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Autore: Finnick_    11/09/2012    2 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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E’ proprio là che passiamo il resto della giornata e la nottata: nella caverna della montagnola. Arranchiamo per raggiungerla, gocciolando tutti un po’ di sangue sull’asfalto. Quando entriamo la esploriamo con l’attenzione che possono avere degli animali feriti e stremati e ci accasciamo sul fondo, depositando zaini e armi. Sentiamo improvvisamente dei colpi di cannone. Ci mettiamo a contare silenziosamente: uno, due, tre.. undici. Undici giovani vittime di questi Giochi fantasma.
E’ orrendo. Sapere che siamo tutti moribondi in un modo o nell’altro solo dopo il primo giorno e essere consapevole che mio fratello è lassù che lotta tra la vita e la morte. Sempre se è ancora vivo.
Quando ci stabiliamo nella caverna ci rendiamo conto che nessuno di noi è capace di uscire e cercare cibo e acqua. Il cibo ce l’abbiamo, distribuito nei vari zaini, ma l’acqua manca. E la sete adesso si fa sentire. Dopo aver corso, essersi disidratati e dissanguati in buona quantità non abbiamo più liquidi sufficienti in corpo.
Quando mi azzardo ad alzarmi e uscire a cercare l’acqua Finnick mi inchioda a sedere e mi aiuta a fasciarmi il fianco e la spalla.
Solo che il sangue che scorre fuori sembra volermi lasciare del tutto a secco. Il dolore che proviene dalla ferita al fianco è lancinante, terribile in confronto a quello provocato dall’ascia di Liana. Comincio ad avere serie difficoltà a muovere il braccio sinistro colpito, non chè ad alzarmi in piedi e muovere qualche passo.
Il mio umore va dalla stanchezza alla rabbia per non poter far niente, dalla tristezza alla disperazione, dall’iperattività alla rassegnazione.
Ed è bruttissimo precipitare in quell’ultimo stadio.
Perche mi guardo intorno e scopro che Jymith si morde le labbra per evitare di urlare il dolore che le provoca la caviglia rotta, Merope è del tutto assente, isolata dal mondo, fissa il muro davanti a se e resta in silenzio. Finnick è l’unico che si muove e prepara la nostra sistemazione e nonostante i miei richiami continua ostinato. Sono riuscita a convincerlo a farsi fasciare il braccio, ma quel momento di riposto è durato solo pochi minuti. Poi è scattato attivo.
Mi fa passare momenti di rabbia e paura quando mi comunica di voler uscire in cerca di acqua.
-no!- esclamo alla fine, prendendolo per un polso –tu non ci vai la fuori da solo. Che ti piaccia o no resterai qui. Possiamo resistere stanotte alla sete. Andremo domani-
Dopo qualche altra protesta Finnick si è steso accanto a me in silenzio.
Ora che siamo all’interno della caverna ci accorgiamo che siamo dentro ad una specie di montagna aperta. La cima non c’è e un buco ci lascia intravedere il cielo. Lo osserviamo così mentre diventa rosa. Poi arancione. Arancione come il tramonto, come il colore preferito di mio padre. Solo adesso mi rendo conto che i miei genitori saranno incollati ai televisori come tutta la nazione, e saranno lì a tifare per noi.
Immagino mia madre che grida furibonda che non sarebbe dovuta  finire così. Immagino mio padre che, distrutto, cerca di calmarla. Immagino la Paylor, che, colpevolizzata senza motivo, cerca di arrivare ad un compromesso con la Coin.
Adesso, stesa per terra con la testa appoggiata allo zaino, fisso le stelle. Finnick ha insistito per fare il primo turno di guardia e adesso è seduto all’entrata della caverna a giochicchiare con i sassi.
Poi improvvisamente mi ricordo delle parole che Aldous e Haymitch mi hanno detto prima dell’inizio dei Giochi. Cioè che avrei potuto farcela. Che avrei dovuto usare l’energia. Ma di che energia stava parlando quel vecchio ubriaco? Non riesco a pensare lucidamente.
Ho ancora in testa l’immagine della ragazza uccisa da Grun alla nostra Cornucopia e dell’altro ragazzino accasciato accanto a lei. Ma più fulgida di tutte è l’immagine di Klinger che viene completamente dilaniato dall’ibrido. E penso che io ho contribuito alla sua morte. Se non avessi scagliato quella freccia contro il suo braccio, lui sarebbe stato capace di rialzarsi e mettersi in salvo, come noi.
