.”
Io annuii e mi diressi verso il terzo piano della Casa Grande.
Annabeth e Rachel mi seguirono, ma non salirono con me nella soffitta. Prima di aprire la botola sperai solo di ritrovarle entrambe intere al mio ritorno.
L’Oracolo di Delfi era una vecchia mummia incartapecorita seduta su un treppiede vicino alla finestra. Indossava dei vecchi abiti strappati e la pelle consumata e verdognola metteva in evidenza le ossa del volto e delle mani.
Sentii la sua voce nella mia testa che mi diceva di chiedere.
“Voglio sapere cosa accadrà nell’impresa che sto per compiere.”
Una nuvola di fumo verde uscì dalla bocca della mummia: lo spirito dell’Oracolo. Il fumo si addensò e, dopo qualche minuto, la voce di Delfi iniziò a parlare.
 
Tre semidei ritroveranno quello che è perduto
Cinque eroi combatteranno dove serve un aiuto
La vista che tutto vede aiutarli potrà
E tra due fratelli una battaglia si consumerà
Se il signore dei fantasmi un’anima prenderà infine
Degli Ultimi Eroi essa decreterà la dolorosa fine
 
Rabbrividii. Ormai avrei dovuto essere abituato alle enigmatiche profezie dell’Oracolo, ma non era facile sentire qualcuno parlare di morte così facilmente. E le ultime righe delle profezie parlavano sempre di morte.
Uscii dalla soffitta e prima ancora che riuscissi a mettere i piedi a terra Annabeth mi si buttò addosso, stringendomi in un abbraccio.
“Com’è andata?” disse, premendo il viso sulla mia spalla.
Io le accarezzai la schiena, allontanandola delicatamente.
Guardai prima lei e poi Rachel, poi sospirai.
“Andiamo giù.”
Dovevo avere una faccia strana, perché Annabeth non mi staccò gli occhi di dosso neanche per un attimo.
Nella sala del ping-pong ci aspettavano tutti ancora seduti attorno al tavolo.
Quando varcai la soglia, Chirone mi guardò come se già sapesse che le cose non si mettevano bene.
Dissi cosa mi aveva detto l’Oracolo e tutti mi guardarono con aria confusa.
Cinque eroi…” ripeté qualcuno. “Ma voi siete tre!”
“La profezia però parla solo di tre mezzosangue,” aggiunse Samantha della casa di Afrodite.
Mi guardavano come se fossi in grado di dare loro una risposta, ma neanche io avevo la più pallida idea di cosa avesse detto l’Oracolo.
Cinque eroi. Chi erano gli altri due eroi che avrebbero dovuto partecipare all’impresa?
Tre mezzosangue. Io e Annabeth eravamo mezzosangue, ma Rachel era una mortale.
Senza contare che se uno di noi fosse morto saremmo morti tutti.
Mi schiarii la voce, mettendo a tacere il vociare dei miei amici.
“Bene. Quando partiamo?” chiesi, rivolto a Chirone.
Il centauro si avvicinò a me con la sua sedia a rotelle.
“Gli dei ti hanno concesso l’impresa, Percy,” quando mi appoggiò una mano sul braccio ebbi la certezza che mi avrebbe detto qualcosa che non mi sarebbe piaciuta per niente. “Ma non partirete prima delle vacanze di Natale.”
“Cosa?!” esclamai.
Cercai di protestare in tutti i modi, ma Chirone fu irremovibile.
“Non potete saltare la scuola,” non riuscivo a credere che Chirone pensasse alla scuola in un momento del genere. “E poi abbiamo bisogno di fare il punto della situazione. Promettimi che aspetterai Natale, Percy.”
Annuii.
Chirone annunciò che la riunione era sciolta e che potevamo fermarci al campo per la notte. Ci dette appuntamento al padiglione per la cena (che sarebbe iniziata mezz’ora più tardi) e tutti lasciarono la sala.
Rimanemmo solo io, Rachel e Annabeth nella sala del ping-pong.
“Siete sicure di voler venire?” chiesi, guardandole.
Annabeth mi fulminò con lo sguardo e Rachel sorrise.
“Potrebbe essere pericoloso,” continuai.
“Senza di me moriresti,” disse semplicemente Annabeth, alzando le spalle.
“Ma se vieni potresti morire tu!” protestai.
Annabeth era la migliore stratega e la miglior guerriera che avessi mai conosciuto, sapevo perfettamente che il suo aiuto mi sarebbe servito. Aveva partecipato ad imprese più pericolose, ma eravamo sopravvissuti alla guerra contro Crono e non riuscivo a sopportare l’idea che potesse succederle qualcosa.
“Anche tu potresti morire!” ribatté. “Ma io non ti sto chiedendo di restare qui.”
Deglutii. Perché aveva sempre ragione lei?
Mi voltai verso Rachel.
“Rachel tu…”
Rachel sorrise. “La vista che tutto vede aiutarli potrà,” disse. “Credo..credo di essere io. Vi serve il mio aiuto.”
“Bene,” esordì Annabeth. “Ci serve anche il mio di aiuto.”
“Annabeth..”
Lei mi fulminò con lo sguardo.
“Io vado a mangiare,” annunciò, avviandosi verso l’uscita della Casa Grande.
Sospirai, buttandomi su una sedia.
Rachel mi appoggiò una mano sulla spalla e sorrise.
“Ci vediamo a cena, Percy.”
Rimasi da solo per qualche minuto. Annabeth mi avrebbe sicuramente tenuto il muso per giorni e non ero poi così sicuro che portare anche Rachel fosse la cosa giusta.
La vista di cui aveva parlato l’Oracolo poteva essere lei, ma poteva anche non esserlo.
Cercando di scacciare i mille pensieri che mi affollavano la mente, mi alzai e uscii anche io dalla Casa Grande, diretto verso il padiglione.
 