Ma non posso colpevolizzarmi anche di questo. Mi basta vedere Finnick. Da solo, con l’espressione più cupa che abbia mai visto sul suo volto. All’entrata della nostra caverna con il tridente accanto. E’ stato tutto il giorno immerso nel nervoso, agitato da una parte all’altra della caverna e non sono riuscita a strappargli nemmeno un gesto confortante.
Se solo riuscissi a muovermi e a raggiungerlo là. Provo ad alzarmi con fatica e mordendomi la lingua per non lasciarmi sfuggire gemiti di dolore mi metto a sedere. Jymith sembra dormicchiare, appoggiata alla sua parte di muro. Merope è girata dalla parte opposta alla mia e non riesco a vedere se dorme.
Ma non credo che lo stia facendo.
Pian piano mi trascino all’entrata della caverna e affianco Finnick. Mi appoggio all’altra estremità della roccia.
-ehi- dico e basta.
-ehi- ripete lui.
-come stanno le ferite?- mi chiede indicando le mie fasciature.
-vorrei che stessero meglio. Non riesco a muovere un passo e il braccio non risponde più ai miei comandi- dico –il tuo?-
Lui alza le spalle. Voglio credere che stia meglio di me. Dalla caverna scorgiamo il castello che adesso sulla collina si staglia imperioso nel buio della notte. E’ là Chays.
-non credo che saremo in grado di proseguire domani- mi dice senza guardarmi.
Ha ragione, ma io non posso lasciare Chays là da solo.
-Chays..- inizio io.
Lui mi interrompe immediatamente:
-Chays potrebbe essere già morto!- esclama. Rimango ammutolita per un attimo.
-Rue. E’
 
già un miracolo se siamo vivi noi-
-non lo lascerò lassù- dico stupefatta dall’affermazione di Finnick. Non me la sarei mai aspettata da lui.
-no, ma lasceresti Merope inferma, Jymith che non può camminare e me qui- Dice. Non c’è accusa nel suo tono. C’è solo rassegnazione. La stessa rassegnazione che ha deciso di impossessarsi di tutti, anche di me, dopo l’attacco dell’ibrido. Abbiamo tutti la stupida e infondata sensazione di essere stati abbandonati anche dalle persone che ci amano e che amiamo. E’ questo che riescono a fare gli Hunger Games. Ti distruggono passo passo, finchè del tuo mondo, delle persone a cui vuoi bene, degli ideali in cui credevi, non è rimasto più niente.
-non lo farei mai- dico, cercando di aprire gli occhi. Anch’io pensavo che Finnick mi avesse abbandonata, dopo la giornata di oggi, ma è solo un insensato presentimento. L’ho capito solo adesso, adesso che lui me l’ha detto. Come al solito non ci arrivo da sola a certe conclusioni, deve essere lui a farmi vedere che sta male. Dentro e fuori.
-allora resta qui- dice, la voce spezzata. Nella notte scorgo timide lacrime che gli fanno luccicare ancor di più quegli impenetrabili occhi azzurri. Mi si stringe il cuore. Ho pensato a me stessa più che a lui per  tutto questo tempo e adesso non riesco a perdonarmelo.
Gli prendo le mani in un gesto spontaneo.
-al tuo fianco-
-come sempre?- chiede lui.
-come sempre- rispondo io.
Finnick mi lascia le mani e si sistema meglio appoggiato al muro. Stende le gambe e mi dice:
-stenditi-
Appoggio la testa sulle sue gambe e mi lascio accarezzare i capelli. Riprendo ad osservare le stesse stelle che prima avevo perso di vista. Mi sento a casa tra le sue braccia, le sue mani. Il dolore delle ferite sembra che se ne vada pian piano, anche se so che in realtà non è così.
-hai la febbre- mi dice, toccandomi la fronte. Lo guardo:
-siamo tutti malati- rispondo.
-ma tu hai due ferite che potrebbero infettarsi con grande facilità e sono profonde. Se solo riuscissimo ad avere qualche medicina dagli sponsor- dice lui.
Quando dice così realizzo che tutta Panem ci sta guardando. Che probabilmente metà della nazione sta tifando per noi, l’altra metà ci vuole morti. E tutto questo, mi ricordo, è per evitare una guerra. Dobbiamo evitarla. Dobbiamo morire.
-non ho molte speranze vero?- chiedo quasi apatica e disinteressata alla risposta.
-né più né meno di quante ne abbia io. O Merope- risponde continuando ad accarezzarmi i capelli. Bella consolazione, quella di essere paragonata ad una ragazza che tra poco non muoverà più un muscolo. Più che una consolazione mi pare una condanna.
In quel momento sentiamo una musica imponente alzarsi sulle nostre teste e nel cielo sopra di noi viene proiettato il sigillo di Capitol 13. Quasi dimenticavo: il riepilogo dei caduti del primo giorno.
E’ adesso che il cuore mi si fa piccolo piccolo e vado in apnea nella speranza di non vedere il volto di mio fratello tra quelli che compariranno tra poco.
Senza dire una parola io e Finnick rimaniamo col naso all’insù.
Appaiono le foto dei caduti. Mentre scorrono riconosco la ragazza della mia Cornucopia e il ragazzino accanto a lei, entrambi del Distretto 3. Poi i tributi del Distretto 9. Altri volti che ho visto solo un paio di volte, come entrambi i tributi del 5 e del 6, l’altro tributo del 7 e uno dell’11. A concludere la macabra carrellata è il volto di Klinger, distretto 8.
Deglutisco.
Suona di nuovo l’inno, compare il sigillo e l’ologramma sparisce. Non c’è Chays.
Chays non è morto. E’ vivo ed è lassù da solo, ma io non posso ancora raggiungerlo.
Finnick si allunga ad afferrare la scatoletta di carne essiccata e mi chiede:
-vuoi?-
Annuisco e butto giù un po’ di cibo. La fame mi è passata, ma se voglio rimettermi in forze devo almeno mangiare. Abbiamo sete, adesso.
Comincio a schioccare la lingua contro palato.
-ah, smettila- dice Finnick sorridendo –mi fai venire ancora più sete-
Eccolo quel sorriso. Il sorriso di cui, adesso ne sono sicura, mi sono innamorata. Il sorriso senza il quale non sarei qui a lottare, o semplicemente a farmi lisciare i capelli.
Di punto in bianco, ma lentamente, si china e mi bacia. Lo fa per la prima volta dall’inizio degli Hunger Games. Sento il suo sapore su di me e dentro di me e mi sento.. un’altra persona. La persona che aveva trovato felicità quella notte, sulla spiaggia.
Quando si rialza sono consapevole che tutti stanno fissando allibiti lo schermo. E ne ho la conferma quando un contenitore metallico legato ad un paracadute atterra davanti a noi con un continuo bip bip.
Mi metto a sedere e lascio che Finnick lo raccolga e ne esamini il contenuto.
-acqua?- chiedo.
Lui scuote la testa: -medicine.. e un biglietto-
Me lo porge mentre tira fuori dal contenitore un tubetto bianco.
-Ottimo lavoro. Adesso smettete di sperare in un miracolo e cercate l’acqua- Recito ad alta voce.
Finnick ride sommessamente e raccoglie il biglietto.
-se il bacio è servito a farci spedire medicine, dobbiamo farlo più spesso- dice e io sorrido.
-spalmiamoci addosso questa roba- dico. In silenzio ci togliamo le bende dalle ferite e ci mettiamo una sostanza bianca sopra. Ci riappoggiamo sopra le fasciature e andiamo a somministrarla anche alle altre.
Dietro il tubo c’è scritto: “commestibile”.
-suppongo si possa ingerire- dico –dovrebbe far effetto anche così-
Sveglio Merope e gliene faccio ingollare una buona parte. Lei riluttante tende a sputarla e dobbiamo costringerla ad ingoiarla tutta. Poi con Jymith facciamo la stessa cosa. Infilo la pomata in uno zaino.
-stanca?- mi chiede Finnick, dopo che le altre si sono riaddormentate. Scuoto la testa, ma sono poco credibile e quando torniamo all’entrata della grotta e mi stendo di nuovo sulle sue gambe, sprofondo in un sonno inaspettatamente, relativamente, tranquillo.
 
  
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