Come avevo immaginato, Annabeth non mi degnò neanche di uno sguardo.
Era seduta al tavolo di Atena insieme ai pochi dei suoi fratelli che erano rimasti al campo per l’inverno e stava chiacchierando con Malcolm.
Rachel, al contrario, mi tenne d’occhio per tutta la sera.
Aveva trovato ospitalità al tavolo di Ermes e i fratelli Stoll sembravano particolarmente felici di riaverla con loro.
Io, ovviamente, mangiavo da solo al tavolo di Poseidone.
Quella sera sentii particolarmente la mancanza di Tyson, il mio fratellastro ciclope, soprattutto quando tornai alla capanna e la trovai completamente vuota.
La casa dedicata ai figli di Poseidone era la seconda della linea maschile – le capanne erano disposte ad U, un braccio per gli dei ed uno per le dee. Le pareti erano ricavate da una roccia marina e all’interno era tutto di un blu scintillante come le acque dell’oceano.
Mi buttai sul letto e socchiusi gli occhi, sospirando.
Stavo per addormentarmi, quando qualcuno bussò alla porta.
Istintivamente portai una mano sulla tasca dei jeans, dove tenevo Vortice, poi mi alzai e andai ad aprire.
Ero pronto a sguainare la spada, ma non ce ne fu bisogno.
Annabeth mi guardava con le braccia incrociate al petto e lo sguardo severo; probabilmente era ancora arrabbiata con me.
Avrei voluto dirle qualcosa, ma lei non mi dette il tempo di parlare. Mi spinse dentro alla casa di Poseidone e si chiuse la porta alle spalle.
Per un attimo pensai che volesse tirarmi un pugno o qualcosa del genere, ma la sua aria arrabbiata scivolò via e mi stritolò in un abbraccio.
“Annabeth, cosa…?”
Lei si allontanò e si mise a sedere sul bordo del mio letto con un sospiro.
Restammo in silenzio per un po’, poi io mi schiarii la voce.
“Non avrei dovuto chiederti di restare,” dissi.
Annabeth alzò lo sguardo su di me.
“Anche io ho paura per te, Percy,” sussurrò.
Mi sedetti accanto a lei e Annabeth appoggiò la testa sulla mia spalla.
“Prometti che starai attenta.”
Lei rise. “Non sono io quella che ha rischiato la vita un centinaio di volte.”
Le passai un braccio attorno alle spalle e la strinsi contro il mio fianco. Fuori si sentivano le voci dei fratelli Stoll che cantavano a squarciagola le canzoni del campo.
“Quindi hai paura per me..” dissi, ridacchiando.
Annabeth alzò il viso, fulminandomi con lo sguardo. 
“Oh, sta’ zitto!”
Io risi e lei mi baciò.



-
Volevo davvero ringraziare Dandelion to dream e Prescelta di Poseidone per aver recensito i primi due capitoli: grazie, grazie, grazie! :D E un grazie va anche a Ashleyily95Daughter of Poseidon e Fred_Deeks_Ben per aver messo la storia tra le seguite :) 
   
 
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